lunedì 29 aprile 2013

In Italia pochi lavorano. E quei pochi tengono in piedi il sistema. Fino a quando?

Oggi pomeriggio il presidente del consiglio Enrico Letta si presenterà alle Camere per chiedere la fiducia. Il governo appare meglio delle attese. Sapere che al prossimo Consiglio Europeo l'Italia schiererà - in qualità di sherpa - fuoriclasse del calibro di Bonino, Saccomanni e Moavero Milanesi rincuora gli europeisti - quorum ego.

Il problema dei problemi su cui il governo dovrebbe concentrarsi e non dormire la notte fino a escogitare alcune soluzioni è la bassa partecipazione al mercato del lavoro in Italia. Invece di parlare del tasso di disoccupazione - elevato, oltre il 37,8% per i giovani - ancora più rilevante è il tasso di occupazione.
Infatti se il tasso di disoccupazione esprime il rapporto tra persone disoccupate o in cerca di lavoro in rapporto al totale della popolazione in età lavorativa, il tasso di occupazione rappresenta quanta parte della popolazione attiva lavora rispetto alla popolazione di riferimento. E in Italia siamo ai minimi europei. Gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona - che prende il nome dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 che fissava degli obiettivi per il futuro dell'Unione Europea - sono lontanissimi. Come abissali sono i differenziali tra l'Italia e l'Europa in relazione al tasso di occupazione femminile.

Solo il 56,6% degli italiani è occupato, secondo i dati Istat del 2 aprile. All'interno del Bollettino Economico di aprile di Bankitalia, a pag. 27 c'è una tabella esaustiva e preoccupante che evidenzia i seguenti dati:
Il tasso di occupazione maschile è pari al 66,1% contro il 47,1% di quello femminile. Nel Nord Italia siamo al 64,8% contro il 60,6% del Centro e il 43,6% del Sud (drammatico!).

Il 36,1% degli italiani tra i 15 e 64 anni è inattivo, cioè non lavora e non è interessato alla ricerca di un impiego. Sono ben oltre 4 milioni di persone. Il tasso di inattività in Germania è del 23%.
L'inattività in Italia si concentra tra i più giovani e tra i più maturi. Oltre il 70% delle persone tra 15 e 24 anni rimane fuori dal mercato del lavoro, contro meno del 50% in Germania. Nella fascia 55-64 anni, 23 punti percentuali separano il tasso di inattività italiano da quello tedesco. Se consideriamo l'età di genere, emerge la maggiore inattività delle donne. Ben 47 italiane su 100, tra i 15 e 64 anni, non lavorano nè cercano una occupazione, contro le sole 28 della Germania.

I numeri deprimenti sul tasso di occupazione inducono a riflettere sul declino demografico e sulla sostenibilità di un modello sociale che vede il peso degli over 60 sempre crescente.

Purtroppo è ancora attuale un saggio interessantissimo di Massimo Livi Bacci scritto nel 2001, all'interno del volume Il Caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese? (Garzanti, 2001).
Leggiamolo insieme: "La questione non è se l'Italia sarebbe un posto migliore con 10 o 20 o 30 milioni di abitanti in meno, ma se un rapido declino demografico è sostenibile per lungo tempo senza provocare un generale impoverimento della società...Di fatto, l'ipotizzato declino di 7 milioni di unità nei prossimi trent'anni comporta un rapidissimo invecchiamento della popolazione e sarà la somma algebrica di 5 milioni in più di ultrasessantenni e 12 milioni in meno di persone sotto i sessant'anni. Tale rapido invecchiamento implica la non sostenibilità economica degli attuali meccanismi dei trasferimenti intergenerazionali per il decrescente numero di chi produce e paga le tasse e il contemporaneo aumento di anziani e pensionati".

In sostanza il rapido declino demografico porta con sè un generale impoverimento della società. Le nuove generazioni, già lo vediamo, avranno un tenore di vita inferiore a quello dei genitori, i quali peraltro vivranno sempre di più e quindi il figlio unico - così tanto coccolato - dovrà sostenere i genitori che invecchiano.

