venerdì 25 novembre 2016

Chi alleva cani da combattimento danneggia se stesso e gli altri

Ogni anno in Italia sono ben 70 mila le aggressioni di cani a danno dell’uomo. Quindi c’è poco da sorprendersi, purtroppo, se a metà agosto due cani di razza dogo argentino hanno attaccato il piccolo Giorgio Crisafulli in località Mascalucia, in provincia di Catania.

La madre Stefania, indagata per omicidio colposo, così racconta: “Avevo il bambino in mano quando uno dei cani, il maschio, l’unico libero in giardino, all’improvviso ha aggredito il piccolo cercando di portarmelo via. L’ho difeso, ho combattuto, ma mi ha trascinata”. I due cani erano lì teoricamente per difendere la famiglia. Quando il veterinario, dott. Macrì, è arrivato alla villa il bimbo era già morto perchè addentato al collo. Il suo racconto è terribile: “Quando siamo arrivati sul posto, i due cani erano eccitati e aggressivi, siringhe di xilazina non sono bastati a calmarli. Gli occhi esaltati, il muso e il pelo bianco insozzati di sangue, schizzi per terra e sui muri; ma soprattutto ci hanno turbato le scarpette del bimbo che nessuno potrà mai più rimettere in ordine”.

Il 30 ottobre scorso un 43enne è stato attaccato con violenza da 4 rottweiler che gli hanno azzannato entrambi gli arti inferiori. I medici sono stati costretti ad amputare.

A Pescara poco tempo fa un bambino di 19 mesi, Ferdinando Di Di Rocco, 19 mesi, è sttao sbranato dal cane - corso il cui nome deriva dal latino cohors, scorta, un molosso da difesa- di famiglia che il padre aveva legato con una catena a un albero vicino a casa.

Fortunamente su 7 milioni cani in Italia, sono una minoranza quelli pericolosi. Ma spesso, in giro per la città, si vedono dei cani aggressivi senza guinzaglio e senza museruola. Come solitamente avviene le norme non vengono rispettate. Peraltro le disposizioni sono poco chiare. Nel 2003 l’allora ministro della Sanità Girolamo Sirchia emanò saggiamente un’ordinanza per la “tutela dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressioni di cani potenzialmente pericolosi”. Al contempo venne stilato un elenco di razze canine a rischio aggressività, tra cui american bulldog, dogo argentino, pastore dell’Anatolia, pit bull rottweiler.

Ma nel 2009, il sottosegretario alla Salute Francesca Martini – ahinoi – abolì l’elenco e annunziò un patentino per proprietari che non è stato mai istituito. Alcuni cani sono vere e proprie macchine da guerra. E’ preoccupante non obbligare i proprietari dei cani – in alcuni casi veri e propri invasati – a tutelare l’incolumità delle persone. Quando un bimbo viene azzannato tutti a chiedersi come mai. Agiamo prima, che è meglio. Cosa aspetta il ministro della Beatrice Lorenzin (unico caso al mondo di ministro della Sanità non laureato) ad prendere gli opportuni provvedimenti?

venerdì 18 novembre 2016

Il welfare italiano è disegnato per un mondo che non esiste più #Cnpds #Boeri

Milano è una città straordinaria. Gli eventi e gli incontri culturali si susseguono a ritmo serrato. E' difficile partecipare a tutti, ma alcuni dibattiti meritano di essere raccontati per intero. La giornata che vi voglio raccontare si è svolta lo scorso 4 novembre - organizzata dalla Fondazione Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale (CNPDS). Titolo del convegno: "Sistemi di protezione sociale e universalità di diritti nei sistemi di welfare".

Il CNPDS è nato nel 1948 grazie all'energia e alla forza intellettuale e di pensiero di Adolfo Beria di Argentine, magistrato formidabile, con una capacità di lavoro difficilmente eguagliabile. La figlia di Beria, Camilla, ha preso il testimone e sta svolgendo un lavoro egregio a beneficio della cittadinanza.

Dopo il benvenuto del prof. Adolfo Ceretti e un breve indirizzo di saluto del sempiterno Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, la parola è stata data al prof. David Garland, che insegna sia Legge che Sociologia a New York University (di cui vi consiglio il volume Welfare State. A very short introduction, Oxford University press). Garland puntualizza in partenza che è necessario specificare cosa significa welfare state. Ci sono molte distorsioni già a livello definitorio. Possiamo avere diverse concezioni: 

1. Welfare for the poors, social assistance, safety net. Narrow definition.

2. Entitlement program: education,  pensioni.

3. Programmi governativi ampi per inclusione sociale, crescita economica, riduzione disoccupazione. Questa è la visione ampia.  

