lunedì 29 febbraio 2016

In Italia si legge poco e male. Cosa si può fare? Rivitalizzare le biblioteche

Illustrazione di Guido Scarabottolo
Tempo fa Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera nel suo editoriale "Ciò che Renzi ancora non ha", scriveva: "C'è una relazione profonda tra il nostro declino degli ultimi venti anni e la circostanza che sì e no un italiano su due legga nell'arco di dodici mesi almeno un libro (un solo libro!), o che nella Penisola si registri ancora oggi un tasso elevatissimo di abbandono scolastico".

In Italia si legge poco, le analisi fornite dal rapporto di Federculture ci dicono che siamo tra i peggiori d'Europa.
La crisi economica ha sicuramente contribuito e ha inciso sulla spesa delle famiglie in cultura e ricreazione, che ha continuato a puntare verso il basso: già nel 2012, dopo dieci anni di crescita continua, si era verificato un calo del 4,4% e l'anno scorso ci si è fermati a 66,5 milioni di euro, registrando un ulteriore -3,3 per cento. Siamo all'ultimo posto in Europa in termini di partecipazione culturale: nel 2013 solo il 30% degli italiani ha visitato un museo (rispetto al 52% degli inglesi, il 44% dei tedeschi e il 39% dei francesi) e quasi 6 su 10 non hanno letto neanche un libro.  Segnalo il fatto paradossale per cui la Sicilia che ha dato i natali a Camilleri e il suo commissario Montalbano, è la regione dove si legge di di meno (fonte: Istat).

Il censimento del 1921 certificò la presenza del 16,2% di analfabeti su 38 milioni di abitanti, il Corriere arrivò tra il 1915 3 il 1918 a superare spesso il mezzo milioni di copie vendute, La Stampa le 200mila, il Resto del Carlino le 150mila. Sono numeri che i direttori di oggi si sognano di notte, con un'Italia (con 60 milioni di abitanti) non più completamente analfabeta, ma analfabeta di ritorno.

Cosa si può fare per uscire dalla palude della non lettura? Si devono mobilitare le risorse a favore delle biblioteche, che si devono aprire alle famiglie, ai quartieri, alla cittadinanza. Da luoghi tristi e impolverati, devono diventare spazi pubblici aperti e pieni di iniziative. Un luogo attrattivo dove andare spesso, non una volta nella vita, quando si fa la tesi di laurea.

Vale ciò che ha sostenuto Andrea Guerra, amministratore di Luxottica, che in un'intervista a Mario Calabresi sulla Stampa puntò l'attenzione sulla necessità di attrarre il pubblico nei negozi: «Cambiare mentalità significa anche ragionare in modo diverso: se tu vuoi vendere un paio di occhiali non devi ragionare come se il tuo concorrente fosse solo un altro produttore di occhiali, ma devi mettere a fuoco tutto ciò che è attrattivo in una fascia di prezzo tra 100 e 300 euro. In questo segmento c’è la più strepitosa competizione che esista oggi sul mercato: ci sono le scarpe, i telefonini, le borse, gli occhiali, la palestra, un fine settimana, un massaggio o un percorso in una spa. Insomma, non solo devi convincere una persona a spendere quei soldi ma devi fare una battaglia contro tutti gli altri. E’ una partita molto più complessa e le strategie tradizionali non funzionano più. Inoltre sono cambiati i modi di consumare»

Dal vostro osservatorio qual è il fenomeno nuovo più evidente? «E’ un fenomeno americano che porta a consumare e a comprare spinti dagli eventi: si entra nei negozi a San Valentino, per Natale, alla festa del papà o della mamma, e lo si fa meno nei periodi normali».
Secondo me, lo stesso discorso vale per le biblioteche, che dovrebbero organizzare eventi e incontri con scrittori, saggisti, professori per dibattere in pubblico sui temi che interessano alle persone.
In occasione dell'inaugurazione della sala di lettura e dell'intitolazione a Paolo Baffi della biblioteca della Banca d'Italia, il governatore di allora Carlo Azeglio Ciampi nel suo intervento citò Ortega Y Gasset (La missione del bibliotecario, Sugarco, 1984): "L'occuparsi di raccogliere, ordinare e catalogare i libri non è un  comportamento meramente individuale, ma è un posto, un topos o luogo sociale indipendente dagli individui, sostenuto, richiesto o deciso dalla società come tale non soltanto dalla vocazione occasionale di questo o di quell'uomo".

