giovedì 9 gennaio 2020

La storia di Adriano Olivetti dovrebbe essere meno edulcorata


Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi
L'apertura degli archivi di Mediobanca - intitolati a Vincenzo Maranghi - consente agli storici di tornare su alcune vicende economiche di grande rilievo. Una di queste è legata al salvataggio dell'Olivetti, negli anni Sessanta.
Fondata da Camillo Olivetti all'inizio del '900, l'Olivetti ebbe il suo periodo di splendore con Adriano Olivetti negli anni Cinquanta.
Come è noto Adriano Olivetti morì in treno verso Losanna - probabilmente per chiedere ulteriori finanziamenti alle banche svizzere - il 27 febbraio 1960.

Come ha scritto il presidente di Mediobanca Renato Pagliaro, la documentazione è davvero eccezionale: "Tutte le riunioni con la clientela venivano verbalizzate e fatte circolare...da notare che sempre il documento di lavoro già conteneva i punti chiave delle questioni affrontate, concrete ipotesi di soluzione, i pro e i contro, le impressioni e spesso un giudizio sugli interlocutori. Questo era reso possibile da un approccio che rimane piuttosto unico in un'Italia generalmente timorosa e spesso ipocrita...Lo stile della casa era,e resta, quello di rappresentare alla clientela, senza remore, il nostro schietto punto di vista professionale, spesso non aderente alle attese della stessa, cui di contro chiediamo una dialettica altrettanto sincera".

Adriano Olivetti
Il punto decisivo era che Adriano Olivetti aveva solo il 10% delle azioni e quindi era sotto costante condizionamento degli altri membri della famiglia, I quali avevano messo in pegno tutte le azioni presso le grandi banche svizzere. "Eravamo in presenza di un'insufficienza del capitale azionario della Olivetti e una grande dispersione dell'azionariato nel nucleo familiare della famiglia e degli eredi Olivetti" (Giorgio La Malfa, cit.).
L'ingresso nel settore elettronico (avvenuto nel 1951) e l'acquisto disgraziato dell'Underwood (che costerà in perdite negli anni successive circa 100 miliardi di lire dell'epoca, una cifra colossale) posero l'Olivetti in serissima difficoltà
Nel 1963 la situazione precipita e diventa chiaro come l'Olivetti da sola non ce la può fare. Roberto Olivetti convince i familiari ad affidare a Bruno Visentini, allora vicepresidente dell'IRI, la questione. Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Comit, suggerisce di affidare a Mediobanca (governata allora da Enrico Cuccia) lo studio della situazione e delle possibili soluzioni.
Mediobanca procede a un accertamento scrupoloso delle condizioni dell'Olivetti (tragiche)

In un verbale dell'Archivio si legge di un colloquio in Banca dell'8 febbraio 1964. Roberto Olivetti fa presente la sua preoccupazione per la fissazione di un prezzo troppo basso per l'aumento di capitale.  "Dichiara che i familiari sembrano non rendersi conto di tutto ciò". E qui viene il bello. La franchezza, la verità, la forza delle argomentazioni, della logica, dei numeri. Prende la parola Enrico Cuccia che dice: "Non è Mediobanca che è andata a cercare l'Olivetti ma viceversa e che se I signori Olivetti intendono fare a meno di Mediobanca, la cosa ci lascia completamente indifferenti".
#Chapeau

3 commenti:

  1. Ricevo e pubblico questo commento di Fulvio Coltorti, che prende spunto da un articolo di Walter Veltroni su Mario Tchou di domenica 12 gennaio, ma in generale tratta dell'Olivetti, quindi è molto attinente:

