mercoledì 29 febbraio 2012

Steve Jobs e Banca d’Italia. Il messaggio è identico: non cercate la sintonia a tutti i costi, l’omologazione del pensiero porta al disastro. Stay foolish

Steve Jobs
In occasione della morte di Steve Jobs ho scritto un post dedicato – Omaggio a Steve Jobs dove scrissi: Voglio ricordare Steve Jobs - imprenditore formidabile - con le sue parole agli studenti di Stanford: <Stay hungry, stay foolish>, che si può tradurre con "Non siate mai sazi e soddisfatti, pensate fuori dal coro"......

Prosegue Jobs: "Your time is limited, so don't waste it living someone else's life. Don't be trapped by dogma — which is living with the results of other people's thinking. Don't let the noise of others' opinions drown out your own inner voice. And most important, have the courage to follow your heart and intuition. They somehow already know what you truly want to become. Everything else is secondary".

Domani inizio i corsi 2012 all’Università. E allora dirò ai miei studenti: cercate di pensare con la vostra testa. Evitate di fare i pecoroni, di essere soggetti all’”effetto gregge”. Liberate le energie potenziali che sono in voi. Seguite le vostre passioni.

Eppure in Italia c’è una volontà di omologazione mostruosa. Nel caso della Costa Concordia affondata all'Isola del Giglio, mi chiedo: ma nessuno degli ufficiali presenti sulla plancia ha fatto notare al disastroso Schettino che era a meno di cento metri dalla costa (92 mt per l’esattezza)?

David Foster Wallace
David Foster Wallace - meraviglioso scrittore americano - in relazione a un ciclo di lezioni che ha tenuto presso l’Università di Austin in Texas, ha scritto:

In classe siete caldamente esortati a dissentire da quello che dicono gli altri e io stesso, e io stesso potrei unirmi a voi purchè si mantenga sempre un rispetto assoluto l’uno nei confronti degli altri, senza mai mostrare disprezzo, maleducazione o violenza.
 Statisticamente ho assegnato i voti più alti a quegli studenti le cui letture, interpretazioni e opinioni sulla letteratura erano diverse dalle mie, a patto che detti studenti riuscissero a discuterne in modo interessante e a sostenere in modo plausibile le loro tesi”.

Paolo Baffi
Qualche giorno fa ho ricevuto un prezioso dono dalla figlia del Governatore Paolo Baffi, Giuseppina: una pubblicazione scritta in onore dell'indimenticato Governatore di Banca d’Italia dal 1975 al 1979. Al Governatore della Vigilanza ho dedicato tanti post:

- Onore a Paolo Baffi:
- Il tributo di Mario Draghi a Paolo Baffi
- Attacco punitivo alla Banca d'Italia, prima parte
- Attacco punitivo alla Banca d'Italia, seconda parte

Se li merita. Qui vi cito un passaggio di Tommaso Padoa-Schioppa del 3 agosto 2009 (intervento in occasione del ventennale della scomparsa di Baffi): “Baffi portò in Banca d’Italia il metodo, il disinteresse, la pietra dura che saggia la qualità. Il valore della Banca d’Italia, la sua competenza tecnica, il senso del proprio ruolo, l’indipendenza dell’analisi rispetto alla decisione sono tutti elementi che portano il marchio di Paolo Baffi...In Via Nazionale venivano banditi come vere e proprie violazioni di un corretto costume di lavoro: conformismo, riluttanza alla discussione aperta, inclinazione a esprimere solo il pensiero gradito ai superiori gerarchici.

Tommaso Padoa-Schioppa
Prosegue TPS: “Mi trovai a partecipare a una riunione del Direttorio della Banca d’Italia. Non seppi far di meglio che ingaggiare un serrato contradditorio con Paolo Baffi, il Direttore Generale, sostenendo una tesi del tutto opposta alla sua; si trattava di trovare il modo di collocare i Buoni Ordinari del Tesoro che l’inflazione aveva reso inappetibili al mercato. Tornato a casa quella sera dissi in famiglia che probabilmente ogni mia speranza di una qualche carriera era stroncata per sempre. Infatti l’indomani mattina, appena giunto in ufficio fui convocato dal Governatore Carli: evidentemente bisognava fare una esecuzione in grande stile. Invece Baffi disse che aveva riflettuto, la notte, alla discussione del giorno prima e che era rimasto convinto dall’argomentazione contraria alla sua. Si procedesse dunque a una riforma del metodo di emissione dei BOT, che instaurasse una vera asta, con quantità fissa e prezzo variabile”.

Ragazzi, nell’analisi, nella discussione, non esistono gradi, esiste solo la qualità degli argomenti.


Stay foolish.

lunedì 27 febbraio 2012

Omaggio ad Adriano Olivetti, imprenditore "sovversivo"

Adriano Olivetti con la figlia Laura
Durante le mie lezioni all’Università, ho l’occasione di parlare degli Italiani con I maiuscola, persone che hanno consentito al nostro Paese di essere il secondo paese industrializzato al mondo pro-capite (fonte Ufficio Studi di Confindustria).

