lunedì 26 febbraio 2018

Votate chi volete ma non i grillini, incompetenti, presuntuosi, arroganti. Uno vale uno è una boiata pazzesca

Scoraggiati, disincantati, senza speranze. Sono molti gli italiani che non pensano di andare a votare. Dopo essere stati delusi dalla destra e dalla sinistra, tanti si sono gettati nelle mani del Movimento 5 Stelle, la demagogia ai massimi livelli.
Il leader del M5s è Gigi di Maio, il cui curriculum parla da solo. E' un miracolato dalla politica. Da stewart allo stadio San Paolo di Napoli alla vicepresidenza della Camera. Ogni sera credo che guardandosi allo specchio, rida come un pazzo, gridando "Ma come ho fatto ad avere tanto seguito con le banalità che dico!".

Uno vale uno: questo è il motto senza senso del Movimento 5 Stelle. Per dire, Ciampi, Baffi  Federico Caffè, Raffaele Mattioli, Enrico Mattei, valgono la Taverna, Di Battista, o Giggino di Maio. La demagogia al potere. Come diceva Eugene Ionesco ai giovani manifestanti nel 1968: "Tornate a casa, tra qualche anno sarete tutti notai".

Ultimamente il M5s si è superato. Ha bocciato la richiesta di intitolare una piazza a Livorno a Carlo Azeglio Ciampi, un grande italiano, perchè "banchiere". Una carriera inadeguata. Non tutti sanno che Ciampi non si laureò in economia, ma il lettere, con una tesi su Favorino d'Arelate, filosofo e oratore Greco antico. Successivamente Ciampi prese la seconda laurea in giurisprudenza scrivendo una tesi sul diritto delle minoranze religiose.
Riprendo Mattia Feltri che sulla Stampa ha riassunto bene la vicenda Ciampi:

Che cosa è la democrazia? La democrazia è quel sistema che, per esempio, attribuisce a sedici stimabilissimi signori, il cui contributo alla causa dell’umanità è momentaneamente ignoto, ed eletti sulla fiducia, o sulla sfiducia per gli altri, al consiglio comunale di Livorno per i Cinque Stelle, di decretare il concittadino Carlo Azeglio Ciampi indegno dell’intitolazione di una rotonda sul lungomare.  
 
Non lo si dice per instillare dubbi sulla democrazia. Lo si dice, anzi, per esaltarne le virtù. Che altro, se non la democrazia, avrebbe consentito a questi sedici volenterosi escursionisti delle istituzioni di ergersi a giudici di Carlo Azeglio Ciampi? Si doveva dunque decidere se intitolare la rotonda livornese al candidato e, analizzato il curriculum (diploma alla Normale di Pisa, allievo di Guido Calogero, renitente alla Repubblica di Salò, partigiano, fondatore del partito d’Azione a Livorno, segretario generale di Bankitalia poi vicedirettore generale poi direttore generale poi governatore, ministro del Tesoro, presidente del Consiglio, presidente della Repubblica) il Movimento lo ha ritenuto insoddisfacente. Che ci volete fare? Un po’ lacunoso, poco cristallino.  
 
«Ha lavorato per le banche». «Ha contribuito all’ingresso nell’euro». Un po’ troppe macchie, insomma. Ha persino «reintrodotto la parata militare», e lì nemmeno Perry Mason avrebbe salvato la reputazione dell’aspirante. E se trovate tutto ciò molto ridicolo, trattenetevi. E’ solo la democrazia che conferisce alcune facoltà. Non quelle mentali, però.

Ciampi, secondo i grillini, rappresenta la "finanza brutta e cattiva". Senza un efficiente sistema finanziario, non c'è sviluppo economico, come la storia italiana degli ultimi 30 anni dimostra. A furia di considerare la finanza un nemico, siamo qui a misurare ogni anno il differenziale di crescita rispetto a tutti i Paesi europei e mondiali.

Tempo fa Filippo Ceccarelli su Repubblica ha ripreso il parallelo di Di Maio, che con uno slancio interiore si è paragonato a Sandro Pertini. Gustatevi le analogie:

"Il mio modello è Sandro Pertini" ha dichiarato Luigi Di Maio a Vanity Fair.

