In dicembre se n’è andato Enzo Bearzot, IL commissario tecnico della Nazionale italiana, campione del mondo nel 1982. Lo abbiamo amato e apprezzato come uno dei tanti uomini migliori che hanno dato lustro all’Italia. Indro Montanelli nella prefazione a Il romanzo del vecio di Gigi Garanzini (Baldini e Castoldi, 1997) così lo ricorda: “...Che poi il mondo del calcio lo abbia accantonato non mi stupisce affatto. Non solo perchè anche in questo campo parlar chiaro e rifuggire dai compromessi non aiuta a far carriera: ma soprattutto perchè il pallone dei giorni nostri ha preso strade diverse dalla sua. Troppo smaccatamente commerciale, troppo mercenario questo genere di spettacolo per coinvolgermi ancora. Lo guardo di tanto in tanto in tv, ne leggo per tenermi aggiornato. Ma non c’è verso, non mi garba più come ai tempi di quel testone-galantuomo di Enzo Bearzot”.
In un Paese dove il singolo di solito pensa solo al proprio “particulare”, come ci ha insegnato Guicciardini, Bearzot ha in più riprese esaltato l’importanza della squadra e del gruppo. La squadra deve assomigliare a un’orchestra jazz. Così racconta lo stesso Bearzot a Garanzini (Il romanzo del vecio, p. 150): “Se la squadra è l’orchestra, ed è quella, non cambia, cambia invece di volta in volta il tema musicale. Che è l’avversario: dunque va affrontato, suonato, ogni volta in modo diverso. C’è una base armonica, che va rispettata e corrisponde al sistema di gioco. Ma in questo ambito ciascuno ha la possibilità di esaltare le sue qualità personali, che danno lustro alla prestazione collettiva. La batteria dà i tempi di fondo, un po’ come il regista che detta le cadenze del gioco, il sax può essere il fantasista, il contrabbasso è il libero, capace di difendere ma anche di offendere, la tromba è il goleador. Tu che dirigi, fai in maniera che i singoli interpreti si muovano entro il filo conduttore della musica e si adattino di volta e in volta al pezzo da suonare, così come alla partita da giocare. Ma sempre in funzione dell’assolo del solita, perchè è quello che ti mette i brividi ed è grazie a quello che si vincono le partite”. E chi si è dimenticato gli assoli di Paolo Rossi in Italia Brasile del Mundial ‘82?
Per i veri aficionados, riporto un fantastico passo di Francesco Piccolo – Momenti di trascurabile felicità (Einaudi, 2010): “Erano i mondiali del 1982. L’Italia li vinse, nella sostanza, nel momento in cui allo stadio Sarrià di Barcellona, l’arbitro fischiò la fine di Italia-Brasile...Quel giorno di Italia-Brasile, casa mia era invasa da una quantità di amici e compagni di scuola...Ho visto mio padre e gli altri perdere completamente il controllo su un gol che non esiste più e che però per noi esiste ancora.
Sono gli ultimi minuti della partita, il Brasile attacca perchè sta perdento 3 a 2, e l’Italia parte in contropiede con Antognoni che corre e lancia la palla sulla destra a Rossi e continua a correre. Rossi entra in area, vede Oriali accanto e gli appoggia la palla piano. Antognoni è arrivato, si è fermato, solo solo, sulla sinistra. Oriali ha il tempo di vederlo e gliela passa. Antognoni calcia da vicino e a colpo sicuro. Gol. Mio padre salta sul divano, in piedi, urlando con occhi roteanti “siamo i più forti, siamo i più forti”, così, per circa sessanta-settanta volte.
Un mio compagno di scuola, Alessandro Vessella, ha legato per sempre il suo nome a un gesto che gli invidierò tutta la vita. Gol di Antognoni, tutti a esultare e abbracciarci, mio padre che saltava sul divano. Vessella, senza dire una parola si alzò dalla sedia andò verso la porta d’ingresso, scese di corsa le scale, in silenzio, andò in strada, entrò nella Cinquecento e fece una sfilata intorno all’isolato di circa cinque minuti, ma era solo al mondo e urlava Italia, strombazzava e sventolava una bandiera. Credo che nel raggio di migliaia di chilometri quadrati non ci fosse nessuno, in quel momento...Quando è tornato, l’arbitro ha fischiato la fine e siamo scesi tutti, di nuovo, a fare la sfilata. Nessuno ha avuto il tempo di dirgli che il gol era stato annullato. Antognoni era in fuorigioco, anche se forse, a rivedere le immagini, non lo era. Ma oramai era fatta, e non ce ne importava più.
Sono sicuro che ancora oggi lui sia convinto che quella partita finì 4 a 2. Lo immagino che si meraviglia molto quando vede le storie dei mondiali e quel gol spesso nemmeno lo fanno rivedere. Penserà che sono scemi”.
Caro Piccolo, sei spassosissimo! Ho pianto di gioia a rivivere quei momenti di tensione pazzesca. Quando a pochi minuti dalla fine Zoff parò sulla riga un colpo di testa di Socrates, mi venne un colpo.
Chiudo con un ricordo di fine anno di Gianni Mura: “Bearzot Enzo (uomo di sport). Avrei potuto scrivere ex ct, ma Bearzot non è mai stato ex di nulla. Al 1982 si lega il ricordo dell’ultima, vera, grande , spontanea festa collettiva di un Paese, il nostro. Negli anni successivi ha badato solo a non contaminare i suoi valori di cittadino e di sportivo mescolandoli a quelli, sempre più velocemente cadenti, di un Paese, sempre il nostro. Gli amici sognavano per lui un funerale senza applausi. Non c’è stato, ma bisogna dire che l’applauso e durato proprio poco”.
Caro Enzo, ti sia lieve la terra.
Un mio autorevole lettore mi ha scritto privatamente (lo pubblico interamente): "E’ vero. Bearzot non è un gigante della Storia ma è un importante riferimento per chi sente forte la nostalgia di quell’Italia fatta di milioni di persone capaci nel loro mestiere e per bene nei rapporti umani, che senza sgomitare per essere in copertina tutti i giorni hanno portato in alto il nostro Paese".
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