venerdì 10 dicembre 2021

La Bocconi negli anni Novanta, un amore pervasivo, segreteria telefoniche in azione, che tempi!

Il tempo passa per tutti, anche per noi bocconiani, orgogliosi di aver frequentato l'unica università italiana che non necessita di specifiche. La Bocconi è la Bocconi. Punto. Laura Spotorno, maritata Suàrez, si è cimentata nel 1995 in un romanzo su cui poi ha deciso di rimettere mano nel 2020 e pubblicare nel 2021, stimolata dal magico mondo di "Leva 89", l'Associazione dei bocconiani (quorum ego) che si pone l'obiettivo di restituire qualcosa di serio a chi giustamente vuole ancora avere fiducia nel nostro Paese. Ambientato negli anni Novanta, dove non squillano i cellulari, bensì le voci raccolte nelle segreterie telefoniche, "Uomini in grigio" racconta una storia d'amore tra Rebecca - la protagonista - e Alexander (Ale), un giovane investment banker spagnolo, intrigante e pieno di sorprese. Per chi ha frequentato la Bocconi negli anni Novanta, questo volume è un viaggio proustiano. Spotorno scrive: "...di pomeriggio cercavo articoli introvabili in biblioteca". Altro che google! Contava la ricerca certosina del volume all'interno del quale si cercava vanamente il modo di scoprire i segreti del mondo. Quanti giorni passati in biblioteca per redigere la tesi di laurea! O studiare concentrati per un esame.
Nel meraviglioso "Memorie di Adriano", Marguerite Yourcenar scrive: "Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti".
Un altro ricordo sulle biblioteche viene da Ottorino Beltrami che ha lavorato per anni a fianco di Adriano Olivetti a Ivrea: "Ho assistito a una riunione nella biblioteca...quella sera c'era Gaetano Salvemini e il tema era la ricostruzione del Paese e della democrazia. Dopo un breve intervento dell'ospite, iniziava la discussione che durava fino a tardi. Parlava Adriano Olivetti e parlavano gli operai, mi sorprese l'estrema libertà e democrazia con cui tutti interloquivano. Molti avevano fatto solo le elementari, però erano persone intelligenti e lo si capiva dalle cose interessanti che dicevano. Adriano parlava come fosse uno dei tanti: lo interrompevano anche. Non ho visto un simile esempio di democrazia neppure in America, erano tutti eguali, una cosa emozionante, da far venire i brividi".
In occasione dell'inaugurazione della sala di lettura e dell'intitolazione a Paolo Baffi della biblioteca della Banca d'Italia, il governatore di allora Carlo Azeglio Ciampi nel suo intervento citò Ortega Y Gasset (La missione del bibliotecario, Sugarco, 1984): "L'occuparsi di raccogliere, ordinare e catalogare i libri non è un comportamento meramente individuale, ma è un posto, un topos o luogo sociale indipendente dagli individui, sostenuto, richiesto o deciso dalla società come tale non soltanto dalla vocazione occasionale di questo o di quell'uomo". Ma come è questo "uomo in grigio", Alexander Moreno, (con le scarpe nere, le Church, di rigore londinese) di cui si innamora Rebecca? "Lo sguardo era assorto, quello sguardo penetrante, intenso, che hanno gli uomini molto intelligenti