Urge che si introducano degli incentivi per motivare le persone a tornare sul mercato del lavoro. There is no alternative. TINA.

mercoledì 24 aprile 2013

L'attualità del pensiero di Federico Caffè, fuggito nell'aprile 1987 e mai più ritrovato

Sono ormai passati 26 anni dalla notte tra il 14 e il 15 aprile 1987, alba in cui il grande economista Federico Caffé scomparve nel nulla.

Leggiamo insieme un passo di Ermanno Rea in L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffé scomparso e mai più ritrovato, splendida testimonianza della vita austera da studioso di Federico Caffé: “Uscì di casa in punta di piedi per non svegliare il fratello e una fuga priva di testimoni, protetta dalle tenebre, si dissolse nel nulla. Aveva settantatre anni. Era professore fuori ruolo di Politica Economica e finanziaria alla Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Roma. Godeva di un grande prestigio intellettuale ed esercitava notevole fascino, soprattutto sugli studenti. Benché, fisicamente, lasciasse molto a desiderare. Piccolo di statura. Anzi piccolissimo”.

Il passaggio che piace in assoluto di più a mio figlio Chicco – vedasi post Mio padre, i miei figli, il desiderio di sapere e la forza della lettura - è questo: “Caffé pianificò la fuga preordinandone ogni movimento fino al più banale: come oltrepassare la porta di casa senza svegliare il fratello; quali abiti indossare, quali oggetti lasciare e quali portare con sé...Infine arrivò il momento di agire. A un’ora imprecisata, compresa tra l’una e le cinque del mattino, smise di pensare. Indossò i pantaloni grigi che aveva portato sino a poche ore prima, una giacca, una camicia, un impermeabile e, dopo aver disposto una serie di oggetti sul tavolino accanto al letto – l’orologio, gli occhiali, le chiavi, il passaporto, il libretto degli assegni – raggiunse in punta di piedi la porta di casa. Aprì con meticolosa lentezza la serratura evitando di fare anche il più piccolo timore. Poi si richiuse la porta alle spalle con la stessa cautela.

Appena al di là del portone si sentì investito da un flusso di acqua fredda: era fatta. Qualunque decisione fosse in procinto di attuare, non poté non percepirla come qualcosa d’irrevocabile”.

La sua scomparsa non fu certo un raptus ma una fuga premeditata a seguito di un tracollo emotivo sommato a crisi depressive. In una lettera al suo allievo Daniele Archibugi, Caffè scrisse: “L’interruzione del filo diretto con gli studenti, malgrado la preparazione spirituale, si è dimostrata molto più dura del previsto”.

Corrado Stajano ha scritto: “E’ un rompicapo angoscioso la vita e la sparizione di Caffé, un italiano serio che non aveva nulla in comune con l’Italia slabbrata, approssimativa dio quegli anni ‘80”.

Archibugi su Repubblica di qualche tempo fa ha scritto: “Dopo un quarto di secolo, possiamo solo constatare che, qualsiasi sia stato il destino del nostro maestro, è stato quello che lui si è scelto. La sua vicenda non sarebbe ancora un mistero se nelle ore successive alla sua scomparsa non avesse dimostrato di avere le doti professionali di un agente segreto assai più che quelle di un austero docente. Anche la sua ultima pagina l'ha scritta senza farsi aiutare da nessuno”.

Il Prof. Valentino disse: “Per tutta la vita Caffé ha fatto il pendolare tra la propria casa e l’Università senza mai concedersi passeggiate o gite, senza mai indulgere a curiosità turistiche di alcun genere”....La sua casa era l’Università. Arrivava al mattino alle otto e mezza e ne usciva dopo dodici ore filate (dopo aver spento le luci personalmente, che tempi!, ndr). A chi lo punzecchiava per il suo attaccamento al lavoro rispondeva: “Lo faccio per difendere il mio reddito reale. Se invece di starmene qui a studiare e a lavorare me ne andassi in giro a bighellonare chissà quanti soldi spenderei. Il lavoro per me è una forma di risparmio”.

