Ha destato impressione nei giorni scorsi la foto di Carlo e Camilla che si tengono per mano mentre gli studenti danno l’assalto alla loro Rolls Royce. 43 dimostranti e 6 poliziotto ricoverati. 30 arresti, il centro di Londra bloccato si lecca le ferite. La protesta rischia di radicalizzarsi dopo che la Camera dei Comuni ha approvato l’aumento delle tasse universitarie dall’attuale livello di 2.900 sterline fino a un massimo di 9.000.
In un precedente post sull'università italiana, abbiamo spiegato come i figli di papà sono oggi finanziati dagli operai e dagli impiegati, che di fatto sussidiano l’università in prevalenza frequentata dalle classi agiate. Siamo quindi dell’avviso che le proteste inglesi siano senza senso.
Lo storico Enzo Bettiza ha spiegato con chiarezza la differenza tra i college di Oxford e Cambridge – dove si forma la classe dirigente britannica - e la London School of Economics. Le great public school hanno tutt’oggi un fascino mitico e quasi fiabesco. Bettiza scrive: “Nella sua mente essa si confonde con il campus verde biliardo, dominato dall’immane edificio gotico color ocra bruciata....Molti non contestano affatto la retta alta, la considerano giusta per poter ottenere, in tempo di crisi, un privilegiato insegnamento oxoniano. Nell’immaginario popolare di una società a millenaria connotazione classista, una laurea di Oxford (fondata nel 1163) poteva fare il miracolo di consegnare di colpo il laureato alla scalda dei grandi poteri; ai vertici dello Stato; agli splendori della diplomazia, ai comandi della flotta, alle ricchezze della banca, alle avventure di imprese colonizzatrici, evocanti la Compagnia delle Indie. La London School of Economics (da dove sono partite le proteste venerdì scorso, ndr) è invece un’altra faccenda, che non accende la fantasia né delle classi ricche, né delle classi povere; essa sforna umanisti, sociologi, politologi, economisti, giuristi destinati a un reddito medio e dediti alla diagnosi e alla riparazione clinica dei guasti sociali. Taluni la vedono come un dotto esercito della salvezza”.
In Italia dovremmo imparare dal mondo anglosassone, dove la massima imperante è: ”Students first”. Ci troviamo d’accordo con il sociologo Ilvo Diamanti che ha recentemente scritto: “Perchè le colpe del corpo docente, all’Università, sono molte. Una fra tutte: non aver esercitato un controllo sulla qualità nel reclutamento. E nella valutazione dell’attività scientifica e didattica. Anzitutto della propria categoria”.
Ma ridurre il problema dell’Università ai professori pigri sarebbe ingeneroso e fuorviante. Come sintetizza efficacemente Severgnini, “Agli studenti manca un sogno” (Corsera, 11.12.10)...ma non mancano soltanto i soldi. Mancano i sogni e gli incoraggiamenti”. “Quarant’anni fa erano i sogni a riempire le strade; oggi è la mancanza di sogni”. Il futuro non è più quello di una volta (Paul Valery).
L’editorialista inglese John Lloyd riassume efficamente: “Diventa sempre più chiaro col passare del tempo che una certa epoca si è definitivamente conclusa, e non soltanto per il Regno Unito, la per tutte le ricche economie dell’Occidente. Mi riferisco all’epoca nella quale guadagnare era facile, il lavoro non era troppo difficile da trovare per buona parte delle persone, le ferie erano relativamente lunghe, i servizi della pubblica istruzione e dell’assistenza sanitaria migliorati costantemente. Ormai quei tempi sono alle spalle. Noi che viviamo oggi in queste nostre economie dobbiamo lavorare di più e più duramente per conservare il livello di servizi che abbiamo. Non ci sono alternative. Gli studenti benché giovani si stanno aggrappando a un’epoca in via di dissolvimento. Quella nella quale diverranno adulti, vivranno e lavoreranno sarà più dura, in linea generale, di quella nella quale hanno vissuto molti dei loro genitori. Questa è l’unica lezione che impareranno tutti”.
Gli inglesi hanno un’espressione fantastica: There Is No Alternative, il cui acronimo è TINA. Speriamo che lo capiscano anche i nostri studenti. Come in tempi non sospetti scrisse Paul Krugman, viviamo in un’epoca di “Diminishing Expectations”. TINA.
Io credo che un'alternativa ci sia sempre..
RispondiEliminaIn questo caso non si tratta di abbassare le tasse universitarie, ma di creare u n meccanismo nel quale i più meritevoli siano sussidiati negli studi (ovunque decidano di studiare, università pubbliche o private, italiane o straniere); facendo invece pagare adeguatamente tutti quegli "studenti" privilegiati che si iscrivono all'università solo per scaldare i banchi (e disturbare alle lezioni), perché tanto c'è il papi (o la mami) che li mantengono... Sono questi veri bamboccioni, iscritti per anni in università pur di non iniziare a darsi da fare davvero... Ma ben vengano, purché paghino il giusto (che è molto più del livello attuale delle tasse universitarie), di modo che lo stato debba preoccuparsi di aiutare solo chi lo merita davvero...
Secondo me la progressività delle tasse universitarie in Italia è a dir poco ridicola.