Il welfare è la forma moderna di un capitalismo che ponendo freni e limiti può ritrovare legittimazione sociale. La distruzione creativa esiste, soprattutto in sistemi economici concorrenziali. Capitalismo produce pesanti "side effects".

"Capitalism is a self destruction system". Paradossalmente, se vuole sopravvivere, il sistema deve sostenere i costi degli impatti sociali della distruzione creativa, del "boom and bust",  della naturale tendenza del capitalismo ad essere instabile (qui bisognerebbe rifarsi al bel volume di Pierluigi Ciocca, La banca che ci manca, Donzelli, 2015).

I "welfare state programs" non sono alternativi al capitalismo e non potranno mai eliminare l'esclusione sociale e la povertà, bensì ridurle. E come le imprese falliscono, le imprese chiudono, anche il welfare può non essere perfetto, visto che la società cambia. In US e UK negli anni Settanta i sistemi di welfare state sono stati messi sotto accusa, di interferire con l'economia di mercato.
Si è dimenticato che il successo del mercato era dovuto anche al welfare state. Si è passati al welfare con benefit condizionati (vedi il bel film di Ken Loach, Io ,Daniel Blake).


Nonostante siano in tanti ad aver messo in discussione il welfare, in tutto il mondo, vedasi il "combined generosity index", le somme date in benefit nelle aree di forte disoccupazione convergono negli ultimi decenni.

William Beveridge e il New Deal prevedevano più persone negli schemi di disoccupazione che fuori. Oggi è diverso. Sono da aiutare di più coloro che sono fuori dal sistema (gli outsider), che sono disoccupati da molto tempo, e per lo più senza competenze distintive, ossia "unskilled". Per non parlare dei "working poors.", ossia di coloro che lavorano ma non guadagnano a sufficienza per una vita dignitosa.  

Insicurezza del part time o del lavoro precario, single parent family, minori, immigrants sono i nuovi obiettivi del welfare.
Così come è da valutare la solvibilità del sistema pensionistico. In Italia con l'introduzione negli anni Sessanta (che disgraziati!) del sistema retributivo (sussidi anche ai ricchi!!!), quando era in vigore il più corretto sistema contributivo, è stato l'inizio della fine.

Il keynote speaker Tito Boeri, presidente dell'Inps (prima c'era l'orripilante Mastrapasqua, l'uomo dei 100 incarichi, compresa la direzione di un ospedale (sic!) ve lo ricordate?), che sta dando tutto se stesso per riformare un carrozzone pubblico come l'INPS, con la ferma opposizione - bien sur - di sindacalisti e nullafacenti. Il mio appoggio a Tito Boeri è incondizionato. Vada avanti spedito.

Tito Boeri
Boeri ha preparato delle slides e le scorre velocemente. Eccone una sintesi.
Eichengreen e O'Rourke, dimostrano che per l'Italia la Grande Recessione (2008-2014) è stata la crisi più forte e dura della Grande Depressione. Per la Germania non è stato così. Interessante la slide con la foto di uomini eleganti in fila a Battery Park che nei primi anni '30 chiedono un piatto di minestra. Oggi i sistemi di protezione sociale hanno ridotto questi bisogni. 

Funzioni stato sociale:

- ridurre la povertà (più che le disuguaglianze);
- Proteggere contro rischio di mercato non assicurabile;
- Promuovere la partecipazione al mercato del lavoro.

 In questi anni la distribuzione del reddito non è mutata, è aumentata la povertà,  ma non le disuguaglianze. Le famiglie  in povertà assoluta sono salite nelle diverse fasce di età, tranne il capofamiglia ha più di 65 anni. In Italia sistema protezione aiuta chi ha più di 65 anni. Problema serio.  Poveri assoluti 2015 sono 4,6 milioni (7,6%), in grave deprivazione materiale 2015, 7 milioni 11,5%.
 
E' stato eseguito uno stress test (come per le banche) dei sistemi di protezione sociale. Nel sud Europa è sufficiente un calo del PIL dello 0,5% (succede spesso) per aumentare gli indici di povertà. Non così nel nord Europa. 

Cosa rileva? 1. Ruolo di istituzioni mercato del lavoro, dualismo contrattuale; 2. supporto a chi perde il lavoro. Accesso ai sussidi e formazione. Bisogna lavorare sull'employability.

Dove c'è più dualismo contrattuale c'è maggiore elasticità della disoccupazione al calo del PIL (tipicamente i giovani). Il profilo di vulnerabilità alle recessione è simile nei paesi del nord e del sud.

Nel sud Europa sempre più disoccupati non coperti da tutele. Italia come è noto spende poco per le tutele disoccupazione.  

