giovedì 26 settembre 2013

Il caso Telecom Italia: l'azionista di minoranza sempre gabbato. Siamo al solito parco buoi

Il controllo di Telecom Italia è passato la Telco - holding controllata da Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali - agli spagnoli di Telefonica.
Non è corretto mettersi a piangere sul fatto che gli stranieri investano in Italia - benvenuti!, ci si dovrebbe meravigliare che ci sia ancora qualche investitore fiducioso sul sistema Italia - ma vale la pena sottolineare che l'operazione è ancora una volta lesiva degli interessi degli azionisti di minoranza, i quali vedono il controllo passare di mano a 1 euro, ma l'azione - dopo un calo pauroso - tratta a poco più della metà, 0,60 euro.

Abbiamo una legge sull'OPA ma i grandi gruppi italiani architettano strutture societarie dirette all'elusione. Non sorprendono le analisi sulla fiducia degli italiani prodotte da Mannheimer che evidenziano come la fiducia nella Borsa in Italia è agli stessi infimi livelli di gradimento dei politici e del Parlamento italiano.

Il 15 marzo 2007 l'economista Luigi Zingales  (oggi consigliere indipendente di Telecom Italia, suo il commento "stupisce che la partecipazione di maggioranza relativa di Telecom venga trasferita a sostanziale vantaggio di pochi, senza alcuna considerazione per la maggioranza degli azionisti", ndr) intervenne a Palazzo Mezzanotte all'assemblea di Assogestioni. Il titolo del suo intervento era: "Frutti senza rischio: la sindrome italiana". Nel paper si sostenne che la bassa partecipazione degli italiani al mercato borsistico poteva essere spiegata dalla mancanza di fiducia nel mercato azionario.
La lack of trust ha una base oggettiva e soggettiva, ma mentre negli altri Paesi la fiducia cresce con la ricchezza, in Italia le persone agiate non hanno alcuna fiducia nei mercati azionari. Certamente, l'operazione Telecom-Telefonica non farà che peggiorare l'indice di fiducia.

Gli azionisti di minoranza sono stati definiti carne da macello, il parco buoi. Lo scrittore Giuseppe Pontiggia, – di cui si consiglia La morte in banca, Mondadori, titolo vagamente indicativo - mirabilmente scrisse – Le sabbie immobili, Mondadori, 2007): “Il parco buoi è formato da quei minuscoli investitori – ovvero la quota più alta degli azionisti - che ha la tendenza perversa a comperare quando la Borsa sale e a vendere quando scende. L’euforia per una ascesa che si spera infinita è pari al panico per una flessione che si teme illimitata. Nessuno è mai diventato ricco in questo modo”.

Investire in Italia è molto complesso. Spesso le società con elevata capitalizzazione - come era Telecom Italia tempo fa, ora capitalizza circa solo circa 11 miliardi di euro sono dei pessimi investimenti.
Sempre Pontiggia scrisse: “Una peculiarità che differenzia i professionisti dal parco buoi è il rifiuto del verbo giocare. “In Borsa non si gioca”, mi disse una volta uno di loro, con aria assorta. “Si opera”. Verbo indubbiamente dotato di maggiore dignità, anche se non esente da connotazioni cliniche e chirurgiche. Si potrebbe dire che la differenza linguistica tra operare in Borsa e giocare in Borsa segna il discrimine tra due mondi: quello dei professionisti e quello di coloro che perdono”. 

Amarissimo il commento di Alessandro Penati, che da anni illumina con i suoi commenti le vicende tristi del capitalismo italiano: "È il fallimento di Italia S. p. a. Inutile scatenare la caccia ai colpevoli. Lo sono tutti: governi e ministri, banchieri, imprenditori nobilie meno nobili, sindacati. Ci vorrebbe una Norimberga per i crimini contro il capitalismo in Italia: ma forse l'Europa e i mercati ci stanno già giudicando".

