martedì 2 novembre 2010

Obama, preparati alla sconfitta di mid term

Barack Obama
Oggi negli Stati Uniti si rinnova il mandato di tutti i 435 deputati che compongono la Camera dei Rappresentanti, di 37 (su 100 complessivi) Senatori. Inoltre si vota per eleggere 37 (su 50) Governatori dei singoli Stati (tra i più importanti California, Florida, Texas e lo Stato di New York).

Secondo le previsioni, i democratici potrebbero mantenere una maggioranza risicata al Senato. Alla Camera i Repubblicani, secondo i sondaggi, strapperanno la maggioranza ai Democratici (necessari 218 seggi).

Raghuram G. Rajan
Raghuram G. Rajan - ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, attualmente Eric J. Gleacher Distinguished Service Professor of Finance at the University of Chicago Booth School of Business – nel suo splendido recente Fault lines (Princeton University Press, 2010), ci aiuta a capire perchè Obama sta perdendo consensi e rischia di perdere la maggioranza sia al Senato che alla Camera alle elezioni di mid term. Per inciso, la democrazia presidenziale americana prevede forti check and balance, per cui a metà mandato presidenziale, c’è un forte ricambio al Congresso.

Gli americani, storicamente, sono stati sempre contro un sistema di welfare all’europea, con forti ammortizzatori sociali, sanità gratuita e pensioni generose. Il risultato è un paese con basse tutele – weak safety net – non preparato a sostenere lunghi periodi di disoccupazione. L’elettorato quindi ha una bassa tolleranza per i cicli economici negativi rispetto a quello europeo, dove i sussidi alla disoccupazione sono corposi e mitigano i periodi economicamente difficili come quello che stiamo vivendo.

In media i sussidi negli Stati Uniti coprono il 50% dello stipendio per sole 6 settimane, quando in Francia permangono per 3 anni e in Germania non hanno un termine, purchè si accetti un lavoro alternativo.

Alla perdita del posto di lavoro, negli Stati Uniti, si somma anche il problema dell’assenza di un sistema sanitario universale, e quindi il singolo cittadino si deve assicurare in modo assai oneroso con le assicurazioni private.

Sempre Rajan: “Most Americans are understandably anxious about potential unemployment and the desire of the unemployed to rejoin the ranks of the employed is immense. As unemployment mounts, so too does the pressure on politicians to do something – tax cuts and spending increases – or on federal reserve members to ease the monetary policy”.

Qualche dato statistico. Prima del 1990, le riprese susseguenti alle recessioni sono state veloci, i posti di lavoro perduti venivano recuperati in poco tempo (in media 8 mesi).
Dal 1991 le cose cambiano. Nella recessione del 1990 sono necessari 23 mesi per recuperare i lost jobs – contro solo 9 mesi per recuperare i livelli di produzione precedenti. Non è un caso che George Bush
George Bush padre
senior perda le elezioni nel 1992 contro Bill Clinton.

Ci vollero 38 mesi per recuperare i jobs persi nella recessione del 2001. “Indeed, job losses continued well into the recovery”. Non a caso si parla sempre più spesso di jobless growth, di crescita economica che non crea lavoro.

Attualmente il Pil negli States cresce moderatamente (circa il 2%) – per gli standard d’oltreoceano - sotto la media storica dei periodi post-recessione, ma sono i disoccupati che preoccupano. Se si tengono in considerazione i beneficiari di sussidi, gli scoraggiati e coloro che sono rassegnati a lavori part-time, il tasso di disoccupazione raggiunge il 16,8%.

Nelle parole di Rajan: “Recoveries in the United States were increasingly “jobless”, and the safety net was wholly inadequate for cope with them”.

Lo storico inglese Simon Schama, sul Financial Times del 27 ottobre scorso - Time for the great orator to talk back – ha invitato Obama a tornare ad essere un grande oratore, parlando in modo semplice: “Obama ha un unico difetto, che nessuno avrebbe mai pensato potesse avere Obama: l’incapacità di comunicare con i cittadini. C’è da dire che Obama è sempre stato a suo agio con i discorsi solenni che con le chiacchierate alla pompa di benzina. Per conservare la simpatia della gente bisogna scendere dalle grandi altezze dello spirito a livelli terra terra, e questo presidente è allergico per natura alla semplificazione”.

I Repubblicani hanno buon gioco a sostenere che Obama non è stato in grado di far ripartire con decisione l’economia. Ma abbiamo visto che i tempi sono cambiati. La ripresa è da 20 anni jobless. Obama non ha alcuna colpa. Anzi, secondo noi è stato fin troppo tenero nei confronti della comunità finanziaria, la riforma del settore finanziario è poco incisiva. Così Martin Wolf sul FT del 27 ottobre – Why the voters are suing Dr Obama: “A large part of the american public has long since forgotten the gravity of the financial heart attack that hit the US in the autumn of 2008. The Republicans has convinced many voters that the intervention by the Democrats, not the catastrophe George W. Bush bequeathed, explains the malaise. It is propaganda coup”.

