giovedì 29 settembre 2011

L'ignoranza del passato e il desiderio di sapere: 29 settembre 1978. Lo scandalo Italcasse, Andreotti, Rovelli, Caltagirone. E la pulizia compiuta da Paolo Baffi

Giulio Andreotti e Licio Gelli
Oggi 29 settembre, a distanza di 33 anni, cade l’anniversario della morte a Lugano del politico e banchiere democristiano Giuseppe Arcaini, direttore dell’Istituto di Credito delle Casse di Risparmio italiane, comunemente denominato Italcasse.

L’Italcasse aveva la funzione di investire la liquidità in eccesso raccolta dal sistema della Casse di risparmio sparse sul territorio.

Arcaini fu costretto a dimettersi nel 1977, dopo vent’anni di direzione, perchè coinvolto nello “scandalo Italcasse”, accusato di peculato e di interesse privato per una serie di fondi neri e di mutui concessi a imprenditori amici e a partiti di governo, in particolare alla Democrazia Cristiana e alla corrente politica di Andreotti.

Aldo Moro rapito dalle BR
Come fa notare lo storico Miguel Gotor - nel suo splendido Il Memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano (Einaudi, 2011) – “Con la vicenda Italcasse si entra, quindici anni prima di Tangentopoli, dentro le dinamiche di funzionamento del sistema di potere nazionale, vale a dire l’intreccio endemico tra politica e mondo imprenditoriale, dimensione privata e funzione pubblica, cricca e libero mercato”.

La copertina di “Op” diretto dal giornalista Mino Pecorelli del 14 ottobre 1977 titolava: “Presidente Andreotti a lei questi assegni chi glieli ha dati?”, pubblicando all’interno l’elenco completo di una serie di assegni incassati, secondo Pecorelli, da Andreotti, in cambio di finanziamenti agevolati e contributi a fondo perduto che l’Italcasse aveva elargito, tra gli altri, al gruppo chimico Sir di Nino Rovelli, ai fratelli Caltagirone e alla società Nuova Flaminia facendo capo a Domenico Balducci, organico alla banda della Magliana e al mafioso Pippo Calò.

L'omicidio di Mino Perorelli, direttore di Op
Nel numero di “Op” del 17 ottobre 1978, Pecorelli – poi assassinato il 20 marzo 1979 – scrisse: “Morto il grande elemosiniere Arcaini, i grandi elemosinati sono usciti dall’incubo” e ventilava ll’ipotesi che Arcaini avesse lasciato “in mani sicure un lungo memoriale per difendere il suo onore e quello dei figli. Che succederebbe se nei prossimi giorni alle lettere di Moro si aggiungesse la voce di questo secondo sepolcro?”.

Proprio Moro nei manoscritti autografi - scritti durante la prigionia - rivelò come la nomina a direttore generale dell’Italcasse del successore di Arcaini fosse un evento inquietante perchè la scelta sarebbe stata delegata da Andreotti al sodale Gaetano Caltagirone, cosicché questi avrebbe potuto sistemare agevolemente la propria posizione debitoria, scegliendo un nuovo direttore dell’Italcasse a lui favorevole.

Giulio Andreotti
Il gruppo Caltagirone allora aveva un’esposizione verso Italcasse di circa 209 miliardi di lire e il Gruppo Sir di Nino Rovelli per 218 miliardi (cifre elevatissime per allora).

Così Aldo Moro: “E lo sconcio dell’Italcasse? E le banche lasciate per anni senza guida qualificata, con la possibilità di esposizioni indebite, delle quali non si sa quando ritorneranno e anzi se ritorneranno. E’ un intreccio intollerabile nel quale si deve operare con la scure”.

