martedì 31 gennaio 2012

Il 2012 si preannuncia un ottimo anno per i mercati azionari

Il grandissimo e mai dimenticato Gianni Brera, assistito dalla Dea Eupalla, un giorno disse - prima di valutare l’andamento del campionato di calcio entrante: “Le previsioni le sbaglia solo chi le fa”.

Quindi mi schiero fin da subito. Il 2012 sarà un anno rialzista per i mercati azionari.

Diversi fattori sono promettenti:
1) andamento dei mercati azionari nel mese di gennaio;
2) politiche monetarie accomodanti;
3) economia americana sta molto meglio di quello che si pensi.

Premettiamo che cos’è il January Effect: “The January effect is a calendar-related anomaly in the financial market where financial security prices increase in the month of January. This creates an opportunity for investors to buy stock for lower prices before January and sell them after their value increases.


Therefore, the main characteristics of the January Effect are an increase in buying securities before the end of the year for a lower price, and selling them in January to generate profit from the price differences” (fonte: wikipedia)

Using S&P 500 monthly averages since Bloomberg data started in 1928, the average price return for all January months is +1.69%. Not surprisingly, this also turns out to be the highest monthly return of all calendar months and compares favourably against the +0.51% for all calendar months. July also stands out as having the second-highest monthly return in our sample (+1.25%) while September (-0.20%) and October (-0.55%) have historically produced negative monthly averages.

La correlazione storica tra i primi giorni del mese di gennaio e la performance dell’anno è statisticamente significativa. E’ empiricamente provato che un mese di gennaio positivo induce probabilisticamente un anno positivo dei mercati azionari.

Sia i primi tre giorni del mese di gennaio che il mese di gennaio, non ancora concluso, ma quasi – con mercati azionari positivi dal 3,70% di New York al +15% (in valuta locale) del mercato brasiliano – sono di buon auspicio.

I paesi emergenti torneranno ad avere ritorni azionari interessanti. Le autorità monetarie – dopo un lungo periodo di restrizione monetaria – hanno visto l’inflazione attesa finalmente in calo e quindi si trovano ad avere una politica monetaria più accomodante.

Il recente Bollettino economico di Banca d’Italia di gennaio dice: “Le spinte inflazionistiche si sono attenuate sia nei principali paesi avanzati sia in quelli emergenti, beneficiando del calo dei corsi delle materie prime. In novembre negli Stati Uniti la dinamica dei prezzi è scesa al 3,4 per cento sui dodici mesi, dal 3,9 raggiunto in settembre; al netto delle componenti energetiche e alimentari, si è collocata al 2,2 per cento (dal 2,0 in settembre). Nel Regno Unito l’inflazione è calata al 4,8 per cento, poco al di sotto del picco raggiunto in settembre (5,2), anche per il venir meno dell’impatto dell’aumento delle imposte indirette; la componente di fondo è scesa al 3,3 per cento. In Giappone la dinamica dei prezzi è divenuta leggermente negativa, sia per l’indice complessivo sia per la componente di fondo”.

Le banche centrali dei principali paesi emergenti, in seguito al deteriorarsi del quadro congiunturale e a fronte dell’attenuarsi delle tensioni sui prezzi, hanno avviato un graduale allentamento delle condizioni monetarie. In Cina le autorità hanno ridotto all’inizio del mese di dicembre i coefficienti di riserva obbligatoria, mentre in Brasile, dopo una prima riduzione nell’estate, la Banca centrale ha nuovamente abbassato i tassi ufficiali di 50 punti base in ottobre e, successivamente, anche in novembre. Per contro, in India, dove l’inflazione è risultata più elevata del previsto e la valuta si è indebolita, in ottobre la Banca centrale ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base.

Un recente intervento di Komal Sri-Kumar – chief global strategist at Trust Company of the West - del 17.1.2012 sul Financial Times è significativo: “Improvement in US labour market conditions should result in a bottom in home price leading finally, to a sustainable growth. That is the signal for investors to boost expectations for corporate earnings and equity prices”.

Sri-Kumar invita l’Amministrazione Obama – nel novembre 2012 avremo le elezioni presidenziali americane - a muoversi: “To achieve this, the administration needs to shift focus from compensating the unemployed to increasing the demand for labour”.

Lo strategist Ed Yardeni sul FT – Rising pace of hiring set spur ‘double recovery’ in US/ 26 gennaio - è dello stesso avviso: “Employment is the key. Since the official start of the latest recovery during July 2009, payroll employment is up only 1,1% significantly lagging behind the average 5,1% of the previous seven recoveries over the same length of time.

Il ragionamento seguente non fa una grinza: “If employment growth increases, the unemployment rate will continue to fall. Consumer confidence should rebound, consumer spending would grow at a faster clip, leading to the second recovery”.

Yardeni chiude le sue riflessioni così: “Non dobbiamo preoccuparci di quanto la crisi europea impatti sulla crescita USA. Io invito tutti a valutare quanto la crescita americana possa aiutare a rendere più soft la recessione europea”.

L'Italia fino a qualche mese fa era il problema. Ora con Mario Monti sulla plancia di comando sembra essere la soluzione. Sperem e #DajeMario (twitter hashtag).

venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio 1994: autobomba - non esplosa - allo Stadio Olimpico di Roma

Quando parlo con i miei amici della bomba non esplosa allo Stadio Olimpico, mi guardano con occhi sbigottiti. Peraltro i miei interlocutori sono persone informate, lettori “forti” - come si dice in gergo di coloro che leggono più di 30 libri l’anno – e disincantati al punto giusto. Però sull’attentato fallito allo Stadio Olimpico di Roma il 27 gennaio 1994 l’informazione pubblica è molto scarsa. Parliamone a 18 anni di distanza.

