venerdì 3 settembre 2010

Il Generale dalla Chiesa e lo sviluppo economico


Ho un ricordo nitido. Era il 3 settembre 1982. Entro in cucina, sento dei singhiozzi. Vedo mia madre piangere. Le dico: “Mamma, perchè piangi?”. E lei: “Hanno ucciso il Generale dalla Chiesa”. E la foto della prima pagina di Repubblica con la A112 bianca crivellata di colpi e il Generale proteso per proteggere sua moglie Emanuela rimase per sempre nel mio archivio mentale.
Il grandissimo Gianni Brera disse: ““Dalla Chiesa era così intelligente che per fargli un degno piropo' non mancavo mai di esprimergli la mia meraviglia: come aveva potuto fare tanta carriera in Italia con un cervello così fino?”.
Cosa è cambiato dal 1982? Quando Vitale nel suo “Passaggio al futuro, EGEA, 2010” dice saggiamente che noi non dobbiamo fare riforme – inconcludenti – ma risolvere problemi, la prima piaga biblica che invita ad affrontare è il peso abnorme della malavita organizzata.
Le cifre fanno impressione: l’insieme della attività illegali in Italia ammonterebbe a 419 miliardi di euro l’anno, secondo le stime più accreditate. Nessun Paese ha, nel suo tessuto sociale ed economico, una presenza di tale spessore della malavita organizzata. 13 dei quasi 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia convivono con le mafie. Parliamo del 22% della popolazione italiana, non quisquilie.
E aggiungiamo che la corruzione diffusa rappresenta l’humus ideale per la malavita organizzata. Il giudice Davigo ironicamente ha affermato che se la “cricca” degli appalti della Protezione Civile – per intenderci Anemone, Verdini, Bertolaso, Carboni - si fa pagare con assegni circolari (e non con il consueto contante) poi incassati nella banca allora guidata – ora con pesanti motivazioni commissariata dalla Banca d’Italia – da Verdini, significa che la convinzione di impunità regna serena.
Che dire? Sembra opportuno concludere che un sano sviluppo economico non è compatibile con un alto e diffuso livello di corruzione e di malavita. La mafia è arretratezza, non sviluppo.

5 commenti:

  1. "Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del ventottesimo anniversario dell’uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo, ha inviato al prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, un messaggio in cui rinnova ai familiari delle vittime i sentimenti di vicinanza e gratitudine di tutti gli italiani e la sua personale e solidale partecipazione.

    Nel messaggio, Napolitano ricorda in particolare la figura di dalla Chiesa: «Servitore dello Stato di grande rigore civile e morale, da alto ufficiale e da prefetto della Repubblica, il generale Dalla Chiesa pose costante impegno nell’azione di contrasto al terrorismo e alla mafia adottando metodi investigativi atti a fronteggiare efficacemente l’espandersi di fenomeni criminali che andavano segnando tragicamente il nostro paese. La sua morte contribuì a far crescere un ancora più ampio e diffuso moto di indignata e consapevole difesa di quei valori di giustizia, democrazia e libertà per i quali egli si era battuto anche a costo della vita».

    Per questo, scrive ancora il Capo dello Stato, «il ricordo del sacrificio del generale Dalla Chiesa è perciò ancora oggi preziosa occasione per rafforzare, specialmente nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia, e per rinnovare un convergente e deciso sostegno delle istituzioni repubblicane e della società civile all’attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, al fine di contenerne la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nella economia, nazionale e internazionale».
    da www.lastampa.it

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  2. Qualsiasi cosa se ne dica, ognuna di queste morti ha un po' rinforzato la criminalità.. Perché per quanto possano essere commoventi le parole che sentiamo ad ogni commemorazione da parte delle più alte cariche dello stato, la mafia sa bene che la presenza di questi uomini è più pericolosa del risentimento che si crea dopo la loro morte. Perchè sono uomini che non hanno paura, e che quindi non possono controllare.. E la loro uccisione non fa che aumentare la paura della gente comune, e quindi il potere che la mafia ha su di loro..

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  3. Concordo con Isabella nel dire che "la mafia sa bene che la presenza di questi uomini è più pericolosa del risentimento che si crea dopo la loro morte": la gente ne resta sconvolta al momento, ma poi, inevitabilmente, se ne dimentica, per cui un nome in più o in meno nella lunga lista di questi omicidi fa poca differenza. E così la vita va avanti, senza far mai nulla, sempre lamentandosi e borbottando che "così non se ne può più", ma nulla viene mai fatto per risolvere davvero questa tragica situazione.
    Si direbbe la piaga di un'Italia sorda e assopita: ci sveglieremo mai da questo torpore?

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  4. Se Falcone e Borsellino, per fare due nomi, non fossero stati ammazzati dubito che Totò Riina sarebbe in galera a scontare l'ergastolo. E per andare in là nel tempo, senza il sacrificio di Pio La Torre, oggi non si potrebbe utilizzare la norma - Rognoni-La Torre - che prevede il seguestro di beni frutto dell'attività mafiosa.

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  5. Secondo me il punto è: se Falcone e Borsellino non fossero stati ammazzati, quanti mafiosi avrebbero "incastrato"?

    è un po' come il ragionamento di Taleb riguardo agli attentati dell'11 settembre.. vero che hanno portato ad aumentare i controlli negli aereoporti, ma forse si sarebbe potuti arrivare allo stesso risultato anche senza tutte quelle morti.. Spero di essere stata più chiara..

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