giovedì 31 luglio 2014

L'Italia è in crisi perchè leggiamo poco. Questa estate leggete insieme ai vostri figli!

Illustrazione di Guido Scarabottolo
L'Italia fa fatica a cambiare, il cambiamento è visto come negativo, l'immobilismo è la regola. Per cambiare è necessario sapere dove ci si trova e dove si vuole andare. E per saperlo, bisogna leggere, studiare, approfondire. Senza tregua.

Purtroppo gli italiani non leggono. Il linguista Tullio De Mauro recentemente ha scritto: "Negli ultimi decenni la vita sociale ci ha spinto ad acquistare l'uso parlato della lingua, ma non a leggere. La scuola di base ha svolto e continua a svolgere un grande lavoro, ma non così la scuola media superiore. Questa e poi l'università hanno ignorato e ignorano la pratica estesa della lettura e della scrittura come parti integranti e abituali dello studio. In queste condizioni è inevitabile che l'italiano parlato sia per molti un italiano orecchiato, ma non ben posseduto. Tale resterà finchè la scuola media superiore e l'università non cambieranno registro e finchè i libri non entreranno nella nostra vita quotidiana".

Sono andato a ripescare un intervento del presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi - a cui facciamo i nostri auguri di pronta guarigione - nel corso della visita ufficiale in Cina nel dicembre 2004: "Se si investe nella cultura, il seme, una volta attecchito, è più sicuro, dà frutti per un periodo più lungo, crea comprensione reciproca, legami profondi e duraturi".

Quest'estate leggete con i vostri figli, educateli al valore della lettura: "I libri che si leggono da bambini non si dimenticano mai. Lasciano in noi molto più dei grandi libri che leggeremo più tardi" (Paul Léautaud, Il piccolo amico, 1903).
Augurando ai miei lettori buone vacanze, segnalo quali libri sto leggendo quest'estate e quali leggerò:
- Carlo M. Cipolla, I pidocchi del Granduca; Istruzione e sviluppo, il Mulino, 1979;
- Giorgio La Malfa, Enrico Cuccia e il peccato di Mediobanca, Feltrinelli, 2014;
- Enrico Cuccia (a cura di S. Gerbi e G. Piluso), Promemoria di un banchiere d'affari, Aragno Editore, 2013;
- Antoine Compagnon, Un'estate con Montaigne, Adelphi, 2014;
- Claudio Cerasa, Le catene della sinistra, Rizzoli, 2014;
- Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, 1961;
- Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, Marsilio, 1992;
- Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799,
- Emanuele Carrére, L'avversario; La settimana bianca, Adelphi, 2014;
- Mario Fossati, Coppi, il Saggiatore, 2014;
- Cass Sunstein, Semplice. L'arte del governo nel terzo millennio, Feltrinelli, 2014;
- Francesco Piccolo, Volevo essere come tutti, Feltrinelli, 2013;
- Arturo Carlo Jemolo (a cura di Bruno Quaranta), Il malpensante, Aragno, 2011;
- Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, 1964;
- Henry Roth, Chiamalo sonno, Garzanti, 1986;
- Donna Tartt, Il cardellino, Rizzoli, 2014;
- Luigi Zingales, Europa o no, Rizzoli, 2014;
- Federico Carli (a cura di), La figura e l'opera di Guido Carli, Bollati Boringhieri, 2014.

Arrivederci a settembre!

lunedì 28 luglio 2014

La forza della memoria: 29 luglio 1983, un'autobomba mafiosa ammazza il giudice Rocco Chinnici

Se in passato c'era molto pudore da parte dei parenti delle vittime di mafia e di terrorismo, è un fatto molto positivo che molti figli siano usciti dall'ombra e che stiano facendo conoscere la storia di personaggi che hanno lottato fermamente affinchè la legalità vincesse.

Dopo i pregevoli Spingendo la notte più in là (Mondadori, 2007) di Mario Calabresi, Qualunque cosa succeda (Sironi, 2009) di Umberto Ambrosoli, Come mi batte forte il cuore (Einaudi, 2009) di Benedetta Tobagi, anche Caterina Chinnici - figlia del magistrato capo dell'Ufficio Istruzione di Palermo Rocco Chinnici - ha meritoriamente portato alla conoscenza del pubblico la storia di suo padre nel volume E' così lieve il tuo bacio sulla fronte (Mondadori, 2013).

Rocco Chinnici è stato l'inventore del pool antimafia, la struttura organizzativa che ha consentito un cambio di passo nelle indagini sulla mafia e soprattutto di un metodo investigativo innovativo che ha consentito di scoprire i legami della mafia con il mondo politico.
Chinnici scelse a uno a uno i componenti del pool: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello. Allora ogni magistrato seguiva i suoi processi e basta. Chinnici aveva intuit che non si poteva combattere la mafia un reato per volta, che la parcelliazazione delle conoscenze non era fruttuosa, nè efficiente. L'Ufficio Istruzione di Palermo divenne un modello di efficienza e l'avamposto della criminalità organizzata.