Così il magistrato romano Giancarlo De Cataldo (autore dello splendido Romanzo Criminale, Einaudi, 2002) nel suo romanzo Nelle mani giuste (Einaudi, 2007) racconta: “Pino Marino parcheggiò l’autobomba fra una vecchia Uno e il furgone di un panettiere. Dal vicino stadio Olimpico esplodevano, a tratti, gli scoppi d’ira o di entusiasmo dei tifosi. Angelino, dal sedile di guida della sua Saab, vide che il picciotto armeggiava nel vano motore. Starà controllando il contatto, si disse. Erano nei pressi del cancello G-8. La partita era appena iniziata. Fra un’ora e mezzo o poco più, i tifosi avrebbero preso a defluire. Invadendo le strade circostanti.

L’autobomba era piazzata proprio lungo una di queste strade. Appostati in una piazzola a cento metri, Pino e Angelino avrebbero dato il via alle danze al passaggio della colonna di automezzi dei Carabinieri che smontavano dal servizio di ordine pubblico. Doveva essere una carneficina. Duecento, cinquecento, forse mille tra militi e tifosi”.

E' opportuno fare una digressione storica. Nel 1993 - con Carlo Azeglio Ciampi Presidente del Consiglio - diversi attentati scuotono e inquietano il Paese. Il più grave a Firenze in Via dei Georgofili.

La strage di via dei Georgofili è un attentato di stampo mafioso attribuito all'organizzazione Cosa Nostra.
Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili.

Nell'immane esplosione perdono la vita 5 persone.

La strage viene inquadrata nell'ambito della feroce risposta del clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina all'applicazione dell'articolo 41 bis che prevede il carcere duro e l'isolamento per i mafiosi. Due mesi dopo, il 27 luglio, altri attentati mafiosi vengono compiuti a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e a Milano, in via Palestro, dove un'autobomba provoca cinque morti: tre vigili del fuoco e un vigile urbano intervenuti sul posto, e un cittadino straniero che dormiva su una panchina.

Successivamente il pentito Gaspare Spatuzza ha espresso "malessere" nei confronti di questo attentato e chiesto "perdono" alla città di Firenze.

Le risultanze del processo poi tenutosi a Firenze - per via del collegamento con le bombe in via dei Georgofili, accanto agli Uffizi nel maggio 1993 - portano a ritenere che l’attentato sia fallito per cause indipendenti dalla volontà degli ideatori. Per essere più precisi, un congegno elettronico non funzionò.

Sentiamo Pier Luigi Vigna, Procuratore di Firenze nella sua testimonianza: “Era tutto pronto, la macchina con l’ esplosivo era lì. Grazie a Dio, non è partito l' impulso elettrico”.
E’ giusto parlare non solo delle stragi avvenute, ma anche di quelle progettate. Perchè a differenza di altri Paesi dove pure esistono mafie forti, qui Cosa Nostra arriva a costituirsi come temibile contropotere dello Stato?”-

Il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel suo Da Livorno al Quirinale (Il Mulino, 2010) scrive: “Una caratteristica del mio governo (Ciampi giura davanti al Presidente della Repubblica il 29 aprile 1993, ndr) è stata quella di essere contrassegnato dalle bombe. Non faccio in tempo a formare il Governo che la prima bomba scoppia in via Fauro. Subito dopo, il 27 maggio, le bombe di Firenze in via dei Georgofili. Poi, nella notte tra il 27 e il 28 luglio, le due bombe di Roma a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni, e contemporaneamente a Milano (in via Palestro, davanti al PAC, ndr), dove ci furono dei morti. Poi c’è stato l’attentato all’Olimpico, fallito solo perchè non scattò l’innesco dell’esplosivo. Si scoprì poi il progetto di fare un attentato alla torre di Pisa, per il quale avevano già procurato l’esplosivo”.

L’Italia è piena di misteri. Stragi senza colpevoli. Famiglie distrutte senza un perchè. “La democrazia non è soltanto governo “del popolo”, ma anche governo “in pubblico”, sostiene il giurista Stefano Rodotà. “Per questo la democrazia deve essere il regime della verità, nel senso della piena conoscenza dei fatti da parte di tutti. In democrazia, la verità è figlia della trasparenza”.

Louis D. Brandeis
Allora non possiamo non citare il mitico giudice della Corte Suprema americana degli Anni ’30 Louis D. Brandeis, autore di Other people's money and how the bankers use it (must read): “La luce del sole è il miglior poliziotto. La luce elettrica il miglior disinfettante”.

P.S.: per approfondimenti si consiglia Nelle mani giuste, Giancarlo De Cataldo, Einaudi, 2007

mercoledì 25 gennaio 2012

Un ricordo di Leopoldo Pirelli, industriale gentiluomo

Leopoldo Pirelli
L’altro ieri, il 23 gennaio – anniversario a 5 anni dalla morte - presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) - fondato da Alberto Pirelli nel 1934 - si è svolto un incontro per ricordare la figura di Leopoldo Pirelli, straordinario uomo d’impresa.

Dopo la breve introduzione del nuovo Presidente dell’ISPI Giancarlo Aragona, succeduto all’Ambasciatore Boris Bianchieri (vedi post Omaggio a Biancheri, diplomatico eccezionale), sono state proiettate le immagini di un’intervista RAI a Leopoldo e Alberto Pirelli del 1963 – il padre di Leopoldo e il figlio del fondatore della Pirelli, Giovanni Battista).

Leopoldo, a una precisa domanda del giornalista sul futuro della grande impresa, ha risposto: “Le caratteristiche umane e morali del manager d’impresa devono rimanere quelle del passato, ma le caratteristiche funzionali devono cambiare. E’ necessario il decentramento di responsabilità, ci vuole managerialità”.

Pirelli guarda va lontano, aveva visione, troppa per quei tempi. Oggi si direbbe: Leopoldo vuole riformare la corporate governance.

