lunedì 9 maggio 2011

Le regole e la felicità

Roger Abravanel – dopo Meritocrazia, di cui abbiamo parlato nel post La battaglia di Roger Abravanel per una società più meritocratica , è tornato a spiegare le sue ragioni – che dovrebbero essere anche le nostre – con un nuovo saggio Regole. Perchè tutti gli italiani devono sviluppare quelle giuste e rispettarle per rilanciare il paese (con Luca D’Agnese, Garzanti, 2010).

L’Italia è il paese delle regole. Abbiamo oltre 170.000 leggi, contro una media dei maggiori paesi europei che resta sotto le 10.000. Verrebbe da dire che, visto il gran numero di leggi, la moralità regni sovrana nel nostro paese.

Ma non prendiamoci in giro! Il gran numero di leggi in Italia non è altro che lo specchio di un diffuso malcostume: vanno bene le regole, ma solo finchè non se ne lamenta qualcuno che abbia il potere di modificarle; altrimenti, ecco pronta una nuova legge, o decreto che dà una via d’uscita a chi non riesce – è più forte di lui - ad adempiere.

E ovviamente non si rinuncia alle norme precedenti: va a finire che per ogni legge se ne potrebbe trovare un’altra che dice l’esatto opposto.

I sondaggi ci dicono come gli italiani siano, in Europa, i più moralisti: la nostra riprovazione per i piccoli e i grandi illeciti (dal non pagare il biglietto del tram all'evasione fiscale) è più elevata di quella dei vicini francesi, dei tedeschi, degli inglesi. Eppure, nel quotidiano, risultiamo essere i più opportunisti: le regole sembrano fatte, nel Bel Paese, per essere aggirate, come se fossero degli ostacoli da superare. È proprio questo errore interpretativo che deve essere superato, come ben spiegano Abravanel e D’Agnese.

Per anni in Italia le regole sono state viste come un freno: un limite (malvisto) alla nostra libertà o un limite (benvisto) alla prepotenza e alla furbizia degli altri. Dobbiamo invece imparare a concepirle come un formidabile motore per lo sviluppo, capace di far collaborare gli individui.

Gli autori partono da un’analisi della situazione attuale. Il mancato rispetto delle regole costa al nostro paese una cifra spropositata: 360 miliardi l’anno.

Le regole nascono, di norma, da un circolo virtuoso che si basa su quattro pilastri fondamentali:

1) l'educazione civica dei cittadini; su questo punto siamo messi particolarmente male, visto che studi europei evidenziano come 4 italiani su 5 siano analfabeti (cioè, se siete in una stanza con altre 4 persone, è altamente probabile che siano tutte analfabete). Chiaro che non si parla di analfabetismo di ritorno, né di gente che non sa leggere la lingua scritta; ci si riferisce all’incapacità degli italiani adulti di comunicare e operare in contesti complessi, tipici della società moderna o dell’incapacità di comprendere a fondo un testo scritto: siamo a livelli da Terzo mondo!

Mario Barbuto
2) una giustizia civile veloce; quando ho letto giustizia veloce ho pensato a un ossimoro tipo ghiaccio bollente o silenzio assordante. La giustizia italiana è lenta e spesso funziona male: chiaro che questo non incentiva al rispetto delle regole. Per fortuna ci sono degli esempi che ci fanno credere che un miglioramento in questo senso è possibile: al tribunale di Torino hanno, in pochi anni, dimezzato i tempi delle cause civili. Com’è stato possibile? Semplice, Mario Barbuto, presidente della Corte d'appello di Torino, non ha fatto altro che ridefinire il concetto di “merito” nella giustizia civile. Per Barbuto giudicare bene” non significa solo una sentenza giusta, ma anche una sentenza veloce. Ha quindi introdotto una serie di intelligenti e semplici innovazioni organizzative.

3) media indipendenti; lo so, sembra una barzelletta in Italia, ma è fondamentale avere dei mezzi di informazione indipendenti. Non diciamo altro, che ogni parola è superflua a riguardo.

4) regolatori autorevoli; fondamentale che le autorità di vigilanza siano indipendenti e rispettate nello svolgimento delle loro funzioni.

È davanti ai nostri occhi come in Italia il circolo virtuoso delle regole diventi in realtà un circolo vizioso: molti rispettabilissimi italiani percepiscono le regole come oppressive, e per questo si sentono autorizzati a non rispettarle. Questo da una parte rende necessaria una lunga serie di condoni, sanatorie o scudi fiscali, e dall’altra genera regole ancora più rigide, che spesso cadono nell’assurdo, giustificando violazioni di massa. Il circolo vizioso è appena cominciato.

Quando i nostri governi impareranno che non abbiamo bisogno di più regole, ma di una cultura delle regole, forse inizieremo a muoverci nella giusta direzione.

Nell’appena uscito La felicità della democrazia (E. Mauro-G. Zagrebelsky, Laterza, 2011) Ezio Mauro scrive: “In questo Paese, e soltanto in questo (bisognerà pur riflettere sulla ragione), si sta facendo strada l’idea che la felicità e la soddisfazione dell’individuo possano essere cercate solo fuori dalle regole, a dispetto delle norme, in quella dismisura tipica dell’abuso e del privilegio che irride al sentimento del rispetto e del pubblico decoro. E’ la ribellione culturale contro il “regolamentarismo” e il politicamente corretto, ed è la rivolta più concreta, utilitaristica, contro il diritto e la legalità, invocando “il sonno della legge”. E’ un rovesciamento disperato delle cose. Sotto la spinta dell’urgenza e della necessità si cerca ipocritamente di invocare il disordine come nuovo fondamento del vivere insieme, l’esagerazione come modello sociale, la licenza come libertà, il soverchio come nuova misura”.

Mauro, che chiarezza, grazie.

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