Paolo Borsellino
E' opportuno ricordare la pessima campagna di stampa che il Corriere della Sera decise di compiere contro i magistrati siciliani impegnati nella lotta alla mafia. Leonardo Sciascia in prima pagina firmò un editoriale (10 gennaio 1987) dal titolo I professionisti dell'antimafia. Tutto nacque dalla promozione di merito quale Procuratore della Repubblica di Marsala – caso raro al Consiglio Superiore della Magistratura, che fonda le sue valutazioni sull’anzianità – di Paolo Borsellino.
Lo scrittore siciliano si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso".
Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell'antimafia". Bella carriera, dico io, hanno fatto Chinnici, Falcone e Borsellino!

Caterina Chinnici
Un altro punto interessante che Caterina Chinnici sottolinea nel suo libro è la consapevolezza del padre nella necessità di coinvolgere gli studenti: "Divulgando la sua attività intendeva sensibilizzare la cittadinanza, spiegare cos'è la mafia, raccontare i pericoli connessi all'uso della droga...e bisognava combatterla a livello sociale, portando in Sicilia lavoro e cultura. Diceva spesso che la cultura è libertà. L'illegalità trova terreno fertile dove prosperano l'ignoranza e la povertà, dove i giovani non vedono vie d'uscita: papà credeva nei ragazzi, diceva che, se li si mette in condizione di studiare, basta la forza della loro intelligenza a farne cittadini consapevoli, in grado di esercitare i propri diritti e di fare le proprie scelte".

Chinnici andava nelle scuole e parlava ai ragazzi dicendo loro che non bisogna avere paura della mafia, ma si deve conoscerla e combatterla insieme. "Lo faceva con il suo vocione e il suo sorriso, per far vedere che era il momento di smettere di avere paura: e se non ne aveva lui, che paura potevano provare gli altri?".
E' la stessa strategia divulgativa e di consapevolezza che seguì il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che a Giorgio Bocca, pochi giorni prima di essere ammazzato (3 settembre 1982) disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Invece di sparare a Chinnici, come in precedenza era stato fatto per Gaetano Costa, Cesare Terranova e Boris Giuliano, la mafia allestì la morte di Rocco Chinnici come se fosse uno spettacolo, per impressionare l'opinione pubblica e far arrivare il messaggio della sua potenza di fuoco.
Una volta che Chinnici si apprestava ad entrare nell'auto blindata, un'autobomba carica di tritolo scavò un cratere in mezzo alla strada: finestre rotte nel giro di 400 metri, alberi divelti, corpi sfigurati e mutilati. Uno scenario di Guerra. L'Ora di Palermo titolò Palermo come Beirut. Persero la vita, oltre a Chinnici, il portinaio dello stabile Stefano Li Sacchi e due uomini della scorta Salvatore Bartolotti e Mario Trapassi, che lasciarono orfani i loro bambini di tenera età.

Come dico spesso ai miei studenti, studiate, impegnatevi seriamente affinchè il futuro, con la memoria dei migliori dentro di noi, sia luminoso.

lunedì 21 luglio 2014

Paolo Borsellino: "Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola"

 
In modo paradossale e ironico, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, nel suo esilerante e toccante film La Mafia uccide solo d'estate, a un certo punto, mette in scena questo dialogo tra il piccolo Arturo - che sta andando a dormire - e il padre:

« - Ma la mafia ucciderà anche noi?
- Tranquillo. Ora siamo d'inverno. La mafia uccide solo d'estate ».
 
Purtroppo l'estate del 1992 è stata devastante. Dopo l'assassinio di Giovanni Falcone il 23 maggio 1992, il 19 luglio la mafia, non paga, fa saltare in aria Paolo Borsellino con tutti gli uomini della scorta.

Il 19 luglio del 1992 una autobomba in Via D’Amelio a Palermo annientò Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Borsellino tutte le domeniche andava a trovare - in Via D'Amelio - la madre. Cosa Nostra mise sotto controllo il telefono di casa Borsellino così da sapere con certezza quando il magistrato si sarebbe recato in Via D'Amelio.

Sul sedile posteriore della macchina di Borsellino è stata trovata intatta la sua borsa di pelle. Dentro però non si è trovata l'agenda rossa, da cui non si separava mai.

Io mi ricordo ancora i funerali di Paolo Borsellino. Non fu un funerale, ma una rivolta. Migliaia di carabinieri cercarono di tenere lontano la gente dalla chiesa. Ma non ce la fecero. La rabbia della gente era così forte che si passò agli spintoni, agli insulti verso la classe politica romana che scende a Palermo solo per i funerali.