Lo storico Giuseppe Berta - intervenuto successivamente e poi ieri sul Sole 24 Ore  – ha scritto: “La fase cruciale della biografia imprenditoriale di Leopoldo Pirelli, scomparso il 23 gennaio di cinque anni fa (ieri è stato ricordato in un convegno organizzato dall'Ispi a Milano), si giocò probabilmente fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, quando si misurò col problema della trasformazione manageriale dell'impresa di famiglia. Un compito cui non si accinse il solo Pirelli (anche se nessuno lo affrontò con maggiore dedizione di lui), ma una leva di imprenditori quarantenni che si trovò rapidamente in una posizione di assoluto rilievo, convincendosi che la sfida determinante fosse costituita dalla modernizzazione della grande impresa, per attrezzarla a reggere la prova con la concorrenza mondiale. Era una generazione persuasa che l'impresa italiana dovesse prepararsi a navigare in mare aperto, senza complessi di inferiorità, e a partecipare al progresso della società, assumendosi le proprie responsabilità”.

Leopoldo Pirelli si fece promotore di un forte rinnovamento della società italiana, che sfociò nella Commissione Pirelli, poi Rapporto Pirelli, volta a rinnovare da cima a fondo l’organizzazione confindustriale. Come dice Berta,”Il Rapporto finale che essa pubblicò nel febbraio 1970, a sintesi dei suoi lavori, resta fra i prodotti culturali più alti dell'industria italiana”. Leopoldo si battè affinchè Confindustria perdesse il profilo ottocentesco di chiusa conventicola di gretti interessi aziendali per diventare un sindacato degli imprenditori più moderno.

Ho ripescato nel mio archivio un documento del 1986 scritto da Leopoldo Pirelli in occasione della premiazione da parte del Collegio degli Ingegneri, titolato “Le 10 regole dell’imprenditore”. E’ un bijoux. Attualissimo a 26 anni di distanza.

Al punto 3 Leopoldo scrive: “Credo fermamente che in un gruppo delle nostre dimensioni, il Chief executive officer debba farsi affiancare da collaboratori professionalmente e moralmente ineccepibili”.

Al punto 6: “Sono convinto che un imprenditore debba essere onesto nel senso più alto della parola. Penso che l’essere onesto paghi, sia l’imprenditore come persona sia l’azienda che dirige”.

Ricordo che lo storico Giulio Sapelli, in occasione della sua scomparsa, disse: “Ha sempre vissuto in modo frugale e probo, con un grande amore per la cultura”.

E’ opportuno ricordare in questa sede che Leopoldo Pirelli, dopo Tangentopoli, mise in discussione la classe imprenditoriale, fece autocritica. In un’intervista a Eugenio Scalfari del 1999 dichiarò quanto segue: “Alcuni imprenditori hanno sostenuto di essere stati in qualche modo costretti a pagare. Non è stato così. Concussi sono stati i piccoli imprenditori, non le maggiori imprese. Se una decina di grandi aziende avessero insieme denunciato la corruzione che era diventata sistema, nessuno avrebbe potuto impedircelo e schiacciarci, tutti insieme eravamo forti a sufficienza per cacciare quel malcostume”.

Il punto 9 si adatta particolarmente oggi dopo la tragica pantomima del Capitano (sic) Schettino, protagonista negativo della Costa Concordia, resosi non solo responsabile della rotta contro gli scogli, ma anche dell’abbandono della nave (intercettato, dice: "La nave si inclinava, io sono sceso") nei pressi dell’isola del Giglio.

Così Leopoldo Pirelli: “Credo che l’imprenditore non debba vantare meriti che spesso non sono individuali ma collettivi. Io, se devo attribuirmi un merito, scelgo quello di essere rimasto calmo e sereno al timone nei momenti in cui la barca era in difficoltà, in cui lo scafo stesso sembrava dar segni di cedimento. Ma non sono certo stato solo nel portare la barca fuori dalla burrasca: mentre io restavo al timone, altri hanno issato nuovamente le vele e insieme abbiamo ripreso a navigare”.

Il punto 10 riassume la serietà, la chiarezza, la responsabilità, la forza dell’uomo d’impresa: “Chiudo ricordando per ultima la prima qualità che un imprenditore deve sempre avere: cercare con tutte le sue forze di chiudere dei buoni bilanci. Se non ci riesce una volta, riprovare. Se non ci riesce più volte, andarsene. E se ci riesce, non credersi un padreterno, ma semplicemente uno che, dato il mestiere che ha scelto, ha fatto il suo dovere”.

Che classe, che eleganza, che spirito protestante e antiesibizionista. Mario Monti lo definì un “borghese gentile e calvinista”.

Nel 1992 all’assemblea Pirelli, con coerenza, dopo la sconfitta dell’operazione di acquisizione della tedesca Continental, disse: “Sono io il responsabile, io soltanto”. E lasciò.

Eugenio Scalfari
Sempre all’ISPI il 23 gennaio 2008, Scalfari disse: “Leopoldo si è sempre sentito , in debito verso l’azienda, la famiglia, il padre, il Paese, il fratello Giovanni (ben prima della sua morte a seguito di un tragico incidente stradale sulla Genova-Sestri Levante nel 1973, ndr)”. L'educazione ferrea familiare ha inciso non poco.
In una cartolina al figlio Giovanni, Alberto Pirelli nel 1931 scrisse: “Ricordati sempre che il nome che porti implica dei doveri e non dei diritti, amor proprio non vanità”.

Caro Leopoldo, ti sia lieve la terra.

Per approfondimenti si consiglia:

Alberto Pirelli e l’entusiamo dell’apprendere

Vita di Alberto Pirelli (1882-1971), di Nicola Tranfaglia, Einaudi, 2010

Alla ricerca di un’industria nuova. Il viaggio del giovane Pirelli e le origini di una grande impresa (1870-1877), Francesca Polese, Marsilio, 2004

Legami e conflitti. Lettere (1931-1965), a cura di Elena Brambilla Pirelli, Archinto Editore, 2003

Recensione sul Corriere della Sera di Corrado Stajano su Legami e conflitti

lunedì 23 gennaio 2012

In morte di Roberto Franceschi, studente bocconiano, ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973

Roberto Franceschi
Appena ho iniziato a frequentare l'Università Bocconi, ho notato che l'aula al secondo piano era dedicata alla memoria di Roberto Franceschi. Non c'era google al tempo, allora ho chiesto a mia madre, una vera e propria wikipedia vivente. E mi ha raccontato. Oggi allora faccio lo stesso.