Conclusioni:

1. Non è solo il dualismo del mercato del lavoro che crea aumento povertà 

2. Manca rete di protezione sociale

3. Molta selettività (categoriale) spesso arbitraria, poco universali smontare

4. L'universalismo selettivo può essere basato su parametri oggettivi (Isee, e non santi in paradiso). No reddito di cittadinanza,  ossia a tutti. Non è fattibile. Aiutare chi ha davvero bisogno, come I minori in stato di povertà.

5. Migliorerebbe anche rapporto tra cittadini e PA.

Una domanda rimane insoluta: come riformare il sistema pensionistico in un Paese con la piramide demografica rovesciata? La decisione del 1966 di cambiare il sistema pensionistico da contributivo a retributivo proprio quando le nascite iniziavano a declinare è stata una delle decisioni peggiori prese dalla classe politica italiana.

venerdì 11 novembre 2016

In un Paese immobile come l'Italia, votare SI' al referendum per velocizzare il processo legislativo ha veramente senso

Nel suo intervento del 9 novembre all'Università Bocconi, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha definito l'Italia un Paese immobile. Noi in passato l'abbiamo considerato una palude (come quella di Michele Strogoff). L'ex capo economista del fondo Monetario internazionale Olivier Blanchard ci ha definito "in stato vegetativo".
Tra le cause di questo lento declino italiano - che parte alla fine degli anni Ottanta - un ruolo significativo ha giocato l'incapacità del sistema politico di adeguarsi alla 1) globalizzazione; 2) demografia; 3) innovazione tecnologica.

Sono numerosissime le analisi italiane (Sabino Cassese, per esempio) e internazionali (Acemoglu/RobinsonWhy Nation fail, uno su tutte) che certificano come il basso rendimento (eufemismo) delle istituzioni italiani è una delle cause (e non l’ultima) del declino ormai venticinquennale dell’Italia. Consiglio la lettura di Storia Economica d’Italia di Emanuele Felice (Il Mulino, 2015) che spiega come la storia dei cicli di crescita/decrescita italiana sia strettamente legata al modello inclusivo e/o estrattivo. Siccome l’Italia ha nel suo Dna dei forti geni corporativi – invece di averne a favore della concorrenza e della competition  - eccoci qua con una crisi strutturale (per ulteriori approfondimenti consiglio di leggere Hernando de Soto, Il mistero del capitale. Perché il capitalismo ha trionfato in Occidente e ha fallito nel resto del mondo (Milano, Garzanti, 2001)).

Ebbene, siamo chiamati come cittadini il prossimo 4 dicembre a votare per confermare la modifica costituzionale portata avanti dal Parlamento negli ultimi 3 anni. Qual è il principale quesito del referendum? La fine del bicameralismo paritario, ossia il fatto che ogni proposta di legge deve essere votata sia dalla Camera che dal Senato, nella stessa identica formulazione. Spessissimo questi ripetuti passaggi sono oggetto di ricatti, lungaggini, rinvii a babbo morto (sono migliaia i progetti di legge fermi da anni in Parlamento, tra cui anche la legge sulla concorrenza, che giace bloccata da ben 600 giorni).

I governi si basano sulla fiducia di Camera e Senato. Con la modifica costituzionale il Senato non scompare ma cambiano le sue funzioni, per cui la fiducia sarà votata solo dalla Camera. L'esistenza di un processo legislativo farraginoso ha reso breve la storia dei numerosi governi (troppi, ben 73 governi in 60 anni) che si sono succeduti nella storia della Repubblica. Vi ricordate quando cadde il governo Prodi (un gigante) quando non ottenne la fiducia all Senato? Alla Camera Prodi la fiducia ce l'aveva (sia nel 1998 che nel 2008). Tranne che la composizione politica di Camera e Senato è stato sempre diversa (sia per la diversa legge elettorale sia per la differenza nella composizione dell'elettorato attivo).

 

Alcuni, a fronte del dato di fatto che due Camere che fanno la stessa cosa non hanno senso, sostengono che non sia vero che il processo per approvare una legge sia lungo. I dati, invece, sono testardi, e dimostrano che, a meno che sia il governo a farsi promotore di un decreto legge, la norma per essere approvata, con la spola di Camera e Senato, ci mette una vita.  Ci vogliono 247 giorni per l’approvazione di una legge: una media tra tempi molto lunghi per le proposte di iniziativa parlamentare (504 giorni) e tempi ben più rapidi per quelle di iniziativa governativa (180 giorni). Ormai si va avanti solo a decreti legge, il parlamento non riesce a funzionare. Mentre in Turchia e Cina realizzano i ponti (magari con la progettazione italiana), noi siamo ancora qua a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina.
 