Borsellino – dopo l’assassinio del suo amico e collega Giovanni Falcone (vedi post Omaggio a Falcone) il 23 maggio 1992 – fino alla fine restò coerente con il suo motto: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

In tempi come gli attuali in cui per essere considerati colpevoli, la politica ci propina in continuazione la necessità della condanna definitiva, ricordiamo il pensiero di Borsellino:

L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati”.


Via D'Amelio dopo l'esplosione
Protagonista del Pool di Palermo negli Anni ’80 – costituito dal giudice Chinnici insieme a Falcone, Di Lello, Borsellino, Guarnotta - Paolo Borsellino costituì il cuore pulsante della Procura di Palermo: insieme a Giovanni Falcone scrisse dentro le strutture del carcere dell’Asinara – per evitare attentati – la requisitoria al maxi-processo. Il processo si concluse con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena.

In virtù di una promozione di merito quale Procuratore della Repubblica di Marsala – caso raro al Consiglio Superiore della Magistratura, che fonda le sue valutazioni sull’anzianità – Paolo Borsellino fu attaccato dalle colonne del Corriere della Sera da Leonardo Sciascia.

Lo scrittore siciliano si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso".

Borsellino fu definito "professionista dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell'antimafia". Bella carriera, dico io, ha fatto il povero Borsellino!

All’inizio di luglio 1992, in un’intervista a Lamberto Sposini, Borsellino disse: “Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà (poliziotto eccezionale ammazzato dalla mafia nel 1985, ndr) - allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985. Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".

Caro Paolo Borsellino, ti sia lieve la terra.

martedì 15 luglio 2014

L'Authority per l'energia, il gas e l'acqua è un centro di competenza. Il populismo fa perdere di vista la qualità del servizio

In Italia abbiamo dei centri di competenza di altissima qualità. Uno di questi è certamente la Banca d'Italia, definita dallo storico Alfredo Gigliobianco una "cittadella della competenza" (Via Nazionale. Banca d'Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, 2006, cit.).

Un altro centro di qualità e di merito è l'Authority per l'energia, il gas e il sistema idrico, che ha sede a Milano.

L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico è un organismo indipendente, istituito con la legge  14 novembre 1995, n. 481 con il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l'efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l'attività di regolazione e di controllo. L'Autorità svolge inoltre una funzione consultiva nei confronti di Parlamento e Governo ai quali può formulare segnalazioni e proposte; presenta annualmente una Relazione Annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta.
Con il decreto n.201/11, convertito nella legge n. 214/11, all'Autorità sono state attribuite competenze anche in materia di servizi idrici.

Nell'ambito del processo riduzione della spesa pubblica, alias spending review, il decreto per la semplificazione dalla Pubblica Amministrazione prevede all'art. 22 che entro la fine di giugno 2015 l'accorpamento in un'unica sede delle Autorità di trasporti, energia, comunicazioni, vigilanza sui fondi pensione e garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali.

L'obiettivo della razionalizzazione delle autorità indipendenti ha assolutamente senso, ma c'è un però. L'Autorità per l'energia è composta da giovani (età media 40 anni), la grande maggioranza dei quali (80% laureati, contro il 30,2% di laureati nella PA) provenienti da Politecnico, Bocconi e Cattolica, preparati, più di uno su tre ha nel curriculum master o dottorati.
Il rischio è che il trasferimento coatto a Roma porti all'abbandono del personale più qualificato, al quale peraltro - limitatamente al personale dirigente a tempo indeterminato - il decreto vuole applicare delle clausole di incompatibilità per cui non sarà più possibile lavorare nelle società vigilate del settore per i quattro anni successivi alle dimissioni. Il che significa togliere attrattività a lavorare nell'Authorità visto che il merito e la carriera sono di fatto "controproducenti".

Nel suo intervento alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, il presidente dell'Autorità per l'energia Guido Bortoni ha fatto presente che "ci sono disposizioni che minano l'indipendenza e la competenza tecnica dell'Autorità con pesanti ricadute per i consumatori, famiglie e imprese".

Il governo guidato da Mario Monti considerò l'Autorità per l'energia meritevole di essere valorizzata, infatti dopo il referendum sull'acqua - che abrogò alcune norme portando in auge la legislazione europea, mantenendo di fatto lo status quo nei servizi idrici - gli conferì i poteri di regolazione del sistema idrico.