39 anni fa, lo studente bocconiano Roberto Franceschi si accasciava al suolo colpito a morte da un colpo di arma da fuoco sparato da un proiettile di pistola Beretta calibro 7,65 in dotazione alla Polizia che presidiava l’Università.

La sera del 23 gennaio 1973 era in programma un'assemblea del Movimento Studentesco presso l'Università Bocconi. Assemblee di questo tipo erano state fino ad allora autorizzate normalmente e non avevano mai dato adito a nessun incidente e, nel caso specifico, si trattava dell'aggiornamento di una assemblea già iniziata alcuni giorni prima; ma l'allora Rettore dell'Università quella sera ordinò che potessero accedere solo studenti della Bocconi con il libretto universitario di riconoscimento, escludendo lavoratori o studenti di altre scuole o università. Ciò significava vietare l'assemblea e il Rettore informò la polizia, che intervenne, con un reparto della celere, intenzionata a far rispettare il divieto con la forza.

Ne nacque un breve scontro con gli studenti e i lavoratori e, mentre questi si allontanavano, poliziotti e funzionari spararono vari colpi d'arma da fuoco ad altezza d'uomo. Lo studente Roberto Franceschi fu raggiunto al capo, l'operaio Roberto Piacentini alla schiena. Entrambi caddero colpiti alle spalle” (dal sito web http://www.fondfranceschi.it/ ) .

Come spesso accade, il processo è stato un calvario scandaloso – oltre venticinque anni di processi penali e civili, l’ultima sentenza è del 20 luglio 1999, più di 26 anni dopo la morte di Francesco - dove la volontà di occultare la verità da parte della Polizia è stata dominante. Dalla sentenza che ha chiuso la fase istruttoria del processo (dicembre 1976) leggiamo: “La verità è che sin dall’inizio si preferì occultare rigorosamente la corcostanza che a sparare erano stati in diversi, e questa decisione comportò poi la necessità che l’intera fase delle indiagini preliminari fosse gestita sotto il controllo o quanto meno con l’accondiscenza dei vertici della polizia, all’insegna della costante preoccupazione di neutralizzare ogni risultanza che con tale versione potesse apparire in contrasto”.

Qualcosa si è ottenuto dai processi. Come scrive Biacchessi “L’accertamento della responsabilità della polizia e la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento del danno, ma non l’individuazione e la condanna dell’autore materiale e di eventuali corresponsabili”.

Ma torniamo alla figura di Roberto Franceschi, studente brillante e affettuoso.

Scrisse di lui un compagno di studi: "Roberto, la sua ferrea volontà, la sua onestà intellettuale, la sua incrollabile fede nella scienza, la sua costante ricerca della verità, il suo amore per la cultura, la sua illimitata fiducia nelle possibilità dell'uomo, dopo la sua morte, hanno aiutato me e molti altri compagni a superare le difficoltà, a correggere gli errori e ad andar avanti".

La sua insegnante di filosofia del Liceo Vittorio Veneto – Meris Antomelli - ha scritto: “Roberto era politicamente molto impegnato, e in particolare riteneva l’apertura della scuola alla società, e la lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione non come esigenze tra le altre, ma fondamentali: le considerava capaci di dare concretezza ai suoi ideali di democrazia e giustizia, e coerenza alla sua vita. Non accettava perciò quelle forme di contestazione della scuola che si traducevano nel rifiuto dello studio a vantaggio di una militanza politica che nella scuola vedeva soltanto uno dei suoi luoghi d’azione”.

Don Milani con i ragazzi di Barbiana
Dopo aver riletto le testimonianze sulla figura di Roberto Franceschi, mi è tornato in mente Don Lorenzo Milani, che insisteva in continuazione sull’importanza dello studio affinchè le classi disagiate potessero giocarsela alla pari con i più fortunati. In un bellissimo passo de La ricreazione (Edizioni e/o, 1995) leggiamo: “Quando ripresi la scuola nel 1952-53 avevo ormai superato ogni ulteriore esitazione: la scuola era il bene della classe operaia, la ricreazione era la rovina della classe operaia. Mi perfezionai allora nell’arte di far scoprire ai giovani le gioie intrinseche della cultura e del pensiero e smisi di far la corte ai giovani che non venivano. Non perdevo anzi l’occasione di umiliarli o offenderli...Prova ne sia che, dopo le ricreazioni, la domanda di rito è: A S. Donato oggi una domanda del genere viene considerata poco meno che pornografica”.

Corrado Stajano
Chiudo con una riflessione di decenni fa (1979) ma attualissima di Corrado Stajano – scrittore e giornalista di grandissima levatura, ricordiamo solo gli imprescindibili Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica (Einaudi, 1991), Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini (Einaudi, 1975): “La storia del ragazzo Franceschi non conta solo per ieri, vale per oggi e per domani. E non riguarda solo la tarlata giustizia, ma il buongoverno nel suo complesso perchè sono proprio inutili le generiche affermazioni da cui siamo continuamente travolti, se poi, in concreto, si usa solo indifferenza e non ci si scandalizza più di fatti scandalosi”.

Dove sarebbe oggi il brillante studente Roberto Franceschi? A me piace immaginarlo come civil servant in Banca d'Italia, accanto a Ignazio Visco, Fabrizio Saccomanni, Salvatore Rossi, tutti impegnati a elaborare le strategie per far ripartire di slancio il nostro amato Paese.

Un abbraccio particolare alla signora Lydia Franceschi - per anni impegnata caparbiamente per la ricerca della verità -  per l'effort con il quale ogni giorno attraverso la Fondazione Franceschi porta avanti progetti, pubblicazioni, convegni, premi di laurea, rende viva e presente la memoria di Roberto.

Il fatto che di fronte al più grande dolore che una persona possa provare - la morte di un figlio - la famiglia Franceschi sia riuscita a trasmettere dei valori positivi è una cosa di un valore inestimabile.

