mercoledì 31 ottobre 2012

Anche il Consiglio di Stato conferma l'annullamento delle elezioni regionali in Molise. Noi riproponiamo il quesito: guadagna di più il Presidente del Molise Michele Iorio o il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama?

E' notizia di ieri. Dopo la decisione del Tar, anche il Consiglio di Stato (massimo organo della giustizia amministrativa) ha annullato le elezioni regionali dell'ottobre 2011. La giustizia ha i suoi tempi, ma fa il suo corso, per cui, data ancora da definire, i molisani torneranno alle urne.

L'attuale Presidente del Molise è Michele Angelo Iorio, ha dichiarato: "Sono molto sorpreso da questa sentenza". Noi lo siamo molto meno perchè le irregolarità della sua elezione erano grandi come una casa.

La storia di Iorio è paradigmatica per capire la crisi strutturale dell'Italia.

Nella prova scritta per i miei ex studenti dell’Università di Bergamo – dove insegnavo Economia e Tecnica degli Scambi Internazionali, la domanda per il 30 e lode recitava: “Guadagna di più il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama o il presidente del Molise, Michele Iorio?”

Voi direte: ma cosa c'entra Iorio con il corso di finanza internazionale? Conta tantissimo invece, perchè se lo spread BTP-Bund - vedi post Lo spread Btp-Bund - si allarga non è certo colpa degli speculatori cattivi. La colpa è nostra che ci teniamo stretta gente come Michele Iorio.

Figuratevi il mio compiacimento quando tempo fa, il Corriere della Sera con due delle sue firme più prestigiose – Stella e Rizzo – ha dedicato due pagine intere alle gesta di Iorio: “Viceré Michele e la Regione “pigliatutto”.

Ma chi è Michele Iorio? "Più che un barone, un viceré".

Michele Iorio è saldamente alla guida del Molise da tempo immemorabile. Prima assessore provinciale di Isernia, poi sindaco della città, poi assessore regionale di centrosinistra, poi candidato (trombato) dell’Ulivo appoggiato da Rifondazione comunista, poi governatore berlusconiano.

Il 20,4% dei molisani lavora nella pubblica amministrazione. Stella e Rizzo: “I soli uffici della Regione pagano un migliaio di dipendenti: con la stessa proporzione, per capirci, la Regione Lombardia dovrebbe avere oltre 30 mila dipendenti anziché quattromila. Con tutti quei dipendenti pubblici, dovrebbe essere un modello di efficienza. Non è così. Prendiamo la spazzatura: la regione è in coda alla classifica della raccolta differenziata con il 4,8%:meno ancora della Sicilia (6,1%), della Calabria (9,1%) e addirittura della Campania (13,5%)....E la sanità? Il deficit 2009 è astronomico:225 euro per abitante. Più pesante, Lazio a parte, di ogni altra regione.

Il vicerè Michele Iorio non si è scomposto....Governatore, leader del Popolo delle libertà, commissario alla sanità, commissario al terremoto, commissario all’alluvione: un patriarca”.

Con il terremoto di Campobasso, la maggior parte dei finanziamenti è finito nella zona di Isernia, il bacino elettorale di Iorio nemmeno sfiorato dal sisma. Un esempio di lucido investimento di ricostruzione? 200mila euro per il Museo del Profumo a Sant’Elena Sannita.

Per dovere di cronaca, segnalo che la sorella di Iorio - Rosa - è candidata sindaco - ma guarda un po', a Isernia - e domenica prossima sapremo l'esito del ballottaggio.

Con il decreto 314 del 2007, Iorio, commissario per il terremoto e l’alluvione (uno dei suoi tanti incarichi), ha destinato 40mila euro quale contributo per la esecuzione di n. 3 serate regionali del concorso Miss Italia.

La parentopoli di Michele Iorio? Ce la raccontano sempre Rizzo e Stella: “Il fratello Nicola Iorio, primario, ha visto il suo reparto ricevere un contributo di un milione di euro a dispetto del buco regionale salito in otto anni a 600 milioni. La sorella Rosa Iorio direttrice del distretto sanitario. Il figlio Luca Iorio medito ospedaliero. L’altro figlio Raffaele Iorio, direttore medico di un centro privato convenzionato con la Regione del papà. Il cognato Sergio Tartaglione, marito di Rosa Iorio, primario di psichiatria e presidente dell’ordine dei medici isernini”.

Aspettiamo con ansia il prossimo editoriale televisivo – TG1 sei pronto? – che – raccontando il “contagio” europeo - accusa la “perfida speculazione internazionale”, il complotto “giudo-plutaico-massonico”, vedi post, che osa vendere i nostri titoli di Stato e quindi contribuisce all’allargamento dello spread Btp-Bund.

Ma non lo vedete che lo spread si allarga perchè in Italia siamo pieni di Michele Iorio? Perchè buttiamo via il denaro dei contribuenti in modo scandaloso e siamo amministrati da viceré senza un minimo di competenza. E poi la colpa è degli speculatori. Ma va là!

