Leopoldo Pirelli |
Dopo la breve introduzione del nuovo Presidente dell’ISPI Giancarlo Aragona, succeduto all’Ambasciatore Boris Bianchieri (vedi post Omaggio a Biancheri, diplomatico eccezionale), sono state proiettate le immagini di un’intervista RAI a Leopoldo e Alberto Pirelli del 1963 – il padre di Leopoldo e il figlio del fondatore della Pirelli, Giovanni Battista).
Leopoldo, a una precisa domanda del giornalista sul futuro della grande impresa, ha risposto: “Le caratteristiche umane e morali del manager d’impresa devono rimanere quelle del passato, ma le caratteristiche funzionali devono cambiare. E’ necessario il decentramento di responsabilità, ci vuole managerialità”.
Pirelli guarda va lontano, aveva visione, troppa per quei tempi. Oggi si direbbe: Leopoldo vuole riformare la corporate governance.
Lo storico Giuseppe Berta - intervenuto successivamente e poi ieri sul Sole 24 Ore – ha scritto: “La fase cruciale della biografia imprenditoriale di Leopoldo Pirelli, scomparso il 23 gennaio di cinque anni fa (ieri è stato ricordato in un convegno organizzato dall'Ispi a Milano), si giocò probabilmente fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, quando si misurò col problema della trasformazione manageriale dell'impresa di famiglia. Un compito cui non si accinse il solo Pirelli (anche se nessuno lo affrontò con maggiore dedizione di lui), ma una leva di imprenditori quarantenni che si trovò rapidamente in una posizione di assoluto rilievo, convincendosi che la sfida determinante fosse costituita dalla modernizzazione della grande impresa, per attrezzarla a reggere la prova con la concorrenza mondiale. Era una generazione persuasa che l'impresa italiana dovesse prepararsi a navigare in mare aperto, senza complessi di inferiorità, e a partecipare al progresso della società, assumendosi le proprie responsabilità”.
Leopoldo Pirelli si fece promotore di un forte rinnovamento della società italiana, che sfociò nella Commissione Pirelli, poi Rapporto Pirelli, volta a rinnovare da cima a fondo l’organizzazione confindustriale. Come dice Berta,”Il Rapporto finale che essa pubblicò nel febbraio 1970, a sintesi dei suoi lavori, resta fra i prodotti culturali più alti dell'industria italiana”. Leopoldo si battè affinchè Confindustria perdesse il profilo ottocentesco di chiusa conventicola di gretti interessi aziendali per diventare un sindacato degli imprenditori più moderno.
Ho ripescato nel mio archivio un documento del 1986 scritto da Leopoldo Pirelli in occasione della premiazione da parte del Collegio degli Ingegneri, titolato “Le 10 regole dell’imprenditore”. E’ un bijoux. Attualissimo a 26 anni di distanza.
Al punto 3 Leopoldo scrive: “Credo fermamente che in un gruppo delle nostre dimensioni, il Chief executive officer debba farsi affiancare da collaboratori professionalmente e moralmente ineccepibili”.
Al punto 6: “Sono convinto che un imprenditore debba essere onesto nel senso più alto della parola. Penso che l’essere onesto paghi, sia l’imprenditore come persona sia l’azienda che dirige”.
Ricordo che lo storico Giulio Sapelli, in occasione della sua scomparsa, disse: “Ha sempre vissuto in modo frugale e probo, con un grande amore per la cultura”.
E’ opportuno ricordare in questa sede che Leopoldo Pirelli, dopo Tangentopoli, mise in discussione la classe imprenditoriale, fece autocritica. In un’intervista a Eugenio Scalfari del 1999 dichiarò quanto segue: “Alcuni imprenditori hanno sostenuto di essere stati in qualche modo costretti a pagare. Non è stato così. Concussi sono stati i piccoli imprenditori, non le maggiori imprese. Se una decina di grandi aziende avessero insieme denunciato la corruzione che era diventata sistema, nessuno avrebbe potuto impedircelo e schiacciarci, tutti insieme eravamo forti a sufficienza per cacciare quel malcostume”.
