martedì 31 gennaio 2012

Il 2012 si preannuncia un ottimo anno per i mercati azionari

Il grandissimo e mai dimenticato Gianni Brera, assistito dalla Dea Eupalla, un giorno disse - prima di valutare l’andamento del campionato di calcio entrante: “Le previsioni le sbaglia solo chi le fa”.

Quindi mi schiero fin da subito. Il 2012 sarà un anno rialzista per i mercati azionari.

Diversi fattori sono promettenti:
1) andamento dei mercati azionari nel mese di gennaio;
2) politiche monetarie accomodanti;
3) economia americana sta molto meglio di quello che si pensi.

Premettiamo che cos’è il January Effect: “The January effect is a calendar-related anomaly in the financial market where financial security prices increase in the month of January. This creates an opportunity for investors to buy stock for lower prices before January and sell them after their value increases.


Therefore, the main characteristics of the January Effect are an increase in buying securities before the end of the year for a lower price, and selling them in January to generate profit from the price differences” (fonte: wikipedia)

Using S&P 500 monthly averages since Bloomberg data started in 1928, the average price return for all January months is +1.69%. Not surprisingly, this also turns out to be the highest monthly return of all calendar months and compares favourably against the +0.51% for all calendar months. July also stands out as having the second-highest monthly return in our sample (+1.25%) while September (-0.20%) and October (-0.55%) have historically produced negative monthly averages.

La correlazione storica tra i primi giorni del mese di gennaio e la performance dell’anno è statisticamente significativa. E’ empiricamente provato che un mese di gennaio positivo induce probabilisticamente un anno positivo dei mercati azionari.

Sia i primi tre giorni del mese di gennaio che il mese di gennaio, non ancora concluso, ma quasi – con mercati azionari positivi dal 3,70% di New York al +15% (in valuta locale) del mercato brasiliano – sono di buon auspicio.

I paesi emergenti torneranno ad avere ritorni azionari interessanti. Le autorità monetarie – dopo un lungo periodo di restrizione monetaria – hanno visto l’inflazione attesa finalmente in calo e quindi si trovano ad avere una politica monetaria più accomodante.

Il recente Bollettino economico di Banca d’Italia di gennaio dice: “Le spinte inflazionistiche si sono attenuate sia nei principali paesi avanzati sia in quelli emergenti, beneficiando del calo dei corsi delle materie prime. In novembre negli Stati Uniti la dinamica dei prezzi è scesa al 3,4 per cento sui dodici mesi, dal 3,9 raggiunto in settembre; al netto delle componenti energetiche e alimentari, si è collocata al 2,2 per cento (dal 2,0 in settembre). Nel Regno Unito l’inflazione è calata al 4,8 per cento, poco al di sotto del picco raggiunto in settembre (5,2), anche per il venir meno dell’impatto dell’aumento delle imposte indirette; la componente di fondo è scesa al 3,3 per cento. In Giappone la dinamica dei prezzi è divenuta leggermente negativa, sia per l’indice complessivo sia per la componente di fondo”.

Le banche centrali dei principali paesi emergenti, in seguito al deteriorarsi del quadro congiunturale e a fronte dell’attenuarsi delle tensioni sui prezzi, hanno avviato un graduale allentamento delle condizioni monetarie. In Cina le autorità hanno ridotto all’inizio del mese di dicembre i coefficienti di riserva obbligatoria, mentre in Brasile, dopo una prima riduzione nell’estate, la Banca centrale ha nuovamente abbassato i tassi ufficiali di 50 punti base in ottobre e, successivamente, anche in novembre. Per contro, in India, dove l’inflazione è risultata più elevata del previsto e la valuta si è indebolita, in ottobre la Banca centrale ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base.

Un recente intervento di Komal Sri-Kumar – chief global strategist at Trust Company of the West - del 17.1.2012 sul Financial Times è significativo: “Improvement in US labour market conditions should result in a bottom in home price leading finally, to a sustainable growth. That is the signal for investors to boost expectations for corporate earnings and equity prices”.

Sri-Kumar invita l’Amministrazione Obama – nel novembre 2012 avremo le elezioni presidenziali americane - a muoversi: “To achieve this, the administration needs to shift focus from compensating the unemployed to increasing the demand for labour”.

Lo strategist Ed Yardeni sul FT – Rising pace of hiring set spur ‘double recovery’ in US/ 26 gennaio - è dello stesso avviso: “Employment is the key. Since the official start of the latest recovery during July 2009, payroll employment is up only 1,1% significantly lagging behind the average 5,1% of the previous seven recoveries over the same length of time.

Il ragionamento seguente non fa una grinza: “If employment growth increases, the unemployment rate will continue to fall. Consumer confidence should rebound, consumer spending would grow at a faster clip, leading to the second recovery”.

Yardeni chiude le sue riflessioni così: “Non dobbiamo preoccuparci di quanto la crisi europea impatti sulla crescita USA. Io invito tutti a valutare quanto la crescita americana possa aiutare a rendere più soft la recessione europea”.

L'Italia fino a qualche mese fa era il problema. Ora con Mario Monti sulla plancia di comando sembra essere la soluzione. Sperem e #DajeMario (twitter hashtag).

2 commenti:

  1. E'vero con l'arrivo di Mario Monti la posizione dell'Italia sulla scena internazionale sembra essere cambiata, in quanto egli appare una persona talmente limpida e leale da generare una fiducia assoluta! Speriamo scrivo anch'io unendomi al pensiero conclusivo del post di oggi.
    Lucia

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  2. Molto interessante il terzo punto dell'elenco iniziale. Troppo spesso ci viene detto che gli Stati Uniti stanno come noi, o peggio di noi; di certo la crisi si fa sentire ovunque, ma questo viene esagerato per convincere la gente, per mettere dentro la loro testa l'atteggiamento "a bè se vanno male anche in America non siamo solo noi". Invece no. Anche se fosse così, poi, il ragionamento rimarrebbe errato dato che come dice il più grande statista italiano degli ultimo 100 anni (Ciampi) "sta in noi". Detto questo, la situazione economica degli Stati Uniti è migliore di quanto ci viene detto. Basta andare a fondo, approfondire per accorgersi che è cosi.

    "Non dobbiamo preoccuparci di quanto la crisi europea impatti sulla crescita USA. Io invito tutti a valutare quanto la crescita americana possa aiutare a rendere più soft la recessione europea" sono parole molto incoraggianti. Impensabile tutto questo anche solo lo scorso dicembre.

    fp

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