Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987 – giusto giusto 24 anni fa – l’economista Federico Caffè uscì di soppiatto da casa sua e mai più nessuno riusci a scoprire dove andò. Io credo sia andato in un convento, in cambio di una totale promessa di riservatezza. Molti hanno rievocato la scomparsa del fisico Ettore Majorana.
Leggiamo insieme un passo di Ermanno Rea in L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffé scomparso e mai più ritrovato, splendida testimonianza della vita austera da studioso di Federico Caffé: “Uscì di casa in punta di piedi per non svegliare il fratello e una fuga priva di testimoni, protetta dalle tenebre, si dissolse nel nulla. Aveva settantatre anni. Era professore fuori ruolo di Politica Economica e finanziaria alla Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Roma. Godeva di un grande prestigio intellettuale ed esercitava notevole fascino, soprattutto sugli studenti. Benché, fisicamente, lasciasse molto a desiderare. Piccolo di statura. Anzi piccolissimo”.
Caffé non lasciò alcuna lettera di addio, ma commise tante azioni che, se lette correttamente, equivalgono nell’insieme a un esplicito messaggio. Sul tavolino accanto al letto lasciò: l’orologio, gli occhiali, le chiavi, il passaporto e il libretto degli assegni. Non fu certo un raptus ma una fuga premeditata.
Il Prof. Valentino disse: “Per tutta la vita Caffé ha fatto il pendolare tra la propria casa e l’Università senza mai concedersi passeggiate o gite, senza mai indulgere a curiosità turistiche di alcun genere”....La sua casa era l’Università. Arrivava al mattino alle otto e mezza e ne usciva dopo dodici ore filate (dopo aver spento le luci personalmente, che tempi!). A chi lo punzecchiava per il suo attaccamento al lavoro rispondeva: “Lo faccio per difendere il mio reddito reale. Se invece di starmene qui a studiare e a lavorare me ne andassi in giro a bighellonare chissà quanti soldi spenderei. Il lavoro per me è una forma di risparmio”.
La sua vita privata era l’economia, erano i suoi studenti. Li indicava dicendo: “Eccoli là i libri che non ho scritto”.
C’è un passaggio nel libro di Rea suggestivo e toccante. Quando Caffé fece gli esami di maturità – ragioneria – il commissario d’esame chiese “In quale città hai deciso di frequentare l’università?”. E Caffé rispose: “Non credo che andrò all’Università. Ho bisogno di lavorare”. Al che il commissario convocò alla stazione di Pescara i genitori di Caffé (di modeste origini), ai quali disse: “Caschi il mondo ma il suo ragazzo deve continuare a studiare”. La madre allora mise in vendita un piccolo lotto di terreno e Caffé partì per Roma.
In Banca d’Italia era stimatissimo. “C’era praticamente nato in Banca d’Italia. Vi aveva incontrato Luigi Einaudi e Donato Menichella, che aveva inciso sulla sua “formazione professionale” e gli aveva fornito “indimenticabili lezioni di umanità, di scrupolo, di rigore morale”. Vi aveva incontrato Guido Carli e Paolo Baffi, di cui era diventato amico affettuoso....Erano fatti della stessa pasta, Baffi e Caffé. Uomini integerrimi. Studiosi senza altri interessi che quelli per la propria scienza”.
Pierluigi Ciocca di Banca d’Italia ricorda: “La figura del consulente è sempre stata molto importante in Banca d’Italia. Svolgeva una funzione di riscontro critico oltre che di proposta, d’impostazione e di ricerca. In questo ruolo Caffè era ascoltatissimo”.
Il fratello Alfonso racconta il poche parole la parabola discendente di Federico: “Un uomo deluso e incompreso. E questo lo spinge ad abbandonare il campo di combattimento. Suicidio fisico oppure suicidio civile in un convento? La domanda è legittima. Ma è anche abbastanza superflua”.
Io credo che nell’Università avesse investito tutto sè stesso. Perduta la cattedra e il rapporto con gli studenti, trovò la vita insignificante: “Tutto incomincia da lì, dal giorno dell’ultima lezione”. Forse in questo Caffè ha compiuto un errore di valutazione: nella vita è necessario compensare, non ci si può dedicare interamente ad una sola passione, per quanto importante sia. Bisogna dedicare tempo anche a sé stessi, agli affetti, alla famiglia – vedi post su Dan Peterson: egli si era dedicato per tutta una vita all’Università e, persa quella, non gli restò più nulla per cui vivere.