La sua vita privata era l’economia, erano i suoi studenti. Li indicava dicendo: “Eccoli là i libri che non ho scritto”.

C’è un passaggio nel libro di Rea suggestivo e toccante. Quando Caffé fece gli esami di maturità – ragioneria – il commissario d’esame chiese “In quale città hai deciso di frequentare l’università?”. E Caffé rispose: “Non credo che andrò all’Università. Ho bisogno di lavorare”. Al che il commissario convocò alla stazione di Pescara i genitori di Caffé (di modeste origini), ai quali disse: “Caschi il mondo ma il suo ragazzo deve continuare a studiare”. La madre allora mise in vendita un piccolo lotto di terreno e Caffé partì per Roma.

In Banca d’Italia era stimatissimo. “C’era praticamente nato in Banca d’Italia. Vi aveva incontrato Luigi Einaudi e Donato Menichella, che aveva inciso sulla sua “formazione professionale” e gli aveva fornito “indimenticabili lezioni di umanità, di scrupolo, di rigore morale”. Vi aveva incontrato Guido Carli e Paolo Baffi, di cui era diventato amico affettuoso.... Erano fatti della stessa pasta, Baffi e Caffé. Uomini integerrimi. Studiosi senza altri interessi che quelli per la propria scienza”.

I cronisti ricordano la furia di Caffé quando il Governatore Baffi fu incriminato e la testimonianza portata in suo favore in Tribunale davanti ai magistrati - inqualificabili - Infelisi e Alibrandi.

Pierluigi Ciocca, una vita in Banca d’Italia fino al Direttorio - ricorda: “La figura del consulente è sempre stata molto importante in Banca d’Italia. Svolgeva una funzione di riscontro critico oltre che di proposta, d’impostazione e di ricerca. In questo ruolo Caffè era ascoltatissimo”.

In questi giorni ho rimesso a posto alcune carte e ne ho ricavato alcune considerazioni, che condivido con voi lettori.

La più bella cosa è stata scritta da Daniele Archibugi, qualche giorno fa: “Quando la notizia divenne di pubblico dominio, giunsero numerosissimi allievi per aiutarci nelle ricerche. Spesso non ci conoscevamo, ma bastava uno sguardo per capire che appartenevamo alla medesima confraternita. Agli studenti degli ultimi anni si accompagnavano quelli dei decenni anteriori, e ognuno di loro chiedeva che cosa potesse fare di utile. Non era facile trovare una risposta perché neppure la polizia aveva fornito una casistica. Nell'organizzare le squadre che battevano la città palmo a palmo, chiedevo spesso qualche informazione sugli anni in cui lo avevano frequentato all'università. Mi sentivo ripetere sempre la stessa frase: «È stato il periodo più bello della mia vita». Ma lui, Federico Caffè, lo avrà mai saputo?”.

Un altro passo suggestivo è stato scritto da Guido Rey, allievo di Caffè e successivamente presidente dell’ISTAT in occasione dell’intitolazione a Caffé della Facoltà di Economia: “A questi giovani F. Caffè ha dedicato tutta intera la sua vita e a loro volta i giovani lo amavano per la lucidità espositiva, la veemenza nella condanna delle ingiustizie, la profonda dottrina, la vasta cultura e la prosa preziosa e al tempo stesso essenziale. Ai giovani delle ultime generazioni ha saputo trasmettere il suo sdegno all'idea “che un'intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale”. Tra l’altro, quest’ultimo passaggio è di un’attualità sconvolgente.

In un momento in cui il welfare state italiano ha regalato troppo a troppi e non è più possibile continuare con una spesa pubblica che soffoca lo sviluppo, ripropongo il riformismo rigoroso di Caffé (amava alla stesso tempo Einaudi e Andreatta) che condannava “lo sfruttamento politico degli emarginati; la pressione dei furbi rispetto ai veri bisognosi nell'avvalersi delle varie prestazioni assistenziali, le ripercussioni dannose a carico del bilancio dello Stato dell’inclinazione lassista a voler dare tutto a tutti”.

