venerdì 18 novembre 2016

Il welfare italiano è disegnato per un mondo che non esiste più #Cnpds #Boeri

Milano è una città straordinaria. Gli eventi e gli incontri culturali si susseguono a ritmo serrato. E' difficile partecipare a tutti, ma alcuni dibattiti meritano di essere raccontati per intero. La giornata che vi voglio raccontare si è svolta lo scorso 4 novembre - organizzata dalla Fondazione Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale (CNPDS). Titolo del convegno: "Sistemi di protezione sociale e universalità di diritti nei sistemi di welfare".

Il CNPDS è nato nel 1948 grazie all'energia e alla forza intellettuale e di pensiero di Adolfo Beria di Argentine, magistrato formidabile, con una capacità di lavoro difficilmente eguagliabile. La figlia di Beria, Camilla, ha preso il testimone e sta svolgendo un lavoro egregio a beneficio della cittadinanza.

Dopo il benvenuto del prof. Adolfo Ceretti e un breve indirizzo di saluto del sempiterno Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, la parola è stata data al prof. David Garland, che insegna sia Legge che Sociologia a New York University (di cui vi consiglio il volume Welfare State. A very short introduction, Oxford University press). Garland puntualizza in partenza che è necessario specificare cosa significa welfare state. Ci sono molte distorsioni già a livello definitorio. Possiamo avere diverse concezioni: 

1. Welfare for the poors, social assistance, safety net. Narrow definition.

2. Entitlement program: education,  pensioni.

3. Programmi governativi ampi per inclusione sociale, crescita economica, riduzione disoccupazione. Questa è la visione ampia.  

Il welfare è la forma moderna di un capitalismo che ponendo freni e limiti può ritrovare legittimazione sociale. La distruzione creativa esiste, soprattutto in sistemi economici concorrenziali. Capitalismo produce pesanti "side effects".

"Capitalism is a self destruction system". Paradossalmente, se vuole sopravvivere, il sistema deve sostenere i costi degli impatti sociali della distruzione creativa, del "boom and bust",  della naturale tendenza del capitalismo ad essere instabile (qui bisognerebbe rifarsi al bel volume di Pierluigi Ciocca, La banca che ci manca, Donzelli, 2015).

I "welfare state programs" non sono alternativi al capitalismo e non potranno mai eliminare l'esclusione sociale e la povertà, bensì ridurle. E come le imprese falliscono, le imprese chiudono, anche il welfare può non essere perfetto, visto che la società cambia. In US e UK negli anni Settanta i sistemi di welfare state sono stati messi sotto accusa, di interferire con l'economia di mercato.
Si è dimenticato che il successo del mercato era dovuto anche al welfare state. Si è passati al welfare con benefit condizionati (vedi il bel film di Ken Loach, Io ,Daniel Blake).


Nonostante siano in tanti ad aver messo in discussione il welfare, in tutto il mondo, vedasi il "combined generosity index", le somme date in benefit nelle aree di forte disoccupazione convergono negli ultimi decenni.

William Beveridge e il New Deal prevedevano più persone negli schemi di disoccupazione che fuori. Oggi è diverso. Sono da aiutare di più coloro che sono fuori dal sistema (gli outsider), che sono disoccupati da molto tempo, e per lo più senza competenze distintive, ossia "unskilled". Per non parlare dei "working poors.", ossia di coloro che lavorano ma non guadagnano a sufficienza per una vita dignitosa.  

Insicurezza del part time o del lavoro precario, single parent family, minori, immigrants sono i nuovi obiettivi del welfare.
Così come è da valutare la solvibilità del sistema pensionistico. In Italia con l'introduzione negli anni Sessanta (che disgraziati!) del sistema retributivo (sussidi anche ai ricchi!!!), quando era in vigore il più corretto sistema contributivo, è stato l'inizio della fine.

Il keynote speaker Tito Boeri, presidente dell'Inps (prima c'era l'orripilante Mastrapasqua, l'uomo dei 100 incarichi, compresa la direzione di un ospedale (sic!) ve lo ricordate?), che sta dando tutto se stesso per riformare un carrozzone pubblico come l'INPS, con la ferma opposizione - bien sur - di sindacalisti e nullafacenti. Il mio appoggio a Tito Boeri è incondizionato. Vada avanti spedito.

Tito Boeri
Boeri ha preparato delle slides e le scorre velocemente. Eccone una sintesi.
Eichengreen e O'Rourke, dimostrano che per l'Italia la Grande Recessione (2008-2014) è stata la crisi più forte e dura della Grande Depressione. Per la Germania non è stato così. Interessante la slide con la foto di uomini eleganti in fila a Battery Park che nei primi anni '30 chiedono un piatto di minestra. Oggi i sistemi di protezione sociale hanno ridotto questi bisogni. 

Funzioni stato sociale:

- ridurre la povertà (più che le disuguaglianze);
- Proteggere contro rischio di mercato non assicurabile;
- Promuovere la partecipazione al mercato del lavoro.

 In questi anni la distribuzione del reddito non è mutata, è aumentata la povertà,  ma non le disuguaglianze. Le famiglie  in povertà assoluta sono salite nelle diverse fasce di età, tranne il capofamiglia ha più di 65 anni. In Italia sistema protezione aiuta chi ha più di 65 anni. Problema serio.  Poveri assoluti 2015 sono 4,6 milioni (7,6%), in grave deprivazione materiale 2015, 7 milioni 11,5%.
 
E' stato eseguito uno stress test (come per le banche) dei sistemi di protezione sociale. Nel sud Europa è sufficiente un calo del PIL dello 0,5% (succede spesso) per aumentare gli indici di povertà. Non così nel nord Europa. 

Cosa rileva? 1. Ruolo di istituzioni mercato del lavoro, dualismo contrattuale; 2. supporto a chi perde il lavoro. Accesso ai sussidi e formazione. Bisogna lavorare sull'employability.

Dove c'è più dualismo contrattuale c'è maggiore elasticità della disoccupazione al calo del PIL (tipicamente i giovani). Il profilo di vulnerabilità alle recessione è simile nei paesi del nord e del sud.

Nel sud Europa sempre più disoccupati non coperti da tutele. Italia come è noto spende poco per le tutele disoccupazione.  

Conclusioni:

1. Non è solo il dualismo del mercato del lavoro che crea aumento povertà 

2. Manca rete di protezione sociale

3. Molta selettività (categoriale) spesso arbitraria, poco universali smontare

4. L'universalismo selettivo può essere basato su parametri oggettivi (Isee, e non santi in paradiso). No reddito di cittadinanza,  ossia a tutti. Non è fattibile. Aiutare chi ha davvero bisogno, come I minori in stato di povertà.

5. Migliorerebbe anche rapporto tra cittadini e PA.

Una domanda rimane insoluta: come riformare il sistema pensionistico in un Paese con la piramide demografica rovesciata? La decisione del 1966 di cambiare il sistema pensionistico da contributivo a retributivo proprio quando le nascite iniziavano a declinare è stata una delle decisioni peggiori prese dalla classe politica italiana.

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