quando sono pensierosi". Amanda, la più cara amica di Rebecca, cerca di dissuaderla, ma quando si è innamorati, il ragionamento cosa vale?: "E' fondamentale che tu non perda la testa per un tipo così, perchè sarebbe capace di manovrarti come vuole, di fare il bello e il cattivo tempo, prenderti e lasciarti dall'oggi al domani...Guarda che io ne conosco un po' di quei finanzieri, sono arrivisti...ma venderebbero anche le loro madri in cambio della chiusura di un deal". Rebecca è seria, studiosa, impegnata in modo maniacale nella stesura della tesi. Al contempo aspira a una relazione basata su "equilibri superiori", quella situazione in cui prevale la condizione di armonia con un'altra persona. Quando esistono vere e proprie affinità elettive". Era più difficile incontrarsi senza cellulari? Forse si rispettavano di più gli appuntamenti fissati. Divertente ricordarsi di appuntamenti mancati. O di una cosa così: "Posando il ricevitore mi caddde l'occhio sulla segreteria telefonica: la spia rossa lampeggiava". Che tempi! Un passaggio storico mi ha fatto ricordare il terribile primo trimestre del 1995 sui mercati della lira e dei tassi di interesse. L'autrice spiega come la Banca d'Italia nel 1995, guidata allora da Antonio Fazio - definito dall'imprenditore Diego Della Valle lo "stregone di Alvito" - fu costretta ad alzare i tassi di interesse per fermare la caduta della lira (uscita sine die nel settembre 1992 dal Sistema Monetario Europeo), che si schiantò contro marco a quota 1.200. Repubblica il 17 febbraio 1995 titola: "Lira nel dramma, cede anche la borsa. Elena Polidori scrive: "La lira vive il giorno più drammatico della sua storia. Stretta tra le incertezze sulle sorti della manovra (governo guidato da Lamberto Dini, dopo la caduta del governo Berlusconi I)e la debolezza del dollaro, tocca sul marco il minimo di tutti i tempi, infrange ogni regola psicologica. La Banca d'Italia deve intervenire in suo sostegno".
Sarà poi l'allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi nel novembre 1996 a negoziare il rientro della lira nello SME, decisione fondamentale (vedasi parametri di Maastricht) per l'ingresso dell'Italia nel primo gruppo di Paesi aderenti all'euro. Rebecca, che ama la musica e canta, abbassa la corazza e si lascia andare ai tempi sincopati e ristretti degli incontri furtivi con Ale, sempre impegnato in un lavoro massacrante. "Era la prima volta che mi capitava di sentirmi così mentalmente dipendente a un uomo". Rebecca vive anche la crisi matrimoniale dei suoi genitori che vivono ad Amsterdam, dove si reca in estate per stare con suo padre. L'Europa è la nostra casa. Un giardino fiorito. Un mondo che dove ci troviamo bene. Ma come finisce la storia di Rebecca e Ale? Donate almeno 15 euro (più le spese di spezione) per avere il libro di Laura Spotorno. Se scrivete ad associazioneleva89@gmail.com otterrete tutto. Il finale è degno di un noir e quindi, per correttezza, non ve lo diciamo. P.S.: il ricavato delle tiratura va all'Opera San Francesco (OSF): ogni copia mette a disposizione 4 pasti.

