Nel corso degli ultimi anni lo spread BTP-Bonos ha avuto un percorso altalenante. Dopo il disastro di credibilità del Governo Berlusconi, lo spread Italia-Spagna ha iniziato ad allargarsi a favore degli iberici. Siccome lo spread verso il Bund tedesco è un indice sintetico di credibilità - vedi mio post lo spread Btp-Bund - il Governo Monti, percepito molto reliable dagli investitori, è riuscito a far rientrare lo spread BTP-Bonos a nostro favore.
Poi gradualmente la Spagna ha ridotto lo spread verso di noi fino a superarci.
La sfida Italia-Spagna è avvincente ed è molto positiva. La competizione migliora i contendenti. Abbiamo uno sparring partner nel Sud Europa che ci stimola a fare meglio e a intraprendere la strada delle riforme strutturali, che vogliamo sempre rimandare. La soluzione italiana ai problemi è rimandarli. Invece la Spagna è da prendere come riferimento positivo: la riforma del mercato del lavoro sta consentendo una riduzione della disoccupazione. In Italia la disoccupazione continua ad aumentare, per non parlare di quella giovanile che ha superato il 40%.
Il ruolo positivo di enforcement della Spagna è una costante nella storia economica. Torniamo allora al 1996 per mettere ordine.
Il 17-18 settembre del 1996, a pochi mesi dalle elezioni e dalla formazione del suo governo, Romano Prodi andò a Valencia per un incontro con il presidente del Consiglio spagnolo, José Maria Aznar. Il 30 settembre Aznar spiegò al Financial Times che Prodi aveva cercato di convincerlo a fare fronte comune per ammorbidire i parametri di Maastricht. Il virgolettato del FT fu: "Prodi asked Aznar to bend the criteria or the timetable".
Ma la Spagna aveva i conti in ordine e non intendeva prendere iniziative che avrebbero intaccato la sua credibilità economico-finanziaria. Prodi negò di avere avanzato richieste ed ebbe una tempestosa conversazione telefonica con Aznar.
Il 20 maggio 2010, "provocato" da una risposta dell'Ambasciatore Romano a un lettore, Prodi si sente in dovere di intervenire per chiarire la questione: "Le cose, in realtà, come già altre volte ho chiarito ma vale evidentemente la pena di ribadire, andarono così. Formato nel maggio del 1996 il governo da me presieduto, decisi subito che dovevamo fare di tutto per entrare nell' euro insieme al primo gruppo dei paesi europei. L' Italia che, dopo le distruzioni della guerra, aveva costruito il proprio benessere scegliendo la strada dell' apertura all' Europa e dell' Europa unita, non poteva in alcun modo mancare questo decisivo appuntamento della storia.
Con il ministro del Tesoro, che da appassionato europeista condivise immediatamente ed in pieno questa scelta, decidemmo, tuttavia, che, senza un' approfondita analisi dei conti, non sarebbe stato responsabile, e dunque in alcun modo possibile, modificare l' evoluzione della finanza pubblica disegnata dal precedente esecutivo e che, per l' Italia, prevedeva il raggiungimento dei parametri di Maastricht con un anno di ritardo rispetto agli altri paesi europei. Trascorsi i mesi di giugno, luglio ed agosto a studiare insieme al ministro Ciampi tutti i conti, arrivai alla conclusione, sempre in piena sintonia con il ministro del Tesoro, che ce l' avremmo potuta fare. Fu così che ai primi di settembre, cioè una decina di giorni prima dell' incontro di Valencia con Aznar, ritornando in aereo dalla Turchia all' Italia insieme al mio consigliere diplomatico Enzo Perlot e al direttore degli affari economici del Ministero degli Esteri, Roberto Nigido, che di lì a poche ore avrebbe preso al mio fianco il posto dell' ambasciatore Perlot, scrissi due lettere identiche, indirizzate l' una al cancelliere tedesco Helmut Kohl e l' altra al presidente francese