lunedì 31 marzo 2014

Ai dirigenti pubblici premiati tutti con il massimo dei voti, dico: imparate da Luigi Einaudi che condivise una pera a cena al Quirinale


Mi ha colpito profondamente leggere lunedì scorso sul Corriere che "la quasi totalità dei dirigenti - di prima e seconda fascia - dello Stato italiano ha conseguito una valutazione non inferiore al 90% del livello massimo atteso". La conseguenza è evidente: il premio che costituisce la parte variabile della retribuzione, circa il 30% è spettato a tutti, indistintamente. Alla faccia della meritocrazia.
I manager pubblici italiani sono i più pagati dei Paesi Ocse, come descrive graficamente Thomas Manfredi su Linkiesta.  Inoltre, è importante sottolineare che - mentre in Francia i dirigenti sono 1 ogni 33 dipendenti, in Italia abbiamo un dirigente ogni 11.
Come ben argumenta il giuslavorista Pietro Ichino "il dirigente che raggiunge davvero gli obiettivi (che devono essere misurabili e paragonati a un benchmark) può anche guadagnare di più; ma quello che non li raggiunge deve essere rimosso".

Quando leggiamo queste assurdità dei premi a tutti frutto di logiche sindacali aberranti, vale la pena ritornare ai padri della Patria. Visto che il 24 marzo scorso era l'anniversario della nascita di Luigi Einaudi - Governatore della Banca d'Italia (1945-48) e Presidente della Repubblica (1948-1955) - lo ricordiamo volentieri.

Ennio Flaiano - La solitudine del satiro (1973, poi postumo Rizzoli, 1989) - ha raccontato in modo magistrale una serata al Quirinale. La riporto integralmente:

Molti anni fa, nel terzo o quarto anno del suo mandato presidenziale, fui invitato a cena al palazzo del Quirinale, da Luigi Einaudi. Non invitato ad personam – il Presidente non mi conosceva affatto – ma come redattore di una rivista politica e letteraria diretta da Mario Pannunzio. A tavola eravamo in otto, compresi il Presidente e sua moglie. Otto convitati è il massimo per una cena non ufficiale, e la serata si svolse dunque molto piacevolmente, la conversazione toccò vari argomenti, con una vivacità e una disinvoltura che davano fastidio all’enorme e unico maggiordomo in polpe che ci serviva. Questo maggiordomo, una specie di Hitchcock di più vaste proporzioni ma completamente destituito di ironia, aveva sulle prime tentato di intimidirci posandoci il prezioso vasellame davanti come se temesse che l’avremmo rotto; e fulminandoci con occhiate di sconforto se non riuscivamo a individuare tra le tante (alcune nascoste persino tra i merletti della tovaglia) le posate giuste...Da un argomento all’altro, tra aneddoti che, per il gran ridere, scuotevano il Presidente come un uccellino bagnato; tra riflessioni che seguivano gli aneddoti, pensieri economici e altri sul futuro, la cena si stava prolungando oltre il lecito.

Il Presidente sembrava un nonno felice di rivedere nipoti lontani. Ma eccoci alla frutta. Il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa: c’era di tutto, eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti, delle pere molto grandi. Luigi Einaudi guardò un po’ sorpreso tanta botanica, poi sospirò: “Io” disse “prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerne una con me?”. Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo: era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico. Durante la sua lunga carriera mai aveva sentito una proposta simile, a una cena servita da lui, in quelle sale. Tuttavia, lo battei di volata: “Io, Presidente” dissi alzando una mano per farmi vedere, come a scuola. Il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise la metà su un piatto, e me lo posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista. Un tumulto di disprezzo doveva agitare il suo animo non troppo grande, in quel corpo immenso. “Stai a vedere” pensai “che adesso me la sbuccia, come ai bambini”. Non fece nulla, seguitò il suo giro. Ma il salto del trapezio era riuscito e la conversazione riprese più vivace di prima; mentre il maggiordomo, snob come sanno esserlo soltanto certi camerieri e i cani da guardia, spariva dietro un paravento. Qui finiscono i miei ricordi sul Presidente Einaudi. Non ebbi più occasione di vederlo, qualche anno dopo saliva alla presidenza un altro e il resto è noto. Cominciava per l’Italia la Repubblica delle pere indivise”.
Che tempi!

lunedì 24 marzo 2014

Formidabile Papa Francesco a un anno dalla sua elezione. Ha seguito Bonomelli nel dialogo con i non credenti

E' passato un anno da quando Jorge Bergoglio, è stato chiamato al timone della Chiesa.
Era la carta della disperazione di una Chiesa spenta. Un anno dopo, Francesco è il Papa della speranza, una guida spirituale che parla a tutti, oltre il recinto dei fedeli.

