mercoledì 10 novembre 2010

L'incredibile dicotomia nella crescita mondiale - QE2 contro QT2

E’ incredibile come stia cambiando il mondo. E a quale velocità.

Sabato scorso è stato raggiunto – dopo lunghissime negoziazioni - un accordo sulle quote del Fondo Monetario Internazionale, con il raddoppio di peso per la Cina e un deciso aumento di rappresentanza per l’India. Gli Emergenti avanzano. Vengono loro trasferite il 6% dei diritti di voto, a scapito delle economie occidentali. “E’ il maggior cambiamento di governance nei 66 anni di storia del FMI”, ha dichiarato Strauss-Kahn, il Presidente. La Cina da sesto azionista del Fondo, si piazza al terzo, dopo Usa e Giappone, scavalcando Germania, Francia e Gran Bretagna.

Ma quello che più mi ha colpito nei giorni scorsi è l’apertura del Financial Times di settimana scorsa – “Emerging markets to counter QE2” – in cui emerge nitidamente la profonda dicotomia di crescita tra l’Asia e l’Occidente. Mentre la Banca centrale americana guidata da Ben Bernanke, insiste ancora con le manovre espansive – ancora perchè sono la seconda parte dell’easing quantitativo (da qui il nickname QE2) iniziato nel dicembre 2008 – le banche centrali di India e Australia il 2 novembre hanno alzato i tassi di interesse. Il Financial Times scrive con ironia: “After QE2? QT2? Quantitative tightening – measures by emerging markets countries to counter the sometimes pernicious effects of capital inflows”.

La Fed prende alla lettera il doppia mandato che le è stato assegnato nel tempo. Gli attuali compiti della Fed sono il composito risultato della Storia. A seguito della Great Depression fu introdotto come policy target il pieno impiego (Full Employment) attraverso l’approvazione dell’Employment Act nel 1946. A seguito della Great Inflation degli anni ’70 – attraverso l’Humphrey-Hawkins Act del 1978 – fu introdotto come policy target la stabilità dei prezzi (price stability).

La Fed ha deciso di agire in maniera poco ortodossa, acquistando nei prossimi 8 mesi – senza alcuna sterilizzazione – 600 miliardi di dollari di titoli di Stato e non sulla parte lunga della curva (10 anni e oltre). Gli economisti parlano di politica monetaria non convenzionale. In questo modo cerca di mantenere bassi i tassi a lunga – dal momento dell’annuncio a fine agosto a Jackson Hole i tassi a 30 anni del Treasury Bond sono saliti di mezzopunto percentuale, i tassi a 10 anni sono sugli stessi livelli.

Non tutti sono d’accordo sull’efficacia del nuovo piano espansivo eterodosso compiuto dalla Fed. Martin Feldstein dalle colonne del Financial Times sostiene che “QE2 is risky and should be limited”. Il Nobel Stiglitz dice: “Sono preoccupato per una nuova bolla che alla fine porterà più problemi di quanti ne possa risolvere”.

Lo stesso Financial Times in un commento il 5 novembre scrive: “Its well-advertised return to quantitative easing threatens most of all to show up the Fed’s impotence…Calls are growing for the Fed to make a stronger commitment to inflating the economy – by stating its willingness to overshoot on inflation or adopt a price level target that would require it to “catch up” after a period of low inflation”.

La pensiamo come l’economista Marcello De Cecco: “Quel che colpisce della politica monetaria americana è la patente indisponibilità a imparare dai fallimenti del passato... E’ stata proprio la politica dei tassi bassi, condotta nel ventennio di Greenspan e proseguita cnel quinquennio di Bernanke, ad aver portato al disastro prima la finanza e poi l’intera economia mondiale. Perseverare diabolicum, prof. Bernanke”.

Abbiamo visto che questa massa di dollari in circolazione, invece che aumentare la domanda di beni negli Stati Uniti, si è tradotta in un influsso di investimenti nei paesi emergenti, con conseguente rivalutazione delle loro monete. Il Ministro del Tesoro brasiliano Guido Mantega non è andato per il sottile: “It’s no use throwing dollars out of a helicopter (sappiamo che Bernanke viene soprannominato Helicopter man perchè nello studiare ex post la crisi del 1930, sostenne che sarebbe stato utile buttare giù dagli elicotteri banconote per invogliare gli americani a spendere, ndr). The only result is to devalue the dollar to achieve greater competitiveness on international markets. You have to combine that with fiscal policy. You have to stimulate consumption”.

Il presidente della banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, di cui abbiamo parlato in un precedente post http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/10/la-cina-non-e-oriente-e-occidente.html- ha sostenuto che “la mossa Americana può essere migliore per gli Stati Uniti ma non necessariamente per il mondo. Anzi, può creare effetti negativi per la crescita mondiale”.

Xia Bin, consigliere della banca centrale cinese, è stato ancora meno diplomatico: “As long as the world exercises no restrain in issuing global currencies such as the dollar, then the occurrence of another crisis is inevitable, as quite a few wise westerners lament”.