venerdì 29 ottobre 2021

La crescita economica è una sfida educativa. Conversazione con Beniamino Piccone

Il nostro paese vive, da lungo tempo ormai, molteplici crisi ed emergenze: da quella economica del debito e della produttività, a quella sociale e di visione del futuro. Ce n’è però una che forse determinerà gli anni a venire in modo più decisivo, vale a dire la crisi demografica. Un popolo che non fa figli, illuso di potersi adagiare sul passato, con la nostalgia e il rimpianto come sentimenti sociali prevalenti, che futuro può immaginare? E quanto la ‘cura Draghi’ potrà invertire la rotta e rilanciare il paese in questo nuovo dopoguerra post pandemia? Lo chiediamo a Beniamino Piccone, wealth manager, docente universitario, animatore di questo blog su temi economici e studioso della figura di Paolo Baffi, Governatore di Bankitalia dal 1975 al 1979.
Per una volta credo che noi italiani possiamo permetterci un po’ di ottimismo. I tassi di interessi rimarranno bassi per un lungo periodo di tempo, la politica fiscale è fortemente espansiva (ci tocca certamente gestire bene il PNRR) ma le prospettive sono certamente buone. Il Pil nel 2021 e anche nel 2022 tornerà sopra il 4%, cosa che non vedevamo da lustri. La credibilità dell’Italia non è mai stata così buona. Henry Kissinger – segretario di Stato americano con Nixon e Ford nonché politologo di fama – ha lamentato per anni che l’Unione Europea non avesse un numero di telefono da chiamare. Bene, ora questo numero c’è ed è quello di Mario Draghi (che gli americani conoscono bene anche per i suoi anni trascorsi in Goldman Sachs). Per riflettere in modo maturo sull’Italia occorre dire la verità: siamo andati avanti per anni a ingrossare la spesa pubblica corrente a discapito degli investimenti. E per di più gli investimenti sono stati spesso dirottati su opere senza particolare senso. Tutto è stato sommerso da logica di corto respiro e troppo spesso di mero assistenzialismo, al sud in primis. Questo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà per la penisola una occasione straordinaria ma come tutte le occasioni potrà esser sfruttata o sprecata. Per spendere bene i fondi del PNRR sono necessarie le competenze presenti negli uffici regionali e comunali. E qui casca l’asino e si notano le arretratezze strutturali del Belpaese. Abbiamo infatti letto come in Sicilia siano stati bocciati tutti i progetti presentati per il PNRR. Perché? Perché alla Regione Sicilia regna lo status quo nullafacente, mancano coloro in grado di stendere progetti seri. Forse sarebbe il caso di abolire lo “statuto speciale” della Regione Sicilia. Ma chi potrà mai avere la forza politica di portare avanti un progetto simile? Nel mettere ordine nel mio archivio ho trovato un esilarante pezzo di Gian Antonio Stella del 20.10.10 – Leccornie giornalistiche dalle lande agrigentine – dove si narra la storia dell’Adi, Area di Sviluppo industriale di Agrigento. Un terzo del consiglio, invece di imprenditori, economisti, esperti, era composto di agenti di custodia. Peraltro la legge regionale 19/1997 era ben chiara quanto ai requisiti per la nomina: 1) titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato; 2) esperienza almeno quinquennale scientifica ovvero di tipo professionale o dirigenziale o di presidente o amministratore delegato. Riportiamo letteralmente G.A. Stella: “Bene, a sviluppare l’imprenditoria dell’Asi di Agrigento i comuni interessati hanno nominato: Massimo Parisi (rappresentante di commercio), Annamaria Coletti (insegnante), Valentina Giammusso (insegnante), Giuseppe Cacciatore (segretario di scuola), Vincenzo Randisi (agente di custodia), Filippo Panarisi (pensionato), Vincenzo Gagliardo (agente di custodia), Michele Maria (carrozziere), Luigi Fiore (impiegato Enel), Adriana Di Maida (insegnante), Stefano Marsiglia (paramedico), Carmelo Zambito (impiegato), Aldo Piscopo (medico), e via così....Resta una curiosità: ma è con loro che sarà rilanciata l’industria e l’occupazione nelle lande agrigentine?” Veniamo da due anni incredibili, di pandemia e di sacrificio. Spesso le persone si fanno idee sbagliate, perché sono state educate poco e male, sono prive di strumenti per capire la realtà ed in balia di percezioni distorte, su cui molto sistema mediatico vive e prospera. La scuola è il fondamento di tutto ed il nostro sistema scolastico è stato disegnato per un mondo che non esiste più. Avverso alla competizione, alla valutazione ed alla consapevolezza del rischio. Anche il nostro sistema di welfare è stato disegnato per un mondo che non c’è, dove una persona resta tendenzialmente sempre a fare la stessa cosa. Nulla di più lontano dalla realtà. Le persone, come l’economia, agiscono sulla base di incentivi e disincentivi. La sfida educativa parte da qui? Dici bene, la scuola è l’architrave del futuro italiano. Anche qui purtroppo le speranze di riforma si incagliano pensando a tutti i soggetti coinvolti, che sono milioni, tra famiglie, ragazzi e insegnanti. Le riforme dall’alto sappiamo che durano lo spazio di un mattino. La scuola dovrebbe rimanere aperta tutto il giorno, fino alle 18, organizzare attività culturali e sportive. Chiaramente gli insegnanti dovrebbero guadagnare di più, ma nel