P.S.: si consiglia la lettura di Roberto Franceschi. Processo di polizia, a cura di Daniele Biacchessi (Baldini Castoldi, Dalai editore, 2004)

http://www.fondfranceschi.it/

giovedì 19 gennaio 2012

Imprenditori senescenti minorenni

La forte crisi economica, sociale, di identità, che attraversa l’Italia non può non indurci a riflessioni sulla nostra classe imprenditoriale.

Gli imprenditori non sono tutti uguali, certo. Ci sono storie incredibili, di grande successo. Ne abbiamo parlato in passato. Da Luxottica – fantastica multinazionale fondata da Leonardo Del Vecchio, orfano dei Martinitt - ad Autogrill, a Campari, Recordati, Sol, Rana – vi invito a leggere il post Giovanni Rana, tortellini ed errori - e tante altre.

Ma in questa sede non vogliamo parlare dei singoli, intendiamo parlare della classe imprenditoriale nel suo complesso.

E’ opportuno in via preliminare distinguere. Ci sono imprese aperte alla concorrenza internazionale, le migliori e ci sono imprese che vivono di rendita – oligopoli, monopoli naturali, servizi pubblici, concessionari, imprese controllate dalle Regioni - più che di profitto. Spesso in Italia la pubblica opinione non comprende la differenza.

In economia la rendita è definibile come il reddito percepito in virtù della proprietà di una risorsa naturale scarsa o come la remunerazione eccedente il costo opportunità di un fattore produttivo. Essa è distinta dal profitto, che è invece pari alla differenza tra i ricavi e i costi dell'impresa.

Nel suo Una Repubblica fondata sulle rendite (Mondadori, 2006), l’economista Geminello Alvi, assistente di Paolo Baffi alla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea – scrive: “Per spiegare le ciclotimie dei malumori delle famiglie italiane giova mettere in serie i dati sulle rendite di questi ultimi due settenni...Fino al 1996 le rendite crescono. Poi caleranno, ma la crescita nervosa delle pensioni, e quella metodica dei fitti, le mantengono ancora adesso sopra il 30% del reddito disponibile delle famiglie. Ben sopra la quota dei salari”.

Nel suo ultimo Alla mia sinistra (Mondadori, 2011), l’inviato di Repubblica negli Stati Uniti Federico Rampini ha scritto: “Visti da lontano, però, i nostri imprenditori, anche i più geniali, a volte assomigliano ai principi delle città-Stato del nostro rinascimento: sempre impegnati a difendere le bandiere cittadine, sempre intenti a guerreggiare fra loro, fino a quando non trovano rifugio sotto la protezione di qualche potenza straniera”.

Ho letto un punto di vista interessante di recente, dello storico Marco D’Eramo: “Come il Giappone, quando è scoppiata la crisi del 2007, anche l’Italia non si era ancora ripresa dalla degradazione decretata dalla fine della guerra fredda. Semmai, la nostra situazione era molto peggiore di quella giapponese perché erano già in calo tutti gli indicatori, dalla percentuale del Pil dedicata a ricerca e innovazione, alle spese di welfare, agli investimenti in grandi opere, all’acculturazione dei giovani, al mercato del lavoro). Ma quel che è successo potrebbe essere letto in modo ancora più impietoso: e cioè i favoritismi nei confronti del nostrro paese avevano mascherato durante la guerra fredda la principale carenza di lunga durata dell’Italia, e cioè l’assenza di una classe borghese: in Italia ci sono moltissimi ricchi, come si è visto l’altro ieri a Cortina, ma questi ricchi non fanno classe. Da decenni non si vede nessun capitalista nostrano investire in università e ricerca. I ricchi d’oltreoceano finanziano Harvard, Yale, e persino i più reazionari tra loro sovvenzionano centri studi; da noi i Moratti, i Berlusconi e gli Agnelli comprano tutt’al più calciatori. L’assenza di una borghesia intesa come classe si ripercuote – sembra un’ovvietà – nella totale latitanza di uno «stato borghese», di una «legalità borghese». Nessun ricco italiano si sente membro della classe dirigente, come invece succedeva a quel giudice della Corte suprema statunitense che diceva «A me, come a tutti, scoccia pagare le tasse, ma è il prezzo che pago per la civiltà».

Ecco, il punto è proprio l’assenza di una classe borghese. Ci sono i ricchi, ma non fanno classe dirigente.

Torna in mente il giudizio del grande banchiere Raffaele Mattioli, mitico amministratore delegato e poi Presidente della Banca Commerciale Italiana (dal 1933 al 1972), il quale nel criticare il credito agevolato definì (nel 1962) gli imprenditori dei “senescenti minorenni”.

Lo storico Sandro Gerbi – nel suo intrigante e documentato Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento (Einaudi, 2011) scrive: “La sarcastica battuta del ’62 sulla scarsa lungimiranza di molti industriali nostrani era in linea con quanto Mattioli aveva spesso lamentato, e ancora lamenterà, nelle sue celebri relazioni annuali agli azionisti della Comit. Ad esempio, in quella relativa all’esercizio 1958 aveva parlato delle <trepide procrastinazioni di non pochi imprenditori cui non abbiamo certo lesinato il nostro appoggio>. E l’anno successivo: <il mancato esercizio del credito può essere pericoloso, per una banca, che l’abuso del credito stesso>.

Nella relazione del 1965 Mattioli definì gli imprenditori <i malcerti operatori di oggi e gli auspicati promoters di domani>. Purtroppo il suo scetticismo ebbe la meglio in occasione degli espropri a seguito della nazionalizzazione dell’energia elettrica: gli industriali furono incapaci di investire in modo proficuo i miliardi piovuti loro addosso attraverso gli indennizzi statali.

All’indomani delle forzate dimissioni di Mattioli dalla Comit, il Governatore di allora di Banca d’Italia, Guido Carli , il 30 aprile 1972, in un articolo per L’Espresso con lo pseudonimo di “Bancor”, scrisse: “Raffaele Mattioli li ha giudicati (gli industriali italiani, ndr) nella maggior parte dei casi impari al compito gravoso che avrebbero dovuto assolvere in un paese così complesso com’è il nostro: impari per cultura, per fantasia e per coraggio. Li ha quasi sempre aiutati, ma li ha quasi sempre guardati con sospetto”.