Caffè si definiva così: “Un professore non è un conferenziere, non parla occasionalmente a degli sconosciuti che con tutta probabilità non rivedrà più. Un professore dialoga con gli studenti dei quali conosce spesso tutto o quasi tutto: problemi e speranze, capacità e lacune, ansie e incertezze. Li assiste nei loro bisogni. Li segue lungo una strada che può finire il giorno dell'esame ma che può anche andare avanti fino a quello della laurea e oltre”.

Ecco cosa ho imparato leggendo di Caffé. Quando insegno e faccio domande agli studenti, li stimolo in tutti i modi, cerco di accendere in loro il fuocherello di cui parlò Seneca. Cerco di seguire l’ottimo esempio di Caffè, maieuta di eccezionale levatura che ha avuto come allievi Ezio Tarantelli , Mario Draghi , Pierluigi Ciocca, Guido Rey, Bruno Amoroso, Ignazio Visco , Daniele Archibugi e tanti altri.

Federico Caffè, la terra ti sia lieve.

P.S.: per approfondimenti consiglio la lettura di:

Ermanno Rea, L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato, Einaudi, 1992
Bruno Amoroso, La stanza rossa, Città Aperta Edizioni, 2004
Federico Caffè, La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, 1990

giovedì 18 aprile 2013

Addio Margaret Thatcher, formidabile Prime Minister

Ieri si sono tenuti a Londra nella cattedrale di St. Paul, con la partecipazione dei capi di Stato e di governo mondiali - 2.300 invitati - i funerali solenni di Margaret Thatcher, formidabile politico, primo ministro inglese dal 1979 al 1990. Come scrive bene Severgnini stamane, non è stata una festa, ma un saluto.

Ma chi è stata Margaret Thatcher?

Margaret Thatcher nata Roberts, Baronessa Thatcher di Kesteven, (Grantham, 13 ottobre 1925) è una politica britannica. È stata primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, vincendo tre elezioni consecutive (1979-83, 1983-87, 87-90); è la prima e a tutt'oggi unica donna nel Regno Unito ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro. Dal 1975 al 1990 è stata inoltre leader del partito conservatore inglese.

Nel 1959 fu eletta alla Camera dei Comuni. Dopo la vittoria dei conservatori nel 1970, che portò Edward Heath alla carica di Primo ministro, Margaret Thatcher divenne Ministro dell'Istruzione. Dopo la sconfitta alle elezioni nel 1974 decise di candidarsi per la leadership del partito e nel febbraio 1975 divenne leader del Partito Conservatore, la prima donna a ricoprire tale carica (fonte: Wikipedia)

Nel 1976 tenne un famoso discorso in cui attaccava duramente l'Unione Sovietica (URSS); un giornale russo, come risposta, la chiamò Lady di ferro, soprannome che divenne poi associato alla sua immagine. Il tutto derivò dal primo incontro quando la Thatcher si presentò così al Presidente Breznev: “Buongiorno. Io odio il comunismo! Però se a lei piace può tenerselo, purchè resti dentro i confini del suo paese”.

In quello stesso anno il governo laburista di James Callaghan si trovò in grave difficoltà a causa di scioperi, crescente disoccupazione e collasso dei servizi pubblici; i conservatori sfruttarono a loro vantaggio la situazione ed alle elezioni del 1979 ottennero la maggioranza alla Camera dei Comuni: Margaret Thatcher divenne Primo ministro. Arrivando a Downing Street – residenza del Primo Ministro britannico - disse, parafrasando San Francesco d'Assisi:

« Dove c'è discordia, che si possa portare armonia. Dove c'è errore, che si porti la verità. Dove c'è dubbio, si porti la fede. E dove c'è disperazione, che si possa portare la speranza ».

Da Primo Ministro s'impegnò per rovesciare il declino economico che interessava il Regno Unito ormai da qualche decennio e per restituire al Paese un importante ruolo nel panorama internazionale.