futuro dovranno essere anche di meno, vista la denatalità incipiente. Sul welfare vediamo che anche l’ottimo governo Draghi debba concedere qualcosa ai sindacati, desiderosi di concedere molto ai pensionandi. Siccome oltre il 50% degli iscritti al sindacato sono pensionati, la pressione politica viene esercitata per favorire le classi anziane della società, mentre i sindacati ai giovani non pensano affatto. Che si arrangino, e paghino i contributi necessari a tenere in piedi un sistema pensionistico a ripartizione (i contributi di oggi vanno a finanziare le pensioni di oggi). Il Capo del Dipartimento di Economia e statistica della Banca d’Italia Eugenio Gaiotti nell’audizione in Parlamento del 5 ottobre scorso ha sottolineato la necessità di sostenere sì con una manovra espansiva i redditi e la domanda, ma anche di aumentare la crescita potenziale dell’economia assicurando gli “adeguati incentivi all’offerta di lavoro e favorire il necessario processo di riallocazione delle risorse”. Per consentire all’economia di funzionare bene e di favorire la “riallocazione”, è opportuno che il lavoratore sia tutelato nel passaggio da un’impresa inefficiente (o che sta per chiudere) a un’impresa in un settore più promettente o con una produttività dei fattori migliore. Altrimenti la persona cercherà il più possibile di rimanere legato all’impresa in crisi, che è la sola che gli garantisce tutele adeguate. Infatti le tutele non seguono il lavoratore, ahinoi, ma l’agognato “posto di lavoro” (anche se non esiste più perché l’impresa è fallita). Dobbiamo domandarci perché alcuni lavoratori si incatenano ai cancelli delle imprese che chiudono invece di cercarsi un altro lavoro. Perché spesso il lavoro c’è, ma esiste un mismatch delle competenze combinato con la bassa disponibilità del lavoratore italiano alla mobilità. Il raffinato pensatore, nonché giudice della Corte Costituzionale, già ministro, Giuliano Amato – soprannominato il dottor Sottile – una volta con una battuta efficace ha detto che l’articolo 1 della Costituzione parla di Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma non indica “sotto casa mia”. In un tuo libro – L’Italia: molti capitali, pochi capitalisti (prefazione di Francesco Giavazzi, Il Sole 24 ore editore, 2019) – provi a spiegare come il nostro paese, partendo da condizioni di miseria al momento dell'unificazione, sia riuscito a risalire la china e a diventare una delle nazioni più ricche del mondo. La capacità di risparmio, frutto della paura di tornare poveri, ha giocato in questo «fenomeno» un ruolo rilevante. Oggi siamo in un nuovo dopoguerra. Gli italiani credono che il periodo più florido degli ultimi 100 anni – gli anni del Dopoguerra fino agli anni Sessanta – sia piovuto dal cielo, come fosse un fenomeno esoterico. Non a caso è stato definito “miracolo economico”. Ma non c’è stato nessun intervento divino. Sono stati gli italiani a farsi un mazzo tanto, a costruire dove c’erano macerie, a edificare un futuro glorioso. Dobbiamo tornare a quegli anni e capire che la crescita formidabile di quel periodo è stata il frutto di scelte ben precise di persone capaci e serie (che potevano lavorare con il sostegno della popolazione, in gran parte ignorante). Oggi, con il web, chiunque può improvvisarsi oncologo o esperto di politica economica. E abbiamo visto i danni che ha fatto il bipopulismo di destra e di sinistra. Dobbiamo ricordare a tutti che la politica economica del Dopoguerra era in mano a gente del calibro di Luigi Einaudi, Paolo Baffi, Donato Menichella, Ezio Vanoni. E il presidente del Consiglio era Alcide De Gasperi, uomo tanto sobrio quanto lungimirante (“I politici guardano alle prossime elezioni, gli statisti alle prossime generazioni”). Nelle sue ultime Considerazioni finali del 1979 l’integerrimo governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi (a cui ho dedicato ben quattro volumi, tutti e editi da Aragno) scrisse che l’Italia aveva estremo bisogno di un’analisi seria, per poi intraprendere le scelte corrette. Einaudi avrebbe detto “conoscere per deliberare”. Mario Draghi ha detto: “Per oltre mezzo secolo la vita della Banca d’Italia è stata segnata dall’opera e dal pensiero di Paolo Baffi. Da quando entrò giovanissimo in Banca d’Italia sino agli ultimi anni come Governatore onorario, con il suo esempio contribuì a plasmare questa istituzione con la serietà e il rigore”. Carlo Azeglio Ciampi: “La sua sola (di Baffi, ndr) presenza scoraggiava ogni superficialità; innalzava la soglia della valutazione morale e professionale degli uomini; contribuiva a dare un senso sicuro al mandato e alle azioni di chi è chiamato a responsabilità pubbliche…La sua opera fu decisiva, sin dal Suo ingresso nel nostro Istituto, nell’affermare un metodo di lavoro: quello che nel rigore dell’analisi e nell’indipendenza del giudizio vede innanzitutto un dovere, uno dei modi attraverso i quali si estrinseca la funzione della Banca, al servizio della collettività”. L’avvento di Mario Draghi ha fatto capire agli italiani che la competenza è un valore. È di questo che abbiamo bisogno: persone serie ed esempi da seguire. Intervista a Beniamino Piccone, svolta da Antonluca Cuoco e pubblicata su Strade online il 29 ottobre 2021

