martedì 9 novembre 2010

Concorrenza e barriere all’ingresso: l’esempio negativo degli avvocati

Concorrenza significa competizione tra imprese. Competere viene da cum-petere, cercare insieme, quindi concetto dinamico di scoperta, che contribuisce a promuovere scelte agili e proattive. Dove c’è concorrenza c’è ricerca comune, in forma antagonistica, della soluzione migliore. Solo la concorrenza permette di reagire tempestivamente ai cambiamenti di contesto.

La Banca d’Italia in diverse occasioni ha evidenziato l’urgenza di interventi strutturali volti a rafforzare la capacità di crescita dell’economia, potenziando il capitale fisico e umano del nostro Paese e accrescendo la concorrenza nei settori e attività in cui essa è insufficiente, segnatamente nel caso dei servizi publici locali.

Economisti di vaglia di Banca d’Italia (Forni L., Gerali A., Pisani M.) - Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td09/td706_09/td_706_09 - sostengono che per tornare a vedere una crescita al pari dei nostri Paesi europei, abbiamo bisogno di una cosa sola, più concorrenza.

Nel suo intervento alla Camera, Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Banca d’Italia, scrive http://www.bancaditalia.it/interventi/intaltri_mdir/saccomanni_061010.pdf : “Per il prossimo biennio, in un quadro di ripresa dell’economia mondiale, la DFP (Schema di Decisione di Finanza Pubblica, ndr) prevede un aumento del tasso di crescita del prodotto italiano, all’1,3 per cento nel 2011 e al 2 per cento a partire dal 2012. Riguardo a quest’ultimo valore appare opportuna una nota di cautela, tenuto conto del fatto che esso è pressoché doppio di quello stimabile per il prodotto potenziale dell’Italia alla vigilia della crisi.
Una ripresa dell’economia meno intensa di quella prospettata nella Decisione di finanza pubblica renderebbe più arduo conseguire gli obiettivi indicati. Insieme al riequilibrio dei conti pubblici, occorre rafforzare il potenziale di crescita dell’economia. Solo un’elevata capacità competitiva del sistema produttivo, cui contribuisca un settore pubblico più efficiente, può assicurare il ritorno a più alti e sostenibili tassi di crescita... Privilegiare il passato rispetto al futuro esclude dalla valutazione del benessere la visione di coloro per cui il futuro è l’unica ricchezza: i giovani”.

Emma Marcegaglia
Così la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia il 21 maggio 2009 nella sua Relazione annuale: “C’è una parola che nel dibattito della politica economica in Italia è sparita: liberalizzazioni. E’ urgente riprendere il cammino interrotto delle liberalizzazioni nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’energia, nelle professioni”.

E ancora – fresco, fresco – l’intervento di Mario Draghi - http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2010/draghi_5nov10/draghi_51110_ancona.pdf - all’ISTAO di Ancona di venerdì scorso: “Si aggiunge un problema di concorrenza nei servizi. Studi condotti in Banca d’Italia mostrano da tempo come la mancanza di concorrenza nel settore terziario ne ostacoli lo sviluppo e crei inflazione; essa incide anche sulla produttività e competitività del settore manifatturiero. Nel 1998 si presero misure di liberalizzazione del commercio al dettaglio; documentammo come esse favorissero in quel comparto l’occupazione, la produttività e l’adozione di nuove tecnologie. Ma l’impegno a liberalizzare il settore dei servizi si è da tempo interrotto”.

Copertina "Allegro ma non troppo"
Draghi cita il grandissimo storico pavese Carlo Maria Cipolla, il quale riferendosi al periodo di “grande gelo” dell’economia italiana tra l’inizio del 1600 e il 1820 – in cui il PIL pro capite rimase fermo – scrive: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.

Cosa vuol dire più concorrenza? Parliamo di un caso concreto: gli avvocati. Analizziamo la proposta di legge sul riordino della professione forense, esaminata dalla Commissione Giustizia del Senato.

Una riforma – controriforma è la parola giusta – che ci disgusta. Entriamo nel dettaglio delle proposte:

Cesare Previti
1. si allarga l’ambito delle esclusive; solo gli avvocati potranno patrocinare davanti ai tribunali ma anche nei procedimenti delle autorità amministrative indipendenti come Consob e Antitrust, benché economisti, professori universitari, giuristi d’impresa potrebbero farlo benissimo. L’Ordine degli Avvocati rivendica la competenza degli iscritti e l’alta moralità del codice deontologico. Ci risulta da un controllo effettuato il 3 novembre che Cesare Previti (Avvocato personale del Presidente del Consiglio) – condannato con sentenza definitiva per corruzione in atti giudiziari – sia ancora iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma. Complimenti! Limpido esempio di correttezza della categoria.

2. anche la consulenza legale e stragiudiziale “in ogni campo del diritto” saranno di competenza esclusiva della casta degli avvocati; i quali, attraverso il loro presidente Guido Alpa, si scagliano contro gli arbitrati e le conciliazioni (oltre 100.000 domande) , molto apprezzate dalle imprese;

3. è sancito il divieto della possibilità per un avvocato di far parte di più associazioni professionali. Non troviamo alcuna logica. Inoltre in extremis è stato inserito un emendamento che colpisce i grandi studi legali. L’emendamento prevede che la responsabilità personale di ciascun professionista di uno studio associato si riversi su tutti gli altri. Un principio insolito, forse inserito per raccogliere voti degli avvocati più piccoli?