Ciò che mi stupisce è l’ignoranza degli studenti sulla storia del ‘900. Ma di chi è la colpa? Non c’è alcun dubbio: dei professori e delle istituzioni scolastiche che insegnano gli Egizi (30 volte), Gli Assiro-Babilonesi (26 volte), i Promessi Sposi (18 volte), ma NON si parla per nulla di:

- Enrico Mattei – fondatore dell’ENI, vedi post Omaggio a Enrico Mattei, imprenditore formidabile;

- Paolo Baffi – Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979 ("Il mio quinquennio di fuoco") – vedi post Onore a Paolo Baffi Governatore integerrimo;

- Carlo Azeglio Ciampi, Presidente emerito della Repubblica e Governatore della Banca d’Italia – vedi post sul cambio lira-euro e l'Ecofin del novembre 1996;

- Beniamino Andreatta – Ministro del Tesoro, vedi post Andreatta e il Banco Ambrosiano (e seguenti) ;

- Tommaso Padoa-Schioppa, padre dell’euro, vedi post La fiducia asset impalpabile;

- Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, ammazzato dalla mafia il 3 settembre 1982, vedi post Omaggio al Generale Dalla Chiesa;

- Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, vedi Omaggio a Giorgio Ambrosoli, eroe borghese;

- Franco Modigliani, Premio Nobel per l'economia, vedi post Omaggio a Modigliani;

- Ezio Tarantelli, economista grazie al quale siamo riusciti a debellare in Italia l'inflazione galoppante, vedi post Baffi, Modigliani e Tarantelli.

Allora faccio del mio meglio per colmare un po’ di lacune.

Il 27 febbraio del 1960 – giusto 52 anni fa - moriva in treno verso Losanna Adriano Olivetti, imprenditore illuminato. Oggi lo ricordiamo nella convinzione che gli italiani migliori sono un fulgido esempio per l’oggi. Vale ciò che mi dice mia figlia Allegra: “Papi, se lo fai tu, lo faccio anch’io”.

Abbiamo un tremendo bisogno di buoni esempi.

Adriano Olivetti - nato l’11 aprile 1901 a Ivrea - nel 1924 conseguì la laurea in ingegneria chimica e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti, durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere del padre Camillo, fece le prime esperienze come operaio. Divenne direttore della Società Olivetti nel 1933 e presidente nel 1938.

Si oppose al regime fascista con momenti di militanza attiva. Infatti partecipò con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini alla liberazione di Filippo Turati. Durante gli anni del conflitto bellico, in cui Olivetti era inseguito da mandato di cattura per attività sovversiva, riparò in Svizzera.

Rientrato alla caduta del regime, riprese le redini della azienda. Alle sue capacità manageriali che portarono la Olivetti ad essere la prima azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, unì una instancabile sete di ricerca e di sperimentazione su come si potessero armonizzare lo sviluppo industriale con la affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.

Sotto l'impulso delle fortune aziendali e dei suoi ideali comunitari, Ivrea negli anni Cinquanta raggruppò una quantità straordinaria di intellettuali che operavano (chi in azienda chi all'interno del Movimento Comunità, fondato da Olivetti) in differenti campi disciplinari, inseguendo il progetto di una sintesi creativa tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica.

Marco Vitale
Il nostro sempiterno riferimento Marco Vitale – in un magistrale intervento dal titolo Un imprenditore sovversivo – scrisse: <Olivetti Adriano di Camillo. Classifica: Sovversivo>, così sta scritto sulla copertina del dossier che la Pubblica Sicurezza di Aosta apre su Adriano Olivetti nel giugno 1931. Credo che tra le tante definizioni di Adriano Olivetti che mi è capitato di leggere, questa dell’oscuro funzionario della questura di Aosta sia la più centrata. E come può non essere sovversivo un imprenditore che entra nella fabbrica paterna a 23 anni (nel 1924) quando questa produce 4.000 macchine da scrivere all’anno con 400 dipendenti – dunque 10 macchine all’anno per addetto – e che quando muore prematuramente, lascia un gruppo che nel 1958 festeggia il cinquantesimo anniversario con circa 25.000 dipendenti, con cinque stabilimenti in Italia e cinque all’estero, dai quali escono sei macchine al minuto; i cui dipendenti hanno un livello di vita superiore dell’80% a quello dei dipendenti di industrie similari; che si prepara a digerire, sia pure con fatica, l’acquisizione della mitica Underwood americana; che sta già affrontando la nuova sfida dell’elettronica; cha ha saputo imporre al mondo intero uno stile e un design che sono diventati un riferimento per tutti; che ha creato la più ricca e significativa scuola di management della storia italiana?"

Sempre Vitale: “E come può non essere sovversivo un imprenditore che per trent’anni ha sempre spiazzato tutti (i concorrenti, le crisi congiunturali, i parenti ostili, le difficoltà di ogni genere) in avanti, rilanciando sempre l’impresa nella direzione dello sviluppo e dell’innovazione? Innovazione di processo, di prodotto, di organizzazione, di sistema.

Come può non essere sovversivo un uomo che afferma: “E’ vero, non siamo immortali: ma a me pare sempre di avere davanti un tempo infinito. Forse perchè non penso mai al passato, perchè non c’è passato in me?”. Sempre in avanti.

Mentre oggi abbiamo tanti esempi di imprenditori-profittatori, Adriano Olivetti è stato un grandissimo imprenditore-creatore o imprenditore-innovatore (secondo la definizione di George Gilder in Spirito dell’Impresa, Longanesi, 1984): “Essi tendono a sovvertire statiche costituite, anzichè a stabilre equilibri. Sono gli eroi della vita economica”.

Olivetti è stato senza dubbio uno dei più profondi teorici italiani sui temi dell’organizzazione di impresa. Sentiamo lo storico delle imprese Giulio Sapelli, che così scrive: “Il passaggio definitivo a una moderna teoria della direzione fu realizzato soltanto dal modello culturale elaborato da Adriano Olivetti, imprenditore e organizzatore d’eccezione” (Economia, tecnologia, direzione d’impresa in Italia, Einaudi, 1994).