P.S: mentre scriviamo è arrivato questo lancio di agenzia da Radiocor *ITALY TREASURY STUDYING TAKEOVER LAW CHANGES*. Vuoi vedere che Telefonica deve lanciare l'OPA su Telecom Italia?

martedì 24 settembre 2013

Altro che giudice ragazzino! Rosario Livatino magistrato coi fiocchi

Il 21 settembre 1990 il giovane magistrato Rosario Livatino, 38 anni, sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento, viene ammazzato dalla mafia. Il 21 settembre di 23 anni fa, mentre percorre senza scorta la SS 640 Agrigento-Caltanissetta a bordo della sua Ford Fiesta rossa, sicari mafiosi speronano l'auto, lo inseguono mentre cerca di scappare, per poi finirlo spietatamente.

Grazie a un testimone - Pietro Nava, milanese di Sesto San Giovanni, costretto a vivere blindato in una località segreta - gli esecutori del delitto furono condannati. 

E' opportuno ricordare quanto disse il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga - esempio massimo della gerontocrazia italiana - riguardo a Livatino: "Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perchè ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga". 

Dopo questa sbalorditiva affermazione, il giudice Livatino verrà ricordato come il giudice ragazzino, titolo del pregevole libro di Nando Dalla Chiesa.

I dati OCSE presentati sono incontrovertibili. In Italia, un giovane che non abbia un genitore almeno diplomato ha il 10% delle possibilità di laurearsi, contro il 35% della Francia e oltre il 40% della Gran Bretagna. Circa il 70% dei ragazzi che hanno i migliori risultati provengono da famiglie agiate. In Italia il 44% degli architetti è figlio di architetti, il 42% dei laureati in giurisprudenza è figlio di laureati in giurisprudenza. 

Lo scrittore Gianni Biondillo spassosamente racconta: “Proprio quell’estate del 1984 lessi un’intervista a Vittorio Gregotti su un quotidiano nazionale. Il giornalista chiese un consiglio da dare ai giovani che si accingevano ad iscriversi ad architettura. Gregotti rispose, lapidario: “Consiglio loro di scegliersi genitori ricchi”.

Sebastiano Vassalli , nel suo romanzo “Marco e Mattio”, ambientato nel Veneto nel 1775, scrive: “Suo padre, Marco Lovat, era lo scarpèr cioè il calzolaio di Casal, e il destino del figlio primogenito era quello di fare lo scarpèr, anche se avrebbe preferito continuare a studiare per diventare dottore: la vita, a Zoldo, non permetteva quel genere di cambiamenti e chi nasceva oste doveva fare l’oste, chi nasceva scarpèr doveva fare lo scarpèr; altre alternative non c’erano!”. Ogni tanto sembra che in questo Paese siamo rimasti a fine ‘700.

Antonio Schizzerotto - professore focalizzato sullo studio delle disparità inter/intragenerazionali - sottolinea come le persone nate tra la prima metà degli Anni 60 e la fine degli Anni '70 costituiscono le prime due generazioni di italiani che non sono riuscite, come invece era sempre accaduto nel corso del Novecento, a migliorare le proprie aspettative di vita rispetto a quelle dei rispettivi genitori.

Chiudo con la visione del giudice espressa dal mite Rosario Livatino - tratta dalla relazione "Il ruolo del giudice nella società che cambia" (7.4.1984):
« Il Giudice deve offrire di sé stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile; l’immagine di un uomo capace di condannare ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società: questo e solo questo è il Giudice di ogni tempo. Se egli rimarrà sempre libero ed indipendente si mostrerà degno della sua funzione, se si manterrà integro ed imparziale non tradirà mai il suo mandato ». 