Siamo d'accordo con Roberto Montroni, presidente del Centro per il Libro e la Lettura, che in un intervento sul Sole 24 Ore ha scritto che "per generare un cambiamento l'importante è cominciare a piantare subito l'albero che avremmo dovuto piantare vent'anni fa, iniziando dai bambini, dai ragazzi".

Ezio Raimondi, illustre filologo e letterato, ci ha lasciato un messaggio, non disperdiamolo: "Nei libri c'erano gli esseri umani, con la loro verità, le loro parole profonde, le parole che toccano, che lasciano nel lago del cuore una risonanza che si prolunga nel tempo e mobilita quel tanto che c'è nella nostra fantasia".

lunedì 22 febbraio 2016

Omaggio a Umberto Eco, straordinario cultore del libro, della curiosità e della conoscenza

La notizia della morte di Umberto Eco mi ha intristito molto. Un gigante, uno straordinario personaggio. Cultore del libro, curiosissimo, bibliofilo di vaglia. Non a caso uno dei più riusciti aforismi di Eco è il seguente:                              
 
Lo leggevo fin da ragazzo. Ricordo ancora il momento in cui mio padre mi consigliò di leggere "Il nome della rosa": rimasi affascinato dalla figura di Bernardo Gui, terribile Inquisitore. Quando uscì il film tratto dal libro di Eco, mi convinse ancora di più il Gui interpretato da Murray Abraham, che poi vinse il premio Oscar con l'interpretazione di Salieri in Mozart. Oggi sul Corriere della Sera Abraham dice: "Sono orgoglioso del mio Inquisitore, che cercava colpevoli, ma in fondo, me lo ripetevo ogni giorno sul set, voleva penetrare il mistero della vita".

Eco disegnato da Tullio Pericoli
Stamattina, appena giunto in ufficio sono andato subito a cercare la cartelletta di carta "U. Eco", dove ho raccolto alcuni articoli di Eco degli ultimi 20 anni. Ne scelgo uno. Una bustina di Minerva sull'Espresso del 1° dicembre 2011. Si intitola "L'importanza di essere classico", e tratta dell'aumento delle iscrizioni al liceo classico.
Eco scrive: "Tutti sappiamo che il futuro sarà sempre più dominato dal "software" a scapito dell'"hardware", ovvero della elaborazione dei programmi più che dalla produzione di oggetti che ne consentono l'applicazione. Steve Jobs è diventato quel che è diventato non perchè ha progettato degli oggetti che si chiamano computer o tavolette (che ormai li costruiscono i paesi del Terzo mondo) ma perchè ha ideato programmi innnovatori che hanno reso i computer più efficienti e creativi di quelli di Bill Gates, che fa peggio a ogni nuova versione di Windows".
Con tutti gli intellettuali italiani pesanti come mattoni, Eco ci regalava con leggerezza alcune riflessioni, che valgono bien sur a distanza di tempo.
"Quindi - scrive Eco - l'avvenire è di chi sappia ragionare in modo da inventare programmi. E si dà il caso che chi abbia fatto una tesi di logica formale, di filologia classica (come Carlo Azeglio Ciampi!, ndr), di filosofia, abbia allenato una mente più adatta a inventare programmi (che sono materia del tutto mentale) di chi abbia studiato come fabbricante di "ferraglia".
Eco visto da Pericoli
(...) C'era una volta un signore che si chiamava Adriano Olivetti (imprenditore sovversivo, secondo la perfetta definizione di Marco Vitale, ndr), il quale, quando ancora i computers occupavano ciascuno uno stanza - assumeva laureati in materie umanistiche, che magari avevano fatto una tesi (ma una buona rigorosa ricerca) su Aristotele o su Esiodo, poi li mandava per sei mesi in fabbrica, perchè capissero per chi dovevano lavorare, e alla fine ne faceva delle menti altamente produttive per un futuro tecnologico.
Italiani, allora, cercate certo di coltivare un poco di più le materie scientifiche, ma vi invite alle "humanitates" non abbandonate (e non condannate a morte) gli studi umanistici. Il future è di chi sappia con mente agile unire quelle che P. C. Snow (che non aveva capito gran che) chiamava le "due culture", ritenendole irrimediabilmente separate".