E’ da tenere a mente che quattro giorni dopo l’assassinio di Mino Pecorelli, il 24 marzo 1979 avvenne l’attacco clamoroso alla Banca d’Italia che si concretizzò con l’arresto di Mario Sarcinelli, responsabile del Servizio Vigilanza, e l'incriminazione e il ritiro del passaporto al Governatore Paolo Baffi

Abbiamo rievocato in passato questo ignobile attacco. Ma visto che la memoria è labile, vi invitiamo a rileggere i due post che raccontano come il “coacervo politico-affaristico-giudiziario” preparò l’attacco punitivo:
Attacco punitivo 1a parte
Attacco punitivo 2a parte

Come ho scritto, una delle cause della messa in stato d’accusa dei massimi vertici di Banca d’Italia è stata aver fatto sciogliere il cda dell’Italcasse, cioè del più importante istituto di credito dominato dal potere democristiano.

L’economista d'impresa - nostro sempiterno riferimento - Marco Vitale scrive: “Quando nel 1975 Carli lascia la Banca d’Italia, ed alla sua guida subentra Baffi, la linea della Banca d’Italia cambia. Recupera la sua volontà di guida del potere bancario, sia sul fronte della gestione della moneta, che sul fronte della Vigilanza sulle aziende di credito e sulla corretta amministrazione delle stesse. In un certo senso, ritornando a fare severamente il proprio mestiere, la Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli accetta il rischio di essere considerata, per usare la terminologia di Carli, “sovversiva” ed è per questo che va punita....Il nuovo corso della Banca d’Italia dava fastidio”.

Se il sistema bancario non è più governato dai partiti, lo si deve anche a Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, grandissimi civil servant.

P.S.: si raccomanda la lettura di Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale, Einaudi, 2002

martedì 27 settembre 2011

Appunti da New York: l'esempio di Bryant Park per risorgere

Sono di ritorno da New York dove ho visto una città magnifica, aperta, focalizzata a reagire, a contrastare con decisione il calo dell’attività economica mondiale.

New York ha la fantastica capacità di abbinare la competition esasperata con la cooperation che consente insieme di raggiungere i risultati migliori.

A Bryant Park a due passi dalla New York Public Library si può comodamente sdraiarsi su una poltrona o una sedia comodissima senza che ci si senta costretti a consumare. Bryant Park is managed by a private not-for-profit corporation, the Bryant Park Corporation. BPC is now funded by assessments on property and businesses adjacent to the park, and by revenue generated from events held at the park. BPC is the largest U.S. effort to provide private management, with private funding, to a public park.

Un luogo silenzioso che si confà con un sonnellino pomeridiano su una sedia a dondolo (me too!) o una lettura di un libro. Un distinto signore di fianco a me aveva appena preso Tom Clancy in Biblioteca e si accingeva alla lettura.

Fino agli anni Settanta Bryant Park era un centro di spaccio di droga e prostituzione. Ma cambiare si può. L’immobilismo è nefasto e va combattuto. NY è maestra del cambiamento.

All’inizio degli Anni Novanta Bryant Park is one of the signature examples of New York City's revival. Essentially crime-free, the park is filled with office workers on sunny weekdays, city visitors on the weekends, and revelers during the holidays.

Come sostengono l’editorialista del NY Times Tom Friedman e lo storico Mandelbaum nel loro ultimo libro That used to be us. How America Fell Behind in the World It Invented and How We Can Come Back 
gli Stati Uniti hanno la ricetta in mano: “We need to study harder, save more, spend less, invest wisely, and get back to the formula that made us successful as a country in every previous historical turn. What we need is not novel or foreign, but values, priorities, and practices embedded in our history and culture, applied time and again to propel us forward as a country. That is all part of our past. That used to be us and can be again—if we will it".

Gli Stati Uniti ce la possono fare a risorgere. La governance cooperativa-competitiva del Bryant Park è un buon punto di partenza.

lunedì 26 settembre 2011

Omaggio a Franco Modigliani, economista di razza e grande professore

8 anni fa, il 25 settembre 2003 moriva l’economista Franco Modigliani – Premio Nobel per l’economia nel 1985. La sua vita è stata in modo suggestivo raccontata con l’aiuto di Paolo Peluffo – biografo di Carlo A. Ciampi - in Avventure di un economista, Laterza, 1999.

Modigliani nelle sue memorie racconta degli episodi della sua vita che trovo veramente significativi.