John Maynard Keynes
Faccio mio il giudizio di Guido Carli. Ancora oggi la classe imprenditoriale italiana ha una mentalità arretrata, scarsa audacia – da qui la definizione di Mattioli senescenti minorenni – tendenza ad approfittare dell’assistenza dello Stato.

lunedì 16 gennaio 2012

Mio padre, i miei figli, il desiderio di sapere e la forza della lettura

Nel corso delle ultime vacanze di Natale i miei figli ogni sera, prima di andare a letto, mi chiedevano una storia. Amano la narrazione, il suono dolce delle parole, la ricerca forbita di espressioni amabili o da lessico famigliare.

Per anni, Allegra e Francesco hanno chiesto la stessa storia tutte le sere. E’ il fascino della ripetizione. Ma in queste vacanze i miei figli volevano una storia diversa al giorno.

Allora ho ripensato a mio padre, scomparso il 16 gennaio di 22 anni fa.

Adriano Olivetti
Una delle ultime sere in cui era cosciente, ho preso in mano un libro che gli avevo regalato per Natale - Ce la farà il capitalismo italiano (Longanesi, 1989, argomento attualissimo anche nel 2012) di Alan Friedman, giornalista d'inchiesta del Financial Times, autore di Tutto in famiglia (Longanesi, 1988), un libro meraviglioso sulla famiglia Agnelli.

Mi sono messo sul ciglio del suo letto e ho iniziato a leggere. Sempre storie. Economiche o familiari, ma storie appassionanti.

Così ai miei figli, rifacendomi a mio papà che mi ha introdotto alle letture economico-finanziarie, ho raccontato delle storie significative. Le mie figure di riferimento. Alcune me le ha trasmesse lui.

Ho iniziato con Paolo Baffi, governatore integerrimo di Banca d'Italia dal 1975 al 1979 (definito da Baffi "il mio quinquiennio di fuoco") per passare poi ad Adriano Olivetti, imprenditore "sovversivo", vedi post
E poi ancora - nelle sere successive - Enrico Mattei, il fondatore dell'ENI, vedi post , Beniamino Andreatta, politico ed economista sopraffino, "punito" per aver costretto lo Ior (la Banca del Vaticano, ndr) alla transazione nell'affaire Banco Ambrosiano, vedi post , Luigi Einaudi, Governatore di Bankitalia e Presidente della Repubblica, che divide una pera al Quirinale (GA Stella ci ha appena informato che il barbiere del Senato guadagna più di Sarkozy), vedi post le "pere indivise", Ugo La Malfa, Federico Caffé, economista illuminato, maestro di Mario Draghi, Ignazio Visco e di tanti altri economisti, vedi post ...beh, li conoscete, sono materia dei miei post e delle mie lezioni universitarie.

Lì per lì ho pensato di aver esagerato, visto che sono piccoli - 6 e 8 anni - ma loro a distanza di pochi giorni mi hanno confermato che le storie vere sono state apprezzate.

Fedrico Caffé
Francesco detto Chicco è rimasto colpito dalla fuga di Federico Caffé, l’economista autore della "Solitudine del riformista" (must read; Bollati Boringhieri, 1990), consulente di Carli e Baffi, fuggito improvvisamente da casa sua l’alba del 15 aprile 1987 e mai più ritrovato. Come il fisico siciliano Ettore Majorana.

Il passaggio della fuga nel nulla che piace a Chicco - raccontato da Ermanno Rea in L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffé scomparso e mai più ritrovato (Einaudi, 1992) - è il seguente: “Caffé pianificò la fuga preordinandone ogni movimento fino al più banale: come oltrepassare la porta di casa senza svegliare il fratello; quali abiti indossare, quali oggetti lasciare e quali portare con sé...Infine arrivò il momento di agire. A un’ora imprecisata, compresa tra l’una e le cinque del mattino, smise di pensare. Indossò i pantaloni grigi che aveva portato sino a poche ore prima, una giacca, una camicia, un impermeabile e, dopo aver disposto una serie di oggetti sul tavolino accanto al letto – l’orologio, gli occhiali, le chiavi, il passaporto, il libretto degli assegni – raggiunse in punta di piedi la porta di casa. Aprì con meticolosa lentezza la serratura evitando di fare anche il più piccolo timore. Poi si richiuse la porta alle spalle con la stessa cautela.


Appena al di là del portone si sentì investito da un flusso di acqua fredda: era fatta. Qualunque decisione fosse in procinto di attuare, non poté non percepirla come qualcosa d’irrevocabile”.

Sono convinto che le storie dell'Italia migliore siano un ottimo ricostituente per ripartire in questo difficile 2012.

Papi, ti sia lieve la terra.

venerdì 13 gennaio 2012

Salviamo il capitalismo dai capitalisti

Il prof. Piccone in diretta su SKYTG 24
Intervista a Beniamino Andrea Piccone, economista e blogger

’Salviamo il capitalismo dai capitalisti’.La finanza non va demonizzata, bisogna riportarla al servizio dell’impresa"

In tempi di crisi, si sa, ci si interroga. E si cercano soluzioni, più o meno alternative, o più o meno fantasiose. Lo studioso ed economista Andrew Sheng, presidente del Fung Global Institute con sede a Hong Kong, per esempio, ha proposto una nuova rivoluzione basata sul supply chain. “La stabilità finanziaria dipende da una maggiore cooperazione a livello internazionale. I mercati emergenti cercano modelli di crescita alternativi verdi e sostenibili”.

Sia come sia, di una cosa è certo Beniamino Andrea Piccone, docente di Economia e Tecnica degli scambi Internazionali all’Università degli Studi di Bergamo, animatore del blog Faust e il Governatore: “Da una crisi di questa portata, a maggior ragione dopo averla a lungo negata, si uscirà tra molti anni”

Non è il caso di ripensare gli strumenti di una certa finanza creativa?