Il punto 9 si adatta particolarmente oggi dopo la tragica pantomima del Capitano (sic) Schettino, protagonista negativo della Costa Concordia, resosi non solo responsabile della rotta contro gli scogli, ma anche dell’abbandono della nave (intercettato, dice: "La nave si inclinava, io sono sceso") nei pressi dell’isola del Giglio.
Così Leopoldo Pirelli: “Credo che l’imprenditore non debba vantare meriti che spesso non sono individuali ma collettivi. Io, se devo attribuirmi un merito, scelgo quello di essere rimasto calmo e sereno al timone nei momenti in cui la barca era in difficoltà, in cui lo scafo stesso sembrava dar segni di cedimento. Ma non sono certo stato solo nel portare la barca fuori dalla burrasca: mentre io restavo al timone, altri hanno issato nuovamente le vele e insieme abbiamo ripreso a navigare”.
Il punto 10 riassume la serietà, la chiarezza, la responsabilità, la forza dell’uomo d’impresa: “Chiudo ricordando per ultima la prima qualità che un imprenditore deve sempre avere: cercare con tutte le sue forze di chiudere dei buoni bilanci. Se non ci riesce una volta, riprovare. Se non ci riesce più volte, andarsene. E se ci riesce, non credersi un padreterno, ma semplicemente uno che, dato il mestiere che ha scelto, ha fatto il suo dovere”.
Che classe, che eleganza, che spirito protestante e antiesibizionista. Mario Monti lo definì un “borghese gentile e calvinista”.
Nel 1992 all’assemblea Pirelli, con coerenza, dopo la sconfitta dell’operazione di acquisizione della tedesca Continental, disse: “Sono io il responsabile, io soltanto”. E lasciò.
Eugenio Scalfari |
In una cartolina al figlio Giovanni, Alberto Pirelli nel 1931 scrisse: “Ricordati sempre che il nome che porti implica dei doveri e non dei diritti, amor proprio non vanità”.
Caro Leopoldo, ti sia lieve la terra.
Per approfondimenti si consiglia:
Alberto Pirelli e l’entusiamo dell’apprendere
Vita di Alberto Pirelli (1882-1971), di Nicola Tranfaglia, Einaudi, 2010
Alla ricerca di un’industria nuova. Il viaggio del giovane Pirelli e le origini di una grande impresa (1870-1877), Francesca Polese, Marsilio, 2004
Legami e conflitti. Lettere (1931-1965), a cura di Elena Brambilla Pirelli, Archinto Editore, 2003
Recensione sul Corriere della Sera di Corrado Stajano su Legami e conflitti
In un Italia dove gli imprenditori di cui più si parla sono Flavio Briatore e Lele Mora, bello e necessario riportare alla memoria imprenditori che invece hanno fatto della discrezione, della determinazione e della volontà i loro cavalli di battaglia.
RispondiEliminaNel caso di Leopoldo Pirelli, la cultura, la gentilezza hanno trasformato un uomo in un esempio, esempio nel mondo del lavoro e nel mondo di un paese che troppo spesso dimentica che chi ha fatto del bene per se, chiaramente, e per la collettività c'è stato.
Pirelli, Olivetti, Mattei. L'imprenditoria italiana della seconda metà del XX° secolo ha tracciato la via da seguire per svolgere nel modo corretto un lavoro tanto importante quanto gratificante. Non a caso sono proprio queste figure ad anticipare i tempi. Non vengono capiti al momento, ma è il destino di coloro che portano il nuovo.
Ps Leopoldo si è laureato a 25 anni, non dopo i 28
FP
Trovo sempre interessanti i tuoi spunti su personaggi illustri
RispondiEliminaChe con sobria intelligenza han cercato di cambiare l’Italia.
Eppoi, mi piace il fatto che ci sia fermento, che ci siano
Idee rutilanti, spunti di riflessione e tracce di vite eccezionali.
C’é materia da sgagnare.
leonardo p.
Leopoldo era troppo avanti rispetto ai suoi tempi, peraltro...tempi fantastici dove c'erano i veri pionieri dell'industria, delle banche e del capitalismo!
RispondiEliminaUn abbraccio.
Gigi