giovedì 14 aprile 2022

Ciao mamma, ti ricorderò sempre con un sorriso

Mia mamma Giancarla se n'è andata, a 86 anni. Un tumore al cervello, scoperto per caso dieci giorni fa, ha purtroppo battuto in brevissimo tempo la sua resistenza ferrea. Nata il 16 giugno 1935, ha vissuto tra due secoli con vivacità e intelligenza. Insegnante di lettere alle scuole medie, ha allevato generazioni di studenti che l'hanno amata per la sua passione, l'anticonformismo, la dedizione per i meno fortunati, il supporto dei più deboli. 

L'ingiustizia per lei era insopportabile e ha lottato sempre per aiutare chi non aveva i mezzi. Ricordo ancora un suo scolaro, Pasquale, il cui padre rinunciò ad acquistare la macchina per consentire al figlio, "capace e meritevole" (come dice il dettato costituzionale), di frequentare il liceo e l'università. Erano millanta gli studenti con cui rimaneva in contatto ben oltre l'iter scolastico. 

Mi ricordo ancora di quando insegnava al Quartiere degli Olmi (nella periferia milanese) e un suo allievo arrivava sempre stanchissimo a scuola. Dormiva sul banco perchè era costretto ad aiutare il padre, fioraio, che tagliava i gambi delle rose alle 5 del mattino. Giancarla diceva: "Non si possono valutare nello stesso modo persone che hanno situazioni familiari completamente differenti". Giancarla era capace anche di stimolare i ragazzi eccellenti, che faceva partecipare a concorsi del Comune, che spesso vincevano. Negli anni Ottanta casa nostra era spesso piena di studenti che lavoravano in gruppo. Una atmosfera briosa e fonte di felicità per tutti. Il suo impegno era fortissimo. Le piaceva molto stare coi giovani. 

Come madre, Giancarla, chiamata Ginca in famiglia, ha sempre spinto per l'indipendenza e l'autonomia. Credo mi abbia dato le chiavi di casa a 7 anni. Con mio fratello Alessandro e altri amici più grandi eravamo autorizzati fin da ragazzi ad andare fino a Corsico in bicicletta.
Insegnava e, al contempo, aiutava mio padre a raccogliere la pubblicità per la sua rivista "Autoservice", incentrata sul mondo della meccanica automobilistica. Un giorno, nell'ottobre 1979, dietro mia insistenza, riuscì pure a trovare due biglietti per il derby. Pioveva che Dio la mandava, io e lei prendemmo veramente tanta acqua, nei "distinti" scoperti. Ma la doppietta di Evaristo Beccalossi mi rese tanto felice. La stagione 1979-80 fu poi l'anno dello scudetto dell'Inter di Eugenio Bersellini.
Giancarla in braccio a sua mamma 
Questa la cronaca della partita di Gianni Brera (tratta da "Derby!, Baldini e Castoldi, 1994): "Due gol fortunati consentono allegri pensieri....Dopo anni di ciste anche mortificanti, l'Inter ha rivinto il derby con lo stesso punteggio che le ha portato l'ultimo scudetto. Il 184° derby ha riempito lo stadio oltre il lecito (79.000 più i portoghesi di sempre): solo un arbitro dotato di senso fino alla follia avrebbe rinunciato a dirigerlo per impraticabilità del campo: Menicucci non è stato folle e ha indotto le nostre benamate a nuotare in proibitive pozzanghere...".
A fronte di mamme che non lasciano spazio ai figli, Giancarla ha sempre puntato sulla responsabilità, sul rendere conto (accountability spinta, quindi) come modo di vivere. Non avere mai paura del futuro, crederci sempre, questo era il suo mantra. Io e Ale ne abbiamo certamente beneficiato.