Aggiungendo: "È stato presidente qui alla Camera e io ho l'onore di sedere sullo stesso scranno". Il proposito di imitare il Presidente più amato dagli italiani è lodevole, e in effetti non si può negare che lui oggi ogni tanto si sieda nello stesso posto dove quarant'anni fa sedeva Pertini. Solo che quello era presidente della Camera e lui solo il vicepresidente di turno: ma non mettiamoci a spaccare il capello in quattro.

Ora, non sappiamo cosa farà in futuro il deputato Di Maio, candidato in pectore a Palazzo Chigi. Però sappiamo quello che ha fatto finora. Proviamo a confrontare la sua biografia con quella del suo modello politico, perché magari qualche dettaglio rivelatore ci è sfuggito, e siamo davvero di fronte al nuovo Pertini. Vediamo.


A 20 anni Pertini combatteva come sottotenente, e guidando un assalto nella battaglia della Bainsizza ottenne una medaglia d'argento al valor militare.

A 20 anni Di Maio faceva lo steward allo stadio San Paolo, e a volte accompagnò al suo posto persino il presidente del Napoli, De Laurentiis.


A 24 anni Pertini, ispirandosi alle posizioni di Filippo Turati, aderiva al Partito Socialista e veniva eletto consigliere comunale a Stella.

A 24 anni Di Maio, ispirandosi ai Vaffa-Day di Beppe Grillo, aderiva al Movimento 5 Stelle e si candidava al Consiglio comunale di Pomigliano d'Arco, ma non veniva eletto, ottenendo solo 59 preferenze.

A 26 anni Pertini prendeva la sua prima laurea, in Giurisprudenza. La seconda, in Scienze sociali, l'avrebbe presa due anni dopo.

A 26 anni Di Maio era iscritto alla sua prima facoltà, Ingegneria. La seconda sarebbe stata Giurisprudenza. La laurea non l'avrebbe presa in nessuna delle due.

A 27 anni (dopo la marcia su Roma) Pertini cominciava la sua militanza antifascista, che gli sarebbe costata l'arresto, sei anni di prigione e otto anni di confino.

A 27 anni Di Maio, dopo aver raccolto 189 preferenze alle "parlamentarie" del M5S, cominciava la sua carriera alla Camera che gli sarebbe valsa cinque anni di indennità parlamentare.

A 30 anni Pertini, dopo un comizio, veniva assalito dagli squadristi, che gli ruppero il braccio destro.

A 30 anni Di Maio, dopo un comizio, trovava la fiancata sinistra della macchina rigata con un chiodo.


A 31 anni Pertini era in esilio in Francia, adattandosi a fare anche il muratore pur di continuare la sua battaglia contro Mussolini, e intanto stampava volantini e giornali contro il fascismo.

A 31 anni Di Maio era in missione permanente in tv, adattandosi a fare anche l'ospite fisso nei talk show pur di combattere la dittatura del Pd, e intanto accusava esplicitamente Renzi di aver occupato lo Stato "come Pinochet in Venezuela ".

Fermiamoci qui, perché soltanto questi anni possiamo confrontare. Provate voi a farlo da soli. Ricordate "Trova le differenze" sulla Settimana Enigmistica? Ecco, qui bisogna fare al contrario: "Trova le analogie". In bocca al lupo.


Cari amici e amiche,

chi si candida a ruoli importanti senza avere la benchè minima competenza è disonesto dentro. Altro che portare avanti il messaggio di "Onestà". L'imbarazzante mediocrità della giunta romana guidata da Virginia Raggi è davanti ai nostril occhi.
Il reddito di cittadinanza è l'ennesima illusione per i nullafacenti (leggasi intervento di Francesco Giubileo su lavoce.info). E' un incentivo a non darsi da fare. Saranno in molti a sognare di vivere alle spalle degli altri. Chi paga per tutti questi sussidi non condizionati? Pantalone, ossia il contribuente.