    Articolo bello pur con un titolo tremendamente errato: “il pc dell’Olivetti e Mario, il genio morto a 37 anni”. Non
    si parla infatti di personal computer (pc; per Olivetti il P101), ma di grandi calcolatori elettronici!
    Veltroni (che probabilmente non è responsabile del titolo) ricorda la figura di Mario Tchou, il genio cinese che
    Adriano Olivetti scelse per le sue iniziative nei calcolatori elettronici. Entrambi scomparvero senza aver potuto
    realizzare il massimo delle loro aspirazioni. Adriano un’iniziativa politica con al centro le comunità e l’impresa
    sociale, Mario un calcolatore elettronico che fosse il motore di un’industria nazionale ad alta tecnologia.
    L’articolo è coinvolgente come tutte le storie misteriose e qui il mistero è il dubbio che Tchou sia morto in un
    incidente automobilistico organizzato dalla Cia; questa avrebbe agito a difesa degli interessi americani
    rappresentati dall’Ibm, leader incontrastata con oltre il 70% del mercato mondiale. Con la doppia scomparsa di
    Adriano e Tchou (nel 1960 e 1961) l’impegno dell’Olivetti venne annullato, ma ciò accadde soprattutto per la
    condizione fallimentare in cui era finita. Nel 1963 un gruppo di intervento coordinato da Mediobanca ne
    organizzò il salvataggio e in tale ambito la Divisione elettronica (che fabbricava il calcolatore Elea) fu ceduta alla
    General Electric. Tutti i retroscena del salvataggio sono stati svelati in occasione dell’apertura dell’Archivio
    storico Mediobanca, alcuni giorni fa (si veda Giampietro Morreale, “Mediobanca e il salvataggio Olivetti”;
    Mediobanca 2019). Nell’articolo di oggi si cita Carlo de Benedetti che riferisce come in Olivetti “tutti credevano
    che fosse stata la Cia”. Altre voci “di corridoio” (inizio anni ’70, quando vi lavorai) attribuivano le sventure alle
    “cattive” banche del gruppo di intervento.
    Non vi sono prove dell’intervento della Cia (scrive Veltroni), mentre le azioni del gruppo di intervento sono state
    definitivamente chiarite dai documenti pubblicati da Mediobanca. Voglio solo ricordare qui che la General
    Electric, pur avendo acquisito le tecnologie Olivetti, dovette capitolare di fronte all’Ibm e nel 1970 (solo sette anni
    dopo) cedette tutte le sue attività alla Honeywell, compresa la ex divisione elettronica Olivetti che divenne
    Honeywell Information Systems italia. Difficile capire l’esito di decisioni alternative essendo impossibile
    provarle. Ricordo solo un saggio di Rosario Amodeo, ex olivettiano, pubblicato nel 2009 in occasione del
    centenario Olivetti (“Olivetti nella grande sfida internazionale dell’informatica”; Engineering in “Olivetti cento
    anni”). Se il gruppo di intervento avesse lasciato la divisione elettronica in Olivetti (decisione peraltro osteggiata
    dalla Fiat di Valletta) l’azienda di Ivrea sarebbe probabilmente tornata in condizioni critiche. Scrive Amodeo:
    “Sarebbe ingiusto colpevolizzare la Fiat e il gruppo di intervento per questa decisione. La divisione elettronica in
    effetti aveva tanti problemi… mentre nel ’59-’60 la tecnologia Ibm e quella Olivetti erano comparabili, a distanza
    di pochissimi anni l’Ibm era approdata ad una indiscutibile superiorità tecnologica” e le sue innovazioni avevano
    di fatto resi obsoleti gli Elea.
    In tale contesto l’articolo di Veltroni ricorda giustamente il poderoso sostegno dello Stato americano all’industria
    attraverso le commesse pubbliche, a fronte di un impegno praticamente nullo dello Stato italiano. Ancora oggi in
    Italia molti si scatenano contro la politica industriale che non c’è; figuriamoci negli anni ’60… Ultima nota: il
    P101, predecessore del pc, non fu venduto, ma rimase all’Olivetti perché la General Electric non lo trovò
    interessante ai suoi fini.
    Quanti errori!
    Fulvio Coltorti (già direttore del Servizio Studi di Mediobanca)

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  2. BRAVO Fulvio.

    Anche io, leggendo le carte di Mediobanca ho fatto le stesse considerazioni tue. Se l’Olivetti fosse andata avanti investendo pesantemente nell’Elettronica (ipotesi impossibile visto I debito dell’azienda e dei soci), avrebbe ulteriormente peggiorato la sua situazione.

    Beniamino

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  3. Ricevo e pubblico:

    Caro Beniamino,

      credo che, a chi allora era a Ivrea o dintorni, fosse ben noto che Adriano Olivetti avesse avuto da pochissimo un figlio dalla babysitter di Lalla (Laura) che allora aveva 9 anni

      E l'ictus su treno per Losanna lo ebbe mentre appunto andava a trovare il figlio neonato: altro che Cia!

      Tuo

      Lorenzo Enriques

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