RispondiEliminaBisognerebbe far pagare di più i super ricchi (fino a 9-10 k€/y) e i ricchi (4-5 k€/y), mentre per i redditi medi e bassi bisognerebbe mantenere le tasse attuali e la possibilità di rimborsi per studenti meritevoli. Poi ci sono casi assurdi legati al reddito famigliare, slegato totalmente dal patrimonio immobiliare. Il concetto è: 4 persone a parità di reddito sono considerate più ricche se vivono tutte insieme in un appartamento da 90 m2 piuttosto che ciascuno nella propria villa da 300 m2 con giardino.
Andreas Copper
Mi capita spesso di sentire questioni su come viene misurata la ricchezza per l'assegnazione delle borse di studio..
RispondiEliminaQuello che posso dire è che non è assolutamente vero che bisogna essere poveri in canna per accedere alle borse di studio.. E poi vorrei sottolineare un aspetto di cui, secondo me, molta gente che si lamenta non tiene conto..
è vero che per accedere alla graduatoria bisogna innanzitutto rispettare dei requisiti di reddito (ci mancherebbe, altrimenti lo Stato aiuterebbe chi non ne ha bisogno, un po' come se, quando uno compie 60 anni, cominciasse a ricevere la pensione anche continuando a lavorare... Non funziona così il Welfare state!!)... Ma posso assicurare che non è necessario essere nelle condizioni di far fatica ad arrivare alla fine del mese per rispettare questi requisiti.. Detto questo, è vero che probabilmente nelle graduatorie possono finire persone che non sono esattamente bisognose, ma si parla di gente che evade le tasse (c'è sempre qualcuno che bara nella vita, ma non per questo il sistema di valutazione è sbagliato, solo bisognerebbe fare più controlli); i casi di cui parla Andrea sono molto particolari, ma se si leggono i bandi, è chiaro che non è così semplice per uno studente essere considerato indipendente dalla famiglia (cioè, se il papi ti compra l'appartamento e ti mantiene, risulti ancora nel suo nucleo, quindi non c'è il rischio che risulti più povero di uno che vive in famiglia).. Della serie, prima di lamentarsi bisognerebbe informarsi..
Comunque.. Una volta nella graduatoria, il requisito di reddito non viene più considerato: il punteggio viene dato solo in base al merito (tranne al primo anno, poichè non sarebbe corretto confrontare la carriera di studenti che provengono da scuole diverse).. Quindi, se hai bisogno di un aiuto dallo stato (e lo dimostra la tua situazione reddituale) e sei meritevole, stai certo che la borsa di studio ce l'hai (certo, se ti piazzi bene in graduatoria.. altrimenti vuol dire che c'è gente più meritevole di te).. E' chiaro che non si possono aiutare tutti gli studenti, quindi è necessario mettere un requisito di reddito... Ma poi conta solo il merito (chi è fuori fascia, evidentemente può permettersi di finanziarsi gli studi, anche perchè le rette nelle università pubbliche sono veramente basse)... E poi, se uno non accede alle borse dell'ISU perchè fuori fascia, può sempre partecipare ad altri concorsi, preclusi agli assegnatari della borsa di studio statale (io ho rinunciato ad una borsa di studio privata perchè altrimenti non mi avrebbero dato quella dell'ISU).. Certo, anche in questo caso bisogna innanzitutto essere meritevoli...
Ritengo che la polemica giusta sia: se è vero che l'università non debba essere pagata dagli operai - i cui figli difficilemte avranno l'opportunità di frequentarla - è anche vero che sia la sanità che la pensione degli operai è stata e sarà in gran parte pagata dalle tasse elevatissime che pagheranno i figli delle classi privilegiate che hanno studiato all'università. Ora siamo davvero sicuri di voler rompere questo meccanismo in Italia? Non si può chiedere alle classi privilegiate di pagare tasse più elevate di quanto gli costerebbe un servizio privato in cambio di nulla. Io personalmente ci starei a pagare il 10% di tasse e dover pagare a parte la sanità, le scuole e la pensione (che sono le voci principali di spesa pubbica in Italia).Ma temo che così l'ascensore sociale scomparirebbe....
RispondiEliminaMarco Miglia
condivido le analisi indicate nell'articolo e sono in linea con le parole del lettore Marco Miglia. Penso anche io che alternative non ci siano e che anche in Italia sarebbe ora di garantire qualità e meritocrazia a chi dimostra veramente di meritarlo. Solo cosi si eviteranno le storture del nostro sistema sociale, dominato dalla "anarchia" e "parentopoli"
RispondiEliminaSandro Bagatti
Caro Miglia, non sono d'accordo. Le imposte - ispirate a un principio di progressività secondo la Costituzione - servono a pagare le pensioni sociali, la cassa integrazione in deroga (pessima forma di sussidio alle imprese), la giustizia, la polizia...e purtroppo anche l'università.
RispondiEliminaLa fiscalità generale non deve fare assistenza alle classi agiate. Le classi agiate l'università se la devono pagare, proprio per poter pagare le borse di studio ai figli degli operai.
L'ascensore sociale in italia non esiste proprio. Ne parleremo in prossimi post.