Buon voto.

lunedì 12 febbraio 2018

Le occasioni perdute dall'Italia: la cessione della Divisione Elettronica dell'Olivetti alla General Electric nel 1965

Roberto Olivetti
Quando nei primi anni Sessanta l'Italia viveva il suo "miracolo economico", si sono gettate al vento alcune opportunità, che col senno di poi sono divenute "occasioni perdute".
Sono tre gli eventi decisivi di quegli anni:
1) L'omicidio da parte della mafia di Enrico Mattei, fondatore dell'ENI (27 ottobre 1962).
2) L'attacco giudiziario al presidente del Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare (Cnen), Felice Ippolito;
3) La morte di Adriano Olivetti nel febbraio 1960. L'imprenditore di Ivrea, vero visionario, aveva appena acquisito l'americana Underwood, che si dimostrerà un bagno di sangue. La contabilità direzionale in Olivetti era certamente un punto debole. Si racconta che si tenessero i conti per cassa e non per competenza, impedendo di capire per tempo se la società facesse margini o perdesse soldi.
La famiglia, costretta a numerosi aumenti di capitale, nel 1962 (dopo la irreparabile morte di Mario Tchou, testa pensante nell'elettronica) veniva invitata da Roberto Olivetti a sostenere un progetto dettagliato, il cui obiettivo strategico era la definizione di un nuovo assetto della governance d'impresa. Nel bel volume di Nerio Nesi - Le passioni degli Olivetti (Nino Aragno editore, 2017) si entra nel vivo delle vicende.
Roberto avviò con Raffaele Mattioli, presidente della Banca Commerciale Italiana, concrete trattative per trovare un compratore per il 50% delle azioni, che la famiglia aveva messo in pegno. Ma la famiglia si oppose e le trattative caddero, per timore che Mattioli venisse nominato fiduciario. Mal gliene incolse. Gianluigi Gabetti ricorda: "Dovetti prendere atto di una situazione compromessa in buona misura dalla concorrenza tra gli azionisti (cioè la Famiglia) per il controllo dell'azienda".

La conseguenza dei dissidi familiari fu l'accettazione di un "gruppo di intervento", guidato da Bruno Visentini, che malauguratamente decise di non puntare sul settore dell'elettronica, su cui Roberto Olivetti puntava pancia a terra.

Roberto Olivetti e Mario Tchou
La risposta di Vittorio Valletta - capo indiscusso della Fiat - nella relazione al bilancio Fiat del 30 aprile 1964 non ammette repliche: «La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superaare, senza grosse difficoltà, il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana potrà affrontare».

Michele Mezza - nel pregevole volume "Avevamo la luna" (Donzelli, 2015) commenta: «Una lapide più che un’opinione per il futuro della Olivetti. Valletta anche semanticamente sceglie i vocaboli in modo da dare tutti i messaggi necessari: nell’elettronica l’Olivetti si è “inserita”, intromessa, indebitamente mescolata con i più grandi. Questo è il peccato originale che bisogna sanare».
Giorgio Fuà (fondatore dell'Ufficio Studi dell'Olivetti, e successivamente collaboratore di Mattei all'ENI) scrisse: "Roberto fu messo in disparte da Visentini in malo modo. Egli puntava sull'informatica in cui vedeva la via del futuro. Visentini non lo capì e stroncò tutto. Tagliò il ramo verde". Elserino Piol nel 1968 disse a Visentini: "Oggi la fine delle macchine a logica meccanica è fin troppo evidente: la meccanica sarà confinata a funzioni periferiche".

Mentre Nerio Nesi critica lo Stato, incapace di sostituirsi, quando necessario, al ruolo delle grandi (sic!) famiglie proprietarie, lo storico Beppe Berta, nel volume "Che fine ha fatto il capitalismo italiano?"  è molto più realista: le storie di Olivetti, Mattei e Ippolito "erano storie imprenditoriali di eccezione, nel significato preciso della parola. Erano eccezionali rispetto alla imprenditorialità diffusa. Le loro esperienze non potevano dar luogo a modelli replicabili. Quelle imprese era state anomale, a dir poco, anche come rappresentanti di un capitalismo a cui non avevano mai appartenuto fino in fondo".