Che sia amata o disprezzata, la sua è stata innanzitutto un’esperienza filosofica straordinaria, una rivoluzione culturale prima che economica. La Thatcher ha cambiato il corso della storia britannica perché ha saputo trasformare le idee in realtà, sino alle loro estreme conseguenze. È stata non la fantasia al potere ma il potere delle idee, la trasformazione delle idee in realtà e dunque la trasformazione della realtà stessa.

Meryl Streep in "Iron Lady"
C’è un passaggio del film "Iron Lady", dove la Thatcher - interpretata da una magnifica Meryl Streep - dice: “Non contano le sensazioni, contano le idee, i contenuti. Le parole devono diventare azioni”.

Come ha sostenuto l’ex Ministro del Bilancio (nel 1994) Giancarlo Pagliarini (detto “Il Paglia” ): “Negli anni 70 la Gran Bretagna era tecnicamente fallita. Si era ridotta nella situazione di dover chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale, come un paese africano in via di sviluppo La Thatcher adotta una terapia d’urto che all’inizio sembra addirittura destinata a generare una guerra civile. Ma lavorando con irruenza, testardaggine, grande coraggio, onestà e serietà riesce a fare due autentici miracoli: lo strapotere sindacale viene piegato e la destra, sull’onda degli eventi, è costretta (per fortuna dico io) a cambiare pelle, prassi e cultura.
Fino ad allora quello dei Conservatori era un partito che difendeva privilegi e, se vogliamo chiamarli così, i “poteri forti”. La Thatcher riesce a trasformarlo in un partito liberale, lungimirante e dinamico. Le aziende inefficienti e fino ad allora “aiutate” non hanno avuto scelta: o investivano e diventavano competitive o chiudevano. Concorrenza durissima a tutti i livelli".

M. Thatcher ha sempre lavorato, con successo, per un processo di deregulation e di riscoperta dell’iniziativa privata contro i guasti dello statalismo e del garantismo infinito.

Nel 1981 un numero di appartenenti all'IRA - che defininirei senza esitazione terroristi - iniziò lo sciopero della fame per riottenere lo status di prigionieri politici toltogli dal precedente Governo; Margaret Thatcher non cedette alle loro richieste e 10 di essi morirono di fame, primo dei quali Bobby Sands.

Dal 1984 Thatcher si impegnò nell'affrontare il potere dei sindacati; il confronto raggiunse il suo culmine quando il sindacato dei minatori dichiarò lo sciopero ad oltranza per opporsi alla chiusura di diverse miniere. In alcuni casi gli scioperanti fecero azioni di picchettaggio, che la Thatcher non esitò a contrastare. Dopo un anno, il sindacato fu costretto a cedere senza condizioni. Margaret Thatcher aveva vinto la sua lotta contro le Trade unions.

In relazione a sindacati e privatizzazioni, è opportuno citare l’economista d’impresa Marco Vitale che ha scritto 22 anni fa (Il Sole 24 Ore, 23.11.1990 – Europa in piedi, esce la Lady): “Nel momento in cui la signora Thatcher lascia il suo incarico, sento il bisogno di esprimerle la mia profonda riconoscenza perche' ha liberato il suo Paese, parte importante della nostra grande Europa, da un sindacalismo becero, ignorante e irresponsabile, supportato da leggi che davano alla Trade Union un potere distruttivo.
Perche' ha fatto le privatizzazioni sul serio e ci ha insegnato come farle (anche se, ahinoi, non abbiamo imparato nulla)”.

Nell'ottobre 1984 uscì illesa da un attentato degli estremisti repubblicani irlandesi dell'IRA contro la sede del Grand Hotel di Brighton mentre era in corso un congresso del partito; l'attentato fece comunque 5 morti.

In politica estera accentuò la sua ostilità nei confronti dell'Europa, opponendosi fermamente al progetto di creare l'Unione europea e soprattutto alla possibilità di creare una moneta unica.

Storico fu lo scontro con il nostro Primo Ministro Bettino Craxi in occasione del Consiglio Europeo di Milano - nella cornice del Castello Sforzesco - del 28-9 giugno 1985. La Gran Bretagna guidata da Margaret Thatcher era contraria a qualsiasi riforma dei Trattati e si oppose duramente – inutilmente – alla convocazione di una Conferenza Intergovernativa che avrebbe fissato le tappe successive della costruzione europea.

