giovedì 13 gennaio 2011

Soldi per far soldi per far soldi

Giorgio Bocca
Soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, scusate, non le ho viste” (Il Giorno, 1962). Questo il memorabile incipit del reportage di Giorgio Bocca sul distretto calzaturiero di Vigevano.

Nel suo ultimo libro – Fratelli coltelli (Feltrinelli, 2010) - il grande giornalista ormai novantenne ripesca un suo articolo del 1984 (Vini d’autore) dove leggiamo: “Se pensate che i grandi del vino langarolo lo facciano per i soldi non vi sbagliate di molto, ma c’è anche la sfida contro gli altri, contro i tappi, contro la terra”.

Ecco il tema di oggi. Se si vuole avere successo in un’impresa, l’ultima cosa a cui pensare sono i soldi. Chi lo fa, fallisce nel suo tentativo, che non a caso viene definito impresa per via delle difficoltà da superare.

Nel novembre 2010 ho avuto la fortuna di partecipare al convegno “Responsabilità nell’impresa” (in onore di Vittorio Coda) organizzato dalla fantastica imprenditrice Linda Gilli (Cavaliere del Lavoro, beninteso) di INAZ. I relatori del convegno erano numeri uno come Marco Vitale, Guido Corbetta e Umberto Ambrosoli. Al termine degli interventi, un inaspettato dono di Linda Gilli ha indotto il prof. Coda a intervenire.

Vittorio Coda
Coda – nonostante non si fosse preparato nulla – ha come di consueto parlato con grande chiarezza senza sprecare una parola. Io, che ho assistito in Bocconi alle sue lezioni, posso testimoniare che la sua esattezza di linguaggio e profondità dei temi trattati non hanno eguali.

In relazione alla perdita di senso e al solo obiettivo di fare soldi, riporto quindi il suo pensiero – tratto da Responsabilità nell’impresa (Piccola Biblioteca Inaz, 2010): “Sono convinto che noi, per vivere felici, abbiamo soprattutto bisogno di senso, di dare senso alla nostra vita...Ciò che conta è essere vivi, animati da una fiamma che ci portiamo dentro, ci appassiona e ci riscalda il cuore, la quale in definitiva è un valore o ideale per cui merita di spendere la propria esistenza. Giorgio Ambrosoli aveva questa fiamma, che ha sempre alimentato e l’ha portato a coltivare la sua professionalità e a impegnarsi con amore ricco di intelligenza.
Il bisogno di senso non riguarda solo la vita di una persona, ma è molto importante anche per la vita di un’impresa. Uno dei casi che avevamo considerato nel nostro corso di strategia alla Bocconi, ricordo, è quello della General Motors, dove a un certo punto, agli inizi degli anni Settanta, era stato nominato come capo azienda un uomo di finanza, il quale aveva teorizzato che General Motors non era nel business di fare automobili, ma in quello di “fare denaro”. Questa missione aberrante, che stravolge il senso del fare impresa – ignorando che la ragione d’essere di qualsiasi azienda consiste nella produzione di beni o servizi per soddisfare bisogni dei suoi clienti – ha progressivamente portato General Motors in una spirale di crisi che ben possiamo definire come “crisi da perdita di senso”.

Francisco de Quevedo
Quando leggiamo le dichiarazioni dell’amministratore delegato di turno, o meglio di CEO modello “faso tuto mi”, che si riempie la bocca di affermazioni del tipo “Vogliamo creare valore per gli azionisti”, “Vogliamo adottare un piano di stock options per motivare noi stessi”, “Vogliamo diventare più grandi con una bella fusione per crescere”, stiamo molto attenti. Siamo vicini a una disfatta. Basta solo aspettare.

Spesso trovo utile cercare dei riferimenti - sempre attuali, nonostante lo scorrere del tempo - alla letteratura. Rileggendo alcuni articoli (degli anni Ottanta!) del grandissimo critico televisivo Beniamino Placido, ho ritrovato una citazione che ritengo perfetta. Si tratta di Don Dinero, il cavaliere seicentesco e spendaccione della letteratura spagnola che soffre di eccesso di fiducia nel denaro: “Poderoso Caballero, es Don Dinero” (Francisco de Quevedo y Villegas, 1632).

Il testo completo è spassosissimo. Eccolo:

PODEROSO CABALLERO ES DON DINERO

Madre, yo al oro me humillo,
Él es mi amante y mi amado,
Pues de puro enamorado
Anda continuo amarillo.
Que pues doblón o sencillo
Hace todo cuanto quiero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

Nace en las Indias honrado,
Donde el mundo le acompaña;
Viene a morir en España,
Y es en Génova enterrado.
Y pues quien le trae al lado
Es hermoso, aunque sea fiero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

Son sus padres principales,
Y es de nobles descendiente,
Porque en las venas de Oriente
Todas las sangres son Reales.
Y pues es quien hace iguales
Al rico y al pordiosero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

¿A quién no le maravilla
Ver en su gloria, sin tasa,
Que es lo más ruin de su casa
Doña Blanca de Castilla?
Mas pues que su fuerza humilla
Al cobarde y al guerrero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

Es tanta su majestad,
Aunque son sus duelos hartos,
Que aun con estar hecho cuartos
No pierde su calidad.
Pero pues da autoridad
Al gañán y al jornalero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

Más valen en cualquier tierra
(Mirad si es harto sagaz)
Sus escudos en la paz
Que rodelas en la guerra.
Pues al natural destierra
Y hace propio al forastero,
Poderoso caballero
Es don Dinero.

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