Non stiamo parlando di una legge perfetta. Non sarà scritta bene, non sarà il migliore dei mondi possibili, ma ci fa fare passi avanti. Il meglio è nemico del bene. Come ha sostenuto il presidente Giorgio Napolitano, se non dovesse passare il referendum, torneremmo indietro di 30 anni. Addirittura patetico è Silvio Berlusconi - siamo ancora qui ap arlare di lui, dopo i disastri che ha combinato, ahinoi - che invita a votare NO perchè lui sa bene come riformare la Carta costituzionale. Ci provò con D'Alema, che ovviamente è per il NO, insieme con Salvini, Grillo e Gasparri. Un'allegra combriccola.
 
In Italia il tempo non ha valore. Bene ha scritto anni fa Salvatore Rossi - oggi direttore generale della Banca d'Italia in relazione alla giustizia, ma le considerazioni possiamo parafrasarle per il processo legislativo, che è intrinsecamente a-economico, una funzione senza costo e senza tempo, in cui ogni singolo passaggio ha un valore assoluto".
Nella proposta di revisione della Costituzione è prevista una novità importante. Il nuovo articolo 72 prevede il voto a data certa: "Il governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo, sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione". Una norma, non utile, utilissima.
 
Maria Elena Boschi
Mi sono incentrato sul bicameralismo paritario, non affronto il CNEL (un ufficio studi pieno di sindacalisti) e il tema del regionalismo, dove si prevede una razionalizzazione sensata del federalismo. Anche qui i vantaggi del SI sono numerosi.
 
Se siete indecisi, venite a sentire il Ministro delle Riforme Maria Elena Boschi venerdì 18 alle 19 all'Hotel Melià a Milano, via Masaccio 19. Portate un indeciso iscrivendovi qui su doodle.
 
Il mondo va avanti, non fermatevi. Andate al seggio il 4 dicembre e votate SI. 
 


lunedì 7 novembre 2016

La crisi della Banca Popolare di Vicenza è il frutto bacato di un sistema di potere

Due anni fa sono stato invitato dai miei amici di Guanxinet a Valdagno guidati da Maurizio Martini a fare da discussant al volume di Federico Fubini (oggi vicedirettore al Corriere della Sera) La via di Fuga. Il viaggio di Fubini è un viaggio nel tempo, dove le vicende della sua famiglia – con al centro il prozio Renzo Fubini – si intersecano con la crisi greca, e - con la tecnica del flash-back cara al mondo cinematografico – la crisi mondiale degli anni ’30.

In tale occasione conobbi Mario Balbo, una persona che ama ascoltare, distinguendosi rispetto a classico cicaleccio italico. Poche settimane fa Mario mi ha fatto avere un bel volume di Luigi Maistrello "Lo scontro" (prefazione di G.A. Stella, Reverdito editore, 2016), che narra la storia di (don) Bruno Scremin ("il prete ribelle", amico e maestro di Mario Balbo), che si è trovato a scontrarsi negli anni Sessanta/Settanta con il vescovo di Vicenza Mario Zinato ("il principe").

Bruno Scremin è nato povero e ha vissuto in povertà per tutta la fanciullezza. Entrato in seminario (1936-40) comprende fin da subito quale sia il valore principe: l'obbedienza: "E' uno degli aspetti di massima ipocrisia che avrei continuato a incontrare durante tutta la mia vicenda. Per loro l'obbedienza non significava solo negare ogni forma di libertà, a cominciare dalla propria libertà; era ben di più: era un atto di sfiducia verso le persone".

Maistrello, prete dal 1979, attualmente cappellano del carcere di Vicenza, raccoglie pazientemente la testimonianza di Don Bruno: "Si arrivava alla negazione di ogni forma di dialettica. La virtù assoluta era l'obbedienza! Un'obbedienza silenziosa, accettata, subita, voluta, senza dubbi, sempre e solo a senso unico...anche il tenere le mani in tasca...era visto come un gesto pericoloso" (vi ricordate il film "Il nastro bianco" di Michael Haneke?).
Lorenzo Milani
Don Bruno Scremin ricorda Don Lorenzo Milani, messo sotto processo dalle gerarchie vaticane, che non sopportavano la sua franchezza. Secondo Milani - vedasi "L'obbedienza non è più una virtù" - il motivo della discriminazione del povero nasceva dalla sua ignoranza, dal fatto di non conoscere il vocabolario a disposizione del ricco. Anche Don Bruno, quando si legò a Firenze alla Comunità dell'Isolotto, finì accusato: di istigazione a delinquere e turbativa di funzione religiosa del culto cattolico. Fu assolto. Il pubblico ministero era Pierluigi Vigna, che chiese l'assoluzione, dopo l'arringa difensiva di Lelio Basso, leader di PSIUP.