Chiudo con una battuta del suo amico jazzista Gianni Coscia, che ha raccontato una telefonata con la madre di Eco, la signora Rita, che gli disse al telefono: "Gianni, convinci Umberto a fare Giurisprudenza come te. Vuole fare Filosofia. Ho così paura che rimarrà senza lavoro e morirà di fame". Gianni, con ironia, ricorda di aver risposto: "Cara Signora Rita, può stare tranquilla, perchè qualsiasi cosa farà Umberto, non morirà di fame".

Che la terra ti sia lieve, caro Umberto Eco.

lunedì 15 febbraio 2016

Il grillismo è morto, lo diceva già Norberto Bobbio sessanta anni fa criticando l'iperdemocrazia

Le prossime elezioni comunali di giugno a Milano, Torino, Roma, Bologna e Napoli saranno molto interessanti. Potranno darci utili indicazioni sul polso dell'elettorato, gravato da sette lunghi anni di crisi economica, che sembra finita.
La ripresa è fragile (+0,7% il consuntivo della crescita del Pil nel 2015) e a macchia di leopardo; i mercati finanziari mondiali bastonando le banche renderanno ancor più difficile l'accesso al credito in questo complesso 2016.

Il politologo Roberto D'Alimonte, uno dei più grandi esperti di flussi elettorali, invita ad osservare con attenzione come si comporterà il popolo grillino (Movimento 5 Stelle), soprattutto nel caso del ballottaggio, che - come noto - avviene se il sindaco indicato dalla coalizione vincente non supera il 50% dei voti effettivi.

Sarà quindi curioso vedere come si comporteranno gli elettori del M5s, trasversali, che raccolgono consensi da tutto l'arco politico. D'Alimonte spiega così: "La ragione principale di questo successo sta nel fatto che è il M5s è il vero partito della nazione. Un partito traversale, né di destra né di sinistra. È sopra e oltre, come dice Grillo. In realtà su molti temi, dalle unioni civili alle tasse, all’immigrazione i suoi elettori si collocano a metà strada tra destra e sinistra. Ma soprattutto non ha rivali sulla lotta ai costi della politica e alla corruzione. Su questi temi è considerato di gran lunga più credibile di qualunque altro partito, compreso il Pd. E questi sono temi trasversali per eccellenza che continuano ad alimentare la rabbia contro la casta e una domanda di cambiamento radicale. Da qui la popolarità del vero partito anti-casta. Ma il M5s è anche il partito del reddito di cittadinanza e degli aiuti alle piccole imprese. Una formula efficace che accentua il suo messaggio di essere un partito capace di andare oltre la tradizionale dicotomia destra-sinistra. Ecco perché tanti elettori dei partiti di destra sono disposti a votare Di Maio, come seconda scelta, in un eventuale ballottaggio con Renzi".

Personalmente credo che l'elettorato del Movimento, quando si tratterà di scegliere il salto nel buio o un candidato di destra o di sinistra, sceglierà il secondo.
 Già in passato abbiamo criticato il M5s - vedasi post - I grillini sono inscalfibili nelle loro certezze, come Mile Bongiorno nella Fenomenologia di Umberto Eco - , populista, becero, formato da persone impreparate, che, spesso, nella vita precedente all'elezione, non hanno combinato alcunchè.

La prova provata di questa affermazione è il candidato del Movimento a sindaco di Milano, Patrizia Bedori, non laureata, senza lavoro, nessuna esperienza significativa alle spalle, che è risultata votata da 60 attivisti (che numeri!) e quindi candidata a Palazzo Marino.