martedì 17 agosto 2021

In Afghanistan ci vorrebbe un Thomas Mann

Vedere dopo 20 anni dall'11 Settembre "falling men" giù dagli aerei in fuga dall'Afghanistan fa capire il dramma di una popolazione preda di disillusioni e veri e propri incubi al pensiero del ritorno dei tagliagole del Califfato al potere. Al di là delle responsabilita degli Stati Uniti che stanno gestendo la dipartita dal Paese nel modo peggiore possibile, vi è da chiedersi come non ci sia una èlite disposta a far sentire la propria voce. Dove sono gli imam moderati? Non esiste un Thomas Mann in Medio Oriente? Thomas Mann dal 1940 al 1945 non smise mai di denunciare il nazismo e invitò la popolazione tedesca al ribellarsi. Costretto all'esilio, fece sentire la propria voce anche da Radio Londra. Fino a che non sarà la popolazione a ribellarsi al MedioEvo talebano, nessuno potrà salvare gli afghani. Europei e americani hanno le loro colpe, esportare la democrazia non ha funzionato, ma la società civile afghana perchè non ha il coraggio di opporsi a questi uomini barbuti che considerano la donna un orpello da silenziare a cui mettere il burqa?

martedì 20 luglio 2021

Chi non si vaccina è un egoista che danneggia gli altri

Eravamo a un passo dall’uscire dalla pandemia, poi improvvisamente, con la diffusione delle varianti del Covid-19, stiamo tornando in situazioni di panico, con la crescita dei contagi, le persone bloccate in aeroporto perché non in possesso del codice a barre del “Passenger Locator Form”, modulo di localizzazione digitale che consente alle autorità sanitarie di raccogliere informazioni sui viaggiatori e poterli contattare velocemente in caso di contagio. Come procedere? Urge una strategia di azione ben definita, che potremmo sintetizzare così: 1.       Convincere gli indecisi e agire in tempi rapidi, come sostiene Stefano Brusaferro, che presiede l’Istituto Superiore di Sanità”; va ripetuto con dati chiari e comunicazione efficace che per coloro che si sono vaccinati con ciclo completo, le probabilità di infettarsi e sviluppare la malattia grave si riducono fortemente; per i non vaccinati, le conseguenze possono essere severe; 2.       Prevedere l’obbligo vaccinale per alcune categorie di persone come gli insegnanti e gli operatori sanitari. Premesso che dobbiamo immunizzare la fascia più ampia possibile di cittadini, rifiutare la vaccinazione significa creare “esternalità negative” sul resto della società, come sottolineato da due eccellenti economisti, Tito Boeri e Roberto Perotti, i quali invitano il governo a sospendere dal luogo di lavoro medici e insegnanti no-vax. Cosa sono le “esternalità negative”? Sono gli enormi costi scaricati sulla società per curare i no-vax che si ammalano e l’impedimento ad un ritorno a una vita sociale normale per tutta la popolazione; peraltro mentre chi fuma è immediatamente individuabile, chi non è vaccinato non è riconoscibile; 3.       Anche per gli studenti deve essere previsto l’obbligo di vaccinazione; non è pensabile tornare a settembre con la didattica a distanza, per ovvie ragioni di socializzazione e di mancato trasferimento di sapere: i dati INVALSI appena pubblicati dimostrano gli enormi peggioramenti di competenze dovuti alla Dad, che ha demotivato studenti e docenti: per alcune materie è come se si fosse cancellato un intero anno scolastico; 4.       Il Green Pass deve essere introdotto subito nei luoghi più affollati e più a rischio, come metro o ristoranti al chiuso; il certificato vaccinale serve a consentire a un soggetto che ha adempiuto all’obbligo vaccinale non debba sottoporsi a limitazioni; 5.       Sedicenti liberali invocano la libertà di non vaccinarsi; ma tutto ha un limite: se non ti vaccini stai a casa perché al ristorante c’è chi non vuole correre il rischio di contagiarsi. Come ha scritto illo tempore il filosofo Karl Popper il mio diritto di muovere la mano (pugno) si scontra con la vicinanza del naso del mio vicino. Non è serio invocare liberali del calibro di John Stuart Mill, quando l’economista britannico solennemente spiegava che ogni diritto ha un limite: “la mia libertà finisce dove iniziano i diritti degli altri”. In conclusione, non possiamo imporre alle persone di vaccinarsi, ma possiamo e dobbiamo limitare le conseguenze negative di coloro che non intendono vaccinarsi, che vanno sospesi dal lavoro. Senza stipendio, bien sur. Il lavoro prevede una remunerazione a fronte di una prestazione. Se quest’ultima non può effettuarsi, è corretto sospendere lo stipendio. Siamo purtroppo in pieno “dirittismo”, tutti invocano diritti ma si dimenticano bellamente dei precetti di Giuseppe Mazzini, che invocava i “doveri dell’uomo”. Non possono esistere diritti senza doveri.  