Arrivato negli States mi fu subito evidente come il sistema universitario fosse più umano ed efficiente rispetto alla insopportabile impersonalità delle università italiane: pochi baroni che insegnavano a masse di studenti sconosciuti, attorniati da piccole folle di petulanti e servili assistenti. Il cameratismo e l’amicizia che spesso nascono tra professori e studenti è una delle caratteristiche dell’insegnamento superiore degli Stati Uniti e una delle ragioni del suo indubbio successo”.

Nel 1955 tornai in Italia come lettore. La mia impressione negativa fu fortissima. Avevo scordato quanto profonde fossero le differenze fra il sistema di educazione universitario negli Stati Uniti e in Italia. Il sistema italiano era una struttura a tre caste, in cui i pochi, e per la maggior parte anziani professori, occupavano la casta superiore, immediatamente inferiore a Dio, mentre un gruppo consistente di speranzosi e servili assistenti rappresentava la seconda casta, lo strato intermedio, e gli studenti, dei quali nessuno si occupava, costituiscono la base della piramide”. Ci chiediamo se sia cambiato qualcosa dal 1955 ad oggi.

Il Rettore dell’Università di Roma mi definì, mentre ero già full professor, un “giovine promettente”. Modigliani racconta anche un altro episodio emblematico. In occasione di un convegno di economisti a Washington, il professor Corrado Gini (famosissimo statistico, inventore dell’indice di Gini sulla concentrazione del reddito e della ricchezza, ndr) – tirò fuori l’orologio dal taschino e chiese a Modigliani: “Senta, ieri mi si è rotto l’orologio, me lo potrebbe far accomodare, per cortesia, e poi me lo fa recapitare in albergo?”. Modigliani rispose che la richiesta avrebbe dovuto farla al garzone della portineria dell’albergo. “Così si saggiava di che pasta eri fatto. Quanto eri in grado di subire pur di accattivarti la benevolenza del capo. Questa è una delle origini profonde della crisi italiana. Perchè una classe dirigente che è stata selezionata in base alla sua capacità di subire umiliazioni, di non avere amor proprio, è quella che non è in grado di guidare l’Italia”.

In relazione al rapporto con gli studenti, Modigliani ricorda: “Negli Stati Uniti professori e studenti hanno sempre ragionato insieme, mangiato insieme, vissuto negli stessi luoghi. Ricordo il silenzio assoluto degli studenti mentre facevo lezione a Roma. A un certo punto mi spazientii e dissi loro: “Ma insomma, non avete proprio niente da criticare delle cose che sto dicendo?”. Spesso dico ai miei studenti: “Fate domande, cercate di capire veramente le cose. Io non ho delle verità rivelate, pongo delle domande, ma non ho delle risposte certe; l’economia non è una scienza esatta”.
Anch'io nel mio piccolo spesso durante le prime lezioni ho un pubblico intimidito, non abituato a fare domande, piegato mentalmente dalla nefasta gerarchia per cui al prof. è meglio non chiedere sennò si arrabbia. Lo studente ha il sacrosanto diritto di chiedere e di ottenere risposte esaurienti. E' finito il tempo dei baroni.

Come Carlo Azeglio Ciampi che saltò la quinta elementare e la terza liceo - Franco Modigliani saltò una classe; decise di saltare la terza liceo in un periodo in cui la licenza liceale era durissima. “Lavorammo come bestie”, racconta. E quell’anticipo fu decisivo perchè gli consentì di laurearsi nel 1939 prima di partire per gli Stati Uniti, fuggendo dall’Europa nazi-fascista. “Arrivammo negli USA il 28 agosto 1939, tre giorni prima che Hitler invadesse la Polonia e scoppiasse la guerra”.

Modigliani con Carlo A. Ciampi
Gian Antonio Stella – Modigliani: non fate i furbi, in una intervista del 20 aprile 1998 – scrisse: “Pochi italiani, forse, amano l’Italia come l’ama Franco Modigliani. Un rapporto struggente, malinconico, forte come sanno essere struggenti, malinconici solo gli amori contrastati. Cresciuti sul dolore, il tradimento, la diffidenza, la riconciliazione, la serenità ritrovata, la delusione”.

