venerdì 15 ottobre 2010

Ma quali Paesi Emergenti! Sono già belli che emersi!

La sede a Basilea della Banca dei Regolamenti Internazionali
In un suo recente speech, Stephen Cecchetti - Economic Adviser and Head of Monetary and Economic Department della Banca dei Regolamenti Internazionali - http://www.bis.org/speeches/sp100903.pdf  ha messo in rilievo come nei Paesi Emergenti la crisi non è mai esistita o quasi. Nelle sue parole: “Indeed, the patient efforts of many emerging countries, especially in this part of the world, to reform and strengthen their regulatory frameworks over the past decade are an important reason why the spillovers from the recent financial crisis in the US and Europe to these economies have been relatively mild. This is why my BIS colleagues in the Office for Asia and the Pacific have, from the beginning, corrected my terminology, insisting that I speak not about the global financial crisis, but about the international financial crisis. As they have said repeatedly, “There is no financial crisis out here”.

 Se ci mettiamo ad analizzare la tabella qui a fianco – tratta dal Financial Times, “A case not so much of agreeing to differ as just differing”, Martin Wolf, Special Report World Economy, FT, October 8 2010 – vediamo quale drammatico differenziale di crescita ci sia tra i Paesi Sviluppati e i Paesi Emergenti.

Mentre le economie dei Paesi Emergenti pesano oggi per il 30% del PIL mondiale, gli investitori di Stati Uniti, Europa e Giappone detengono solo tra il 2% e il 7% dei loro asset – 50.000 miliardi di dollari – nei Paesi Emergenti.

Attualmente le azioni presenti nel MSCI emerging markets scambiano a circa 13 volte gli utili previsti nel 2010 e 11 volte gli utili del 2011 (le azioni americane trattano a 14 volte gli earnings del 2010). In linea con la media a 5 anni. Non crediamo si possa parlare di una bolla.

In un intervento a Denver presso la National Association for Business Economics, l’economista Michael Spence, Premio Nobel per l’economia nel 2001, ha sostenuto che Brasile, Cina e India (i cosiddetti BRICs, acronimo che comprende anche la Russia) crescono di più degli Stati Uniti per i seguenti motivi:

1) Queste economie hanno imparato l’amara lezione della crisi 1997-98 che colpì più i paesi asiatici che le economie avanzate;

2) Sono in “a good initial position” con una leva finanziaria estremamente bassa, e quindi non stanno assistendo al deleveraging (riduzione della leva) statunitense;

3) Non hanno vissuto la diffusione e la proliferazione dei prodotti finanziari collateralizzati (Collateral Debt Obligation, alias CDO, mutui subprime cartolarizzati...);

4) Hanno costituito riserve di valuta estera ingenti.
Mercoledì sono stati pubblicati i dati del III° trimestre 2010 per la sola Cina, che ha aumentato le sue foreign exchange reserves di 194 miliardi di dollari (in tre mesi!), portandole a un totale di 2.650 miliardi di dollari.

5) Le loro banche centrali hanno risposto con velocità e agilità al credit tightening (razionamento del credito alle imprese);

6) Gli economic managers hanno dimostrato un livello elevato di competenza.

Alla domanda se si tratti di una crescita sostenibile, Spence ha risposto in modo affermativo, “I wouldn’t have said that 10 years ago

Ma quali Paesi Emergenti! Sono già belli che emersi!

6 commenti:

  1. Vero, "Ma quali Paesi Emergenti! Sono già belli che emersi!".
    Ormai non possiamo più parlare di underdevelopment, se non in alcuni campi, quali quelli riguardanti la regolamentazione delle condizioni lavorative, ambientali, etc. In ogni caso, niente di eccessivamente grande.
    Il punto è: quanto possono crescere ancora prima di "arrestare la loro avanzata"?
    Ricordiamoci che tali paesi (specialmente la Cina) si stanno dotando di assets sempre più strategici nello scenario economico-politico mondiale, per cui parlare di "avanzata" o "colonizzazione" non è di certo strano.