L'anno scorso ha destato molta sorpresa il dialogo intercorso su Repubblica tra il fondatore del quotidiano Eugenio Scalfari e Papa Francesco. I lettori, un bel giorno, invece di leggere il consueto racconto dei disastri italici, si sono trovati come titolo di apertura: "Così cambierò la Chiesa. Ripartire dal Concilio, aprire alla cultura moderna".

Nell'ambito del colloquio mi ha colpito un passaggio di Francesco: "Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perchè nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l'importante è che portino verso il Bene".

Papa Francesco è un nobile esempio di dialogo con chi non crede. Tra i suoi precursori - oltre al Cardinal Martini - è opportuno citare Mons. Geremia Bonomelli, di cui nel 2014 ricorre il centenario della nascita (3 agosto 1914 a Nigoline di Corte Franca).

Il Centenario offre un'opportunità di approfondimento della figura del Vescovo (1831-1914) e della storia del suo tempo, ricca di questioni che, sia pur in una prospettiva e in un contesto diversi, sono ancora oggi all'ordine del giorno:


la "Questione romana" e la separazione tra Stato e Chiesa, vista da Bonomelli nella massima libertà di entrambi i soggetti, senza il divieto di elettorato attivo e passivo che era stato imposto ai cattolici con il "non-expedit";

la "Questione sociale" o del lavoro, per la quale Bonomelli auspicava un "socialismo cristiano", nel quale è fondamentale la dignità del lavoro: associazionismo, casse rurali, mutuo soccorso;
 
la "Questione dell'emigrazione" per la quale Bonomelli promuoveva, nel 1900, la fondazione dell'Opera di assistenza degli operai italiani emigrati all'estero, che aveva lo scopo di assistere le famiglie rimaste in Italia e di tutelare gli operai che lavoravano all'estero attraverso le missioni religiose, creando al tempo stesso una rete di presidi sociali: segretariati, ospizi, scuole, asili, nelle principali città europee e ai valichi di confine.
 

L'Opera Pia Bonomelli, eretta in Ente Morale nel 1914, venne sciolta dal Fascismo, con decreto di Mussolini, nel 1928;
la "Questione dello sfruttamento della manodopera infantile" sollevata da un'inchiesta dell'Opera Bonomelli, favorì la promulgazione di una "legge per l'emigrazione" nel 1901, sotto la Presidenza del Consiglio Giuseppe Zanardelli, che nonostante fosse massone, dialogò in modo costruttivo con Mons. Bonomelli.

- la "Questione dell'educazione femminile".
 
In particolare sulla questione Romana e sull'Associazione per i migranti, il Vescovo venne contrastato dalla Curia Romana, all'epoca di Papa Leone XIII, ma difeso e appoggiato da molti vescovi, dalla Regina Margherita e da intellettuali come Fogazzaro (con il quale aveva un rapporto di amicizia, fondato su reciproca stima).
 
L'Associazione culturale Cortefranca, che ha sede a Palazzo Torri a Nigoline di Corte Franca, ha organizzato la mostra "Memorie Bonomelliane a Palazzo Torri", che occupa parte della dimora storica e in particolare la "Stanza del vescovo", dove una lapide ricorda la sua morte, avvenuta nel 1914.

Geremia Bonomelli fu legato alla famiglia Torri e Peroni fin dall'infanzia, essendo nato e cresciuto in una cascina in prossimità del palazzo. Divenuto Vescovo nel 1871, accrebbe la sua amicizia con Alessandro e Paolina Torri. A partire dal 1880 fu ospite del "Salotto Culturale" a Palazzo Torri e dal 1898 vi trascorse anche le sue vacanze annuali. Dal 1898 ebbe quindi occasione d'incontro con illustri ospiti, sia laici che religiosi, dello Stato e della Chiesa, tra i quali i Senatori Schiapparelli e Zanardelli, i letterati Fogazzaro e Carducci, Padre Semeria, Tommaso Gallarati Scotti e altri esponenti dell'aristocrazia, oltre a intellettuali, musicisti, pittori e scultori (in particolare Trentacoste).
 