Caro Franco Modigliani, ti sia lieve la terra.

lunedì 19 settembre 2011

La sindrome del complotto pluto giudaico massonico. Ma sta in noi!

Qualche settimana fa l’unico leader politico europeo in canottiera - Umberto Bossi - ha dichiarato: “E’ in corso un vero e proprio complotto internazionale contro l’Italia. Dietro ai recenti sconvolgimenti ci sarebbe appunto la massoneria internazionale che vuole mettere le mani sui soldi della gente. Il piano è quello di far perdere di valore le nostre banche, in modo che se le possano comprare facilmente Francia e Germania. Se un Paese non ha più banche, è un Paese finito. Non può più decidere su che cosa puntare e su che cosa lasciare. Decidono da fuori quello che un Paese può fare e quello che non può fare”.

Quando non sappiamo con chi prendercela, invece di guardare dentro di noi, accusiamo capri espiatori inesistenti. E non facciamo alcun passo in avanti.

Ho ripreso allora in mano un articolo – Cercasi complotto disperatamente - di Mario Pirani del 1994: “In genere il complotto viene evocato di fronte a gravi calamità per scaricare su un capro espiatorio l' odio del popolo, evitando, per contro, la ricerca delle cause reali dei fatti che potrebbe ricondurre alle responsabilità dei governanti o delle classi politiche in genere. La mia generazione si è già scontrata con varie riedizioni della teoria del complotto. La prima che ricordo era quella propagandata dal fascismo che imputava al complotto demo-pluto-giudaico-massonico la volontà di impedire l' espansionismo mussoliniano: le democrazie, controllate dai ricchi ebrei, volevano impedire all' Italia di conquistare il suo Impero (Abissinia, Albania, Nizza, Savoia, Corsica e dintorni)”.

Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975 scrisse – in Cinquant’anni di vita italiana (Laterza, 1993) parole memorabili: “Una delle eredità più persistenti della cultura autarchica, fascistica, è senza dubbio la sindrome del complotto internazionale. Quando gli squilibri interni raggiungono una dimensione tale da intaccare la fiducia, ecco che scatta questa mentalità difensiva, ecco il complotto internazionale, ecco comparire gli speculatori, i disertori, i pescecani che portano all’estero interi pezzi della ricchezza nazionale...La tesi che denuncia piani destabilizzanti, orditi da circoli occulti della finanza internazionale, dimostra come dal profondo della cultura italiana emerga un rifiuto istintivo per l’apertura dei mercati, per le regole della concorrenza, della libera impresa, il rifiuto del principio secondo cui il cittadino ha il diritto di esprimere un voto quotidiano sull’operato del governo, della classe politica, scegliendo se convogliare il proprio risparmio sui Titoli della Repubblica o su quelli di altri Stati”.

Mario Calabresi con grande effficacia ha scritto di recente - L’inguaribile malattia del complotto”- : “La Storia passerà avanti veloce, cambieranno gli scenari mondiali, forse ci toccherà registrare la potenza delle vendette e delle rappresaglie, ma noi non saremo stati in grado di capirle perché saremo rimasti fermi alle rassicuranti chiacchiere del bar, al sorrisetto, all’alzata di spalle”.

Sta in noi”, ripete sempre Carlo Azeglio Ciampi.

Non esistono scorciatoie.
Occorre sconfiggere gli intrecci di interessi corporativi che in più modi opprimono il Paese; è questa una condizione essenziale per unire solidarietà e merito, equità e concorrenza, per assicurare una prospettiva di crescita al Paese” ha scritto Mario Draghi nelle sue ultime Considerazioni .

Il tempo si è fatto breve.

giovedì 15 settembre 2011

Omaggio a Walter Bonatti, alpinista leggendario

Io sono solito portare a lezione in Università delle integrazioni, per far capire allo studente la realtà che ci circonda, economica e non e per raccontare di persone dell'Italia migliore. L'ultima lezione ho portato in prima pagina un ritaglio di un’intervista di Repubblica a Walter Bonatti, alpinista fenomenale, di levatura mondiale nonchè esploratore e scrittore, scomparso ieri all’età di 81 anni.
Ho chiesto agli studenti ventenni se qualcuno aveva mai sentito parlare di Bonatti e nessuna mano si è alzata.