Giulio Sapelli
Le società sono fatte di uomini, oltre che di capitali. Olivetti compiva lui stesso i coloqui di selezione, come ricorda Ottorino Beltrami. “Se in altre aziende il lavoratore si confonde in una massa indifferenziata, in Olivetti egli era una persona con una vita lavorativa ben individuata” (Uomini e lavoro alla Olivetti, a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi e Roberto Garruccio, 2005)

Dopo la morte di Adriano Olivetti, l’amministratore delegato della FIAT Vittorio Valletta disse (memorabile, ahinoi!): “L’Olivetti è un’azienda sana, ma ha un cancro da estirpare, l’elettronica”. Così l’Italia perse un altro treno.

Ma quanti treni ha perso l'Italia? E siamo ancora qua. Come il calabrone che non dovrebbe volare.

Sabato scorso a Chiara Beria D'argentine sulla Stampa - "Il docente che insegna cultura" - il Professore della Bocconi Severino Salvemini ha detto: "Le imprese dovrebbero riscoprire la lezione di Adriano Olivetti. Territorio e' la parola chiave. Gli Zegna o Brunello Cucinelli investono in opere d'arte e teatro non per mecenatismo o per fare sponsorizzazioni ma perchè hanno capito che il futuro è nelle mani del territorio illuminato, capace di rinnovare il proprio patrimonio di conoscenze"
Grazie Adriano Olivetti, siamo convinti che coltivare la memoria serva ad alimentare la fiducia nel futuro, di cui abbiamo un gran bisogno.
 
P.S.: si consiglia la lettura di Luciano Gallino, La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi, 2003

lunedì 20 febbraio 2012

Giovani, posto fisso e ammortizzatori sociali. La cassa integrazione non funziona

E' da tempo che desidero affrontare l tema del lavoro e degli ammortizzatori sociali. In passato sul blog ho parlato dell'ottima Riforma previdenziale elaborata dal più grande esperto italiano: il Ministro Elsa Fornero, voto 10. Si legga il post "Pensare che Elsa Fornero possa discutere con la Gelmini sul welfare è come far giocare a calcio Totti con un ottantenne"

Oggi volevo cimentarmi sul tema della cassa integrazione - ammortizzatore sociale ormai obsoleto, difeso a spada tratta dal pessimo Ministro Sacconi - ma il Prof. Pietro Ichino - uno dei massimi esperti del lavoro in Italia - sul suo sito http://www.pietroichino.it/ ha scritto un articolo splendido. Allora ho chiesto l'autorizzazione a Ichino - accordata - e penso sia giusto pubblicare le sue parole esatte. La penso come Ichino, a cui va la mia solidarietà visto che è stato oggetto di minacce e di intimidazioni. Sappiamo purtroppo che in Italia parlare e dibattere di diritto del lavoro è attività rischiosa. Siamo gli unici nel mondo. E' patologico.
 
Voglio solo ricordare i caduti nella causa della riforma del lavoro:
- Ezio Tarantelli, vedi post Omaggio a Ezio Tarantelli, barbaramente assassinato dalle Brigate Rosse il 27 marzo 1985 ;
- Massimo D'Antona, assassinato dalla Nuove Brigate Rosse il 20 maggio 1999;

Marco Biagi
Marco Biagi, assassinato dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo 2002.
 
L'articolo di Pietro Ichino si intitola "A cosa serve la riforma degli ammortizzatori sociali". Eccolo:
 
"Nella regione Veneto, che ha meno di 5 milioni di abitanti, nel corso del 2011 sono stati stipulati 145.600 contratti a tempo indeterminato ordinario, cui se ne sono aggiunti 515.000 a termine e 27.600 di lavoro domestico (per dati più analitici v. le slides di una mia recente lezione all’Università di Firenze, La riforma del lavoro e le contraddizioni della nostra cultura in questo campo). Il Veneto è la regione italiana economicamente più vitale, in questo momento; ma nel resto d’Italia nello stesso anno si stima che siano stati stipulati oltre sei milioni di contratti di lavoro. Anche in un anno di crisi, dunque, di lavoro ce n’è.


Elsa Fornero
Ancora nel Veneto, nel corso del 2011 sono stati licenziati 34.478 lavoratori. Negli ultimi due anni, il 40 per cento di quelli che hanno perso un nuovo posto lo hanno trovato in un mese; il 60 per cento entro tre mesi; l’81 per cento entro un anno. Non, però, chi è stato collocato in Cassa integrazione: in questo caso la disoccupazione può durare anche sette anni, come è accaduto e accade ai dipendenti della Fimek di Padova, o a quelli della Iar Siltal di Bassano del Grappa. Lo stesso accade normalmente in tutta Italia: la durata del periodo di disoccupazione tende a coincidere con quella dell’integrazione salariale.

Questo è il motivo per cui il ministro del Lavoro oggi invita imprenditori e sindacati a ripensare il modo in cui usiamo affrontare le crisi occupazionali aziendali: è il tema di cui si discute oggi alla sede del ministero di via Veneto. La Cassa integrazione è uno strumento prezioso; ma serve per tenere i lavoratori legati all’azienda nelle situazioni di crisi temporanea, o di ristrutturazione, nelle quali vi è motivo di ritenere che il lavoro potrà riprendere nell’azienda stessa.
Pietro Ichino
Dunque, non può essere la Cassa integrazione lo strumento giusto per sostenere i lavoratori nella ricerca di una nuova occupazione, in un’azienda diversa. Invece, ogni volta che si verifica una crisi aziendale con necessità di ridurre il personale o addirittura chiudere l’unità produttiva, la prima misura che tutti immancabilmente concordano di adottare è la Cassa integrazione; in questo modo si fa il danno dei lavoratori, perché li si tiene legati a un’impresa che non potrà più dare loro lavoro. Si congela la situazione senza affrontare il problema; anzi lo si aggrava, perché è dimostrato che, quanto più lungo è stato il periodo di inattività del lavoratore dopo la perdita del posto, tanto più è difficile ricollocarlo.