Carlo Azeglio Ciampi
Sentiamo cosa dice il nostro miglior riferimento, Carlo Azeglio Ciampi (intervista a Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2010): “Il paese viene giudicato nel suo insieme. I mercati hanno bisogno di messaggi chiari e semplici. La fiducia è la conseguenza di scelte coerenti con gli impegni assunti. Certo vi è il rischio che venga meno la fiducia dei mercati. Ricordo Gerrit Zalm, il ministro delle finanze olandese: fu il più duro di tutti, tra il 1997 e il 1998, nel pretendere che l'Italia assumesse impegni precisi nel risanamento dei conti pubblici. Poi, quando questo impegno venne assunto, divenne uno dei nostri più accesi sostenitori. Ero a una riunione dell'Ecofin a Bruxelles. Un ministro espresse dubbi sull'Italia, e fu proprio Zalm a tacitarlo con queste parole: Carlo ha preso questo impegno e per me è sufficiente”.

Torniamo all’esame:

“Domanda valida per il 30 e lode:

GUADAGNA DI PIU’ IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA BARACK OBAMA O IL PRESIDENTE DEL MOLISE, MICHELE IORIO?

a) Ovviamente guadagna di più Obama, Iorio non so chi sia;

b) Dipende dal cambio del dollaro; se il dollaro raggiungesse la parità con l’euro, come auspicano Giavazzi e Caballero, Obama guadagnerebbe di più;

c) Non ho parole, ma guadagna di più Iorio “.

Naturalmente la risposta al quesito d’esame è la c) “Non ho parole, ma guadagna di più Iorio” (più di Obama, avete capito bene).

Una chiosa: siccome l'ineffabile Michele Iorio ha dichiarato la sua intenzione a ricandidarsi, gli abitanti del Molise - se dovessere rivincere Iorio - please, si astengano in eterno dal protestare contro la Casta e contro i politici incapaci. Diano loro il buon esempio.

lunedì 29 ottobre 2012

27 ottobre 1962: l'assassinio di Enrico Mattei ha cambiato il futuro dell'Italia

In tempi così tristi e senza apparente futuro, prendiamo ispirazione dal Foscolo - A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti (I Sepolcri) - e guardiamo agli italiani migliori.

Settimana scorsa abbiamo ripercorso la figura di Enrico Mattei, imprenditore formidabile al servizio dello Stato. In qualità di commissario liquidatore dell'Agip riuscì a convincere Alcide De Gasperi della necessità - per l'industrializzazione dell'Italia - di indipendenza e autonomia energetica.
Mattei può quindi essere considerato il fondatore dell'ENI, che così lo ricorda: "Nel 1906 nasceva Enrico Mattei, figura centrale nella storia del sistema industriale nazionale e internazionale. Passione, visione strategica, innovazione: gli ideali che Enrico Mattei ha trasmesso a Eni hanno portato la Società a crescere fino a diventare la sesta compagnia petrolifera mondiale".

Nel 1991 il giornalista Mario Pirani - collaboratore di Mattei in Nord Africa nei primi anni Sessanta - scrisse un interessante saggio: Tre appuntamenti mancati dell'industria italiana (Il Mulino, nov-dic 1991). La conclusione era la seguente: "La sorte avversa di tre personalità di grande preveggenza - Enrico Mattei, Felice Ippolito e Roberto Olivetti - finì per determinare uno sviluppo dell'economia italiana qualitativamente diverso da quello che avrebbe potuto essere se le intuizioni maturate a cavallo degli anni Sessanta non fossero state volutamente respinte".

Approfondiamo quindi il mistero - l'Italia è il Paese dei misteri, in teoria in questo caso la magistratura ha accertato che l'aereo è esploso in volo e quindi si è trattato di un attentato - della morte di Enrico Mattei.

La prima inchiesta sulla morte di Enrico Mattei - avvenuta il 27 ottobre 1962 - venne chiusa a Pavia nel 1967 e ritenne accidentale il disastro di Bascapè. Nel 1994 – a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Iannì – vennero riaperte le indagini. Il successivo rinvio a giudizio, nel gennaio 1998, ha stabilito inequivocabilmente che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, Irnerio Bertuzzi (pilota) e William Mc Hale (giornalista, ospite di Mattei), venne dolosamente abbattuto. 

I resti dell'aereo di Mattei a Bascapè
Venne utilizzata una limitata carica esplosiva. Nelle parole del pm Calia: “...di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-Snap (“I” stava per Italia, “Sna” per “Snam”, e “P” per presidente) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva verificatasi all’interno del velivolo, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. “Tale carica esplosiva, equivalente a cento grammi di “Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Mattei”.

Diversi storici hanno escluso un attentato da parte della CIA (tra i possibili mandanti dell'omicidio) poichè Mattei era alla vigilia di un viaggio negli Stati Uniti dove avrebbe dovuto tenere una lecture a Harvard University, e incontrare alla Casa Bianca il Presidente J.F. Kennedy. Era in via di definizione un accordo con una delle Sette sorelle – la Esso – che avrebbe anticipato un periodo diappeasement petrolifero.