martedì 23 marzo 2021

Quella macchinazione contro Bankitalia

A 42 anni dagli eventi possiamo ancora sostenere che il 24 marzo 1979 sia un giorno nero per la storia italiana. Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale con delega alla vigilanza, in modo pretestuoso e grottesco vengono accusati dalla Procura di Roma di interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento personale per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo sul Credito Industriale Sardo, istituto di credito che aveva largamente finanziato il gruppo chimico SIR del finanziere Nino Rovelli, oggetto di indagine da parte della magistratura. Il dolore per la macchinazione affaristico-politico giudiziaria che lo vede coinvolto insieme con Sarcinelli, e che culminerà nella sua incriminazione e nel mandato di cattura per Sarcinelli medesimo il 24 marzo 1979, Baffi se lo porterà appresso per il resto della sua vita. Quella ferita non sarà più rimarginata. In una lettera a Mario Monti del 13 novembre 1979 Baffi descrive il suo stato d’animo come «una voragine di mortificazione e di amarezza […], che pregiudica la riconquista della serenità» (Archivio Storico della Banca d’Italia, Carte Baffi, Governatore Onorario). I magistrati della Procura di Roma – allora considerato un “porto delle nebbie”, a distanza di tanto tempo possiamo dire che c’era del metodo in quella follia – approfittano della presenza di Paolo Baffi nel consiglio di amministrazione dell’IMI (finanziatore delle numerose società di Rovelli) per costruire un castello di accuse pretestuose. Nelle parole di Mario Draghi, nella veste allora di Governatore della Banca d’Italia, si trattò di un «attacco intimidatorio all’autonomia della Banca d’Italia». In una lettera a Marcello de Cecco, Paolo Baffi nell’ottobre 1981 scrive che «il naufragio di Rovelli ha offerto a talune cerchie il destro per far rimuovere dall’ufficio un governatore sgradito» (ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario). Nel ricordo di Carlo Azeglio Ciampi: «Ricordo bene quel sabato, un sabato drammatico. Era il 24 marzo 1979. Quella mattina ricordo ancora che ero in macchina a via Nazionale, e in senso opposto transitò un’autoambulanza a sirene spiegate: non sapevo ancora che dentro c’era Ugo la Malfa, ormai morente. Andai in Banca, lavorai tranquillamente. A un certo punto entrò nella mia stanza Sarcinelli che mi disse: “Carlo, sono venuti ad arrestarmi” (per dovere di cronaca i carabinieri guidati dal Colonnello Campo, ndr). Mi precipitai da Baffi e lo trovai distrutto. Aveva in mano il documento che gli avevano consegnato, con l’incriminazione per lo stesso reato contestato a Sarcinelli; il documento era stato scritto con la carta carbone. Non si concludeva con l’arresto solo per l’età. Mi precipitai a informare il Quirinale» (Da Livorno al Quirinale, Il Mulino, 2010, p. 125). È opportuno chiarire che le pressioni alla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli iniziano ben prima del 1979, e precisamente nel febbraio 1978 quando il Ministro del Tesoro Gaetano Stammati (iscritto alla P2, si seppe poi) ed Franco Evangelisti – stretto collaboratore di Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – convocano due volte Baffi e Sarcinelli sollecitando la sistemazione dei debiti Caltagirone nei confronti dell’Italcasse, feudo democristiano. Tra i tanti commenti di allora, ne riportiamo uno di Massimo Riva che sul Corriere della Sera nel 1979 scrive: «Michele Sindona ha regalato al Paese una bancarotta per qualche centinaio di miliardi e se ne sta indisturbato in un grande albergo di New York. Ma Mario Sarcinelli, che si è impegnato per smascherare i trucchi dei banchieri d’assalto, è finito dentro un carcere». Il 31 maggio 1979, a margine delle Considerazioni finali, nella Relazione per il 1978 Baffi scrive: “Ai detrattori della Banca, auguro che nel morso della coscienza trovino riscatto dal male che hanno compiuto alimentando una campagna di stampa intessuta di argomenti falsi o tendenziosi e mossa da qualche oscuro disegno. Un destino beffardo ha voluto che da questa campagna io fossi investito dopo 42 anni di servizio”. Un vero civil servant che, a dir poco amareggiato a fronte della sua incriminazione, descrive ad Enrico Berlinguer il parallelo col suo collega della Bank of England insignito della nomina di Pari d’Inghilterra. Il 3 marzo 1983, al momento di consegnare i suoi diari a Massimo Riva – con l’impegno di pubblicarli solo dopo la sua morte – Baffi scrive: “Purtroppo, come la classe politica (e i potentati a essa collegati nello scambio di favori) ha dovuto accorgersi di me, così io ho dovuto accorgermi della potenza del complesso politico affaristico giudiziario, che mi ha battuto”. Un galantuomo distrutto. Proprio per questo è giusto ricordare Baffi e Sarcinelli a 42 anni da quel tragico 24 marzo 1979. Quando i tempi sono tristi, bisogna guardare in alto alla ricerca di esempi positivi. Nel cielo degli onesti e dei competenti è presente di diritto Paolo Baffi, nato a Broni (PV) il 5 agosto 1911 e morto a Roma il 4 agosto 1989. P.S.: questo articolo è uscito sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 23 marzo 2021