Sul tema acqua, gli uffici dell'Autorità di regolazione indipendente hanno provveduto con saggezza a rivedere il meccanismo di calcolo tariffario. In passato le tariffe dell'acqua - le più basse d'Europa - erano legate agli impegni (tipicamente disattese) di investimento sulla rete idrica. Da due anni le tariffe dipendono esclusivamente dall'ammortamento degli impianti in esercizio.
Questo è un esempio della validità del discorso di Bortoni, perchè i consumatori sono tutelati dall'efficacia dei meccanismi tariffari, su cui in passato non veniva effettuata alcuna verifica sugli investimenti promessi.

Si fa così fatica a creare un metodo, uno stile di lavoro, un'istituzione di qualità con al centro persone di valore, che dispiace vedere la spending review intervenire con il taglione e il piede di porco, perché poi il rischio è depauperare i centri di eccellenza, dove conta il merito. 

Si sta creando un clima politico-sociale dove sembra conti solo il risparmio dei costi, come se la qualità del servizio non fosse più rilevante. L'importante è il cost saving, il resto #chissenefrega. Ma così non va bene. La qualità è importante. Il populismo porta alla povertà, come ci insegna il caso di Peron in Argentina.

Cari Renzi e Cottarelli, ripensateci!

venerdì 4 luglio 2014

Omaggio a Giorgio Ambrosoli, simbolo dell'altra Italia

35 anni fa, nella notte tra l'11 e il 12 luglio 1979 il killer William J. Arico assassinava con tre colpi di pistola l'Avv. Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.

Michele Sindona - finanziere siciliano vicino a Cosa Nostra, vedi post a lui dedicato - nel marzo 1986 verrà condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Milano quale mandante dell' omicidio dell' avvocato Ambrosoli.

In un Paese dove spesso "Trionfano il sotterfugio, la furbizia, la forza, la disonestà sotto l'apparenza delle leggi uguali per tutti, coloro che si attengono alle leggi formali sono scavalcati ogni giorno da chi non le osserva" (Gherardo Colombo, Sulle Regole, Feltrinelli, 2008).

E' per questo motivo che oggi ricordiamo Giorgio Ambrosoli, professionista integerrimo di grande levatura.
Quando penso ad Ambrosoli, mi tornano in mente le parole di Giovanni Spadolini, che alla Bocconi, spiegò la lotta tra due forze, dell'ombra e della luce, definendo quest'ultima "l'altra Italia": "Baffi non era stato scelto a caso dagli autori del complotto del quale egli era rimasto vittima: egli simboleggiava quell'altra Italia che si opponeva in quelle ore drammatiche all'intreccio di trame e cospirazioni contro la Repubblica". Le considerazioni del primo presidente del Consiglio non democristiano ricomprendono senza dubbio anche Giorgio Ambrosoli, tenace e libero servitore dello Stato.

A Paolo Baffi - Governatore della Banca d’Italia e vero riformatore del sistema bancario italiano negli anni ’70, unico rappresentante delle istituzioni ai funerali di Giorgio Ambrosoli – toccò una sorte simile. Baffi e Sarcinelli - che respingono improbabili piani di salvataggio (delle banche di Sindona) presentati loro anche da Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti - pagheranno carissima onestà e determinazione: Sarcinelli viene arrestato e a Baffi è risparmiato il carcere solo per l'età. Saranno poi prosciolti ma Baffi lascerà Via Nazionale.


A Umberto Ambrosoli - autore dell'emozionante Qualunque cosa succeda (Sironi, 2009) - e alla Signora Annalori va incondizionato il nostro caloroso messaggio: la memoria di Giorgio Ambrosoli è intatta.

A lezione i miei studenti sanno a chi rivolgersi nel cielo degli onesti. Come dice Corrado Stajano – autore dell’imprescindibile Eroe borghese (Einaudi, 1991): “Giorgio Ambrosoli non è stato dimenticato. Trentadue anni dopo il suo assassinio nel centro di Milano, le ragioni della memoria di quel che accadde — un uomo che si fa uccidere nel nome dell’onestà — sono rimaste intatte. Il suo nome è diventato infatti un modello morale e civile”.

Sandro Gerbi - nel suo Giorgio Ambrosoli. Nel nome di un'Italia pulita (a cura di, Aragno, 2010) - scrive: "Nemmeno oggi i "Sindona sono delle eccezioni, e per questo la testimonianza e il rigore dell'avvocato vanno rimeditati. La battaglia non è stata vinta, anzi: c'è un'Italia che forse non la vuole vincere e gira colpevolmente la testa da un'altra parte. Non per nulla una quindicina di anni fa Alessandro Galante Garrone parlava del perdurare di una "stagnante inerzia" e di una "questione morale" irrisolta".

Qualche mese fa il Comune di Milano ha posto una targa in via Morozzo della Rocca, dove è stato ucciso Ambrosoli. Le parole scelte sono quelle di Carlo Azeglio Ciampi: "Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio".

Caro Giorgio Ambrosoli, ti sia lieve la terra.