Bruno Scremin prende coscienza che l'obbedienza era usata per altri scopi, per difendere il potere, "un potere che asserviva, si ergeva sui privilegi". Negli anni Cinquanta Vicenza era considerata la "sacrestia d'Italia". In sacrestia veniva deciso tutto, dalle liste elettorali della Democrazia Cristiana alle nomina dei consigli di amministrazione delle banche, dei consorzi, delle azienda pubbliche, delle direzioni sanitarie. Mariano Rumor scalava i vertici della DC nazionale.
Il magnifico romanzo di Goffredo Parise Il prete bello è del 1954. La borghesia vicentina non apprezzò il suo capolavoro. Secondo Scremin i vicentini erano abituati ad avere il "prete di famiglia" devote e silenzioso. Spesso il regno dell'ipocrisia, della falsità, dei sepolcri imbiancati.

Mentre scorrevo le pagine dello "Scontro", mi sembrava di leggere la storia del banchiere Gianni Zonin, che ha costruito negli anni un sistema relazionale così forte (basato sull'obbedienza) da rimandare in lungo la crisi della Banca Popolare di Vicenza, da lui guidata fin dai primi anni Novanta
Me lo immagino Zonin a cena con il vescovo (qui un comunicato della Caritas di Vicenza che celebra un assegno di 50mila euro ricevuto dal vescovo Cesare Nosiglia direttamente dalle mani di Zonin) e qualche magistrato amico della Procura (pronto a evitare di procedere anche in presenza di relazioni ispettive della Banca d'Italia). Un sistema inafferrabile e protetto. Il frutto tardivo della potenza elettorale della Democrazia Cristiana, la "Balena bianca", che in Veneto ha sempre stradominato.


Il vescovo Carlo Zinato (dal 1943 al 1971) usava spostarsi nelle parrocchie della diocesi con una lussuosa Mercedes, dono degli industriali. Ricorda il giudice istruttore Luciano Infelisi, amico dei Caltagirone, che girava con una BMW e radiotelefono, regalatagli dal banchiere Roberto Calvi (secondo la testimonianza al processo della moglie Clara).

Gianni Zonin
Secondo Scremin, "il vescovo non accettava mai i consigli degli altri...era "ontologicamente sordo". Così come Gianni Zonin, che si rifiutava di ascoltare i consigli della Banca d'Italia, che voleva fosse modificato il metodo di calcolo del prezzo della singola azione della Banca (non quotata). Mentre i prezzi delle banche quotate si squagliavano come neve al sole, il prezzo della BPVI cresceva negli anni. E i risparmiatori venivano convinti - ci vuole l'ora di educazione finanziaria obbligatoria nelle scuole -  che una società non quotata è meno rischiosa di una quotata. Rob de matt!
Nel frattempo Zonin - con il fidato parente Samuele Sorato, nominato alla bisogna amministratore delegato - costruiva il sistema delle "operazioni baciate": si finanziava un cliente e in cambio quest'ultimo comprava azioni della Banca. Il tutto senza dedurre l'operazione - illecita - dal patrimonio a fini di Vigilanza della banca. Se si annacqua di proposito il patrimonio dell'istituto di credito, se non si accantona il giusto per i crediti incagliati, se non si svalutano i bad loans (come invitava sempre a fare Luigi Arcuti), se si finanziano operazioni immobiliari senza senso, se non si analizza con serietà il merito di credito, la banca chiude.

Don Bruno Scremin è morto nel 2010, dopo aver curato negli ultimi anni della sua vita i malati terminali di Aids. La sua storia illumina un periodo storico, una logica di potere della Chiesa al servizio di interessi nefasti, che, invece di supportare il territorio - parola abusata -, lo uccidono. Come ha scritto Marco Vitale nel ricordare Ezio Vanoni, "la dottrina sociale della Chiesa è una pratica che la maggior parte della Chiesa ignorerà totalmente, attratta dalle sirene e dalle mode socialistoidi e collettiviste". E dai banchieri incapaci, aggiungo io.

Banca del territorio? Una farsa smascherata.Vi ricordate l'espressione "debitori di riferimento" usata dal banchiere (serissimo) Sergio Siglienti? Ecco, la crisi della BPVI non può essere attribuita solo a Zonin, classico capro espiatorio. Bisogna leggere Goffredo Parise e Luigi Maistrello per capire la vera origine del disastro.