Giancarla è sempre stata una gran disordinata, la casa era sempre stracolma di carte, giornali, compiti in classe, documenti, registri di classe (anche di anni precedenti). Mio padre un giorno appese alla parete della cucina un articolo di Francesco Alberoni dal titolo "Chi ama il disordine è un despota". Il messaggio era diretto e incisivo. Ma non riuscì neanche lui a cambiare le cose. Il disordine regnava sovrano e ha sempre avuto timore di invitare gente a casa: avrebbero visto con i loro occhi il marasma imperante. Un anno la lavatrice si ruppe e si allagò il ripostiglio dove giacevano dei compiti in classe da correggere. Io chiesi: "Mamma, ora come fai?", Lei serafica disse che gli studenti si sarebbero dimenticati del compito fatto e che lo avrebbe sostituito con un altro tema in classe. Flessibilità, prima di tutto.
Quando mi capitò di partecipare ad una caccia al tesoro e serviva un quotidiano di 20 anni prima, ero certo che Giancarla (il mio amico Pier Francesco la chiamava sorridendo "Giancalma" perchè era sempre agitata) fu in grado di trovarlo. 
Il suo amore per libri e giornali me lo ha tramesso in toto. Quando finii di scrivere il volume "L'Italia: molti capitali, pochi capitalisti" (Il Sole 24 Ore editore), stimolato da Guido Roberto Vitale (persona straordinaria), non esitai a scrivere questa dedica: "Ai miei genitori, Piero e Giancarla, per avermi fatto amare libri e giornali". 
Quando alla fine della stesura delle bozze, il mio discussant nonchè prefatore Francesco Giavazzi, mi invitò a consultare un volume introvabile, mandai Giancarla alla Biblioteca Sormani, dove era di casa. Era felice di aiutarmi.
Da insegnante anche di storia, per lei era importante conoscere anche la storia contemporanea e le vicende più anguste, dove persone incolpevoli subivano la peggio, o dove persone serie risultavano vittime dei poteri occulti.
Fin da giovane Giancarla mi ha portato a conoscere il mondo criminale (alle presentazioni di libri o al Circolo Società Civile, guidato da Nando Dalla Chiesa), a cui bisognava opporsi con tutte le forze. Mi ricordo benissimo quando partecipammo ad un incontro dove i giudici Guido Viola, Giuliano Turone e Gherardo Colombo raccontavano le vicende di Michele Sindona e dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli.E' anche per questo motivo che mi sono appassionato alla vita di Paolo Baffi, a cui ho dedicato anni di ricerca e studio, nonchè ben quattro volumi con l'editore Nino Aragno (a cui voglio molto bene). L'ingiustizia che ha colpito il "Governatore della Vigilanza" grida vendetta al cielo. Il dispositivo della sentenza di pochi giorni fa che ha condannato Paolo Bellini come esecutore della strage di Bologna del 2 agosto 1980 evidenzia gli stessi nomi e cognomi protagonisti dell'attacco politico giudiziario alla Banca d'Italia del 1979 (Licio Gelli, capo della Loggia P2, Mario Tedeschi, direttore del "Borghese"). 
Quando il 3 settembre 1982 la mafia assassinò Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo, trovai (il giorno dopo) mia madre in cucina in lacrime con "Repubblica" tra le mani. Leggere Giorgio Bocca per Giancarla era uno modo di essere, la preghiera laica del mattino cara a Hegel. 