Così lo ricorda Guido Rey, former President dell’ISTAT: “Egli ha fornito una «concezione della scienza economica come un'opera costante e successiva per cui l'edificio della scienza stessa risulta come una serie di piani che si aggiungono a quelli precedenti in modo da costruire un tutto solido ed armonico...Ai giovani F. Caffè ha dedicato tutta intera la sua vita e a loro volta i giovani lo amavano per la lucidità espositiva, la veemenza nella condanna delle ingiustizie, la profonda dottrina, la vasta cultura e la prosa preziosa e al tempo stesso essenziale. Ai giovani delle ultime generazioni ha saputo trasmettere il suo sdegno all'«idea che un'intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale..... Continuo era il suo richiamo all'idea che «l'Università statale non può rinunciare, senza screditarsi, a realizzare quella "eguaglianza delle posizioni di partenza" che è precetto tipico di ogni rispettabile concezione "liberale"». Ne parlava Caffè negli anni Settanta, ma è triste constatare che ancora oggi non si è realizzata, nel concreto, quell’eguaglianza delle posizioni di partenza: sono rari i casi di giovani talenti che, arrivando da modeste origini, riescono ad accedere alla migliore istruzione, ancora considerata elitaria.
Al decisore di politica economica Caffè raccomandava l'attenzione alla gente comune che produce e risparmia, ai giovani senza lavoro, alla solidarietà verso i più deboli e condannava «l'indifferenza verso i trabocchetti, le insidie ed i tripli giochi di personaggi in posizione di autorità che inviavano al Paese chiari ed insinuanti inviti ad arricchirsi». Vagamente attuale?
Questa è una testimonianza dello stesso Caffè: “Un professore non è un conferenziere, non parla occasionalmente a degli sconosciuti che con tutta probabilità non rivedrà più. Un professore dialoga con gli studenti dei quali conosce spesso tutto o quasi tutto: problemi e speranze, capacità e lacune, ansie e incertezze. Li assiste nei loro bisogni. Li segue lungo una strada che può finire il giorno dell'esame ma che può anche andare avanti fino a quello della laurea e oltre”.
Ecco, quando insegno e faccio domande agli studenti, li stimolo in tutti i modi, cerco di accendere in loro il fuocherello di cui parlò Seneca. Cerco di seguire l’ottimo esempio di Caffè - maieuta di eccezionale levatura - Ezio Tarantelli, Mario Draghi, Pierluigi Ciocca, e tanti altri.
Risulto, credo, un professore diverso dal solito, perché mi interesso agli studenti, non mi accontento di dar loro un semplice voto all’esame, ma cerco di capire attraverso il dialogo quali sono i loro obiettivi e le loro aspirazioni. Tento di approfondire la conoscenza, capire quali sono i punti di partenza, i loro bisogni e le loro necessità. Questo perché ritengo che il compito di un Maestro sia quello di continuare ad alzare l’asticella dei suoi studenti migliori, di spingerli al massimo, ma per farlo deve capire a che altezza riescono già a saltare. Parlando con loro cerco di capire se reagiscono agli stimoli, cosa stanno imparando, se c’è materia grigia su cui poter lavorare. E cerco sempre di proporre ai miei migliori studenti obiettivi adeguati: per sviluppare i loro talenti non possono restare a Bergamo tutta la vita, devono ampliare i loro orizzonti. Solo che mi rendo conto che, se nessuno dice loro che meriterebbero qualcosa di più, anche gli studenti più promettenti rimarrebbero intrappolati, quando le migliori università del mondo stanno aspettando proprio loro.
Ed è davvero gratificante vedere qualche sparuto studente che ti ascolta, prova ad affrontare una sfida molto più grande della laurea triennale a Bergamo e ne esce vincitore: queste sono soddisfazioni.
Federico caffè un profeta!
RispondiEliminaaveva intuito l'attuale crisi economico finanziaria dovuta a speculazioni spregiudicate e purtroppo aveva intuito anche la drammatica disoccupazione e precarietà delle nuove generazioni.
Paolo Graziosi
Buongiorno,
RispondiEliminasono uno studenti di Ingegneria edile al Politecnico di Milano. Ho da poco deciso di abbandonare il Politecnico (quasi al terzo anno) per andare in Svizzera (abito sul confine) ed affiancare lo studio a un'attività lavorativa.
Avere un professore come Lei si descrive mi avrebbe aiutato. Sono gli stimoli a migliorare che mi sono mancati: vedere premiata la mediocrità imperante è avvilente.
Complimenti.
Alessandro
P.S. bel blog!