Il capitalismo dinastico ha fallito, le grandi imprese sono scomparse, rimangono solo le grandi imprese pubbliche. C'è poco da fare. Il capitalismo pubblico ha fatto meglio del privato, per quanto riguarda le grandi imprese. Non ci rimane che il quarto capitalismo, così ben raccontato da Giorgio Fuà, e successivamente da Giacomo Beccattini. E ora da Fulvio Coltorti, già direttore dal 1973 al 2012 dell'Area Studi di Mediobanca (ASM).

venerdì 2 febbraio 2018

Cronaca di una giornata all'insegna di Paolo Baffi, a cui il Comune di Fiumicino ha dedicato una piazza

Martedì scorso a Maccarese, nel comune di Fiumicino, si è svolta la cerimonia di intitolazione di Piazza Paolo Baffi. Tra via della Muratella Nuova e via di Maccarese lo slargo è ora dedicato alla memoria dell’ex Governatore della Banca d’Italia.
Con Umberto Ambrosoli sono stato invitato dalla preside Antonella Maucioni, vera cultrice della memoria, dell'I.I.S. Leonardo da Vinci, dove nell’Aula Magna abbiamo spiegato agli studenti perchè Paolo Baffi è ancora vivo tra noi.
I suoi pensieri, le riflessioni, il metodo rimane. Eccome. Anche se Baffi è morto nell'agosto 1989. Ma i grandi non muoiono mai.
Ambrosoli,  alla presenza della moglie di Baffi Maria Alessandra, dei figli Giuseppina ed Enrico, di Antonella Maucioni e del sindaco Esterino Montino, ha preso la parola partendo dalla storia di due soggetti: suo padre, Giorgio Ambrosoli, e Michele Sindona.
Tutti e due avevano delle capacità, uno le spese per il bene della collettività, l'altro per portare avanti disegni criminosi. Non basta studiare e applicarsi. Bisogna indirizzare i propri sforzi nella direzione giusta.

U. Ambrosoli e B. Piccone
Paolo Baffi, vittima nel 1979 di un vergognoso attacco politico, affaristico e giudiziario quando era alla guida della Banca d’Italia, non è mai stato dimenticato per il suo alto impegno civile e morale.
Dopo aver lasciato la Banca d'Italia, si è speso con la moglie Alessandra, vera "locomotiva", a favore del territorio. Baffi è stato tra i promotori della realizzazione dell'attuale Istituto scolastico Leonardo da Vinci di Maccarese, nonchè dell'istituto alberghiero a lui intitolato.
Fregene deve molto a Baffi perché il Governatore si è molto impegnato per migliorare la qualità delle strutture comunali giacché negli anni Settanta-Ottanta la cittadina era profondamente degradata e priva dei servizi primari. Grazie a Baffi a Fregene si aprirono le scuole e fu decisivo il suo intervento nel convincere l’Iri a cedere l’Oasi naturalistica di Maccarese – oggi una delle maggiori attrattive locali – in comodato al WWF: a lui è dedicata una targa all’ingresso.

La preside Maucioni mi ha chiesto di cercare tra i suoi scritti un passaggio di Baffi così da realizzare un segnalibro. Allora le ho fornito un passo di una lettera del 1969 al giornalista, poi senatore, Cesare Zappulli:
Contro le forze ostili della demagogia e dell’ignoranza, va difeso il contenuto di libertà di una società civile”. Quanta attualità nel pensiero di Baffi! Quando ascoltiamo le promesse elettorali del politico di turno, siamo pronti a citarlo.

Se a Livorno il Movimento 5 Stelle ritiene Carlo Azeglio Ciampi indegno di una Piazza, meno male che in altri territori i banchieri centrali sono più apprezzati. Quando i cittadini passeranno lungo quella strada, alzando gli occhi verso Piazza Baffi, speriamo trovino qualcuno che spieghi - in questo Paese senza memoria - chi fosse Baffi, nato a Broni il 5 agosto 1911 e morto a Roma il 4 agosto 1989. La terra gli sia lieve.