Settimana
scorsa - tra le mie letture - ho apprezzato in particolare una lettera al
direttore della Stampa Mario
Calabresi.
“Miei
cari italiani, voi che protestate contro qualunque cosa faccia Monti, la
Fornero, Passera & c., vi chiedo: dove eravate, dalla vostra nascita a
oggi? Sono stufo dell’ipocrisia dilagante dove tutti protestano, cittadini,
politici, giornali, senza guardarsi prima le proprie scarpe e dove e come hanno
camminato fino ad oggi. E lo dice uno che contesta radicalmente questo sistema
economico e chi di questo è espressione. Quando pagavate al nero, quando
intascavate il nero, quando avete corrotto, anche nel piccolo, quando vi siete
lasciati corrompere, anche nel piccolo, quando, voi giovani, avete rifiutato un
lavoro o avete chiesto al colloquio come prima cosa «quanto è lo stipendio? Ho
il weekend libero?», quando ai vostri figli avete omesso di insegnare la
dignità che porta il lavorare, quando ai vostri figli avete omesso di insegnare
la dignità di non sottomettersi, di non scendere oltre certi compromessi,
quando non avete spento la televisione ai vostri figli piccoli, quando
parcheggiate sulle strisce pedonali o sul posto per i portatori di handicap,
quando chiedete favori per passare avanti ad una lista o ad una fila, quando
spendete quasi cento euro a famiglia per l’uso del vostro telefono cellulare,
quando comprate ogni giorno un «gratta e vinci» o giocate alle slot machine,
quando avete votato chi vi prometteva di fare i vostri interessi, anche (e soprattutto)
in barba agli interessi della collettività… ecco, voi, dove eravate?
Se siete
senza peccato, allora scagliate pure le vostre pietre. Altrimenti, abbiate almeno
la decenza di stare zitti”, Fabio Artigiani, Livorno
Ecco. L’audace lettore coglie nel segno,
l’italiano si indigna il tempo di un minuto poi torna a casa, evade, se può, e
poi accende la tv per vedere la partita.
Vorrei ricordare le parole di Alessandro Galante
Garrone, che nel suo memorabile saggio L’Italia
corrotta 1895-1996. Cento anni di malcostume politico (Aragno) scrisse:
“Proprio come aveva scritto, nella sua ultima lettera prima della fucilazione,
il partigiano diciannovenne Giacomo Ulivi: “Dobbiamo
rifare noi stessi”. E’ questo il nostro filo di speranza: l’obbedienza al
comandamento; dobbiamo rifare noi stessi”.
Ritengo sia una strillata doverosa!
RispondiEliminaDobbiamo riprenderci un senso civile ed assumere un codice etico nei comportamenti: sia a livello individuale che a livello di imprese, economia. Forse solo a quel punto il bel paese si potrà risollevare dalle sue stesse macerie.
Federico T.
Il problema è a monte, nella normo-mentalità italica che ha portato dove siamo: panca la pena, anzi più precisamente manca la "forma" della pena ed il modo per applicarla. A dire il vero non sarebbero difficili misure da adottare, il problema è che ne saremmo vittime e carnefici allo stesso tempo. Io ci sto, sono pronto a fare ammenda, ma tutti gli altri?
EliminaEnrico O.
Ricevo e volentieri pubblico:
RispondiEliminaPosso solo dire che detesto le generalizzazioni; dove eravate? E perch' l'autore non scrive dove eravamo? Lui e' il piu' pulito di tutti e si tira fuori dal popolo italiano? E siamo cosi sicuri che il popolo italiano sia uno piuttosto che un sottoinsieme di comportamenti molto diversificati? Io ho conosciuto persone oneste e grandi lavoratoriin Italia. Anche oggi, non solo allora. E quelle persone non meritano parole durissime...
maria Giulia Marini
Sacrosante parole quelle del Sig. Artigiani, ma attenzione a dirlo in pubblico e dalla bocca di qualche personaggio "in vista" perchè passerebbe per fascita, indifferente ai problemi della gente comune, snob, privilegiato e magari "figlio di", certamente capitalista della "peggior specie".
RispondiEliminaGli Italiani bisognerebbe rifarli ... dai tempi degli etruschi!
Lo sfascelo dell'Italia continuerà, ed il Bel Paese sarà solo per "ricchi".
Qualche anno or sono discorrevo con un mio amico missionario del P.I.M.E.,Padre Achille circa la barbara uccisione di una suora in Valtellina.Nonostante i miei commenti indignati, tristi e non scevri di una certo desiderio punitivo nei confronti di coloro che l'atrocità la commisero, mi sentii rispondere, con una fra le più belle ed appropriate repliche che abbia ricevuto : "E'l'Uomo che deve cambiare,è il suo cuore che deve cambiare"... Poche parole, scarne come quelle di Giacomo Ulivi ma che racchiudono tutto.
RispondiEliminaLucia
La disobbedienza civile diviene un dovere sacro quando lo Stato diviene dispotico e corrotto.
RispondiEliminaE un cittadino che scende a patti con un simile Stato è partecipe della sua corruzione e del suo dispotismo
Mahatma Gandi
Ciao Benia! Laura da Travedona