martedì 14 dicembre 2010

Il Nobel a una sedia vuota. Ma la Cina non è una dittatura

Quando venerdì scorso è stato consegnato il Nobel per la pace, la sedia di Liu Xiaobo, dissidente, promotore di “Charta 08”, è rimasta vuota. Xiaobo è stato condannato a undici anni per “istigazione alla sovversione” e rinchiuso nel carcere della Manciuria.

E’ stato un brutto spettacolo. E’ brutto che i primi ministri europei si siano fatti intimidire dalla Cina e non abbiamo osato chiedere la liberazione di Xiaobo.

L'architetto Ai Weiwei
L’archistar e artista dissidente Ai Weiwei – arrestato perchè voleva festeggiare con un party la demolizione forzata del suo studio a Shanghai, liberato dopo tre giorni ai domiciliari - ha dichiarato: “Humour is a necessary ingredient when you are living under an authoritarian society. I’m in a battle against any system that tries to limit our imagination. Only with humour and art do we have a superior advantage, and we sill win every time....La Cina è un luogo dove non esiste libertà di espressione, dove l’accesso alle informazioni è limitato dalla censura, dove non si svolgono elezioni e dove la giustizia dipende dalla violenza del potere. Il mondo deve capire cosa significa trasformare un luogo simile nella prima potenza del pianeta”. E prosegue – decisamente incazzato: “L’atteggiamento internazionale fa pietà. Arrivano in Cina capi di Stato e di governo e nessuno osa pronunciare in pubblico le parole “diritti umani”. Come possono essere così miopi? I grandi leader, dopo il Nobel per la pace, non si arrischiano nemmeno a dire il nome di Liu Xiaobo. I figli dell’Occidente malediranno questo errore”.

A fronte della sedia vuota di Xiaobo e delle affermazioni di Weiwei, la reazione sarebbe di considerare la Cina una dittatura. Non è così.

Il nostro sempiterno riferimento Marco Vitale in un recente commento scrive: “In primo luogo la Cina è un paese governato da una classe dirigente che coltiva una cultura del fare vera e non parolaia, come da noi. In secondo luogo la peculiare democrazia cinese, così diversa dalla nostra, con il ruolo centrale del partito, facilita il processo decisionale anche se in Cina vi sono talora divergenze forti fra autorità locali e centrali e se la presenza di un’opinione pubblica attenta è in crescita. Immagino che molti si risentano del fatto che ho usato la parola democrazia cinese, ma penso che sia un grande errore continuare a classificare la Cina come un Paese totalitario. Nell’interno del partito esiste una forte dialettica e forme di competizione democratica. L’opinione pubblica incomincia a contare. Gran parte della strada verso un Paese di diritto è stata percorsa. Molti meccanismi di bilanciamento di poteri sono in atto, che rendono possibile parlare di democrazia sia pure controllata e fortemente guidata dalle oligarchie del partito che resta tetragono ad ogni democratizzazione. Forse, provocatoriamente, si potrebbe parlare di autoritarismo democratico”.


Slavoj Zizek
 Interessanti anche alcune considerazioni del filosofo sloveno – gran provocatore, visiting professor in numerose università dal mondo - Slavoj Zizek: “Dovendo immaginare in onore di chi si costruiranno statue tra un secolo, penso a Lee Kwan Yew, per oltre trent’anni primo ministro di Singapore. E’ stato lui a inventare quella pratica di grande successo che poeticamente potremmo chiamare “capitalismo asiatico”: un modello economico ancora più dinamico e produttivo del nostro, ma che può fare a meno della democrazia, e anzi funziona meglio senza democrazia. Deng Xiaoping visitò Singapore quando Lee stava introducendo le sue riforme, e si convinse che quel modello andava applicato alla Cina”.

Poi Zizek tocca un punto importante, la fine della connessione tra democrazia e capitalismo: “Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all’orizzonte. Sembrano richiedere un “governo di esperti” molto decisionista, che si esprima su quel che occorre fare, e lo metta rapidamente in atto senza tanti salamelecchi. Ma il punto non è criticare la democrazia in sè; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l’aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico”.

Io sono indotto a pensare che non bisogna prendere scorciatoie. Noi europei ci abbiamo messo circa duemila anni per approdare alla democrazia, non possiamo pretendere che questo salto storico altri lo facciano in un solo giorno. Abbiamo visto come esportare la democrazia sia assai complicato e nefasto. Ogni popolo deve trovare dentro di sè le energie per liberarsi dei propri tiranni, altrimenti diventerà schiavo del suo liberatore.

Si sbaglia di grosso chi pensa che la guerra sia la via più veloce per risolvere un problema. Dopo una guerra il problema è ancora intatto. E la guerra per esportare la democrazia è stata un fallimento clamoroso. Dopo l’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001, la situazione è migliorata?

Consiglio a tutti la visione del film Bhutto sulla storia della famiglia Bhutto e in particolare di Benazir, gran donna, con un coraggio ammirevole, primo ministro due volte del Pakistan, assassinata il 27 dicembre 2007.

1 commento:

  1. Beniamino,
    non sono d'accordo con Marco Vitale che stimo profondamente. La Cina applica in qualunque campo un approcio dittatoriale. Per me democrazia non vuol dire affrontare i problemi con decisione. Vuol dire affrontarli con decisione ma chi li deve affrontare deve essere una persona eletta a suffragio universale. Devono esserci in un paese democratico giornali liberi e accesso alla rete senza censure. Confondere il decisionismo con la democrazia ha generato i mostri che ci hanno accompagnato nel secolo appena trascorso....

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