Bettino Craxi
Craxi riuscì abilmente – con una maggioranza di 7 a 3 (contrari Gran Bretagna, Grecia e Danimarca) a guadagnare il consenso necessario.

Va detto – Vitale cit. – che la Thatcher “e' stata antesignana e guida del processo di liberalizzazione valutaria, senza la quale non ci poteva essere ne' l'Atto Unico (1986) ne' la formidabile accelerazione del processo di integrazione europea”.

Meryl Streep si supera quando la Thatcher lascia 10 Downing Street – dopo undici anni e mezzo (22 novembre 1990). Con le lacrime agli occhi e affiancata dal marito (nel film il bravissimo attore Jim Broadbent), apre la porta di casa e affronta la marea dei giornalisti e i flash dei fotografi.

Inciso. Senza la Thatcher, Tony Blair non sarebbe mai diventato Primo Ministro. Di Blair, disse subito che era "un laburista differente" e un "politico formidabile".

L’Italia con il Governo Monti sta cercando di fare nel 2012 le riforme di liberalizzazione dell’economia che Lady Thatcher ha realizzato 30 anni fa. The Economist ha scritto a inizio 2012: "Mario Monti, Italy’s prime minister, is set fair to become his country’s Margaret Thatcher. But who will play the role of the miners, whose strike represented the most serious challenge to the Iron Lady’s free-market reforms?".

Voglio ricordare Margaret Thatcher con una sua battuta. Il corrispondente di Repubblica, Enrico Franceschini, scrive: "E a Londra si ricorda ancora un ricevimento di gala in cui un ospite, avendo bevuto un po' troppo, le disse chiaro e tondo che se la sarebbe portata a letto. «Lei ha ottimi gusti, signore», rispose Maggie senza fare una piega. «Ma dubito che nelle sue attuali condizioni otterrebbe grandi risultati».

Ti sia lieve la terra, Maggie.

P.S.: segnalo una bella intervista a Pietro Ichino, che spiega - ricordando la Thatcher - come le pari opportunità significano l'abbattimento delle barriere corporative che difendono gli interessi degli insider contro la concorrenza degli outsider

lunedì 15 aprile 2013

Se vuoi un lavoro, devi inventartelo

Uno dei miei miti è Thomas Friedman, autore del sempiterno The World is flat, libro cult da tenere sempre a portata di mano.
Settimana scorsa Friedman ha scritto un editoriale sul New York Times dal titolo Need a job? Invent it.
I giovani italiani dovrebbero ispirarsi a lui e prendere finalmente atto che il loro futuro dipende da loro stessi.
Se bisogna inventarsi un lavoro negli States, figuriamoci in Italia dove la disocccupazione giovanile è alle stelle. Dobbiamo diventare la startup di noi stessi.

Segnalo un dato interessante. Nella primavera del 2012 la Camera di Commercio di Monza e Brianza ha registrato uno storico sorpasso: il numero dei ventenni che hanno aperto un'impresa, a quota 19mila, ha superato quello dei loro coetanei assunti a tempo indeterminato.

Se la nostra generazione , una volta diplomata o laureata, doveva "cercarsi" un lavoro, oggi e soprattutto domani i giovani dovranno "inventarsi" un lavoro.
Come sostiene Tony Wagner, the Harvard education specialist, "We can teach new hires the content, but we can't teach them how to think - to ask the right question - and to take initiative".

Ecco prendere l'iniziativa. Questo devono imparare i giovani italiani, che spesso appaiono assopiti, pigri, stufi, stanchi, poco curiosi, delusi, disincantati, incapaci di darsi da fare e reagire.

Wagner sostiene che, a parte la conoscenza di base, è fondamentale la motivazione. Persone curiose, persistent e desiderose di rischiare, acquisiranno conoscenze e competenze in modo continuativo. E saranno in grado di trovare nuove opportunità di lavoro o crearne loro stessi, una volta che molte carriere tradizionali del passato scompaiono.