Raghuram Rajan
Sì, la finanza creativa dovrà tornare nel limbo. Dovrà riprendere forza la finanza sana al servizio dell’impresa. Ma la finanza non va comunque demonizzata. Senza finanza non c’e’ impresa e non si produce innovazione. Chi ha dato soldi a Google, Twitter, facebook, Apple, Yahoo? Consiglio la lettura del libro di Raghuram Rajan e Luigi Zingales ‘Salvare il capitalismo dai capitalisti’. Speriamo che abbia ragione l’economista francese Esther Duflo, la quale sostiene che l’attrattività degli stipendi elevati del settore finanziario ha sottratto al sistema molti talenti.

E sui subprime, mutui che sarebbero all’origine della crisi?

C’e’ un po’ di demagogia. Prima si sostiene che anche i precari hanno diritto a una casa di proprietà, poi si demonizzano le banche che finanziano soggetti dal dubbio passato. E’ chiaro che la cultura dell’ownership society, la società di proprietari di case, portata avanti da George W. Bush è morta per sempre. I mutui NINJA, ossia concessi a chi non ha né lavoro né attività, sono un’aberrazione. Se un individuo ha 3 figli e non lavora col piffero che ha diritto a comprare una casa!.

Come se ne esce? Monti ci sta provando in vari modi, dal decreto salva Italia alla lenzuolata sulle liberalizzazioni.

Dopo 30 anni di crescita del debito, di illusioni monetarie, di crescita drogata, di doping finanziario, solo col tempo, con pazienza e duro lavoro si può uscire da questa crisi. Riprendendo Marco Vitale, la manovra Monti non va chiamata "Salva Italia". Ci vuole ben altro e soprattutto consistenza, ossia sforzi prolungati e decisi, incisivi, per risolvere le piaghe bibliche di questo Paese: corruzione, criminalità, pubblica amministrazione inefficiente, diritto del lavoro che privilegia gli iperprotetti e non prevede alcuna tutela per gli altri (giovani in primis), apertura dei mercati non aperti alla concorrenza internazionale. Una ricerca della Banca d’Italia di qualche anno fa sosteneva che una forte dose di concorrenza avrebbe incrementato il potenziale di crescita del Paese. Monti da ex commissario europeo per la Concorrenza non ha bisogno di alcuna lezione. Ha tutto il mio appoggio. Sta facendo molto bene. Ma gli italiani lo devono seguire

Che cosa sta pagando così duramente l’Italia?

Carlo Azeglio Ciampi (mito!)
L’aver dilapidato il dividendo dell’euro. Carlo Azeglio Ciampi riuscì nel dicembre 1998 a portare lo spread btp-bund a nostro favore. Il bund a 10 anni rendeva più del btp a 10 anni. Gli oneri finanziari risparmiati dove sono andati a finire? Non certo in infrastrutture e modernizzazioni. Alle colpe italiane - a cui Monti sta prendendo le misure - si sommano le responsabilità dell’Europa che non ha la forza politica di colmare quella che Ciampi ha definito la zoppia europea, ossia la mancata cessione di sovranità politica alla UE che ha in mano via Banca Centrale Europea solo la politica monetaria. Ma i politici europei, miopi, non vogliono cedere le loro prerogative. Sempre a livello sovranazionale, darei molte responsabilità di questa crisi alle autorità di vigilanza. Dov’erano quando si gonfiavano paurosamente gli attivi delle banche? Come ha scritto saggiamente Marco Onado in ’I nodi al pettine’, è mancato il pettine”.

Appunto, le banche. Quelle italiane sono davvero così solide?

Sì. le banche italiane sono solide. Il problema è ’la redditività’. Sono poco redditizie. Le uova che producono sono di pietra. Hanno in gran parte mantenuto le caratteristiche di banche di credito ordinario al servizio del sistema economico. Ma proprio per la forte esposizione al ciclo economico, pagano in pieno la crisi e il calo del Prodotto interno lordo. Le sofferenze - ossia le future perdite su crediti insoluti - stanno crescendo molto. Unicredit viaggia nell’intorno del 6,7% nel rapporto tra sofferenze/impieghi contro un 3,2% del 2006. L’altra parte dell’attivo delle banche è investita in titoli di Stato, i quali sono stati penalizzati dall’esplosione dello spread btp-bund. Se lo spread si riduce come oggi, ne traggono certo beneficio. Inoltre sempre dal lato dell’attivo, sono presenti le attività di livello 3, ossia attività che non hanno un prezzo di mercato perché illiquide. Il mercato scommette che le svalutazioni su queste attività saranno elevate. Dal lato della raccolta, le tensioni e le incertezze dell’ultimo anno hanno portato alla glaciazione il mercato all’ingrosso. Nel mercato interbancario le banche non si fidano tra di loro. E la raccolta tramite obbligazioni è sempre più dura vista l’attrattività dei rendimenti dei titoli di Stato. Insomma, oggi fare soldi nel banking è difficile.
E nel prossimo futuro ci saranno anche le nuove disposizioni del Comitato di Basilea presso la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). La BRI vuole più capitale e meno debito. E capitale di maggior qualità. Piove sul bagnato.

Intervista rilasciata a Agostino Riitano per L'Indro http://www.lindro.it/

martedì 10 gennaio 2012

Il crollo verticale di Unicredito: le vendite allo scoperto e la "speculazione" non c'entrano nulla

E’ la notizia del giorno. Il crollo verticale di Unicredito che nei primi giorni dell’anno ha perso il 58% della propria capitalizzazione, che è scesa alla chiusura di ieri a soli 8 miliardi di euro.

Sabato scorso il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti ha scritto “Tutto fuori Scala anche gli errori”  in cui esprime il suo autorevole parere sul caso Unicredito.

