Le analisi, i sondaggi ci rivelano sempre più un paese dicotomico. Non solo Nord/Sud, ma anche in altri ambiti. Pubblico/privato. Piccola impresa vs media impresa (o grande).
Con la fine dell'età fordista, decisivo risulterà nel futuro la disponibilità a rischiare da parte delle giovani generazioni. Una percentuale di questi sono vogliosi di rischiare, mentre altri sono assopiti, delusi, senza nè arte nè parte. La comodità è diventata una bussola di tanti comportamenti. Si evitano le prove più impegnative e faticose pur di rimanere nel proprio bozzolo, pigri e molli. I cosiddetti Neet, no employment, no education or training. Milioni di persone, ormai in tutta Europa.
Mi ha colpito di recente l'intervista di Sette/Corriere della Sera a Phil Knight, fondatore di Nike: "Ai ragazzi di oggi dico: lo so che trovare lavoro è difficile, ma non accontentatevi di un impiego e nemmeno di una carriera. Cercate una vocazione. (...) Questi giovani sono pessimisti. E rischiano atteggiamenti rinunciatari".
No, rinunciare a provarci non è ammissibile. Almeno uno ci deve provare.
Nel suo ultimo volume Una bambina senza stella (Rizzoli, 2015), la psicologa clinica e docente universitaria Silvia Vegetti Finzi scrive: "Per quanto nella nostra biografia il destino possa appparire determinante, è sempre possibile reperire margini di libertà e autonomia che consentono, almeno in parte, di divenire protagonisti della nostra vita e autori della nostra storia.
(...) In questi anni in cui i genitori, per proteggere i figli da ogni male, impediscono loro di tentare, di sbagliare e riprovare, vorrei testimoniare che i bambini possono, almeno in parte, prendersi cura di sè, aiutarsi, consolarsi e diventare grandi utilizzando le loro potenzialità, le loro risorse. Sono ancora privi di esperienza, è vero, ma la vita s'impara solo vivendo. (...) Senza rischi non si cresce e chi non ha mai affrontato il dolore non ha potuto produrre anticorpi che difendano dallo sconforto e dalla disperazione".
Care mamme, coccolate meno i vostri figli. Non viziateli. Lasciateli sbagliare così che possano conquistare autonomia, coraggio e voglia di intraprendere nuove iniziative. Altrimenti la paura del futuro avrà la meglio.
Giovanni Rana, il re del tortellino, tanto tempo fa mi diceva saggiamente: “Io ho consentito a mio figlio Gianluca di sbagliare. Fondamentale è stato farlo sbagliare, senza intervenire prima”.
“Pretendere che i ragazzi non sbaglino è alquanto infantile” (Sandro Veronesi, cit.).
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