Leggiamo Bonatti e capiamo quanto il suo pensiero sia attuale: “I miei maestri sono stati Hemingway, Jack London, Defoe, Melville, ai quali devo dire grazie se non ho paura di invecchiare. La loro avventura è stata la mia. Anche se oggi è una parola abusata. Chi sta veramente solo? C' è sempre un telefono satellitare per gridare e chiedere aiuto. Dal mare, dalla montagna, dal deserto, dalla gola del vulcano. Devi stare solo con i tuoi mezzi, con le tue incertezze, per scoprire il tuo carattere, senza possibilità di aggrapparti a qualcosa o a qualcuno. La solitudine è angosciosa, ma è un percorso, acutizza le sensibilità, ti forza a cercare in te stesso la soluzione. Devi essere onesto, guadagnarti i tuoi saperi, costruirti con la prudenza e l' esperienza. La scimmia si è staccata dall' albero per curiosità. Lasciate il cellulare a casa e andate nel bosco. Io non avevo nulla, ho fatto il giramondo per proseguire l' alpinismo, psicologicamente è stata un' esperienza di vita. Ho cercato le risposte, non credo alla fortuna, un uomo è quello che vuole essere. Anche se oggi è difficile, soprattutto per i giovani, perché gli hanno tolto il futuro da sotto i piedi”.

Nato a Bergamo nel 1930, come alpinista Bonatti diventa noto nel 1951, quando riesce a domare la parete est del Grand Capucin, un obelisco di granito rosso nel gruppo del Monte Bianco, mai scalato prima. E inizia la nuova epoca, è la prima via che porta il suo nome.

Bonatti è stato protagonista della conquista della spedizione italiana del K2 - seconda montagna del mondo con i suoi 8.611 metri di altezza - nel 1954. Raccontiamola perchè merita, e perchè Bonatti ha scritto diversi libri su questa avventura, che ha segnato la sua vita.

Nel 1954 si costituisce la spedizione azzurra di alpinisti capitanati da Ardito Desio, soprannominato il "Ducetto". La spedizione il 31 luglio 1954 riuscì ad arrivare in vetta con Achille Compagnoni e Dino Lacedelli, ma grazie al formidabile contributo – negato per decenni - di Walter Bonatti, il quale è costretto a bivaccare all’addiaccio a 8.100 metri di quota a meno 50 sotto zero, e si salva miracolosamente grazie alla sua enorme capacità di resistenza fisica. All’hunza Madhi, lo sherpa nepalese della spedizione verrano amputate varie dita delle mani e dei piedi.

Bonatti non sfruttò l'ossigeno delle bombole che aveva portato in quota a Compagnoni e Lacedelli. I vincitori lo respirarono fino alla vetta. Le foto nascoste per anni lo hanno dimostrato. E da bastardi veri posero la loro tenda in una posizione diversa rispetto a quanto concordato con Bonatti. Evidentemente temevano che Bonatti volesse sostituirli il giorno dopo nell'ultima corsa al K2.

La giornata del 30 luglio per Bonatti ha dell'incredibile. Parte dal campo n. 8 a 7.627 metri di altezza alle 8 del mattino, scende al campo n. 7 a 7.345m dove si trovano le bombole di ossigeno. Riparte con l'hunza Mahdi alle 10.30 per il campo 8 dove arriva alle 13.00. Alle 15.30 riparte verso il campo n. 9 a circa 7.900m dove arriva verso le 18.30. Sono 700 metri di dislivello (200 in discesa e 500 in salita) in un giorno con 19 kg di bombole di ossigeno sulle spalle! Diventeranno 900m visto che il bivacco Bonatti-Mahdi è stato individuato ex post a 8.100m.

"Quella notte sul K2 io dovevo morire. Il fatto che sia sopravvissuto è dipeso soltanto da me".