Senza "La Repubblica" e "L'Espresso" lei non riusciva a vivere. Il confronto in casa era sempre vivo, non c'erano tabù, si poteva discutere di tutto. Gli eventi tragici della storia italiana (quanti!) erano spesso al centro delle discussioni. Non so quante volte discutemmo della bomba eversiva di Piazza Fontana, che vide anche un suo cugino, Riccardo Carini, presente nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, e miracolosamente ferito solo leggermente. Giancarla divenne amica anche di Patrizia Pizzamiglio, la giornalaia di Piazza Bolivar (dalle mie ricerche, e anche secondo Ginca, ho appurato che l'edicola le venne assegnata grazie all'intervento di Giulia Maria Crespi, allora azionista di maggioranza del Corriere della Sera), che col fratello venne colpita in pieno dall'esplosione mentre erano allo sportello a versare una cambiale per conto della madre.
Per non parlare delle ruberie e degli scandali. Era il 1987, ben prima di Tangentopoli, quando Bocca scrisse: "Era possibile nel West sopravvivere senza violare la legge? E oggi è possibile non rubare in Italia? Dite seriamente, è possibile?".
Qualche tempo fa chiesi a Giancarla se avesse qualche rimpianto. Mi rispose immediatamente di no: "Volevo due figli, magari dei nipoti e ne ho avuto ben 4, volevo insegnare e ci sono riuscita, volevo una vita piena e mi sento fortunata. Ho amato tuo padre per un bel periodo". Quando mio padre si ammalò nel 1989, lo curò con una dedizione mostruosa fino all'ultimo istante (e mia zia Milli, amorevolmente veniva ogni sabato a preparare pranzi superlativi).
Io le feci notare che l'economista Mario Deaglio (marito di Elsa Fornero, a lei va tutta la mia stima) dimostrò come i nati nel 1935 fossero una generazione assai fortunata: hanno evitato la Prima Guerra Mondiale, sfiorato da piccoli la Seconda, studiato e da laureati hanno potuto vivere nel più florido periodo - il cosiddetto "Miracolo economico" - della storia italiana. Per poi andare in pensione col (favorevole) metodo retributivo. 
A proposito di calcolo della pensione, quando venne il momento di abbandonare l'insegnamento Giancarla fu letteralmente costretta a rinunciare poichè lei sarebbe andata avanti ancora per decenni. Non si rassegnò e andò a insegnare nelle scuole che intendessero avvalersi di lei. Sempre senza ricevere alcun compenso. E sempre con un occhio verso i ragazzi meno fortunati o con situazioni disagiate. 

Il grande dispiacere per me è stata la velocità della sua presenza/assenza. Fino a pochi giorni fa era con noi a ridere e scherzare e ora non c'è più. Proprio poche settimane fa aveva partecipato a un aperitivo a casa mia con Stefano e Franco, amici bocconiani della #Leva89. Aveva detto loro: "Ma non vi ricordate il motto bocconiano trovato su un muro intorno alla nuova sede della Bocconi dopo il trasferimento da Largo Treves? Ci siamo tutti guardati e non sapevamo nulla. Allora Giancarla ha ripetuto il motto (attribuito a Gabriele D'Annunzio): "Avrà ragione chi non fu mai stanco e non sarà mai stanco" (fregio trovato all'incrocio delle vie Toniolo e Bocconi). Ma quante ne sapeva!
Giancarla aveva energie da vendere, valeva per lei il motto. In ospedale le ho chiesto: "Sei stanca?". E lei: "No, non sono stanca". Il volto parlava come se volesse dirmi: "Sono stufa di stare così in un letto d'ospedale":

Una delle tante cose singolari è che Giancarla, al momento del pensionamento, venne convocata in Provveditorato poichè i funzionari non credevano che esistesse un docente senza un giorno di malattia in tutta la carriera scolastica. Sì, perchè lei non è mai stata a casa. Mai. Un vero e proprio record. Un senso del dovere notevole, preso anche da suo padre, Carlo Tagliabue, per lungo tempo direttore generale della Pia casa di Abbiategrasso degli Incurabili e degli Schifosi, dove si comportò in modo esemplare. Proprio qualche anno fa, Carlo venne inserito nel Giardino dei Giusti al Montestella per aver salvato dalla persecuzione nazifascista una trentina di donne ebree (facendole entrare nell'Istituto come suore). Il 9 maggio ad Abbiategrasso all'Istituto di Istruzione Superiore Vittorio Bachelet verrà ricordato Carlo Tagliabue; in sua memoria verrà piantato un ciliegio selvatico.