P.S.: si consiglia la lettura di:
- Il giudice ragazzino, Nando Dalla Chiesa, Einaudi, 1992
L'avventura di un uomo tranquillo, Pietro Calderoni, Rizzoli, 1995
- "Vite ineguali", Antonio Schizzerotto, Il Mulino, 2002
- www.livatino.it

venerdì 13 settembre 2013

La sfida Italia-Spagna - attraverso lo spread - prosegue e fa bene al Belpaese

La stampa nazionale ha dato molto risalto nei giorni scorso al fatto che la Spagna ha superato l'Italia nella gara dello spread contro il Bund a 10 anni.  BTP decennali dal 20 agosto hanno visto il rendimento salire dal 4,36% al 4,53% mentre quello dei Bonos a dieci anni è sceso dal 4,53% al 4,49%.

Nel corso degli ultimi anni lo spread BTP-Bonos ha avuto un percorso altalenante. Dopo il disastro di credibilità del Governo Berlusconi, lo spread Italia-Spagna ha iniziato ad allargarsi a favore degli iberici. Siccome lo spread verso il Bund tedesco è un indice sintetico di credibilità - vedi mio post lo spread Btp-Bund - il Governo Monti, percepito molto reliable dagli investitori, è riuscito a far rientrare lo spread BTP-Bonos a nostro favore.
Poi gradualmente la Spagna ha ridotto lo spread verso di noi fino a superarci.

La sfida Italia-Spagna è avvincente ed è molto positiva. La competizione migliora i contendenti. Abbiamo uno sparring partner nel Sud Europa che ci stimola a fare meglio e a intraprendere la strada delle riforme strutturali, che vogliamo sempre rimandare. La soluzione italiana ai problemi è rimandarli. Invece la Spagna è da prendere come riferimento positivo: la riforma del mercato del lavoro sta consentendo una riduzione della disoccupazione. In Italia la disoccupazione continua ad aumentare, per non parlare di quella giovanile che ha superato il 40%.

Il ruolo positivo di enforcement della Spagna è una costante nella storia economica. Torniamo allora al 1996 per mettere ordine.

Il 17-18 settembre del 1996, a pochi mesi dalle elezioni e dalla formazione del suo governo, Romano Prodi andò a Valencia per un incontro con il presidente del Consiglio spagnolo, José Maria Aznar. Il 30 settembre Aznar spiegò al Financial Times che Prodi aveva cercato di convincerlo a fare fronte comune per ammorbidire i parametri di Maastricht. Il virgolettato del FT fu: "Prodi asked Aznar to bend the criteria or the timetable"
Ma la Spagna aveva i conti in ordine e non intendeva prendere iniziative che avrebbero intaccato la sua credibilità economico-finanziaria. Prodi negò di avere avanzato richieste ed ebbe una tempestosa conversazione telefonica con Aznar. 
Il 20 maggio 2010, "provocato" da una risposta dell'Ambasciatore Romano a un lettore, Prodi si sente in dovere di intervenire per chiarire la questione: "Le cose, in realtà, come già altre volte ho chiarito ma vale evidentemente la pena di ribadire, andarono così. Formato nel maggio del 1996 il governo da me presieduto, decisi subito che dovevamo fare di tutto per entrare nell' euro insieme al primo gruppo dei paesi europei. L' Italia che, dopo le distruzioni della guerra, aveva costruito il proprio benessere scegliendo la strada dell' apertura all' Europa e dell' Europa unita, non poteva in alcun modo mancare questo decisivo appuntamento della storia.
Con il ministro del Tesoro, che da appassionato europeista condivise immediatamente ed in pieno questa scelta, decidemmo, tuttavia, che, senza un' approfondita analisi dei conti, non sarebbe stato responsabile, e dunque in alcun modo possibile, modificare l' evoluzione della finanza pubblica disegnata dal precedente esecutivo e che, per l' Italia, prevedeva il raggiungimento dei parametri di Maastricht con un anno di ritardo rispetto agli altri paesi europei. Trascorsi i mesi di giugno, luglio ed agosto a studiare insieme al ministro Ciampi tutti i conti, arrivai alla conclusione, sempre in piena sintonia con il ministro del Tesoro, che ce l' avremmo potuta fare. Fu così che ai primi di settembre, cioè una decina di giorni prima dell' incontro di Valencia con Aznar, ritornando in aereo dalla Turchia all' Italia insieme al mio consigliere diplomatico Enzo Perlot e al direttore degli affari economici del Ministero degli Esteri, Roberto Nigido, che di lì a poche ore avrebbe preso al mio fianco il posto dell' ambasciatore Perlot, scrissi due lettere identiche, indirizzate l' una al cancelliere tedesco Helmut Kohl e l' altra al presidente francese Jacques Chirac. In quelle lettere comunicavo ai governi di Germania e Francia, le due grandi potenze ed i veri «motori» dell' Unione Europea, il fermo impegno del mio governo ad adottare tutte le misure necessarie per portare l' Italia nell' euro sin dal suo avvio. Questo, auspicando un' azione comune tra Italia e Spagna, fu ciò che dissi anche al presidente del governo spagnolo quando lo incontrai alla metà di quel mese di settembre di quattordici anni fa. Glielo dissi in italiano, avendo insieme deciso che il colloquio avvenisse senza interpreti, fidandoci, forse a torto, delle nostre rispettive capacità di intendere l' uno la lingua dell' altro. Il raddoppio, approvato dal Parlamento, da 32.500 a 62.500 miliardi di lire, della manovra economica della Finanziaria per l' anno 1997, correttamente ricordato dall' ambasciatore Romano, fu proprio la traduzione concreta dell' impegno dichiarato nelle lettere al cancelliere tedesco e al presidente francese. Il seguito della vicenda, cioè l' ingresso dell' Italia nell' euro, mi sento di poter dire che rimane come uno dei punti più alti della nostra recente storia nazionale".