La mostra, allestita in collaborazione del Comitato parrocchiale per l'Anno Bonomelliano, è visitabile per tutto il 2014: per gruppi e scuole tutti i giorni su prenotazione, per singoli visitatori e famiglie la domenica pomeriggio con preavviso telefonico. Ingresso a pagamento con visita guidata (Per informazioni: www.palazzotorri.it - palazzotorri@libero.it – 335.5467191 – Pagina Facebook Palazzo Torri).

 La posizione progressista di Bonomelli all'interno della Chiesa dell'epoca rimanda a una linea di pensiero innovativo che, tentando di superare le pretestuose barriere ideologiche tra laici e cattolici, unisce tutte le componenti nella costruzione del bene comune. Una linea che ha trovato i suoi eredi in Primo Mazzolari (allievo diretto di Bonomelli, 1890-1959) e in Don Lorenzo Milani (1923-1967, erede spirituale nel campo dell'educazione) e che ricompare anche in alcuni Papi come Roncalli e Bergoglio.

 

Nell'ultimo suo bellissimo libro - La stanza dei fantasmi. Una vita del Novecento (Garzanti, 2013) -, Corrado Stajano scrive: "Anche la Chiesa fa da argine alla prepotenza degli agrari. Il vescovo è Geremia Bonomelli, protettore degli operai emigrant che "divinando in amore segnò le vie dell'armonia feconda tra la Chiesa e l'Italia", come verrà inciso decennia dopo su una lapide del Palazzo Comunale".

A completamento della documentazione storica su Palazzo Torri e i protagonisti del "Salotto Culturale", nel quale fu attivo Bonomelli:
- Profili di donne lombarde. Quattro protagoniste dell'aristocrazia nel XIX e XX secolo, a cura di Franca Pizzini, Editore Mazzotta, Milano, 2009;
- Franca Pizzini, Un'eredità Lombarda. Da Milano alla Franciacorta, Ed.Mazzotta, 2010.

lunedì 17 marzo 2014

"La finanza è il male", dicono tutti indistintamente. Ma senza un sistema finanziario efficiente, l'economia reale vacilla. Tesoro, parliamone.

Sono stato invitato qualche settimana fa un gruppo di studenti della Facoltà di Economia di Torino (Assemblea di Economia, il nome esatto del gruppo di rappresentanza) che da qualche anno organizzano una serie di incontri dal titolo "Tesoro, parliamone".

Nel corso del dibattito mi sono state poste diverse domande, che hanno animato la discussione. All'incontro hanno partecipato, oltre al sottoscritto, Umberto Cherubini, coordinatore del corso di laurea magistrale in Quantitative finance a Bologna, Vladimiro Giacchè, responsabile Affari Generali del gruppo Sator e Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale Responsabilità Etica.  Vediamole insieme.

1. E' vero che l'economia finanziaria è scollegata dall'economia reale?

Credo che attaccare sempre e comunque la finanza sia profondamente sbagliato. Se la finanza viene messa sotto accusa, l'economia reale non potrà mai beneficiare dei flussi finanziari che solo la deprecate finanza internazionale è in grado di convogliare nel Belpaese. Come hanno scritto Forestieri e Mottura nell'introduzione al classico Il sistema finanziario, "la competitività dell'economia reale di un Paese dipende anche dall'efficienza del funzionamento del suo sistema finanziario, struttura fondamentale dell'economia reale poichè ne migliora sostanzialmente il funzionamento, l'efficienza e in definitiva la capacità di produrre ricchezza".

E' pur vero che l'eccesso di finanza porta dei danni, ma in Italia siamo ben lungi dall'essere eccessivamente finanziarizzati. Siamo invece deficitari soprattutto nel mondo del venture capital e del private equity, come abbiamo scritto in passato in relazione a Facebook e WhatsApp, nate e cresciute grazie al capitale di rischio.
Il direttore generale della Banca d'Italia Salvatore Rossi, in una lectio magistralis in occasione della Giornata Menichella, ha fatto notare che la relazione tra la dimensione del sistema finanziario e la crescita dell'economia non è lineare:
 "positiva e significativa a bassi livelli di sviluppo dimensionale del settore finanziario, tende a diventare negativa a livelli alti. In altre parole, un settore finanziario ipertrofico può rendere un’economia inefficiente, oltre che a esporla a rischi di crisi sistemiche: perché assorbe capitale (umano, fisico, finanziario) che sarebbe più produttivo se impiegato altrove.

