lunedì 22 novembre 2010

22 novembre 1963: assassinato John Fitzgerald Kennedy

JFK
John Fitzgerald Kennedy, comunemente chiamato John Kennedy o solo JFK, venne assassinato a Dallas, in Texas, 47 anni fa, alle 12.30 del 22 novembre 1963.

Il quarantaseienne presidente degli Stati Uniti sta percorrendo su una macchina scoperta una piazza della città, accompagnato dalla moglie Jacqueline e dal governatore del Texas John Connolly, quando dal quinto piano di un edificio e da una collinetta sulla destra del corteo (memorabile il filmato di Zapruder) partono alcuni colpi di fucile. Gravemente feriti, Kennedy e il governatore sono immediatamente trasferiti al Parkland Memorial Hospital, dove il presidente muore, trenta minuti dopo senza riprendere conoscenza.


Kennedy appena colpito dai proiettili
Immediatamente dopo gli spari, la polizia arresta il presunto responsabile: si chiama Lee Harvey Oswald – che poi verrà ammazzato solo due giorni dopo da Jack Rubinstein detto Jack Ruby - ha fatto parte in passato del corpo dei marines. Nel frattempo sull’aereo che lo riporta a Washington il vicepresidente Lyndon B. Johnson presta giuramento come 36° presidente degli Stati Uniti: sono passati appena 99 minuti dalla morte di JFK.

Candidato del Partito Democratico, vinse le elezioni presidenziali del 1960 e succedette al Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower. Assunse la carica il 20 gennaio 1961 e la mantenne fino al suo assassinio.

Kennedy, di origine irlandese, è stato il primo Presidente degli Stati Uniti di religione cattolica. Fu anche il primo presidente statunitense ad essere nato nel XX secolo ed il più giovane a morire ricoprendo la carica.

La sua breve presidenza, in epoca di guerra fredda, fu segnata da alcuni eventi molto rilevanti: lo sbarco nella Baia dei Porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la conquista dello spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l'affermarsi del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

Desidero ricordare John Fitzgerald Kennedy con le sue parole più belle, enunciate nel discorso di insediamento alla Casa Bianca il 10 gennaio 1961: “My fellows Americans, ask not what the country can do for you, ask what you can do for your country. My fellows citizens of the world, ask not what America will do for you, ask what together we can do for the freedom of men”.

Ask not. Due sole parole che sono ancora oggi evocative. Smettiamola di lamentarci. Chiediamoci invece che cosa possiamo fare noi per il nostro paese. Solo così potrà tornare un po’ di entusiasmo e di ottimismo. Ne avremmo bisogno.

Da numerose ricerche demoscopiche, mai l’Italia è stata così poco ottimista. Un ricercatore demoscopico contattato mi ha detto: “Dal 63% storico (per circa 30 anni) siamo scesi - nel momento più' cupo - al 29% di sentiment positivo (ottimisti in senso stretto + stabili positivi). Nel 2009 siamo risaliti a oltre il 52% e nel 2010 siamo rimasti fermi: da 8 a 10 punti in meno rispetto alla media storica ma con un livello d'insoddisfazione di base del 30% circa superiore rispetto alla tradizione sino al 2007”.

Ripensiamo alle parole di Giorgio Ambrosoli - commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, assassinato dal killer J. Arico assoldato dal finanziere mafioso Michele Sindona - del 25 febbraio 1975 (ben 4 anni prima di essere ammazzato) alla moglie Annalori: “...Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”.

In sole otto righe la declinazione della parola dovere è ripetuta quattro volte. Pensiamoci. Basta lamenti. Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. In modo serio e onestamente.

3 commenti:

  1. Caro Benia,
    questa volta sono d'accordo con te!. Siamo diventati il paese del non fare, del lamento facile, del NIMB (not in my backyard) delle difficoltà che ci sono e di quelle che questa assurda burocrazia presenta a chi vuole fare. Liberalizziamo, ma veramente, il più possibile. Questa è l'unica ricetta, a parer mio, per uscire da questa crisi. E soprattutto facciamo le cose senza scorciatoie perchè alla fine il lavoro paga sempre....

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  2. caro Benny,
    ti ringrazio per aver ricordato oggi uno dei più gradi statisti che il xx secolo abbia mai conosciuto( e quindi ovviamente fatto fuori per tempo prima che potesse CAMBIARE davvero qualcosa).
    le parole di JFK valgono sempre e cmq, per qualsiasi UOMO, in qualsiasi nazione. ieri sera anche LDDM ha lanciato lo stesso messaggio: basta lamenti, basta fazioni, basta chiedere e non dare! iniziamo a lavorare per un futuro migliore, in cui DOBBIAMO credere.