Questo ragionamento porta a conclusdere che le scuole e i metodi di insegnamento devono cambiare profondamente: Se l'educazione oggi dei ragazzi ha come obiettivo rendere uno studente "pronto per l'università", in futuro deve tendere a renderlo "innovation ready", ossia che sia pronto a dare valore in modo innovativo a tutto ciò che farà.

Nelle parole dell'esperto di Harvard University: "Reimagining schools for the 21st-century must be our highest priority. We need to focus more on teaching the skill and will to learn and to make a difference and bring the three most powerful ingredients of intrinsic motivation into the classroom: play, passion and purpose.”

Appassionatevi, incuriositevi, vivete le vostre passioni e scavate in profondità come invita a fare il sempiterno Carlo Azeglio Ciampi.

martedì 9 aprile 2013

Il Salone del Mobile, la Fondazione Franco Albini e la forza dell'export

Ieri si è aperto il Salone del Mobile. Sono 2.500 gli espositori pronti a partecipare. Dal 9 al 14 aprile le imprese italiane si presenterano ai buyer internazionali (da 160 Paesi) sapendo che il mercato interno sarà asfittico per un bel po'.
In Lombardia ci sono 10.000 imprese che si occupano di mobili, tra produzione e commercio. Nel 2012 hanno fatturato 6 miliardi di euro su un totale nazionale di 30 miliardi nel settore arredi.
L'indotto turistico della design week supera i 200 milioni di euro.

Quando ho letto che tre marchi storici del calibro di Frau, Cappellini e Cassina tornano al Salone, la mia mente, fervida, è subito volata alla Fondazione Franco Albini.

La sede della Fondazione Franco Albini
La Fondazione Franco Albini nasce come polo culturale aperto al dialogo, al dibattito, alla ricerca e ad una divulgazione attiva nel panorama dell'architettura contemporanea. A 30 anni dalla morte del grande architetto la Fondazione nasce per divulgare una "lezione di metodo" che possa servire alla contemporaneità.

Se il design italiano è noto nel mondo, se il Salone del Mobile è l'evento più internazionale di Milano, lo si deve agli architetti, ai designer che hanno reso celebri i marchi storici: Albini, Aulenti, Bellini, Castiglioni, Citterio, Colombo, De Lucchi, Gardella, Sottsass.
Se Cassina esporta il 70% del fatturato, lo deve anche a persone come Franco Albini, il quale ha lavorato anni e anni per rendere leggera e ridurre all'essenziale la sedia Luisa (copyright Cassina).

Coerentemente con il proprio credo, per cui "E' più dalle nostre opere che diffondiamo delle idee che non attraverso noi stessi", Franco Albini riesce a far parlare di sè ancora oggi attraverso gli oggetti di design capaci di coniugare artigianato e serializzazione

Luisa, copyright Cassina
La buona notizia è che la Fondazione Franco Albini, da aprile 2013, apre al pubblico, per cui è possibile visitare in modo guidato la Fondazione, al cui interno è attivo lo studio del figlio Marco.

Il percorso - attraverso trenta pezzi di Design - fa luce sulla figura articolata a complessa di Franco Albini, tra i padri fondatori del pensiero razionalista.
La Fondazione è in via Bernardino Telesio, 13 (MM Cadorna o MM Conciliazione). Vi accoglierà la bellissima nipote di Franco, Paola Albini, vicepresidente e animatrice della Fondazione.

giovedì 4 aprile 2013

Andare nelle scuole a insegnare significa dare senso alla propria vita

Spesso nella vita frenetica che mi contraddistingue, alcuni mi chiedono dove trovo il tempo per andare a insegnare "Educazione Finanziaria" nelle scuole - elementari e medie.

Io rispondo che confrontarmi con i bambini e ragazzi mi rende felice perchè tutto ciò dà senso alla mia vita. Ma cosa significa dare senso? Prendo a prestito le parole del filosofo Salvatore Natoli: "Per la sua immensa e imprevedibile ricchezza la vita va coltivata, custodita, salvaguardata" (Stare al mondo. Escursione nel tempo presente, Feltrinelli 2008). O per riprendere Vladimir Jankelevitch: "La vita non è donata che una sola volta all'uomo, e non gli sarà rinnovata. La vita è dunque ciò che c'è di piu serio. Non perdete questa chance unica in tutta l'eternità".