A chi perde il posto occorre dare un sostegno del reddito anche più robusto di quello offerto dalla Cassa integrazione: la proposta è di aumentare la copertura dell’ultima retribuzione al 90 per cento per il primo anno e alzare il “tetto” mensile a 3000 euro. Ma questo intervento deve essere coniugato con un’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione e deve essere condizionato alla disponibilità effettiva del lavoratore. Il dato relativo al Veneto non si discosta dalla media nazionale: se dunque, come si è visto, otto lavoratori su dieci senza particolari aiuti ritrovano il posto entro un anno, con una buona assistenza intensiva si può realisticamente puntare alla ricollocazione entro un anno almeno di nove lavoratori su dieci. E del decimo entro il secondo anno. Come accade da tempo nei Paesi più avanzati del nostro.

Ci guadagneranno i lavoratori, in termini di maggiore sicurezza economica e professionale. Ci guadagneranno le imprese, in termini di maggiore facilità dell’aggiustamento degli organici e quindi flessibilità delle strutture produttive. Ci guadagneranno gli uni e le altre in termini di riduzione dei contributi previdenziali e del costo del lavoro, con conseguente possibilità di aumento delle retribuzioni nette".

Chiuse le virgolette di Ichino, riprendo io la penna. E dico.
Giavazzi-Alesina
Sono d'accordo con Alesina e Giavazzi: "Noi pensiamo che vada abbandonata ogni cautela e che si debba avere il coraggio di chiamare «riforma» solo una modifica sostanziale dei contratti, dei sussidi e delle modalità di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Limitarsi a qualche aggiustamento marginale è peggio che non far nulla: si creerebbe l'illusione che un problema è stato risolto, quando invece non è vero. Lo scoprirà anche la Spagna che si è fermata a metà strada. Oggi la prudenza non è segno né di saggezza né di lungimiranza".

P.S.: si consiglia la lettura di Pietro Ichino, I nullafacenti. Perché e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica, Milano, Mondadori, 2006

mercoledì 15 febbraio 2012

La fatica è bella a ShampoLook

Domenica scorsa si annunciava un gran freddo. La nevicata a Roma - di cui abbiamo parlato nel post #CrackAlehman - ha generato un panico nazionale.

La realtà ha superato le attese. Presenti verso le 10.00 all’imbocco della funivia di Champoluc, io e i miei figli leggiamo sul tabellone luminoso: “Benvenuti a Champoluc – per gli aficionados ShampoLook - temperatura -18°”. Buongiorno!

Mentre Francesco in montagna è pigro e vuole stare al calduccio vicino al camino a giocare alla Wii, Allegra è una grande sciatrice e non vede l’ora di mettere gli sci. Viene a svegliarmi di primo mattino, si prepara in gran fretta e mi sollecita alla dipartita verso gli impianti.

Quando al termine di una giornata impegnativa di freddo “puerco”, sono andato a prendere Allegra al termine della lezione di sci, l’ho abbracciata, ho sentito la sua faccina gelata e ho pensato: chissà quanto è arrabbiata. Invece ancora una volta Alli mi ha sorpreso, ha respirato intensamente e mi ha detto: “Papi, è stata dura, ma siamo andati nel bosco in fuori pista con la Maestra Monique. Papi, la fatica è bella”.

Queste sono soddisfazioni!

E' nel viaggio la bellezza, è nell'effort il piacere.

Umberto Eco
Ai miei studenti ripeto in continuazione: basta surfare su google, andate in profondità, studiate, sforzatevi di capire veramente la materia, svisceratela. Umberto Eco - dall’alto della sua saggezza - conversando con gli studenti ha detto: “Se ad un esame dovete studiare cento pagine, voi studiatene trecento. Andate contro la legge. Perchè alla fine della fiera ci sarà un dieci per cento di voi che avrà lavorato e sarà l'élite. Gli altri, che avranno seguito la legge, saranno dottori al parcheggio....Vi assicuro che nessuno è mai morto per la fatica, a 24 anni si può fare, si hanno tanti neuroni quanti spermatozoi".

Peccato che la maggioranza degli studenti – qualcuno valido c’è ma sono pochi, ahimè - sia svagata, distratta e disattenta. Insofferente all’approfondimento.

Carlo Azeglio Ciampi ripete allo spasimo: “Studiare come un forsennato vuol dire scavare problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni....Nella vita si studia sempre fino all’ultimo giorno. La curiosità, il desiderio di capire, il darsi una spiegazione delle cose, non cessano mai. Il mondo non si conosce mai abbastanza. E’ la vita stessa, nei suoi valori, nelle sue manifestazioni, che si presenta come un apprendistato continuo. Anche a novant’anni compiuti” (Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano, Il Mulino, 2010, p.121)

Winston Churchill - primo ministro inglese dal 1940 al 1945, in un famoso discorso alla Camera dei Comuni il 13 maggio 1940 disse: “Invito ora il Parlamento ad approvare una risoluzione che registri il suo consenso per i passi intrapresi e dichiari la sua fiducia nel nuovo governo.

La risoluzione fu la seguente: "Il Parlamento approva la formazione di un governo che rappresenta l'unità e l'inflessibile determinazione della nazione di proseguire la guerra con la Germania fino ad una conclusione vittoriosa"... Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalìe. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza”.