Una certezza i mercati sembrano averla. Il fiume di liquidità creato dalla Fed porterà il dollaro a indebolirsi – da fine agosto l’indebolimento è stato netto contro tutte le valute. E più le manovre quantitative si riveleranno prive di effetti, più il dollaro si indebolirà.

Che cosa può fare l’Occidente per uscire dalle secche della crescita anemica? Zingales sostiene che il problema non è tanto il renmimbi sottovalutato, bensì l’eccesso di risparmio cinese. Le famiglie cinesi risparmiano per supplire alla mancanza cronica di welfare. Ma sono soprattutto le imprese – molte pubbliche - che risparmiano molto di più di quanto investano. “Il problema quindi – chiosa Zingales, – è che le imprese cinesi pagano i loro operai troppo poco e sidtribuiscono troppo pochi dividendi. Se gli americani vogliono eliminare il rischio di deflazione a livello mondiale e fare ripartire la loro economia, la soluzione non è costringere i cinesi a rivalutare il renmimbi o aumentare l’offerta di dollari. La soluzione è quella di accelerare il processo di democratizzazione in Cina. Una Cina democratica distribuirebbe una fetta maggiore dei profitti alle famiglie sotto forma di dividendi e di aumenti salariali. Questo aumenterebbe il consumo di beni americani da parte dei cinesi, riequilibrando la bilancia dei pagamenti americana senza alcuna svalutazione”.

Caro Zingales, allora stiamo freschi. Leggo che Pechino ha inviato una lettera agli ambasciatori dei paesi europei a Oslo con l’invito a disertare la cerimonia di premiazione dei Premi Nobel il prossimo 10 dicembre.

Ora che la Cina diventa più democratica, siamo tutti vecchi. “Cucchi bacucchi”, direbbe mia figlia Allegra.

2 commenti:

  1. Uno dei problemi più grandi degli USA è che non può fare leva sul risparmio privato, perché decisamente irrisorio. Non stiamo parlando di paesi come il Giappone: la situazione americana è diametralmente opposta, basti pensare ai migliaia di casi di pignoramento.
    D'altro canto, con la sua scelta di continuare questa "quantitative easing policy", Bernanke deve mostrare che il governo ha maggiormente a cuore i problemi interni del popolo americano rispetto alle relazioni nell'"international market": attualmente gli Stati Uniti pensano a diminuire un tasso di disoccupazione fisso al 9,6%, per cui non si chiedono se questa scelta, svalutando il dollaro e rendendo il suo export più competitivo, possa ledere o meno le altre economie mondali. Ed altrettanto prevedibile è il dibattito che ne emerge da queste ultime.

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  2. La cosa peggiore che ci può succedere nella vita è di non avere scelta, ancorchè da fermo sostenitore del libero arbitrio reputo che la condizione di assenza di scelta è di per sè una scelta.
    Bernanke si è trovato, povero lui, con un collasso finanziario da gestire e ben poche opzioni perseguibili che non distruggessero la comunità finanziaria divenuta ormai "too big to fail".
    Il malessere economico scaturito in seguito al crollo del mercato immobiliare ha scoperto un sistema basato sul debito che prima o poi era destinato ad implodere. Non attribuisco al mercato immobiliare la responsabilità dei fatti successi nel 2008, se non fosse stato il problema dei subprime mortgadges sarebbe stato qualcos'altro a breve.
    Torniamo a Bernanke e alle scelte. L'economia mondiale, e quella americana in particolare, è basata sul consumo. Un consumo esasperato che rende i bisogni primari secondari ed i secondari primari. Come si può fare per aumentare i consumi con una popolazione vicino alla bancarotta? Semplice, si aumenta la ricchezza delle famigli o la percezione di essa. Come è formata la ricchezza delle famiglie? Investimenti mobiliari, investimenti immobiliari, reddito da lavoro. Bernanke nulla poteva fare per rivalutare il mercato immobiliare, poco o nulla per convincere le aziende a non licenziare o addirittura ad assumere per cui l'unico asset che poteva far rivalutare erano i risparmi delle famiglie. Ed è ciò che ha fatto. Il flusso imponente di danaro che ha immesso sul mercato non è andato ad attività produttive ma è confluito sui mercati finanziari, le quotazioni sono salite principalmente per flussi di liquidità e tutti si sentono più ricchi e possono spendere di più.
    Difatto stiamo ancora una volta stimolando la crescita ed i consumi con il debito.
    Bernanke aveva una scelta? I più, e lui stesso, dicono di no, io dico di sì. La scelta sarebbe stata di prendere un po' più di dolore nel 2008, far fallire qualche banca in più e fare un po' di pulizia. Si è invece deciso di rigonfiare un pallone d'aria che era scoppiato solo che invece dell'aria è stato riempito con elio ed ora abbiamo lo stesso pallone ma molto più pericoloso ed instabile.

    Giovanni Sada

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