Norberto Bobbio, uno dei maggiori intellettuali del secolo scorso, può aiutarci. In una discussione serrata con Aldo Capitini, Bobbio contestò alla radice la fattibilità di una democrazia diretta - obiettivo massimo del M5s - vale a dire il potere di tutti "attraverso la discussione e la decisione in gruppi ristretti".
Bobbio proseguiva così: "Chi organizza piccoli gruppi non lo fa per farli discutere o per sentire che cosa pensano, ma per indottrinarli. D'altra parte senza una dose di indottrinamento o di propaganda o peggio ancora di manipolazione non è possibile giungere a soluzioni non dico unanimi ma per lo meno maggioritarie e senza soluzioni maggioritarie non si può decider nulla".

Come ha scritto Paolo Bonetti in un bel volume - Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio, Liberilibri, 2014 - "Bobbio non negava l'importanza della discussione dal basso, ma scorgeva chiaramente il pericolo, in questa iperdemocrazia agitata da innumerevoli gruppi e travagliata da interminabili discussion e contestazioni, di precipitare non solo nella paralisi deliberativa, ma in un confuse pullulare di istanze settoriali e personali per la "natural tendenza di ciascuno a mettere innanzi solo i propri interessi particolari".
Norberto Bobbio
Per Bobbio il grande limite della democrazia diretta è il particolarismo. Nella conclusione alla discussione epistolare con Capitini, Bobbio scrive: "Un potere è tanto più razionale quanto più è fondato su una conoscenza precisa dei problemi da risolvere. Un potere non è razionale solo perchè è di tutti. Non è razionale neppure presupponendo che tutti siano ragionevoli. Non basta essere ragionevoli, occorre anche conoscere come stanno le cose per non chiedere soluzioni impossibili e contraddittorie".

E' proprio questo che ci preoccupa. La mancanza totale di conoscenza dei problemi da parte dei vari Di Maio, Fico, Di Battista. I comici come Beppe Grillo facciano i comici.

martedì 2 febbraio 2016

La protesta dei diplomatici è fuori luogo. Nostra diplomazia non brilla per efficienza, vedasi analisi di Perotti. Gli ambasciatori tedeschi guadagnano meno della metà dei nostri

Sede del Ministero degli Esteri
Con un'iniziativa senza precedenti, 200 giovani diplomatici hanno indirizzato una lettera al presidente del Consiglio Matteo Renzi, dicendosi "profondamenti disorientati" dalla nomina di Carlo Calenda (ex vice ministro dello Sviluppo Economico) alla Rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione Europea a Bruxelles. Nella missiva si fa presente che "il segnale potrebbe preludere all'esclusione dei diplomatici di carriera dagli incarichi di maggiore responsabilità".

Per poter criticare in modo documentato è necessario avere un patrimonio di credibilità da spendere. Cosa che pare completamente mancare al corpo diplomatico. Infatti tempo fa quando il prof. Roberto Perotti studio attentamente gli stipendi, i benefit scandalosi degli ambasciatori e dei diplomatici, dalla Farnesina vennero solo silenzi profondi.

Perotti pubblicò nel febbraio 2014 sulla voce.info un documentato dossier - Diplomazia dei privilegi, privilegi della diplomazia - dove si evidenziava come il nostro corpo diplomatico surclassa come stipendi tutti i nostri peers, dai tedeschi ai francesi agli inglesi. L'ambasciatore italiano a Tokyo guadagna 27.028 euro contro i 10.018 euro del suo omologo tedesco. Aggiungiamo che la nostra diplomazia non è nota per la sua efficienza e produttività.

Dopo essere stato nominato commissario alla spending review, vista l'opposizione delle parti interessate e l'apparente mancato appoggio del presidente del Consiglio, Perotti si dimise dicendo di non sentirsi molto utile.

Al termine del suo rapporto, Perotti scrisse: "Nessun governo può chiedere sacrifici ai cittadini se non dimostra di saper dare una spallata ai privilegi più assurdi". Questa incredibile verità potrebbe essere parafrasata per i nostri diplomatici: "Nessun ambasciatore può protestare con il governo se non dimostra di voler dare una spallata ai suoi assurdi privilegi".