Le liti si scatenarono quando nel 1964 venne pubblicato, sulla Nuova Gazzetta del Popolo, un reportage che metteva sotto accusa il comportamento di Walter Bonatti. Al giovane alpinista - aveva 24 anni al tempo della spedizione - erano stati preferiti Compagnoni e Lacedelli per l'attacco finale, pur essendo lui l'uomo sicuramente più in forma del gruppo. Rispettoso della gerarchia, Bonatti accettò comunque gli ordini di Desio. Assieme all'hunza Mahdi portò le bombole di ossigeno fin oltre gli ottomila metri, dove avrebbe dovuto incontrare i compagni. Il bivacco dei due - dotati di tende e coperte - era stato deliberatamente spostato.

Per anni il CAI, Desio, Lacedelli e Compagnoni negarono di essere arrivati in quota grazie alle bombole portate da Bonatti. Anzi, non contenti, accusarono Bonatti di aver consumato le bombole di ossigeno: "Per quel colpo di testa di Bonatti rischiammo di perdere il K2", dissero le due merde, Lacedelli e Compagnoni.

In Italia le facce toste fanno carriera.

Dopo un lungo caso giudiziario, sia i Tribunali sia lo stesso Cai riconoscono - la versione di Bonatti come l'unica vera.

Walter Bonatti uscì distrutto da questa vicenda. La fiducia nell' uomo la perse sul K2 a 24 anni. “Dove sono stato ingannato, imputato, calunniato. Se ti capita una cosa così da ragazzo, il tuo carattere cambia per sempre. Per questo io con me stesso sono in buona compagnia”.

Negli anni seguenti compie altre imprese sul Monte Bianco (pilastro sud-ovest del Petit Dru, la Poire, il Pilone centrale del Freney) prima di chiudere la carriera con la prima scalata invernale in solitaria del Cervino nel 1965. Successivamente si dedicò alle attività di esploratore e reporter, inviato del settimanale Epoca.

Bonatti è un puro, ha sempre seguito le sue idee, la propria testa, senza mai cedere alle lusinghe del denaro: “Non mi dispiace non aver avuto un figlio, ne avrei fatto un disgraziato, perché avrei cercato di educarlo con i miei principi, che non contemplano il denaro. Io non mi sono mai sentito stupido per non aver fatto i soldi. E non ho mai cercato sponsor”.

Emanuela Audisio ha scritto: “Bonatti è un mito che non si è mai sporcato, è sceso dalle montagne per attraversare giungle e deserti, ha navigato fiumi e correnti per allontanarsi da un turismo dell' avventura sempre più plastificato. Ha rischiato, vissuto, fotografato”.

Come ci ha suggerito ieri un sincero estimatore di Bonatti, speriamo che l'anima di Bonatti possa prendere a calci in culo Lacedelli, Compagnoni e Ardito Desio, protagonisti di un falso storico avvilente.

Caro Walter Bonatti, ti sia lieve la terra.

P.S.: per approfondimenti si consiglia di Walter Bonatti:

K2. La verità 1954-2004, Dalai Editore
Montagne di una vita, Dalai Editore
Terre alte, Rizzoli
Una vita così, Baldini e Castoldi

lunedì 12 settembre 2011

Ancora oggi a 10 anni dal 9/11 siamo tutti americani

"Siamo tutti americani", titolarono identici Le Monde e Il Corriere della Sera all'indomani dell'attacco alle Torri Gemelle. Ci trovammo tutti nella stessa situazione: vulnerabili.

L'11 settembre ha alterato in modo irreversibile il tradizionale rapporto tra potenza e sicurezza, sul piano psicologico e morale prima ancora che su quello materiale. E' stata ferita l'intimità della nazione americana.

Magris ha scritto: "L'11 settembre ha costretto a percepire concretamente, fisicamente, che la distruzione può colpire le nostre case, la nostra vita quotidiana; ha sgretolato ogni sicurezza. Ha trasformato il meccanismo della guerra, questa madre di tutte le cose, che ci sforziamo sinora invano di disinnescare e che rinasce in sempre nuove forme".

