lunedì 5 maggio 2014

Usain Bolt, la competition e la forza della concorrenza

Nella sua autobiografia, Usain Bolt. Come un fulmine (Tre60 Tea Editore, 2014), il formidabile velocista giamaicano scrive (o meglio, detta al suo ghostwriter Matt Allen): "Datemi un grande palcoscenico, una gara una sfida da vincere, e allora sì che faccio sul serio. Drizzo le spalle e accelero il passo. Sarei disposto a infortunarmi pur di vincere la gara. Piazzatemi davanti un ostacolo - magari un titolo olimpico, o un avversario difficile come lo sprinter giamaicano Yohan Blake - e io mi faccio Avanti: divento famelico".

Un passaggio del libro mi ha particolarmente colpito: "Un grande atleta non può presentarsi ai blocchi di partenza e aspettarsi di vincere senza essersi preparato a dovere. Senza disciplina non si vincono medaglie d'oro e non si stabiliscono primati...Il peggior nemico di me stesso ero io".

E' così per tutti, la disciplina e la consistency sono imprescindibili. Ne abbiamo parlato poco tempo fa nel post sulla perserveranza.
Bolt racconta come dovesse fare 700 addominali al giorno col suo allenatore-sergente Mr Barnett. Un massacro.

Nel caso delle imprese il nemico è l'assenza di concorrenza. Omnitel in Italia non sarebbe diventata la costola fondamentale di Vodafone se non ci fosse stata l'incumbent TIM. E viceversa Mediaset è stata ampiamente danneggiata dall'oligopolio collusive con la RAI.

Per compiere una valutazione dei benefici possibili di una maggior concorrenza nel nostro Paese ci affidiamo all’efficiente Servizio Studi di Banca d’Italia, che ha pubblicato nei Temi di Discussione (Working Paper n. 709) uno studio dal titolo: “Macroeconomic effects of greater competition in the service sector: the case of Italy”.


Gli autori - Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisani - forniscono una valutazione quantitativa degli effetti macroeconomici di un incremento in Italia del grado di concorrenza nei settori dei servizi non commerciabili internazionalmente. La sintesi è così chiara che la pubblichiamo integralmente.


In Italia i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni,costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme di impresa garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto (markup) elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l’Italia il markup medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell’area dell’euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.
La presenza di un elevato potere di mercato costituisce una distorsione alla concorrenza,
con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali.
Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, un aumento del grado di concorrenza
che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi.
Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11 per cento, il consumo privato e
l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18; i salari reali ne beneficerebbero significativamente, con un incremento di quasi il 12 per cento. Si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Tali effetti benèfici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo
”.


Draghi in passato ha citato il grandissimo storico pavese Carlo Maria Cipolla, il quale riferendosi al periodo di “grande gelo” dell’economia italiana tra l’inizio del 1600 e il 1820 – in cui il PIL pro capite rimase fermo – scrive: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.
Se l'Italia vuole tornare a crescere deve rompere le incrostazioni, aumentare il grado di concorrenza nei settori dove il mark-up stellare è indice di oligopolio collusivo. Infatti quando c'è da competere, non siamo secondi a nessuno nei settori aperti alla concorrenza internazionale. Lì le imprese italiane si sono fatte le ossa e sono diventate le multinazionali tascabili che il mondo ci invidia.

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