Winston Churchill
A coloro che si accontentano delle slides di 10 anni fa, dei riassuntini, delle spiegazioni neutrali del prof senza un minimo di mordente e collegamento con l’attualità, dico: per avere soddisfazione nello studio e nella vita, vale il motto di Allegra: la fatica è bella.

P.S.: ringrazio di cuore Leonardo – l’uomo più veloce di ShampoLook dopo Tiziano Bieler, “il rifugista più caro delle Alpi” - Francesca (Phd!), Giovanni (omonimo della Farfalla Granata Gigi Meroni), Paolo (una persona splendida, ha un unico difetto, è juventino), per le discussioni in seggiovia e nei rifugi, palestra intellettuale decisiva per la scrittura del post di oggi.

lunedì 13 febbraio 2012

Buon compleanno, Ottavio Missoni, atleta formidabile

Ottavio e Rosita Missoni
L’11 febbraio di 91 anni fa nasce a Ragusa in Dalmazia (oggi Croazia) – Dubrovnik – Ottavio Missoni, stilista e atleta di eccellenza.

Vorrei incentrare il post di oggi non sul Missoni creatore di moda dai colori sgargianti, ma sul Missoni atleta, storia – notevole - poco nota ai più.

Per “memento ai più giovani” Ottavio nel 1935 veste la maglia azzurra, nella specialità dei 400 metri piani e nei 400 hs. A soli 16 anni nel 1937 all’Arena di Milano – oggi intitolata a Gianni Brera – battè gli americani in un memorabile quattrocento piani, con il tempo di 48,8’’; non si può parlare di primato, ma si può dire che ancora oggi è la migliore prestazione italiana per un sedicenne.

Nel 1939 – diciottenne - diviene campione mondiale studentesco (medaglia d’oro alle Universiadi) a Vienna.

A causa della guerra le Olimpiadi del 1940 e del 1944 non si tengono. Missoni racconta: “Poi c'è stata la guerra che io ho combattuto - combattuto si fa per dire - sul fronte di El Alamein (seconda battaglia, 27 ottobre 1942, ndr) e gli inglesi mi hanno fatto prigioniero: 4 anni in Egitto. E io amo dire che sono stato ospite di Sua Maestà Britannica”.

In un’intervista al Corriere della Sera - Missoni racconta di quando nell'ottobre del '42 si trova in Nord Africa a riparare linee telefoniche con in tasca la fotografia di una sedicenne: “Una notte mi ritrovai al centro della battaglia di El Alamein, nel deserto ero da solo sotto le bombe dell'Armata di Montgomery, rotolai in un cratere e sotto il cielo livido di lampi mi addormentai. Quando uscii, sentii un come on! quasi festoso. Era un soldato neozelandese». Seguirono quattro anni di prigionia. Paura? «Solo per un attimo. Ci mancavano tante cose, ma per me non era un problema perché il mio passatempo preferito è sempre stato dormire”.

Nel 1946 torna in Italia. Così racconta Missoni: “Il nostro campo era il 305 ed era il campo dei co-belligeranti e fu l'ultimo ad essere smobilitato. La guerra era già finita da tempo, ma all'epoca non c'erano le crociere Costa, man mano gli inglesi ci imbarcavano dall'Australia, dal Sudafrica, dall'India. A noi per ultimi”.

Alle Olimpiadi del '48 a Londra, dopo cinque anni di inattività sportiva, riesce a superare brillantemente le eliminatorie nei 400 ostacoli, e arriva in finale, dove inciampa e finisce ultimo.

Gianni Brera in un pezzo memorabile così lo descrisse: “Io lo guardavo correre ogni volta più incredulo a tanta bellezza. La sua falcata era esemplare, armoniosa, elegante e perfino possente...E mi insegnava a giudicarne un passo (pendolare, circolare, tacco e pianta finlandese, a linee incrociate ecc.), a valutarne la coordinazione, il sincronismo con le braccia. Lo ammiravo abbastanza per non invidiarlo e sparlarne come quasi tutti...Quando voglio confonderlo, lo ricordo come ectoplasma del grande, grandissimo atleta che sarebbe stato se a vent’anni non l’avesse fermato la guerra, restituendolo vecchio e logoro a noi” (Gianni Brera, La bocca del leone, L’arcimatto II 1967-1973, Baldini & Castoldi, 1995).

Missoni è stato azzurro 22 volte, la prima nel '37, l'ultima nel '53. Non tutti sanno che il conte Ottavio – come lo chiamava Brera - è tuttora campione mandiale di diverse discipline over 80. “Sono stato campione italiano dei 50 dorso: over 80, si capisce”, oltre che campione europeo over 85 nel lancio del giavellotto". Il conte Ottavio – alla domanda del giornalista della Gazzetta dello sport (27.3.2009) - Dal sesto posto nella finale dei 400 ostacoli alle Olimpiadi di Londra, nel 1948, a questa allegria attempata, che filo c'è? “Mah. Venivo da quattro anni di prigionia in Egitto, senza una gara da 21 a 26 anni, e feci la finale: un miracolo. Allora però le corsie erano solo sei, mio padre mi chiamò e mi disse: sei arrivato ultimo. Allora le Olimpiadi erano una festa. Io correvo, mi divertivo. Mica la gigantesca rottura di coglioni di oggi, con troppe discipline: l'hockey su prato, il tiro con l'arco, la carabina, ma dài. E il sollevamento pesi per le donne, che orrore”.