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  3. Sono molto d'accordo con il "dover" fare delle cose virtuose. Aggiungo altro, per dare un contributo e poter contare ANCHE su un modo diverso di interpretare la situazione.

    Dalla seconda guerra in Italia si uscì con fame, bisogno, necessità di lavoro e migliorare le condizioni del tetto sotto il quale si viveva. Cioè si "doveva" fare e fare bene. La strada era battuta, senza voler sminuire il lavoro intenso di chi da quei tempi per decenni ha permesso il risparmio, alla maggioranza delle persone di avere casa, elettrodomestici comodi, auto, vestiti, ecc.

    Nei tempi moderni, alla crisi a mio parere andrebbe dato un altro nome, per ricordare che non lo è in senso assoluto ma relativamente a quel che gli italiani si potevano permettere 10-15 anni fa. Un operaio in crisi, spende comunque 50€ di cellulare al mese (5% del suo stipendio). Percentuale che non sognavano nemmeno gli operai (e neanche i capo uffico) degli anni '60 e '70, che stavano a guardare i figli mentre telefonavano affinchè non superassero 2-3 minuti. Ben venga il benessere, di cui la propensione alla spesa è segno, ma propongo si diano alle cose il loro giusto nome. Pur con l'aumento vorticoso dei prezzi nel 2000-2004, che giustifica una certa perdita di potere d'acquisto, resta un riposizionamento da fare sulle spese che dev'essere virtù individuale.

    L'occidente poi è oggi in mezzo a un guado, non in assoluto in crisi, anche perchè nella storia del mondo non penso sia mai esistita, in termini assoluti, un'opportunità di sviluppo mondiale come quella offerta da 3mld di persone (+1 in Africa) che hanno ora opportunità di svilupparsi e lo stanno facendo. Se l'acquirente medio di Ferrari in Cina ha 38 anni e 1/3 sono donne, vuol dire che una strada c'è; solo che i mercati stanno là, non qua (anche se avremo ottime opportunità di turismo e dovremo ben gestirle per evitare danni al paesaggio). E godere di una passeggiata sul Resegone anzichè acquistare un i-pod non significa minor PIL, nel senso di benessere.

    Per questi motivi, penso non sia conveniente parlare solo di dovere. Come azione preventiva per evitare il peggio va bene, ma è più completo ANCHE parlare di opportunità: non perchè a giovani e meno giovani d'oggi non (ci) faccia bene un po' di senso del dovere, ma perchè puntare SOLO sulla coercizione non è scelta completa, soprattutto in chi parla più, per un certo benessere diffuso raggiunto, il linguaggio del "volere". Meglio muovere ANCHE le energie dei verbi "volere" e "potere". Per scatenare il "vogliamo" di chi non vuole o sarebbe giusto dire "non sa ancora volere", è necessario MOSTRARE BENE i benefici di un percorso virtuoso; per scatenare il "potere" è bene far comprendere che studio, aggiornamento, lavoro servono a diminuire le incompetenze, quindi le paure di non poter fare.

    Puntando su 3 forze insieme, se fallirà il dovere, funzionerà il volere o il potere, e viceversa.

    Comporta studio, lavoro, partecipazione, partendo dal vicino di casa (la società dal basso) ma i risultati sono più ambiziosi e alti. Il primo 20% del risultato si raggiunge già quando si definiscono gli obiettivi, a seconda di dove e quanto completi, profondi e pervasivi essi si definiscano. Penso sia importante concentrarsi insieme: su Cosa è virtuoso, su Come raggiungerlo, su Chi ha competenze, su Quali dobbiamo (vogliamo? possiamo?) colmare.

    Funziona la ricetta del dare e del continuare a dare PRIMA dell'avere. Se il dare è convincente, il ricevere sarà automatico. Non è missionariato, o forse si in parte; fatto sta che funziona in azienda, famiglia, nelle comunità.

    Esempi positivi non mancano; concentriamoci su questi. Ci vorrebbero 10 trasmissioni di 2 ore come i 10 minuti finali della rubrica Goodnews di Report. La denuncia è giusta, ma sovrappesarla rispetto alla condivisione di esempi positivi è suicidio.

    Ale!
    Paolo

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