I simboli dei Repubblicani (elefante) e dei Democratici (asino)
Pochi giorni fa a New York, la città liberal e democratica per eccellenza, alla New York University, è stato organizzato un dibattito economico con Nouriel Roubini e Laura Tyson da una parte e Arthur Laffer e Phil Gramm dall’altra. Non è servito che la Tyson – consigliere economico dell’Amministrazione Clinton – sostenesse il ruolo importantissimo svolto dagli investimenti pubblici: “Il Governo soffoca l’economia? E’ vero il contrario. E’ stato il governo a salvarci da una depressione che abbiamo rischiato per le incoscienze del settore privato. Ci ha liberato dalla depressione. Ci libera con l’innovazione, migliorando le scuole. Vi piacciono i jet? Li abbiamo grazie al governo. Vi piacciono le biotecnologie? Le abbiamo grazie al governo che ha finanziato i progetti più significativi”.

L'economista Nouriel Roubini
Ne sono usciti vincitori – 49% a 43% (il pubblico vota al termine del dibattito) gli economisti della supply side economics, Gramm e Laffer. Se anche a New York i Democratici sono attualmente in minoranza, per Obama si fa davvero dura.

A vedere le convention dei Tea Party – con annessa l’ignoranza crassa di Sarah Palin (per dirne una preferisce aumentare le spese militari che migliorare il welfare) diventiamo pessimisti sulla sorte degli Stati Uniti. Siamo d’accordo con Fareed Zakaria, grande firma del giornalista americano, che scrive: “Quando viaggio dall’America all’India in questi giorni mi sembra che il mondo si sia capovolto. Sono gli indiani a brillare di speranza e fiducia nel loro futuro. Il 63% degli americani invece è convinto che non riuscirà a mantenere il proprio tenore di vita attuale. Ma quel che è ancora più inquietante, è che gli americani sono diventati terribilmente fatalisti sulle loro prospettive future. Questa nazione che sembrava convinta di poter riuscire in ogni sfida, ora è convinta che non ce la farà”.

3 commenti:

  1. Obama sta chiaramente combattendo per quei pochi punti a suo favore in grado di fare la differenza. Non può ambire ad una vittoria più "gloriosa" ed, anzi, in queste ultime ore sta usando tutti gli assi che ormai gli restano a disposizione: nell'ultima conferenza stampa si appella ai giovani, gli stessi che due anni fa gli hanno assicurato la nomina a Presidente. Da bravo oratore, cerca di sensibilizzare il popolo americano ad un futuro migliore e più radioso.
    "Excited, angry, proud, Americans turn out to vote": così titola un articolo della CNN.
    Obama ce la farà?! Il pessimismo sembra imperare in queste ultime ore, ma, d'altro canto, mai escludere la schiacciante ripresa dell'ultimo minuto. Si sa, l'America è il paese dei colpi di scena.

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  2. Alessandro Balsotti3 nov 2010, 06:49:00

    sono daccordo sul fatto che l'operato di Obama non abbia molto a che vedere con le jobless recoveries negli Stati Uniti. Queste sono un fenomeno strutturale: una parte sempre maggiore del ciclo produttivo di Corporate America avviene fuori dal suolo statunitense. Ed è per questo che con ogni probablità la politica monetaria iper-aggressiva della Fed stimolerà più bolle nei paesi emergenti che posti di lavoro domestici. Ci vorrebbe un piano industriale di lungo respiro (quasi in stile cinese) ma i cicli politici dei paesi occidentali che hanno svolto una funzione utile per cinquantanni nel dopoguerra sono ora inadeguati a simili scopi. Se Obama non ci è riuscito con il supporto di Congresso e di una popolazione uscita abbsatanza coesa dalle elezioni del 2008, non ci riuscirà certo ora dopo le mid-term election che ci regalano la legislatura più polarizzata della storia americana....

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  3. L'idea di vedere Sarah Palin al timone del paese con l'esercito più potente al mondo è decisamente agghiacciante. Questa è la cosa che più mi preoccupa per il mio futuro e non solo il mio. E purtroppo è una possibilità non troppo remota.
    Credo comunque che Obama abbia finito con le riforme radicali, fatto negativo per lo spessore del suo mandato, ma positivo se visto in prospettiva delle elezioni fra 2 anni. SPEREM
    Andrea Copper

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