Non possiamo che chiudere con Gianni Brera: “Ciascuno sta solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole e confortato da uno o più paladini degni di entrare nel suo epos. Ora nel mio epos figura Ottavio Missoni. Ottavio ha perso due Olimpiadi a causa della guerra. Quando è potuto rientrare dalla prigionia, ha portato il proprio ectoplasma alla finale dei 400 ostacoli nell’Olimpiade londinese (1948)...(Gianni Brera, Il club del giovedì, Aragno Editore, 2006).

Grandissimo Ottavio Missoni, aspettiamo la medaglia d’oro alle prossime Olimpiadi over 90!

giovedì 9 febbraio 2012

Taxi, rendite e concorrenza: lo sapevate che la tariffa notturna parte dalle 21.00?

L'obiettivo ultimo di ogni liberalizzazione è l'eliminazione delle rendite associate a una regolazione ingiustificatamente restrittiva.

Con un sindaco di Roma come Alemanno, soprannominato da Gramellini Gianni Sciolina, di cui abbiamo già raccontato le gesta eroiche durante la nevicata romana - che anni fa era davanti al Colosseo insieme ai taxisti a bloccare la città di Roma, le speranze di liberalizzare il servizio dei taxi in Italia è certamente minima.

Tempo fa Massimo Giannini di Repubblica ha scritto: “Si scopre che, tra picchiatori fascisti, veline e famigli dei famigli, Alemanno ha fatto entrare all'Atac (Agenzia del trasporto autoferrotranviario del Comune di Roma, ndr) anche «Zara33», al secolo Giuliano Falcioni, ex tassista che guidò la rivolta violenta contro la liberalizzazione delle licenze. Scena disgustosa. È la destra italiana, bellezza: «moderata e liberale»".

Ma Mario Monti fa bene a non desistere ed andare avanti. Se non sconfiggiamo le rendite non andiamo da nessuna parte. Vale quanto detto da Francesco Giavazzi in Lobby d’Italia (Rizzoli BUR, 2005): “Questo nostro Paese assomiglia a un bellissimo Meccano. Purtroppo è montato male. Ci sono qua e là negli ingranaggi dei sassi che ne bloccano i movimenti; il risultato è che il Meccano brilla ma non si muove e se cerchi di spingerlo si capovolge. Non c’è altro da fare che smontarlo, e poi rimontarlo pezzo per pezzo”.

Un lettore di Repubblica-Milano, Nicola Cassano, ha scritto una lettera molto interessante che riporto pari-pari: “Vorrei aggiungere qualche riflessione:

a) “I taxisti sono padroni o dipendenti? Se sono padroni contro chi scioperano: contro di loro o contro lo Stato?

b) Licenze: quale è l’organo che le ha concesse Stato Regione Provincia Comune? Hanno avuto un costo iniziale o sono state date a titolo grauito in quanto “concessioni per un pubblico servizio”? L’interruzione di “pubblico servizio” è un reato oppure no?

c) Il commercio di licenze è regolamentato o è una invenzione della categoria? E’ fatto con un atto pubblico o basta un pezzo di carta fra le parti?”

L’anno scorso sul Corriere della Sera, uno spassosissimo Aldo Cazzullo – Salviamo i taxisti dal mal di rendita – raccontava: “Il mostruoso (+54% per i primi cinque chilometri) aumento delle tariffe dei taxi di Roma è una notizia che va oltre la questione specifica. È specchio di tre tendenze molto diffuse nel Paese, tutte preoccupanti. I trasporti, a Roma ma non soltanto, non sono considerati un servizio, bensì una rendita. E il passeggero, turista o residente che sia, non è un cliente o un utente; è un pollo da spennare, o una seccatura da evitare. Accade, arrivando a Fiumicino o a Ciampino, di sentirsi chiedere da un tizio: «’Ndo va?». Non vuol sapere dove andate. Vuol sapere se siete italiani o stranieri. Se la risposta è «what?», il taxi sarà subito pronto, magari per avventurarsi lungo il Grande raccordo anulare. Se rispondete «vado in centro» o «sono affari miei» , trovare un’auto disposta a caricarvi e a portarvi a destinazione sarà un’impresa”.

Valgono le considerazioni di Giavazzi: “E’ il trasferimento di ricchezza dal settore produttivo dell’economia a chi vive di rendita che sta affossando l’industria italiana”.

A Milano la tariffa notturna di 6,20 Euro appena si sale sul taxi parte dalle 21.00. Ma a Milano città europea la notte inizia all'ora in cui si va a cena?

Forza Monti, #dajeMario, sulle liberalizzazioni ci aspettiamo di più.

martedì 7 febbraio 2012

#CrackAlehman, la neve, Andreatta e il ruolo della manutenzione nel sistema economico

Sono bastati pochi centimetri di neve per bloccare Roma e tutto il centro-Italia. Il sindaco Alemanno in televisione faceva una pena! Non sapeva proprio come difendersi dalle giuste critiche per un sindaco che si è dimostrato incompetente, superficiale, inetto. La colpa - un classico italiano - è sempre di qualcun altro. Bene hanno fatto su twitter a diffondere l’hashtag #CrackAlehman.

Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli ieri ha twittato: “Il livello di manutenzione segnale il grado di civiltà di un Paese. Amaro e gelido febbraio”.

E’ chiaro che la cattiva gestione della manutenzione ordinaria trasforma una normale emergenza in una straordinaria. Faccio notare che ha nevicato venerdì scorso e oggi - martedì - a Roma le scuole sono chiuse. No comment.

Beniamino Andreatta
Nel novembre scorso il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napolitano scrisse un articolo - I ragazzi di Monterosso e la sentenza di Andreatta - molto interessante, partendo dal ricordo di Beniamino Andreatta.