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  2. Alessandro Balsotti15 ott 2010, 11:15:00

    non posso che essere daccordo.
    Da un punto di vista di asset management, l'unico ostacolo (a detenere come sembra sensato asset dei paesi emergenti) sarà la volatilità: ormai molti flussi di 'hot money' (quelli che poi se ne vanno rapidamente) cercano rendimento (atteso dalla valuta, dai rendimenti degli asset o da entrambi) in questi paesi. Come è evidente dall'esponenziale aumentare delle riserve valutarie dei paesi che cercano di mantenere controllato l'apprenzzamento delle loro valute. Questi investimenti non saranno esenti da pesanti correzioni ribassiste quando arriveranno notizie negative dai paesi sviluppati, ma nel lungo termine devono avere una parte importante nei portafogli.

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  3. Sono stato in Turchia ad Aprile, e ci tornerò a fine mese. Ho visto un paese in crescita, ma con criterio. Ho avuto veramente una buona impressione. Sento sempre più spesso parlare di investimenti in Turchia, credo sia il più interessante mercato in crescita nell'area mediterranea & dintorni. Senza contare che è un paese grande con importanti risorse agricole e del sottosuolo, e rappresenta il passaggio terrestre tra Medio Oriente e Europa. La laicità dello Stato, sebbene la popolazione sia prevalentemente islamica (ma non araba!), ci avvicina ulteriormente. Il futuro è lì. Investite!!!
    Andrea Copper

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  4. La "leva finanziaria estremamente bassa" per paesi com Brasile e India è dovuta a tassi d'interessa troppo elevati per levereggiare alcunché. In Brasile il tasso di sconto è 10.75%, ma le piccole aziende si vedono chiedere il 25% dalle banche (quelle grandi emettono bonds in USD, che, peraltro, a mio avviso sono tra i migliori investimenti del momento). Non parliamo del tasso al consumo, che raggiunge facilmente il 40%.
    In tali condizioni, va da sé che l'indebitamento delle persone fisiche e giuridiche sia estremamente basso.
    Le aziende in particolare si finanziano col proprio cash-flow, e infatti agli attuali multipli nell'M&A sono un target interessantissimo in cui investire.
    Il settore RE ha un mortgage/GDP al 4.5%, ridicolo se comparato ai mercati evoluti (GB 120%, ITA 90%, ESP >100%, etc...) dunque il potenziale di crescita è gigantesco.
    Riguardo alle leggi sul lavoro, non pensiate che i brics siano come la Cina. Il Brasile ha leggi del tutto simili all'Italia, e infatti è uno dei freni al suo sviluppo. Gli altri freni sono un settore statale che ha aumentato le spese a dismisura (demenziale gestione di Lula, che come bonus ha anche lasciato alcune decine di miliardi di dollari di "buchi" nelle aziende statali come Petrobras, e un livello di corruzione mai visto prima) e la mancanza di liberalizzazioni.

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  5. Se in campo economico la gestione di Lula non è stata né efficiente né lungimirante, devo esprimere un commento a suo favore riguardo all'attenzione per il ceto basso della popolazione.
    Il progetto di riqualificazione urbana delle favelas ha avuto ed avrà un impatto sulla vita delle persone molto più significativo rispetto alla crescita annua del PIL di 3/4 unità percentuali in più.
    Andrea Copper

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  6. Mah, la cosa è assai discutibile. Le favelas, ad es. a San Paolo, si stanno riducendo per due motivi principali: miglioramente delle condizioni economiche degli strati più bassi (minore disoccupazione) e costruzione di enormi quantità di "case popolari". La seconda questione è attinente al governo locale, non a quello federale. La prima non è sicuramente merito del governo Lula, ma delle riforme implementate da FHC. Comunque non la giudico una iniziativa negativa.
    In compenso la vera, grande cazzata fatta da Lula è il "bolsa familia", che, al di là delle buon intenzioni (prevalentemente di clientelismo politico...), sta provocando l'allontanamento dalla ricerca di lavoro di ben due generazioni di sussidiati.

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