Le mancanza degli attori pubblici nel fissare regole e nel farle rispettare possono essere, e storicamente sono state, causa o concausa delle più violente e dannose crisi finanziarie dell’era moderna, tali da distruggere ricchezza reale e inceppare per anni i meccanismi dello sviluppo.
D’altro canto – e occorre restarne consapevoli anche in questa fase di riregolazione della finanza – anche l’eccesso di regolazione può frenare lo sviluppo della finanza, con effetti depressivi sulla crescita economica".


2. Come mai le politiche accomodanti delle banche centrali non sono state sufficienti per uscire dalla crisi finanziaria?

In via preliminare è opportuno dire che le banche centrali e le autorità di vigilanza in generale sono da considerare tra le concause della crisi, avendo sottovalutato l'impatto sistemico della crisi bancaria e non avendo capito per tempo la sua gravità. Come sostiene peraltro Marco Onado ne I nodi al pettine (Laterza, 2009), mancava il pettine, ossia i regolatori non hanno usato gli strumenti a loro disposizione per fermare la deregulation finanziaria.
Negli Stati Uniti per anni ha imperversato la cultura della ownership society, per cui tutti si arrogavano il diritto di poter diventare proprietari di casa, anche i famigerati NINJA, che non hanno nè un lavoro, nè degli asset, nè altre forme di reddito. E' chiaro che tali individui prima o poi vanno in default.
Memorabile con gli occhi di oggi è la dichiarazione del Presidente George W. Bush: "America is a stronger country every single time a family moves into a home of their own" (October 2004).

E' anche importante ricordare gli errori compiuti dalla Banca centrale europea nel periodo in cui presidente era il francese Jean-Claude Trichet. Nel luglio 2008, a due mesi dal crack di Lehman Brothers, la BCE alzò i tassi di interesse dal 4 al 4,25% per calmierare l'inflazione. Nonostante il rialzo del prezzo del petrolio, la crisi incipiente era nei numeri.

Ma non basta. Trichet nel luglio 2010, in un articolo sul Financial Times, scrisse che era tempo di rendere meno accomodanti le politiche fiscali e monetarie: "Stimulate no more. It's time for all to tighten". Invitò quindi anche le altre (for all, ndr) banche centrali ad alzare i tassi di interesse ufficiali, nonostante fossimo ben lontani dalla fine della crisi. Infatti appena prese il comando della BCE (1° novembre 2011), Draghi non esitò ad abbassare per due volte consecutive i tassi. Per poi abbassarli ancora fino ad arrivare all'attuale 0,25% (minimo storico).

La situazione congiunturale sta migliorando negli Stati Uniti e in Europa. Quest'ultima beneficia anche dell'arrivo dei flussi di capitale in fuga dai paesi emergenti, che per lungo tempo sono stati attraenti per gli investitori istituzionali a caccia di rendimenti.
Con il calo degli spread sui titoli di stato dei paesi periferici della UE, piano piano anche in Europa la ripresa si consoliderà. Anche in Italia, nonostante le banche nostrane continuino nella loro politica di restringimenti dei criteri di accesso al credito (credit crunch), a causa dell'ammontare enorme di crediti deteriorati e di sofferenze.

Dobbiamo lavorare affinchè il mercato finanziario non sia esclusivamente costituito dal mercato creditizio, altrimenti il sistema industriale italiano pagherà del conseguenze del bancocentrismo. Nelle parole di Salvatore Rossi:
"Occorre che in Italia i termini "sistema finanziario" e "sistema bancario" non siano più sinonimi...una coesistenza equilibrata di mercati e intermediari rende più stabile il flusso di credito per l’economia reale. Nei paesi con mercati obbligazionari sviluppati, come gli Stati Uniti, il deleveraging bancario generato dalla crisi del 2008-9 è stato in parte compensato da un maggior ricorso delle imprese al mercato. In Italia questa compensazione non è avvenuta se non in forma molto più tenue, rallentando l’uscita dalla recessione e ora frenando la ripresa".

lunedì 10 marzo 2014

Paolo Sorrentino è un genio e "La grande Bellezza" è una splendida fotografia del declino italiano

Con grande lungimiranza il primo post di Faust e il Governatore è dedicato a Paolo Sorrentino. Infatti 4 anni fa, il 30 luglio 2010, inaugurai il blog segnalando "Hanno tutti ragione", il primo libro di Paolo Sorrentino, genio creativo assoluto, che narrava le gesta del mitico Tony Pagoda, personaggio che in qualche modo ha ispirato anche Jep Gambardella, protagonista de La grande bellezza, film che gli è valso l'Oscar come miglior film straniero.