L'11 settembre ha portato l'Amministrazione Bush - disgraziatamente - a reagire in modo scomposto, a cercare una vendetta che non ha prodotto nulla di buono.

Le guerre in Irq e Afghanistan invocate in nome della vendetta e per prevenire altri attentati sarebbero durate 10 anni dissanguando le casse dello Stato, senza aver creato alcun vagito democratico.

La democrazia non si esporta.

Sentiamo Nadia Urbinati: "Le ripercussioni della preemptive strategy sono state pesantissime e hanno scatenato la crisi economica più grave che l'America abbia sofferto dal 1929. Un impero che affonda nelle guerre che provoca: questo è il lascito dell'Amministrazione Bush, nata con un bluff elettorale e costata un danno incalcolabile (per ora siamo a 3 miliardi di dollari, ndr) i cui effetti durano ancora".

E' stato commovente vedere ieri un'America senza retorica ricordare l'11 settembre 2001. Poca politica e tanto spazio ai parenti delle vittime.
La giornata è stata lasciata a coloro ai quali apparteneva: tremila uomini, donne, bambini, neonati polverizzati nel più osceno attacco che il mondo abbia visto con i propri occhi.

Non dimenticheremo.

mercoledì 7 settembre 2011

I mercati, le palle colossali e il linguaggio della verità

L’altra sera nel mezzo della tempesta sui mercati, il Presidente della Repubblica ha sentito il dovere di far sentire la sua voce: “Nessuno può sottovalutare il segnale allarmante rappresentato dall'odierna impennata del differenziale tra le quotazioni dei titoli del debito pubblico italiano e quelli tedeschi. E' un segnale di persistente difficoltà a recuperare fiducia come è indispensabile e urgente”.
Se Giorgio Napolitano interviene disquisendo sullo spread BTP-BUND – post imprescindibile -  significa che la situazione è molto seria.

Sempre Napolitano di recente ha scritto una pagina memorabile sull’importanza della verità, che riporto integralmenteNel messaggio di fine anno 2008, in presenza di una crisi finanziaria che dagli Stati Uniti si propagava all'Europa e minacciava l'intera economia mondiale, dissi - riecheggiando le famose parole del Presidente Roosevelt, appena eletto nel 1932 - "l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa". Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare - e voglio ripeterlo oggi qui, rivolgendomi ai giovani - il linguaggio della verità : perché esso "non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza".

Abbiamo, noi qui, in Italia, parlato in questi tre anni il linguaggio della verità ? Lo abbiamo fatto abbastanza, tutti noi che abbiamo responsabilità nelle istituzioni, nella società, nelle famiglie, nei rapporti con le giovani generazioni ? Stiamo attenti, dare fiducia non significa alimentare illusioni ; non si da fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie, minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici della realtà, ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della volontà e dell'impegno. Dell'impegno operoso e sapiente, fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio creativo e innovativo”.

L’italiano è stufo di sentire palle colossali. Sa benissimo qual è la situazione. Vorrebbe gente all’altezza che lo possa guidare verso la soluzione. Non essere illuso.
Barbara Spinelli  ha spiegato la sete di verità e di trasparenza in modo mirabile: “Alla crisi non si risponde solo imponendo la cinghia più stretta, e instillando nel popolo paure incongrue. Si risponde con la trasparenza d´informazioni: sulle tasse che non si possono abbassare, sul calo demografico che solo l´immigrazione frenerà, sugli ingredienti della crescita che sono la giustizia, la legalità, il merito, il prezzo che possono pagare i più fortunati e ricchi”

Sentiamo le parole esatte di Umberto Ambrosoli : “La mistificazione della realtà diventa un vero e proprio problema culturale allorché compie vittoriosamente un percorso che prende il via dalla diffusa, comune accettazione di una cosa falsa o di una dinamica di falsità, prosegue con il considerarla scontata, poi naturale, quindi spesso "dovuta". È, quello della riscoperta del valore della verità, un punto di partenza non solo importantissimo (poiché essa è fondamenta di ogni edificazione), ma soprattutto a portata di mano di ciascuno: si tratta di far caso ogni giorno a quanto affidamento accettiamo di fare sull’apparenza. Si tratta, ogni giorno, di fare un po’ di fatica mentale in più e interrogarci, essere curiosi, voler guardare oltre ciò che ci viene rappresentato, diventare interpreti e non meri ricettori passivi”.