4. tariffe professionali: si cancella il decreto Bersani – le efficaci lenzuolate – e si reintroducono gli onorari minimi “inderogabili e vincolanti”; si vieta il patto di quota-lite, dove l’avvocato lavora in percentuale su quanto riesce a ottenere a favore del cliente. La misura è inefficiente e anticoncorrenziale. Infatti la quota-lite aiuta i clienti deboli che non possono permettersi le spese per la causa.

5. in altri punti si limita l’accesso all professione, si restringe la possibilità di pubblicità, si chiude l’Ordine a soggetti esterni, in sostanza di ha un rafforzamento delle barriere all’ingresso nella professione. Oltre all’esame di abilitazione e al lungo praticantato, sarà necessario anche superare un pre-test per l’iscrizione all’albo dei praticanti e frequentare un corsi di formazione organizzati dagli ordini.

Ci supporta nelle nostre considerazioni uno studio di Basso e Pellizzari, “Quelle barriere per gli aspiranti avvocati”, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001982-351.html , in cui si può leggere: “Abbiamo messo in relazione l'età di iscrizione all'albo con un indice di frequenza del cognome nello stesso albo. In particolare, per ogni avvocato abbiamo calcolato la frequenza del cognome nell'albo, ovvero il rapporto tra quante volte quel cognome vi appare sul totale degli iscritti, in relazione alla frequenza dello stesso cognome nella popolazione... Si nota chiaramente che esiste tra queste due variabili una forte relazione negativa che è statisticamente significativa. Chi ha un cognome sovra-rappresentato nell'albo della sua provincia diventa avvocato prima. Per esempio, chi non ha alcun omonimo nell'albo diventa avvocato con un trimestre di ritardo rispetto alla media”. Non possiamo non essere d’accordo con i due economisti: “...il che mette seriamente in dubbio che e barriere all’entrata servano a mantenere alta la qualità dei servizi legali”.

Guido Rossi
A fronte di tale controriforma, non possiamo che commentare con le parole di Guido Rossi, tra i maggiori giuristi italiani – Corriere della Sera, 31.10.10 - Basta con la politica barbarica. Serve un nuovo Illuminismo: “Vedo un’economia ancora soffocata da rapporti omertosi, una società oppressa dalle opacità che nascondono la sacralità del potere. Se mi critichi sei un nemico, si dice. E invece no, la critica costruttiva è uno stimolo, serrve più cultura della trasparenza”.




Mario Monti
 O se preferite Mario Monti – Quanto tempo abbiamo perso, Corriere della Sera, 31.10.10: “L’Italia ha accumulato molto ritardo, nella preparazione del proprio futuro di economia competitiva appartenente all’Eurozona...Come convinto sostenitore di un’”economia sociale di mercato altamente competitiva”, quale è voluta dal Trattato di Lisbona, sarei un po’ preoccupato da un mercato privo, da un lato, di serie regole e di efficaci autorità di enforcement; dall’altro esposto a una più o meno esplicita “superiorità della politica”: terreno ideale, temo per abusi privati (monopoli, oligopoli, abuso di posizione dominante, ndr), abusi pubblici e loro varie combinazioni”.

Se una figura pacata come Mario Monti invita il Presidente del Consiglio a guidare e indirizzare il “Piano nazionale delle riforme” (da presentare alla Commissione Europea entro il 12 novembre) – "giorno e notte" – siamo proprio messi male.

2 commenti:

  1. questo è stato il mio più grande rammarico nel veder cadere l'ultimo governo Prodi, che con Bersani stava facendo passi da gigante su questo fronte (vedi anche regolamento sulle assicurazioni), dove finiremo?
    l'unica speranza odierna mi giunge dall'audience di Roberto Saviano di ieri sera, c'è ancora una parte di paese lungi dall'essere addomesticata dalla mediocrità,
    Immensa ammirazione per quell'uomo
    Saluti
    Andreas Copper

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  2. Sono da troppo lontano dall'Italia e da sempre lontano dalle technicalities della corporazione (o categoria, ormai) alla quale appartengo per esprimere un giudizio sul merito della proposta. Certo la tua analisi mi sembra convincentemente deprimente.

    Aggiungerei che l'altro numero di avvocati che siedono in parlamento certo non aiuta ad affrontare la materia con il dovuto distacco; d'altra parte, che gli avvocati siano attratti alla politica professionale e' una inevitabilita' dei sistemi democratici, assolutamente legittima e non di per se necessariamente un male.

    Che in questa proposta (o in altra sede, se piu' adeguata) non si affronti la consuetudine peculiarmente italiana di vedere avvocati sedere nei consigli di amministrazione delle societa' loro assistite (una pratica scoraggiata nei paesi anglosassoni, sopratutto - non e' ovvio? - per ragioni di conflitto di interessi ma con importanti riflessi - non e' ovvio? - anche sulla concorrenza) mi sembra una grave omissione. Che, ovviamente, non ci sorprende.

    Un cordiale saluto,

    Claudio

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