La grande bellezza non è affatto surreale, è realista. Le feste del film con gli ospiti travestiti da centurioni li abbiamo visti anche nelle cronache dei giornali. D'Agostino e Dagospia ci hanno campato per anni con la rubrica Cafonal.
Il protagonista, Jep Gambardella, è un giornalista di costume e critico teatrale navigato, dal fascino innegabile, impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma così immersa nella bellezza del passato, che tanto più risalta rispetto allo squallore del presente.

I dialoghi del film sono studiati. Sono ironici, sarcastici ed esprimono il cinismo della società contemporanea. Uno su tutti:


Jep: Ma tu che lavoro fai?
Orietta (Isabella Ferrari): Io sono ricca.
Jep: Ah, bel lavoro.

In un altro passaggio, Gambardella esclama: «Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?».

Sorrentino, persona timida e grande ascoltatore, racconta a Maltese di Repubblica: "Quando all'ultimo anno di liceo ho detto a casa che volevo fare lettere all'università, i miei genitori mi hanno guardato come se avessi appena confessato di farmi d'eroina. Non ho retto e ho subito che scherzavo, avrei fatto economia e commercio, come poi fu".

Subito dopo la vita gli è cambiata - scrive Maltese - per sempre. A 17 anni, tornando un giorno da scuola, ha trovato la casa esplosa e mamma e papa uccisi dallo scoppio di una bombola. Pensarci sempre, parlarne mai. Ed è questa la storia che sta dietro l'ultima frase detta dal palco dell'Academy, sollevando l'Oscar: "Sasà e Tina, this is for you".

Gli americani ci hanno premiato perchè vedono l'Italia sempre come un Paese decadente e decaduto, pieno di rovine del passato e del presente.
Jep dice: "È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.
Le vedi queste persone? Questa fauna? Questa è la mia vita. E non è niente". Speriamo la prossima volta di essere premiati per il riscatto positivo di un Paese al momento dormiente, concentrato sul passato.

P.S.: Sorrentino ha dedicato il film a due persone, un suo amico d'infanzia Maurizio Ricci e Peppe D'Avanzo, giornalista d'inchiesta eccezionale di Repubblica, scomparso qualche anno fa.

lunedì 3 marzo 2014

Siamo un Paese provvisorio, critichiamo il "liberismo feroce" ma non l'abbiamo mai vissuto

Il compianto Edmondo Berselli, giornalista e saggista emiliano, ci ha lasciato un bellissimo volume Post italiani. Cronache di un Paese provvisorio (Mondadori, 2004). Come tutti i grandi, non muoiono mai, per cui il suo pensiero è sempre attuale.
Sono infatti profondamente convinto, con Berselli, che in Italia siamo sempre oltre, siamo post, ma senza aver vissuto il fenomeno primario.

Si fa un gran parlare delle colpe del liberismo nella crisi economica. Ma in Italia il liberismo non c'è mai stato, neanche da lontano! Si contano sulle dita di una mano le persone che hanno letto La rivoluzione liberale di Gobetti (Einaudi, 1964).
Si invoca il ritorno dell'economia mista, ma non abbiamo mai visto altro, lo Stato è sempre intervenuto a sostegno dagli imprenditori "padroni del vapore" - definizione coniata da Ernesto Rossi - che amano  "privatizzare gli utili e socializzare le perdite".

Non abbiamo mai avuto un primo ministro come Margaret Thatcher. Solo dopo aver avuto una politica dura di destra, severa e intransigente, si può pensare di tornare a una politica fiscale espansiva. In Italia, invece, vogliamo aumentare la spesa pubblica senza mai aver vissuto veramente un periodo di austerità della pubblica amministrazione.

Si parla continuamente di austerity, ma nel pubblico si continua a spendere che è una meraviglia. Il prof. Baldassarri, prendendo i dati ufficiali del Ministero, ha evidenziato i seguenti dati. Nel 2000 la spesa pubblica complessiva era pari a 536 miliardi di euro – di cui 485 miliardi di spesa corrente – e le entrate totali (imposte e tasse) erano pari a 536 miliardi. Nel 2012 la spesa pubblica complessiva è salita a 805 miliardi di euro – di cui 759 miliardi di spesa corrente - contro 764 miliardi di entrate totali. Se ne deduce che tra il 2000 e il 2012 le entrate sono salite di 228 miliardi di euro (sic!) ma non è bastato per stare dietro alla crescita della spesa, che è salita di 269 miliardi. 

Chi riuscirà a ridurre la spesa corrente in Italia merita il Nobel, altro che Krugman, Stiglitz e compagnia.