Le chiacchiere stanno a zero. Noi dobbiamo fare quello che ci chiede la BCE o i mercati finanziari non perchè sono brutti e cattivi. L'abolizione delle pensioni di anzianità, la liberalizzazioni dei taxi, delle farmacie, delle professioni non le dobbiamo fare per i tedeschi. Ma per noi stessi. Basta alibi. Basta menzogne. Vogliamo la verità. Solo così troveremo le energie per ripartire.

lunedì 5 settembre 2011

Omaggio al Generale Dalla Chiesa

Ho un ricordo nitido. Era il 3 settembre 1982. Entro in cucina, sento dei singhiozzi. Vedo mia madre piangere. Le dico: “Mamma, perchè piangi?”. E lei: “Hanno ucciso il Generale Dalla Chiesa”. E la foto della prima pagina di Repubblica con la A112 bianca crivellata di colpi e il Generale proteso per proteggere sua moglie Emanuela rimase per sempre nel mio archivio mentale.

Il grandissimo Gianni Brera disse: ““Dalla Chiesa era così intelligente che per fargli un degno piropo' non mancavo mai di esprimergli la mia meraviglia: come aveva potuto fare tanta carriera in Italia con un cervello così fino?”.

Cosa è cambiato dal 1982? Quando Marco Vitale nel suo Passaggio al futuro (EGEA, 2010) dice saggiamente che noi non dobbiamo fare riforme – inconcludenti – ma risolvere problemi, la prima piaga biblica che invita ad affrontare è il peso abnorme della malavita organizzata.

Le cifre fanno impressione: l’insieme della attività illegali in Italia ammonterebbe a 419 miliardi di euro l’anno, secondo le stime più accreditate. Nessun Paese ha, nel suo tessuto sociale ed economico, una presenza di tale spessore della malavita organizzata. 13 dei quasi 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia convivono con le mafie. Parliamo del 22% della popolazione italiana, non quisquilie.

E aggiungiamo che la corruzione diffusa rappresenta l’humus ideale per la malavita organizzata.

Il giudice Davigo ironicamente ha affermato che se la “cricca” degli appalti della Protezione Civile – per intenderci Anemone, Verdini, Bertolaso, Carboni - si fa pagare con assegni circolari (e non con il consueto contante) poi incassati nella banca allora guidata – ora con pesanti motivazioni commissariata dalla Banca d’Italia – da Verdini, significa che la convinzione di impunità regna serena.

Un sano sviluppo economico non è compatibile con un alto e diffuso livello di corruzione e di malavita. La mafia è arretratezza, non sviluppo.

Il giudice Gian Carlo Caselli ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”.

Nell’intervista – testamento spirituale - a Giorgio Bocca pochi giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

La A112 del Generale crivellata di colpi
Mi piace ricordare il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con un estratto di un suo intervento del 1° maggio 1982: “Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi; non possiamo oltre delegare questo potere nè ai prevaricatori, nè ai prepotenti, nè ai disonesti. Potere può essere un sostantivo nel nostro vocabolario ma è anche un verbo. Ebbene, io l'ho colto e lo voglio sottolineare in tutte le sue espressioni o almeno quelle che così estemporaneamente mi vengono in mente: poter convivere, poter essere sereni, poter guardare in faccia l'interlocutore senza abbassare gli occhi, poter ridere, poter parlare, poter sentire, poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa, poter guardare ai giovani per trasmettere loro una vita fatta di sacrifici, di rinunzie, ma di pulizia, poter sentirci tutti uniti in una convivenza, in una società che è fatta, è fatta di tante belle cose, ma soprattutto del lavoro, del lavoro di tanti”.

Caro Generale Dalla Chiesa, ti sia lieve la terra.