Gli interventi si sono susseguiti nel corso delle due giornate. Gli stimoli e le riflessioni sono innumerevoli.
Mi concentro sulle conclusioni, articolate da Gianni Toniolo, il quale ha evidenziato come la concorrenza - attraverso la distruzione creativa (Schumpeter, cit.) - crei dei vincenti e dei perdenti. Questi ultimi necessitano di sostegno da parte della fiscalità generale, che deve supportare il cambio e la ricerca di un nuovo lavoro con la formazione, le politiche attive.
Se un'impresa viene sconfitta dal mercato, per evitare che i lavoratori si leghino con le catene ai cancelli o salgono sul silos per protestare - come avviene solitamente nel nostro Paese - è necessario che il welfare funzioni. E qui nascono i problemi.
Infatti in Italia non è stato creato un welfare a sostegno della concorrenza. Il nostro welfare è stato disegnato per periodi di crescita infiniti (da Miracolo economico) e senza discontinuità.
In un'epoca dove anche un campione come la Nokia viene spazzata via dal mercato dei cellulari, dove gli scenari cambiano in un battibaleno, nel mondo liquido così ben descritto da Bauman, è indispensabile avere un welfare di politiche attive, che non ostacolino e facilitino il passaggio da un lavoro ad un altro.
Cosa ci ha lasciato la fallimentare classe dirigente degli ultimi 30 anni? Un welfare basato esclusivamente su politiche passive (cassa integrazione ordinaria e straordinaria, cassa in deroga, mobilità, prepensionamenti), le quali si concludono inevitabilmente su un sistema pensionistico che sostiene i pensionandi fin da giovani (a 45 anni si entra in cig, poi in mobilità, poi si va in pensione, che viene naturalmente calcolata con il sistema retributivo, così pagano le generazioni successive, bello no?).
Come ha sottolineato Giacomo Vaciago, è chiaro che il sistema di tutele è avverso alla concorrenza. Gli italiani non vogliono più concorrenza - ne abbiamo già parlato in passato in concorrenza bene pubblico - perchè non vogliono sostenerne i costi. La crescita crea dei perdenti che l'italiano non desidera. L'Italia aspira al pareggio perchè per vincere bisogna anche prendere in considerazione la possibilità di perdere.
Secondo le ricerche della Banca d'Italia (Forni L., Gerali A., Pisani M.) - Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td09/td706_09/td_706_09 - con liberalizzazioni nel settore dei servizi e della distribuzione, il Pil italiano avrebbe dei benefici significativi. Ma come ha sottolineato Mario Draghi, citando Carlo Maria Cipolla, già nel Seicento lo sviluppo economico italiano si bloccò: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.
Ernesto Rossi |
Ricevo e pubblico:
RispondiEliminaCaro Beniamino,
Ho solo due osservazioni. 1) L’assenza di un welfare state in Italia risale a prima di 30 anni fa. Già ne parlava Federico Caffè. Secondo Caffè in Italia non si doveva parlare di “Stato sociale”, ma di Stato assistenziale”. Lo “Stato sociale” è una cosa difficile da costruire e quindi l’Italia si era rifugiata nel più facile Stato assistenziale, di cui le pensioni da te citate erano un pezzo importante. 2) Condivido l’enfasi data da Gianni Toniolo al nesso tra concorrenza e riforma del welfare. Va però riconosciuto che questa tesi è propria di Michele Grillo, e di altri studiosi, ma non penso che abbia un riconoscimento assoluto.
Alla prossima
Riccardo