La banca centrale europea ha stimolato le singole banche del Sistema europeo di banche centrali a sviluppare una politica di educazione finanziaria.

L’iniziativa di financial education - finalizzata a introdurre tale materia direttamente nei curricola della scuola - è volta a promuovere un programma di sviluppo che assicuri alle giovani generazioni gli strumenti cognitivi di base per assumere in futuro scelte consapevoli in campo economico e finanziario sia come cittadini, sia come utenti dei servizi finanziari.

E' opinione ormai diffusa che la mancanza di educazione finanziaria - e le asimmetrie informative conseguenti - sia tra le cause della crisi finanziaria passata.
Uno studio del Centre for Economics and business research ha calcolato che la mancanza di educazione finanziaria costa 3,4 miliardi di sterline alla Gran Bretagna.

La responsabile del progetto americano di Financial Education, Anna Maria Lusardi, ha scritto efficamente: "Proprio la crisi ci ha dimostrato come la scarsa conoscenza di nozioni economiche e finanziarie di base sia diffusa in larghi strati della popolazione, sia negli Stati Uniti sia in Europa. E ciò porta a prendere decisioni sbagliate sui mutui come sulle pensioni. Le conseguenze sono disastrose non solo a livelli microeconomico, ma anche macroeconomico. Per questo gli Usa hanno lanciato alcuni programmi per l'alfabetizzazione finanziaria nelle scuole".

La Banca d'Italia ha a tal scopo realizzato dei pregevoli Quaderni didattici che consentono di trasmettere conoscenze di base ai bambini di quarta elementare e di seconda media. Dategli un'occhiata, magari vi vien voglia di studiare.

Bene. Settimana scorsa ero in una seconda media di Milano, la Mauri in zona corso Vercelli. Una bambina molto sveglia, Carolina, mi ha chiesto: "Prof., quando pensa che finirà la crisi economica?". Io ho riflettuto brevemente e ho pensato che sarebbe stato interessante sentire il parere delle tre classi che mi stavano ascoltando.
Allora diversi ragazzi hanno alzato la mano per intervenire. Tre risposte, tra le tante, mi hanno veramente entusiasmato. Eccole:

1) "Fino a quando l'italiano continuerà a lamentarsi e protestare non usciremo dalla crisi". Ho sorriso e pensato a un uomo politico che piange in continuazione da 20 anni, dicendo che ha tutti contro, che lo vogliono distruggere, che tutti remano contro di lui. Tant'è.

2) "Usciremo dal pantano quando gli italiani inizieranno a osservare e rispettare la Costituzione". La prossima volta porterò il libro di Gherardo Colombo (Sulle Regole, Feltrinelli, 2008) che scrive: "La società verticale è organizzata gerarchicamente: i diritti e i doveri sono distribuiti in modo discriminato, a qualcuno tanti diritti e pochi doveri, e a tanti molti doveri e pochi diritti. La società orizzontale, invece, è strutturata in modo che tutte le persone siano, per quanto è possibile, sullo stesso piano, ciascuna con diritti e doveri analoghi a quelli degli altri. Perché una società sia orizzontale non basta che le leggi la organizzino in tal modo, è anche necessario che le leggi siano rispettate dai cittadini".

3) "Per uscire dalla crisi è necessaria più fiducia così possono aumentare i consumi". In Italia ci fidiamo solo della nostra famiglia e dei nostri amici. Senza enforcement non abbiamo alcun incentivo a fidarci anche delle persone che non fanno parte della nostra cerchia ristretta. Senza fiducia non c'è crescita economica.

Ecco, dopo aver sentito la freschezza di questi ragazzi che hanno dato risposte sorprendenti per chiarezza ed efficacia, non vedo l'ora di tornare in classe per "dare senso" a quello che faccio.