sabato 6 marzo 2021

Omaggio a Carlo Tognoli, sindaco riformista

La mia maestra delle elementari Costanza Balsamo, bravissima nel contemperare dolcezza e severità, ogni volta che la classe rumoreggiava, usava esclamare: "Fate silenzio, che vi sente pure Carlo Tognoli a Palazzo Marino". Così, venivamo a sapere chi fosse il sindaco e quali funzioni svolgesse. Proprio ieri è morto Carlo Tognoli, sindaco di Milano dal 1976 al 1986. Socialista, quando il centro sinistra guidava Milano. Affabile, spesso in giro per le strade di Milano a conversare con tutti, preparato, sapeva come affrontare i tanti temi aperti in una grande città. In sintesi, direi un grande riformista. In Italia siamo pieni zeppi di rivoluzionari, che sulla carta vogliono cambiare tutto, ma di fatto non cambiano nulla. Anzi, sono i più grandi conservatori. Fausto Bertinotti, sedicente rivoluzionario, vive in una bella casa borghese, ha un emolumento altissimo pur non avendo mai lavorato (se non da sindacalista e presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008). Io scherzando, ma fino a un certo punto, dico che ha la tessera nr. 1 di Forza Italia: il berlusconismo, che tanti danni ha fatto a questo Paese, si fonda sull'esistenza di soggetti ancora amanti del comunismo. Basta brandire il vessillo rosso, che l'italiano si sposta a destra. Chiunque ci sia. Per Carlo Tognoli valgono le considerazioni dell'economista Federico Caffè, sulla "Solitudine del riformista" (Bollati Boringhieri, cit.). Tutti i riformisti sono soli, hanno contro i conservatori che preferiscono lo status quo. E hanno contro i finti rivoluzionari, che nel Paese del "Tengo famiglia", non vogliono cambiare niente. Urlano e basta. Vedasi l'ultima esperienza tragica del grillismo.
Caffè si prodigava per un riformismo rigoroso (amava alla stesso tempo Einaudi e Andreatta), che condannava “lo sfruttamento politico degli emarginati; la pressione dei furbi rispetto ai veri bisognosi nell'avvalersi delle varie prestazioni assistenziali, le ripercussioni dannose a carico del bilancio dello Stato dell’inclinazione lassista a voler dare tutto a tutti”. Tognoli era un vero riformista. Non era mai superficiale, ascoltava, spiegava il suo punto di vista, gli piaceva discutere. Oggi il dialogo è diventato un monologo, nessuno è capace di mettersi in discussione e cambiare idea. Recentemente il filosofo Umberto Galimberti, intervistato da Paolo Iacci (Sotto il senso dell'ignoranza, Egea, 2021) ha scritto: "La parola dialogo, come tutte le parole greche che cominciano per "dia", indica la massima distanza tra due punti. Nella circonferenza abbiamo il diametro, nel dia-logo si possono confrontare due posizioni di pensiero anche diametralmente opposte tra loro Si fronteggiano per capirsi, non per elidersi. Per questo ci vuole "tolleranza" che non significa tollerare la posizione dell'altro restando convinti che la nostra è quella giusta, ma ipotizzare che la posizione dell'altro possa possedere un grado di verità superiore al nostro, e quindi disporsi, nel confronto con l'altro a lasciarsi modificare dall'altro". Eletto sindaco a soli 38 anni, dopo la gestione Aniasi (grande capo partigiano, 1921-2005), affrontò con prudenza e senza mai scomporsi gli anni terribili del terrorismo. Come ha detto a Repubblica Paolo Pillitteri (che gli successe come sindaco), Carlo non si lasciava mai travolgere dalla commozione, se la teneva per sé. Inoltre girava in biciletta per Milano quando le Brigate rosse ammazzavano i magistrati Galli e Alessandrini. un segnale di fiducia verso i cittadini che avevano paura ad uscire di casa. Tognoli fu il primo sindaco a chiudere al traffico il centro storico, un preveggente. Quando decise la chiusura di Corso Vittorio Emanuele, i commercianti, che oggi plaudono, si incazzarono assai. Al contempo si costruivano le linee del metrò. Gli slogan erano: "La linea due avanza, poi "La linea tre avanza". Tognoli, alla fine, condusse Milano alla transizione verso il terziario avanzato. Dal terrorismo alla "Milano da bere", è tanta roba. Socialista convinto quando il PSI era guidato da Craxi. Il legame ideale col socialismo non si è mai dissolto. Non è un caso che abbia chiamato i figli Filippo e Anna, in memoria di Turati e Kuliscioff. L'ottimo Giangiacomo Schiavi oggi sul Corriere della Sera lo ricorda così: "Era la memoria di una Milano da amare, il sindaco dei milanesi. Stimato, rimpianto. Mai dimenticato. Se entrava in un bar gli sorridevano: "Buongiorno sindaco". Tognoli fu anche Ministro delle Aree Urbane e parlamentare europeo ai tempi (eroici) di Altiero Spinelli.
Poco tempo fa Repubblica ha pubblicato un volume (Bocca, 35 anni con noi) con i migliori articoli di Giorgio Bocca, tra i quali ne spicca uno del 23 febbraio 1983. Il titolo parla da sé: "Milano ricca e coraggiosa salpa per nuove avventure". E subito dopo Bocca lo definisce sindaco elettronico, perchè capace di rispondere in tempo reale alle sue domande consultando i terminali di Palazzo Marino. In quel pezzo Bocca citava un altro grande milanese, Piero Bassetti, stringheriano, presente nelle prime file al concerto alla Scala di Toscanini l'11 maggio 1946: "Viviamo in una città dal metabolismo intenso, divorante". Proprio così la pensava anche Tognoli, che nel bel mezzo del Covid, il 14 luglio 2020, intervenne al Teatro Franco Parenti per dire a gran voce che il destino di Milano è quello di rialzarsi sempre, dalle distruzioneo alle bombe". Ti sia lieve la terra, caro Carlo Tognoli.

sabato 23 gennaio 2021

Amici imprenditori, non mollate, tirare fuori l'orgoglio, sarete ripagati


"E voi dite: Sono tempi difficili, sono tempi duri, tempi di sventure. Vivete bene e, con la vita buona, cambiate i tempi: cambiate i tempi e non avrete di che lamentarvi (Sant'Agostino, cit.).