Jacques Chirac. In quelle lettere comunicavo ai governi di Germania e Francia, le due grandi potenze ed i veri «motori» dell' Unione Europea, il fermo impegno del mio governo ad adottare tutte le misure necessarie per portare l' Italia nell' euro sin dal suo avvio. Questo, auspicando un' azione comune tra Italia e Spagna, fu ciò che dissi anche al presidente del governo spagnolo quando lo incontrai alla metà di quel mese di settembre di quattordici anni fa. Glielo dissi in italiano, avendo insieme deciso che il colloquio avvenisse senza interpreti, fidandoci, forse a torto, delle nostre rispettive capacità di intendere l' uno la lingua dell' altro. Il raddoppio, approvato dal Parlamento, da 32.500 a 62.500 miliardi di lire, della manovra economica della Finanziaria per l' anno 1997, correttamente ricordato dall' ambasciatore Romano, fu proprio la traduzione concreta dell' impegno dichiarato nelle lettere al cancelliere tedesco e al presidente francese. Il seguito della vicenda, cioè l' ingresso dell' Italia nell' euro, mi sento di poter dire che rimane come uno dei punti più alti della nostra recente storia nazionale".
E Prodi torna a smentire il Financial Times sul Corriere il 3 luglio 2012: "Poiché questa leggenda riemerge continuamente, sento la necessità di ribadire, giusto per rispetto della storia nazionale più che mia personale, che la notizia era e resta falsa. Si trattò di una furba ma non veritiera informazione che Aznar diede al Financial Times in un' intervista. L' autorevolezza della testata, ahimè, le ha attribuito credibilità internazionale ma sempre falsa resta".
Non può mancare, a questo punto, la testimonianza del ministro del Tesoro del 1996, Carlo Azeglio Ciampi , che nel suo "Da Livorno al Quirinale" (Il mulino, 2010, p. 161-2), sottolinea il ruolo positivo della sfida spagnola, e risponde così ad Arrigo Levi: "La spinta finale venne in occasione del vertice bilaterale italo-spagnolo; ritenevamo che la Spagna puntasse a entrare nell'euro in un secondo momento come noi; invece ci rendemmo conto che la Spagna sarebbe entrata subito. Io proposi a Prodi - e Prodi fu subito d'accordo - di anticipare anche noi l'obiettivo di scendere sotto il 3 per cento del rapporto deficit/Pil. Il piccolo miracolo consistette nel prendere alcune misure credibili di politica economica, che produssero un rapido ridursi del differenziale del tasso di interesse tra l'Italia e la Germania e quindi una riduzione dell'onere complessivo per interessi. Questo permise il
Sempre Ciampi sente la necessità di tornare a quel decisivo vertice italo-spagnolo del settembre 1996. Nel volume "Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-1996", Ciampi (Laterza, 2013, p. 77), Umberto Gentiloni Silveri così descrive la questione: "Il colloquio di Ciampi con il suo omologo spagnolo Rato y Figaredo rappresenta il punto di non ritorno, la molla che fa scattare la reazione da parte italiana. Ciampi non si limita a registrare il contenuto del suo prezioso interlocutore: "Per me fu un vero e proprio shock, un colpo inatteso. Il tutto avvenne verso ora di cena; a conclusione di una giornata terribile. Mi sembrava di essere giunto fuori tempo massimo, di non poter opporre nulla a ciò che sembrava ineluttabile".
Le reazioni della Spagna nel 1996 e nel 2013 smentiscono drasticamente le opinioni euroscettiche del Financial Times, che attraverso la penna di Wolfgang Munchau, il 19 marzo 2012 scrisse: "There is no Spanish siesta for eurozone crisis".
Ci sarà anche da ringraziare Mario Draghi con il suo monito "Whatever it takes", ma il pungolo reciproco tra Paesi del Sud Europa porta risultati sicuramente positivi.
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