 
Giancarla con figli e nipoti

Avida lettrice, prima di andare a letto, leggeva a me e mio fratello libri di ogni tipo. Io mi ricordo l'Odissea e credo che ci sia un motivo. Per Giancarla il sapere era la fonte della felicità vera. L'approfondimento sui libri era fonte di piacere. La superficialità non era la sua cifra. L'astuto Ulisse era sì attirato dalle sirene ma anche capace di resistere alla seduzione di una immediata felicità per proseguire verso la conoscenza.
La televisione la guardava, ma con minor interesse. L'ultima cosa che mi ha detto sul letto del Fatebenefratelli, dove l'hanno curata con dedizione e gentilezza, è stata "No, la televisione non mi manca". Una risposta proprio da Giancarla, secca e decisa. Come dire, se devo sorbirmi Orsini, Travaglio e gli altri amici di Putin, meglio lasciar perdere. Mi ha ricordato "L'homo videns" di Giovanni Sartori.
Un altro libro che mi ricordo ci lesse era  di Reinhold Messner, che per primo andò - con Peter Habeler nel 1978 - sull'Everest senza bombole di ossigeno.
Il metodo migliore per far leggere i figli. L'ho fatto anche io con i miei, e diciamo che sono dei buoni lettori. Mio figlio Francesco, ormai diciassettenne si ricorda ancora di quando gli leggevo "Perchè mi chiamo Giovanni" (di Luigi Garlando, giornalista della Gazzetta dello Sport e bravo scrittore), la storia di Giovanni Falcone. Giancarla per anni è andata a prendere i suoi nipoti all'asilo e a scuola portando sempre delle merende sane: Lei andava a rifornirsi a "NaturaSì" fin dagli anni Ottanta. Per rifocillare i nipoti portava fragole, prugne, ciliegie (anche fuori stagione). Mai e poi mai focacce "unte e bisunte". L'ambiente prima di tutto. Non si contano le volte in cui Giancarla intimava alle persone in attesa con le vetture ferme in seconda fila di "spegnere il motore che inquina". 

Per lei il libro non andava solo letto, ma si doveva cercare di conoscere direttamente gli autori. Per cui lei era una patita delle presentazioni dei libri. La Feltrinelli era casa sua. Un giorno vidi sul cassettone del corridoio un biglietto da visita dell'allora amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo. Le dissi in modo deciso: "Ma mamma, tu conosci Profumo e non mi dici niente? Lo sai che lavoro nel mondo della finanza. Potevi dirmelo!". Lei rispose che lo aveva importunato al termine di un incontro alla Casa della Cultura (luogo di dibattiti interessanti - a lei piaceva ascoltare il padre della psicanalisi italiana Cesare MusattiSilvia Vegetti Finzi - inaugurata nientepopodimeno che da Ferruccio Parri il 16 marzo 1946), quando fece notare al famoso CEO che nei cartelloni pubblicitari fuori dagli sportelli bancari il lessico e in generale il linguaggio usato erano nettamente migliorabili. Credo che mai nessuno abbia fatto un rilievo così a un banchiere, per cui Profumo le disse: "Mi venga pure a trovare che ne parliamo". Ecco, Giancarla era questo, andava dal suo interlocutore e lo colpiva con un rilievo impensato, una frase memorabile. Come mi hanno detto in molti nel corso della sua vita, "Giancarla è un personaggio".

Giancarla non ha mai sciato, ma ha sempre amato la montagna, contraddistinta dall'"aria buona". Se adoro sciare (a Champoluc, dove ci portava fin da piccoli) lo devo a lei (mia figlia Allegra ama lo sci sopra ogni altra cosa, per cui la tradizione familiare va avanti) che - grazie alla sua scolara prediletta Laura Ferrari e suo padre Dino - ci iscrisse al Gruppo Amici della Montagna (GAM), che ogni domenica, partendo da piazza Napoli con miriadi di ragazzi (tra cui il mio caro amico Vitt Vitt), ci portava nel freddo polare di La Thuile. Che giornate epiche di freddo e risate abbiamo vissuto io e mio fratello Alessandro

Faccio mie le parole di Gigi, il marito di sua cugina Angela a cui era molto affezionata, che mi ha scritto un bel messaggio: "Il suo ineluttabile venire meno è testimonianza per tutti noi del tempo che passa e dell'avvicendarsi di generazioni e vita che non per questo vengono scordate ma restano nella memoria individuale e come parte stessa di noi".

Cara mamma, faccio fatica a trattenere le lacrime, ma intendo ricordarti con un sorriso, lo stesso che avevi a seguito di una tua battuta irriverente. 

Ti sia lieve la terra.