E Prodi torna a smentire il Financial Times sul Corriere il 3 luglio 2012: "Poiché questa leggenda riemerge continuamente, sento la necessità di ribadire, giusto per rispetto della storia nazionale più che mia personale, che la notizia era e resta falsa. Si trattò di una furba ma non veritiera informazione che Aznar diede al Financial Times in un' intervista. L' autorevolezza della testata, ahimè, le ha attribuito credibilità internazionale ma sempre falsa resta".


Non può mancare, a questo punto, la testimonianza del ministro del Tesoro del 1996, Carlo Azeglio Ciampi , che nel suo "Da Livorno al Quirinale" (Il mulino, 2010, p. 161-2),  sottolinea il ruolo positivo della sfida spagnola, e risponde così ad Arrigo Levi: "La spinta finale venne in occasione del vertice bilaterale italo-spagnolo; ritenevamo che la Spagna puntasse a entrare nell'euro in un secondo momento come noi; invece ci rendemmo conto che la Spagna sarebbe entrata subito. Io proposi a Prodi - e Prodi fu subito d'accordo - di anticipare anche noi l'obiettivo di scendere sotto il 3 per cento del rapporto deficit/Pil. Il piccolo miracolo consistette nel prendere alcune misure credibili di politica economica, che produssero un rapido ridursi del differenziale del tasso di interesse tra l'Italia e la Germania e quindi una riduzione dell'onere complessivo per interessi. Questo permise il di portare il fabbisogno in un solo anno dal 7,5 per cento al 2,7 per cento del Pil".