Viviamo tempi difficilissimi. E' tempo di reagire. Un mentore eccezionale, Guido Roberto Vitale nell'ultima telefonata mi disse "Lasciamo lavorare le intelligenze".

Ho pensato a lui quando un amico di una vita (Andrea Rosella, consulente aziendale, se volete mettere ordine nella vostra impresa, contattatelo andrea@roseland-consulting.it) mi ha girato un testo (credo di Gianluca Bellofatto, vedo su Facebook) che elogia la resilienza, la forza indomita dell'imprenditore, vero eroe di questo Paese, che fa di tutto per non meritarsi lo spirito d'impresa di numerosi soggetti - definiti addirittura "prenditori" dal ministro (sic!) Luigi Di Maio, paracadutato in un ruolo troppo complesso per le sue capacità.

Leggete quindi con calma il testo sotto. Poi vi invito a commentarlo.

"Invito tutti ad aprire un'azienda o un'attività, rischiando capitale proprio (è facile essere capo con i soldi altrui) per far crescere il paese e sperimentare per un po’ di tempo cos'è la responsabilità di coordinare un progetto, la regolarizzazione delle tasse (tantissime), la selezione del personale, l'affitto di locali o uffici o infrastrutture per il luogo di lavoro. L’acquisto di attrezzature tanto costose quanto indispensabili all’attività.

Invito tutti a fare questo esperimento.
Imparare a calcolare il valore di un'ora di lavoro. Rimanere notti intere senza dormire preoccupati per i conti che non quadrano.
Invito anche a sperimentare cosa significa formare le persone, ispirando il meglio in ognuno. Motivare con parole, con rispetto, onestà e con i tuoi soldi, e accettare che dopo questo sforzo ti deludano, perché succede ...



Prova anche a promuovere il buon umore quando arriveranno i nemici, le critiche, le lamentele... quando dubiterai di te stesso e quando gli altri dubiteranno di te, perché succede ... lo raccomando davvero.
Raccomando di prendere soldi dai tuoi risparmi di una vita o di prendere soldi in prestito da amici o familiari, per non ritardare i pagamenti e sentirti dire  "non è niente di che", "non preoccuparti"..."andrà tutto bene".
Prova anche a guardare negli occhi un dipendente o collaboratore e licenziarlo, anche se per motivi più che giustificati.
Prova ad avere giudizi di lavoro, contenziosi, udienze, moratorie, nuove tasse, aumenti, crisi, furti, problemi edilizi, rescissioni di contratti, mancati pagamenti, rifinanziare debiti, cercare garanti.
Tornare a casa frustrato da un progetto fallito, da un’idea o strategia che non funziona.
Ma comunque rimanere fermo e vivace sempre!
Fai questo test. Ti vedrai sveglio alle tre del mattino senza motivo apparente, ma con il pensiero su un prodotto, su un problema con un cliente, su una conversazione d'ufficio o su un piano per evitare il fallimento.
Prova ad essere capo per alcuni anni creando posti di lavoro e opportunità per poi essere visto come sfruttatore ed evasore!
Fai questo test! Ma fallo credendo davvero che lo scopo della tua attività vada ben oltre il guadagnare soldi.
E quando parleranno di te o raggiungerai il successo, ricordati tutto quello che hai fatto.
Tienilo nell'anima!.
Fai questo esperimento un giorno: apri un'azienda e tienila nel tempo".


Chiunque abbia fondato e sviluppato un'impresa, non può che ritrovarsi in questa invettiva. 
Con il governo più statalista che la storia italiana ricordi, è importante mantenere la barra e dritta e andare avanti per la propria strada. Le soddisfazioni, alla fine del viaggio avventuroso nel mondo dell'impresa, saranno notevoli.

Chiudo con Shelley, poeta inglese (1792-1822, a Lerici!), che nel "Prometeo liberato" scrive una sorta di manifesto libertario, "uno squillo di tromba" (secondo il professor Guidorizzi):

Perdonare torti più cupi della morte
sfidare il Potere, che sembra onnipotente,
amare e sopportare
non cambiare, né vacillare, né pentirsi
questo, come la tua gloria, o Titano,
è essere buoni, grandi e lieti,
liberi e belli
questo solo è Vita, Gioia; Impero e Vittoria