"Purtroppo non è solo colpa della violenza della natura. Mi torna davanti agli occhi una scena di molti anni fa. Piazza di Sant'Andrea della Valle a Roma, civico 6, sede dell'Arel, un palazzone con molto travertino bianco. Ricordo due gambe accavallate, lo scatto in piedi, e una domanda retorica che aveva la forza di una sentenza: «Lo vuole capire o no che i problemi dell'economia sono essenzialmente problemi di manutenzione?». A emettere la sentenza era Nino Andreatta, un democristiano anomalo che non c'è più e ha dato molto a questo Paese, si riferiva all'acqua e al Mezzogiorno. Aveva ragione lui, la sentenza vale oggi anche per Monterosso e le mille bombe a orologeria che attraversano il territorio italiano. Nella manutenzione mancata di grandi e (soprattutto) piccole cose di ogni giorno c'è la metafora etica di un Paese e riguarda tutti".

Qualche settimana fa – 12 gennaio 2012 - Beppe Severgnini sulle pagine del Financial Times "Italy’s recurring tragedy The quest for «bella figura»" ha toccato il tema della manutenzione. Ecco il passaggio che mi interessa:

Once again, an Italian fell into the trap of “la bella figura” - this time, with tragic consequences. La bella figura, the beautiful figure: only in Italian does there exist an expression like this. It means making “a good impression”, in an aesthetic sense. Too often, both in public and private, we confuse what is beautiful with what is good; aesthetic appreciation sweeps ethics aside. Leo Longanesi - a perceptive Italian columnist, our H.L. Mencken - once wrote: “Gli italiani preferiscono l’inaugurazione alla manutenzione”- Italians prefer openings to maintenance. There is a lot of truth in this. It’s not a verdict, but a warning.

Pensiamoci. Quante volte abbiamo visto i politici alle inagurazioni? Quante volte l’infrastruttura è diventata una cattedrale nel deserto?

Ho cercato su google e ho subito trovato una notizia recente: “Palermo-Messina, l’autostrada degli incidenti, da rifare dopo 7 anni :

PALERMO – Un’opera da 4 miliardi e mezzo finita nel nulla: è l’autostrada Palermo-Messina, inaugurata nel 2004 alla presenza dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dell’allora governatore Totò Cuffaro, e dopo sette anni già da rifare.


Due gallerie dell’autostrada stanno per crollare, secondo le stime del perito della Procura di Patti riportate dalla Stampa: “Possibilità di distacco del rivestimento di circa il 70 per cento entro la prossima primavera”, avverte la relazione, per “colpa” della pioggia.


I due tunnel “Tindari” e “Capo d’Orlando” sono stati posti sotto sequestro, mentre la Procura ha inviato otto avvisi di garanzia per attentato alla sicurezza stradale ad altrettanti ex commissari straordinari e tecnici del Cas, il Consorzio per le autostrade siciliane".

Eh beh, tiriamoci su, #CrackAlehman ha appena detto che domani - mercoledì - le scuole potranno riaprire.

giovedì 2 febbraio 2012

Lady Thatcher. Una donna che ha cambiato la storia

Sono andato pochi giorni fa a vedere The Iron Lady, il film dedicato a Margaret Thatcher, interpretata dalla fantastica Meryl Streep. Colgo quindi l’occasione per parlare di lei.

Ma chi è Margaret Thatcher?

Margaret Thatcher nata Roberts, Baronessa Thatcher di Kesteven, (Grantham, 13 ottobre 1925) è una politica britannica. È stata primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, vincendo tre elezioni consecutive (1979-83, 1983-87, 87-90); è la prima e a tutt'oggi unica donna nel Regno Unito ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro. Dal 1975 al 1990 è stata inoltre leader del partito conservatore inglese.

Nel 1959 fu eletta alla Camera dei Comuni. Dopo la vittoria dei conservatori nel 1970, che portò Edward Heath alla carica di Primo ministro, Margaret Thatcher divenne Ministro dell'Istruzione. Dopo la sconfitta alle elezioni nel 1974 decise di candidarsi per la leadership del partito e nel febbraio 1975 divenne leader del Partito Conservatore, la prima donna a ricoprire tale carica (fonte: Wikipedia)

Nel 1976 tenne un famoso discorso in cui attaccava duramente l'Unione Sovietica (URSS); un giornale russo, come risposta, la chiamò Lady di ferro, soprannome che divenne poi associato alla sua immagine. Il tutto derivò dal primo incontro quando la Thatcher si presentò così al Presidente Breznev: “Buongiorno. Io odio il comunismo! Però se a lei piace può tenerselo, purchè resti dentro i confini del suo paese”.

In quello stesso anno il governo laburista di James Callaghan si trovò in grave difficoltà a causa di scioperi, crescente disoccupazione e collasso dei servizi pubblici; i conservatori sfruttarono a loro vantaggio la situazione ed alle elezioni del 1979 ottennero la maggioranza alla Camera dei Comuni: Margaret Thatcher divenne Primo ministro. Arrivando a Downing Street – residenza del Primo Ministro britannico - disse, parafrasando San Francesco d'Assisi:

« Dove c'è discordia, che si possa portare armonia. Dove c'è errore, che si porti la verità. Dove c'è dubbio, si porti la fede. E dove c'è disperazione, che si possa portare la speranza. »

Da Primo Ministro s'impegnò per rovesciare il declino economico che interessava il Regno Unito ormai da qualche decennio e per restituire al Paese un importante ruolo nel panorama internazionale.