Sempre Ciampi sente la necessità di tornare a quel decisivo vertice italo-spagnolo del settembre 1996. Nel volume   "Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-1996", Ciampi  (Laterza, 2013, p. 77), Umberto Gentiloni Silveri così descrive la questione: "Il colloquio di Ciampi con il suo omologo spagnolo Rato y Figaredo rappresenta il punto di non ritorno, la molla che fa scattare la reazione da parte italiana. Ciampi non si limita a registrare il contenuto del suo prezioso interlocutore: "Per me fu un vero e proprio shock, un colpo inatteso. Il tutto avvenne verso ora di cena; a conclusione di una giornata terribile. Mi sembrava di essere giunto fuori tempo massimo, di non poter opporre nulla a ciò che sembrava ineluttabile".  La notte invece portò consiglio; si poteva tentare di rovesciare un esito annunciato con troppo anticipo. Ciampi annoda i fili dei suoi ricordi, quasi in seguenza:  "La mattina seguente sul presto verso le sette telefono a Prodi, che era in un'altra stanza dello stesso hotel. Gli dissi: "Romano, ti devo parlare urgentemente". Lui mi rispose pregandomi di raggiungerlo nel suo appartamento. Gli spiegai quanto la situazione fosse complicata. Avevo incontrato il ministro dell'Economia spagnolo che mi aveva comunicato la loro situazione; ma anche il suo incontro con il capo del governo, Aznar, aveva avuto lo stesso esito. Noi rimanevamo fuori, la Spagna era dentro. Ci trovammo immediatamente d'accordo, non si poteva stare fermi o minimizzare la situazione. Dovevamo portare subito il nostro obiettivo di deficit sotto il 3% del Pil. E in viaggio, immediatamente, lo comunicammo ai ministri presenti...Si trattava di un cambiamento repentino di strategia e di politica che ci avrebbe condizionato e guidato nelle settimane e nei mesi successivi". 


Le reazioni della Spagna nel 1996 e nel 2013 smentiscono drasticamente le opinioni euroscettiche del Financial Times, che attraverso la penna di Wolfgang Munchau, il 19 marzo 2012 scrisse: "There is no Spanish siesta for eurozone crisis". 

Ci sarà anche da ringraziare Mario Draghi con il suo monito "Whatever it takes", ma il pungolo reciproco tra Paesi del Sud Europa porta risultati sicuramente positivi.

lunedì 9 settembre 2013

Perchè si deve studiare? La risposta ce la dà Gianni Rodari

Immerso sempre nelle mie letture cerco di convincere i miei figli a fare altrettanto, se non altro per imitazione. Per stimolarli mi metto a leggere io, così si scherza e si commenta insieme ciò che si legge.

Mi è capitato tra le mani il Libro dei perchè di Gianni Rodari del lontano 1980. Mai testo tanto attuale. Nel rispondere a "Perchè si deve studiare?", Rodari scrive: "Per conoscere il mondo e per farlo diventare più bello e più buono. Attenta, però: non si studia soltanto sui libri. Mi ricordo di un Topo che viveva in biblioteca e amava tanto l'istruzione che si mangiava due libri al giorno. Una volta trovò in un libro l'immagine del Gatto e subito dopo la divorò. Mentre digeriva tranquillamente, convinto di aver distrutto il suo nemico, il Gatto in carne e ossa gli saltò addosso e ne fece due bocconi. Tra un boccone e l'altro, però, si fermò per dire - Topolino mio, bisognava studiare anche dal vero".


Enzo Biagi
Il sempiterno Enzo Biagi amava dire ai giovani: "Attenzione alle biblioteche senza finestre".

martedì 3 settembre 2013

Essere sudditi o cittadini? L'esempio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Quest'estate mi sono piacevolmente immerso nella lettura. Tra i tanti, mi sono intrattenuto in compagnia del Discorso sulla servitù volontaria, di Etienne de la Boetie (1533-1653).
In tempi dove la servitù volontaria è visibilmente presente interno a noi  - gli esempi sono innumerevoli - credo valga la pena rileggere insieme alcuni passaggi: "Son dunque gli stessi popoli che si fanno dominare, dato che, col solo smettere di servire, sarebbero liberi. E' il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che potendo scegliere se essere servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo: è il popolo che acconsente al suo male o addirittura lo provoca".