La chiusura però non ci ha convinto. In particolare il passaggio seguente: “La caduta delle quotazioni di Unicredit è il frutto, si dice, delle vendite allo scoperto di titoli (attualmente le vendite allo scoperto sui titoli finanziari sono state vietate dalla Consob; su Unicredit si può andar corti solo se si hanno i diritti, ndr) presi a prestito nella certezza di poterli acquistare a prezzi stracciati per tacitare il prestatore, pago dell' interesse ricevuto. La Consob indaga. Bene. Ma la frittata è fatta. E ripropone domande radicali sulla natura del mercato finanziario. Ma a chi serve un mercato di questo tipo, nel quale le imprese - banche o industrie poco importa - diventano soltanto il teatro di scommesse autoreferenziali? Non le scommesse del singolo speculatore che intuisce i ribassi a venire grazie al suo genio, ma quelle del branco che, in quanto tale, determina i corsi facendo avverare le sue profezie. Il bene più diffuso in Italia è la casa. Ma nessuno può vendere una casa che non ha, e quando la vende l' acquirente controlla le ipoteche e lo stato dell' edificio. Perché con la ricchezza mobiliare è valido tutto? Come condiziona l' economia reale questa economia di carta che ritorna, come se niente fosse successo dalla Lehman in qua”.

Vietare le vendite allo scoperto? Sbagliato e controproducente. Sbagliato perchè impedisce ai mercati di "punire" il mismanagement; controproducente perchè favorisce le bolle speculative (qualcuno si ricorda sul mercato italiano i casi Tiscali, Finmatica, Seat?).

Ci viene in soccorso Raghuram Rajan – di cui si consiglia l’ottimo Salvare il capitalismo dai capitalisti (coautore L. Zingales), Einaudi, 2004 – professor of finance at the University of Chicago. In un articolo chiave sul Financial Times del 4 giugno 2010 – Bankers have been sold short by market distorsion - Rajan scrive: “Short sellers perform a valuable social function by depriving poorly managed companies of resources they will waste. The trader short does not cause the company to go out of business. Mismanagement is the source of the company’s troubles. The trader merely holds up a mirror to reflect it”. E’ proprio così. I ribassisti sono degli specchi. Vengono spesso considerati un capro espiatorio quando il titolo scende. “E’ colpa degli speculatori ribassisti, quei maledetti”, è il commento da bar che si è soliti sentire. Quando poi gli stessi trader comprano, mai sentiamo dire “Quei maledetti speculatori rialzisti”. Prosegue Rajan: “Rather than attempting to instill social purpose in the banker, it is probably more useful for society to target the forces that distorted the market”. Lo stesso veniva sostenuto in un position paper della Consob di qualche anno fa, dove tra gli effetti positivi dello short selling si indicavano l’efficienza informativa dei prezzi e l’incremento di liquidità sul mercato, secondo noi prevalenti sui possibili effetti negativi - instabilità dei mercati, abuso di mercato e rischio di regolamento.

L'impossibilità per il mercato di "andare corti" può favorire il formarsi di bolle speculative, perchè la disciplina del mercato non può agire in libertà. In un intervento  il Governatore della Federal Reserve Ben Bernanke ha rimarcato l'importanza dell'irrational exuberance (R. Shiller, Euforia Irrazionale, Il Mulino, 2000): "It is frankly quite difficult to determine the causes ofbooms and busts in asset prices; psychological phenomena are no doubt important, as argued by Robert Shiller, for example".

Una digressione storica. Nel 1990 al Maurizio Costanzo Show una sera l'ospite unico era il giudice Francesco Di Maggio, pubblico ministero milanese che con Pier Camillo Davigo (non si può non leggere La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Laterza, 2004), costituiva una coppia affidabile e inarrestabile nelle inchieste di mafia e riciclaggio. La popolarita' di Di Maggio ebbe un' impennata nel settembre dell' 84, con l' arresto di Angelo Epaminonda, il "Tebano", boss delle bische e del traffico di cocaina. Epaminonda capitolo' 40 giorni dopo e comincio' a raccontare a Di Maggio un decennio di impero mafioso a Milano. Si alzava il velo su 44 omicidi, finirono alla sbarra in 118. E si comincio' a discutere di pentiti. Fu collaboratore del superprefetto Sica all’Alto Commissariato per la lotta contro la mafia.

Sollecitato da Costanzo, Di Maggio sostenne che “La mafia non è solo Palermo, la mafia è a Roma, a Milano...”. Il giorno dopo ci furono delle reazioni inusitate. Lo accusarono di aver detto delle cose vere, però in televisione. Avrebbe dovuto dire le stesse cose “nelle sedi competenti”.

Bene. I mercati svolgono la funzione svolta dal giudice Di Maggio. Narrano, raccontano la realtà. Sono degli specchi. Non causano gli eventi. Li riflettono. E non crediamo possa valere per il mercato azionario la teoria di George Soros sulla riflessività tra prezzi e fondamentali. La chiave di lettura riflessiva può aver senso per i mercati dei titoli di stato, come avvenne nel 1996 nel caso italiano, con protagonista Carlo Azeglio Ciampi. Ma questa è un'altra storia.

La tendenza italica a cercare a tutti i costi un capro espiatorio – vedi post La sindrome del complotto pluto-giudaico-massonico  si ripete nel caso Unicredito. Non è colpa del polipo Paul se l'Olanda ha perso gli mondiali di calcio contro la Germania.

I problemi di Unicredit sono ben altri: l'esposizioni ai titoli di Stato italiani, le sofferenze in forte crescita, l'esposizione ai mercati est-europei; gli avviamenti elevati delle banche acquisite, le attività di Livello 3, le operazioni "di sistema".

Per queste ultime si rimanda ad Alessandro Penati che su Repubblica "Le scelte Unicredit che salvano Ligresti" partiva (21 maggio 2011, in tempi non sospetti) così: "Se il buon giorno si vede dal mattino, quello di Unicredit, novella banca "di sistema", promette di essere plumbeo: operazioni "di sistema" come la ristrutturazione Premafin-Fonsai non sono un buon presagio di redditività,o di scintille in Borsa".

Eh beh, Penati ci ha preso.