Altro che libici! La cacciata di Alessandro Profumo da Unicredit è il frutto del capitalismo relazionale italiano - http://www.unibg.it/dati/persone/2806/3285-Il_capitalismo%20all .
Nelle grandi cassaforti della finanza italiana politici arrembanti (attraverso le anacronistiche Fondazioni) e azionisti deferenti si allenano per far fuori manager disobbedienti.
Profumo ha sempre impersonato il CEO che segue le logiche di mercato, lontano dalle stanze del potere. In un convegno di qualche anno fa Profumo aveva osservato che la selezione della classe dirigente in Italia sia affidata a una “cooptazione collusiva: io mi considero una distrazione di questo sistema”. E l’ha pagata cara. Domenica pomeriggio al funerale della moglie di Ligresti ha detto a bruciapelo a un suo amico: “Mi hanno fottuto”.
I termini dell’uscita, indipendentemente dai numerosi meriti e dagli errori (in primis l’acquisizione di Capitalia) di Profumo sanciscono in modo forse definitivo la fine della storia di Unicredito dalla privatizzazione, periodo durante il quale la presenza incisiva di un nucleo di azionisti privati orientati al reddito e a supporto di un management capace ha permesso per lungo tempo di gestire la banca in funzione di scelte finalizzate principalmente all’aumento del valore della stessa. Nei tredici anni da amministratore delegato, la capitalizzazione di Unicredit è passata da 1,5 a 37 miliardi di euro.
Concordiamo con Giavazzi http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_22/giavazzi-grave-errore_aa024ec8-c608-11df-89af-00144f02aabe.shtml : “Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso...) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti. Per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali, con le sue parrocchie e le sue poltrone da difendere”.
E’ triste vedere una delle banche più grandi d’Europa non preparare la successione in modo serio. Non si sta parlando della tabaccheria sotto casa. Il successore si sceglie prima, con calma, con garbo, dandosi il tempo per riflettere sulla scelta del successore.
L’altra sera, una volta firmate le dimissioni, a mezzanotte e dieci Profumo torna in Unicredit. Attorno a lui, per l’ultima volta il top management: «Dovete essere fieri di quello che abbiamo costruito in questi anni - è il testamento dell’ad - ma adesso dovrete anche lottare con il coltello in bocca per l’indipendenza della banca”.
Nelle grandi cassaforti della finanza italiana politici arrembanti (attraverso le anacronistiche Fondazioni) e azionisti deferenti si allenano per far fuori manager disobbedienti.
Profumo ha sempre impersonato il CEO che segue le logiche di mercato, lontano dalle stanze del potere. In un convegno di qualche anno fa Profumo aveva osservato che la selezione della classe dirigente in Italia sia affidata a una “cooptazione collusiva: io mi considero una distrazione di questo sistema”. E l’ha pagata cara. Domenica pomeriggio al funerale della moglie di Ligresti ha detto a bruciapelo a un suo amico: “Mi hanno fottuto”.
I termini dell’uscita, indipendentemente dai numerosi meriti e dagli errori (in primis l’acquisizione di Capitalia) di Profumo sanciscono in modo forse definitivo la fine della storia di Unicredito dalla privatizzazione, periodo durante il quale la presenza incisiva di un nucleo di azionisti privati orientati al reddito e a supporto di un management capace ha permesso per lungo tempo di gestire la banca in funzione di scelte finalizzate principalmente all’aumento del valore della stessa. Nei tredici anni da amministratore delegato, la capitalizzazione di Unicredit è passata da 1,5 a 37 miliardi di euro.
Concordiamo con Giavazzi http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_22/giavazzi-grave-errore_aa024ec8-c608-11df-89af-00144f02aabe.shtml : “Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso...) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti. Per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali, con le sue parrocchie e le sue poltrone da difendere”.
E’ triste vedere una delle banche più grandi d’Europa non preparare la successione in modo serio. Non si sta parlando della tabaccheria sotto casa. Il successore si sceglie prima, con calma, con garbo, dandosi il tempo per riflettere sulla scelta del successore.
L’altra sera, una volta firmate le dimissioni, a mezzanotte e dieci Profumo torna in Unicredit. Attorno a lui, per l’ultima volta il top management: «Dovete essere fieri di quello che abbiamo costruito in questi anni - è il testamento dell’ad - ma adesso dovrete anche lottare con il coltello in bocca per l’indipendenza della banca”.
Incredibile avvenimento.Temo che l'analisi di Gavazzi sia corretta. La domanda però è: come posso valutare un top manager se non in base ai risultati, alle competenze, alle strategie (avverate con successo), alla gestione oculata dell'azienda? Allora avevano ragione i Top Manager di Wall-Street a speculare sul breve periodo? ...
RispondiEliminaSul Financial Times di oggi 24 settembre - Unicredit's negligent lack of succession planning, Paul Betts - leggiamo: "The Profumo affair involving one of those typical boardroom coups with the usual cocktail of corporate treachery, internal politics, influence peddling and Florentine conspiracy....It is clear that the board has been spectacularly negligent in its lack of succession planning"
RispondiEliminaSegnaliamo una interessante analisi - sulle nostre posizioni - di Boeri e Guiso su lavoce.info http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001917.html
RispondiEliminaCaro Beniamino,
RispondiEliminaleggo con vivo interesse e per la prima volta questo splendido tuo blog, che, oltre ad essere interessante ed incisivo (non di meno mi aspettavo da te), e' anche molto atteso da italiani come me, disperatatamente in cerca di informazione rilevante, profonda e non asservita a logiche politiche o di cortile.
Un caro saluto
Complimenti, molto interessante.
RispondiEliminaVien da chiedersi, perche' in Italia non si riesce a costruire un valido progetto industriale che raccolga l'interesse della nazione piuttosto che quelli di piccoli centri di potere politico- economico?
Perche continua a prevalere l'interesse del singolo piuttosto che quello della comunita'?
Ma esiste una 'comunita' italiana?