A me la lettura di Etienne de la Boetie ha fatto tornare in mente il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio 31 anni fa cadde assassinato insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e a un uomo della scorta, Domenico Russo.
Dalla Chiesa a Palermo nei suoi 100 giorni trovò il tempo per andare nelle scuole a dire ai giovani che i diritti devono essere fatti valere, altrimenti si diventa sudditi.
In un suo intervento del 1° maggio 1982, il Generale disse: "Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi; non possiamo oltre delegare questo potere nè ai prevaricatori, nè ai prepotenti, nè ai disonesti. Potere può essere un sostantivo nel nostro vocabolario ma è anche un verbo. Ebbene, io l'ho colto e lo voglio sottolineare in tutte le sue espressioni o almeno quelle che così estemporaneamente mi vengono in mente: poter convivere, poter essere sereni, poter guardare in faccia l'interlocutore senza abbassare gli occhi, poter ridere, poter parlare, poter sentire, poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa, poter guardare ai giovani per trasmettere loro una vita fatta di sacrifici, di rinunzie, ma di pulizia, poter sentirci tutti uniti in una convivenza, in una società che è fatta, è fatta di tante belle cose, ma soprattutto del lavoro, del lavoro di tanti

Tanti mi chiedono come mai torno su personaggi insigni della storia italiana. Lo faccio perchè sono di esempio per il presente, perchè possono essere di stimolo personale per ognuno noi.


Ho un ricordo nitido. Era il 4 settembre 1982. Entro in cucina, sento dei singhiozzi. Vedo mia madre piangere. Le dico: “Mamma, perchè piangi?”. E lei: “Hanno ucciso il Generale Dalla Chiesa”. E la foto della prima pagina di Repubblica con la A112 bianca crivellata di colpi e il Generale proteso per proteggere sua moglie Emmanuela rimase per sempre nel mio archivio mentale.

Il grandissimo Gianni Brera disse: “Dalla Chiesa era così intelligente che per fargli un degno piropo' non mancavo mai di esprimergli la mia meraviglia: come aveva potuto fare tanta carriera in Italia con un cervello così fino?”.

Cosa è cambiato dal 1982? Quando Marco Vitale nel suo Passaggio al futuro (EGEA, 2010) dice saggiamente che noi non dobbiamo fare riforme – inconcludenti – ma risolvere problemi, la prima piaga biblica che invita ad affrontare è il peso abnorme della malavita organizzata.

Le cifre fanno impressione: l’insieme della attività illegali in Italia ammonterebbe a 419 miliardi di euro l’anno, secondo le stime più accreditate. Nessun Paese ha, nel suo tessuto sociale ed economico, una presenza di tale spessore della malavita organizzata. 13 dei quasi 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia convivono con le mafie. Parliamo del 22% della popolazione italiana, non quisquilie.

E aggiungiamo che la corruzione diffusa rappresenta l’humus ideale per la malavita organizzata.


Il giudice Davigo ironicamente ha affermato che se la “cricca” degli appalti della Protezione Civile – per intenderci Anemone, Verdini, Bertolaso, Carboni - si fa pagare con assegni circolari (e non con il consueto contante) poi incassati nella banca allora guidata – ora con pesanti motivazioni commissariata dalla Banca d’Italia – da Verdini, significa che la convinzione di impunità regna serena.

Un sano sviluppo economico non è compatibile con un alto e diffuso livello di corruzione e di malavita. La mafia è arretratezza, non sviluppo.

Il giudice Gian Carlo Caselli ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa "un servitore dello Stato fino all'estremo sacrificio".

Nell’intervista – testamento spirituale - a Giorgio Bocca pochi giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Paolo Baffi
Nella mia ricerca storica sulla figura di Paolo Baffi - è uscito nel 2013 un saggio introduttivo al volume curato da me e Sandro Gerbi - ho trovato una significativa analisi di Marco Vitale, che in una Relazione del 1989 scrive: "Il potere è connaturato all'uomo; non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità. La scelta è piuttosto tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere  che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Non dobbiamo fuggire il potere, anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il Generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino il fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna, che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e per con l'accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere".

Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.