Che sia amata o disprezzata, la sua è stata innanzitutto un’esperienza filosofica straordinaria, una rivoluzione culturale prima che economica. La Thatcher ha cambiato il corso della storia britannica perché ha saputo trasformare le idee in realtà, sino alle loro estreme conseguenze. È stata non la fantasia al potere ma il potere delle idee, la trasformazione delle idee in realtà e dunque la trasformazione della realtà stessa.

C’è un passaggio del film dove la Thatcher dice: “Non contano le sensazioni, contano le idee, i contenuti. Le parole devono diventare azioni”.

Ma nel film cosa sia stato il thatcherismo affiora appena.

Come ha sostenuto l’ex Ministro del Bilancio (nel 1994) Giancarlo Pagliarini (detto “Il Paglia” ):Negli anni 70 la Gran Bretagna era tecnicamente fallita. Si era ridotta nella situazione di dover chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale, come un paese africano in via di sviluppo La Thatcher adotta una terapia d’urto che all’inizio sembra addirittura destinata a generare una guerra civile. Ma lavorando con irruenza, testardaggine, grande coraggio, onestà e serietà riesce a fare due autentici miracoli: lo strapotere sindacale viene piegato e la destra, sull’onda degli eventi, è costretta (per fortuna dico io) a cambiare pelle, prassi e cultura.

Fino ad allora quello dei Conservatori era un partito che difendeva privilegi e, se vogliamo chiamarli così, i “poteri forti”. La Thatcher riesce a trasformarlo in un partito liberale, lungimirante e dinamico. Le aziende inefficienti e fino ad allora “aiutate” non hanno avuto scelta: o investivano e diventavano competitive o chiudevano. Concorrenza durissima a tutti i livelli".

M. Thatcher ha sempre lavorato, con successo, per un processo di deregulation e di riscoperta dell’iniziativa privata contro i guasti dello statalismo e del garantismo infinito”.

Nel 1981 un numero di appartenenti all'IRA - che defininirei senza esitazione terroristi - iniziò lo sciopero della fame per riottenere lo status di prigionieri politici toltogli dal precedente Governo; Margaret Thatcher non cedette alle loro richieste e 10 di essi morirono di fame, primo dei quali Bobby Sands.

Dal 1984 Thatcher si impegnò nell'affrontare il potere dei sindacati; il confronto raggiunse il suo culmine quando il sindacato dei minatori dichiarò lo sciopero ad oltranza per opporsi alla chiusura di diverse miniere. In alcuni casi gli scioperanti fecero azioni di picchettaggio, che la Thatcher non esitò a contrastare. Dopo un anno, il sindacato fu costretto a cedere senza condizioni. Margaret Thatcher aveva vinto la sua lotta contro le Trade unions.

In relazione a sindacati e privatizzazioni, è opportuno citare l’economista d’impresa Marco Vitale che ha scritto 22 anni fa (Il Sole 24 Ore, 23.11.1990 – Europa in piedi, esce la Lady): “Nel momento in cui la signora Thatcher lascia il suo incarico, sento il bisogno di esprimerle la mia profonda riconoscenza perche' ha liberato il suo Paese, parte importante della nostra grande Europa, da un sindacalismo becero, ignorante e irresponsabile, supportato da leggi che davano alla Trade Union un potere distruttivo.

Perche' ha fatto le privatizzazioni sul serio e ci ha insegnato come farle (anche se, ahinoi, non abbiamo imparato nulla)”.

Nell'ottobre 1984 uscì illesa da un attentato degli estremisti repubblicani irlandesi dell'IRA contro la sede del Grand Hotel di Brighton mentre era in corso un congresso del partito; l'attentato fece comunque 5 morti.

In politica estera accentuò la sua ostilità nei confronti dell'Europa, opponendosi fermamente al progetto di creare l'Unione europea e soprattutto alla possibilità di creare una moneta unica.

Bettino Craxi
Storico fu lo scontro con il nostro Primo Ministro Bettino Craxi in occasione del Consiglio Europeo di Milano - nella cornice del Castello Sforzesco - del 28-9 giugno 1985. La Gran Bretagna guidata da Margaret Thatcher era contraria a qualsiasi riforma dei Trattati e si oppose duramente – inutilmente – alla convocazione di una Conferenza Intergovernativa che avrebbe fissato le tappe successive della costruzione europea.

Craxi riuscì abilmente – con una maggioranza di 7 a 3 (contrari Gran Bretagna, Grecia e Danimarca) a guadagnare il consenso necessario.

Va detto – Vitale cit. – che la Thatcher “e' stata antesignana e guida del processo di liberalizzazione valutaria, senza la quale non ci poteva essere ne' l'Atto Unico (1986) ne' la formidabile accelerazione del processo di integrazione europea”.


Meryl Streep
Meryl Streep si supera quando la Thatcher lascia 10 Downing Street – dopo undici anni e mezzo (22 novembre 1990). Con le lacrime agli occhi e affiancata dal marito (nel film il bravissimo attore Jim Broadbent), apre la porta di casa e affronta la marea dei giornalisti e i flash dei fotografi.

Inciso. Senza la Thatcher, Tony Blair non sarebbe mai diventato Primo Ministro.

L’Italia con il Governo Monti sta cercando di fare nel 2012 le riforme di liberalizzazione dell’economia che Lady Thatcher ha realizzato 30 anni fa. The Economist  ha di recente scritto: "Mario Monti, Italy’s prime minister, is set fair to become his country’s Margaret Thatcher. But who will play the role of the miners, whose strike represented the most serious challenge to the Iron Lady’s free-market reforms?"

Certamente la Thatcher non avrebbe mai pianto in conferenza stampa, ma il Ministro Fornero ha riformato il sistema previdenziale con determinazione e competenza. Lady Iron avrebbe apprezzato.