Noi siamo dell’idea che l’aereo di Mattei – come dalla prima testimonianza dell’agricoltore Mario Ronchi (raccolta dal giornalista RAI Bruno Ambrosi, e successivamente "silenziata") – sia esploso in volo: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno...l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo...sui prati, sotto l’acqua”. Anni dopo si è acquisita la testimonianza di un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”.

Mattei davanti al suo aereo
Inoltre ci sono altri elementi che inducono a pensare a uno scoppio in quota:

1. lo sparpagliamento dei resti dell'aereo in un diametro di un chilometro;
2. la scarsa profondità (“circa un metro”) della buca nel punto di impatto dell’aereo;
3. la mancanza di tracce di incendio sui tronchi d’albero intorno alla zona dell’impatto, che si rivela dalle fotografie scattate subito dopo l’incidente. Così le risultanze dei carabinieri di Landriano: “Qua e là si rinvenivano resti umani per un raggio di circa un chilometro...gli alberi non presentavano segni di rottura o altra forma di violenza prodotta dalla velocità dell’aereo”.

Invito tutti i lettori – ma soprattutto i miei studenti - a vedere il magnifico film di Francesco Rosi – Il caso Mattei (1973), con una magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè.

GM Volontè (Mattei) a Gagliano
Io – quando rivedo Mattei in Sicilia (Gagliano, Enna), poche ore prima della tragedia, che parla dell’avvenire industriale siciliano – mi emoziono ancora: “Con le riserve che saranno accertate, una grande ricchezza è a disposizione della Sicilia. Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Noi non portiamo via il metano, il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere”.

Questi risultati, che aprono un grande avvenire al nostro paese, sono il frutto di un lavoro tenace, duro, e spesso fra l’incomprensione e la sfiducia dei più” (Enrico Mattei, 19 giugno 1949)

Abbiamo cominciato in un’atmosfera di ostilità. Negli idrocarburi italiani non credeva nessuno; avevamo l’ostilità del governo e dell’iniziativa privata: questa è la verità. Io non voglio contrapporre l’iniziativa dello stato e l’iniziativa privata: io credo soltanto nell’iniziativa senza aggettivi, nell’iniziativa di tutti. E’ l’iniziativa che crea ricchezza, che aumenta il reddito, che apre nuovi posti di lavoro, che stimola il benessere di tutto il paese” (Enrico Mattei, 26 ottobre 1949)

Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita” (Amintore Fanfani, 1987).

Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei...Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco “Cicchiteddu” e da Salvatore La Barbera...Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perchè con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente...Di Cristina procurò l’accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei a caccia. L’aereo di quest’ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia” (Tommaso Buscetta in Addio Cosa Nostra, Pino Arlacchi, Rizzoli, 1994)

L’ENI era una “banda” formata da un solo uomo...Per questa ragione, era possibile liquidare una politica liquidando Mattei” (Giorgio Galli, La regia occulta, Tropea, 1996)

Alla morte di Mattei dietro all’apparenza del dolore e del ricordo collettivo aleggiava all’interno del governo, nei circoli politici e soprattutto in quelli commerciali, un’atmosfera di sollievo”, (Foreign Office britannico, 1963)

Senza di lui, tutto sarebbe stato diverso...La mia delusione nasceva dalla convinzione che fosse giusta la previsione di Mattei sulla ineluttabilità, non troppo lontana, della fine dell’epoca caratterizzata dal basso prezzo del greggio – allora tra 1,70 e 2,20 dollari al barile – manovrato dalle Sette sorelle...Tutta la politica dell’ENI veniva ribaltata, la rete di alleanze, di simpatie, di credito che ci eravamo conquistati in tutto il Terzo Mondo era non solo stracciata, ma platealmente sconfessata (dal successore di Mattei, Eugenio Cefis, che un giorno disse a Egidio Egidi, capo della ricerca: "Il petrolio vado a comprarlo dalle Sette Sorelle e Lei, caro Egidi, deve liquidare la ricerca petrolifera", ndr). Ci allineavamo in posizione subalterna alle Sette Sorelle...Eppure, la crisi sarebbe scoppiata di lì a pochissimo, in coda alla guerra del Kippur, nell’ottobre del 1973, quando i paesi dell’Opec decisero l’interruzione degli approvvigionamenti petroliferi ai paesi consumatori, con conseguente, vertiginoso aumento dei prezzi che in un anno lievitarono di quattro volte, da 3 a 12 dollari il barile, per toccare nel 1979, con la seconda crisi petrolifera, susseguente alla rivoluzione khomeinista in Iran, i 35 dollari, e inevitabile spostamento di enormi flussi finanziari dai paesi consumatori ai paesi produttori” (Mario Pirani, collaboratore di Mattei, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010)

Avevo assistito alla stagione della sua (dell’ENI, ndr) decadenza e al coinvolgimento nel sistema corruttivo della politica italiana, con un rovesciamento della strategia di Mattei quando i partiti venivano finanziati per impedire che varcassero i cancelli del grande gruppo pubblico. E così avveniva. Poi prevalse il contrario, i partiti sfrondarono le difese, si spartirono posti e soldi, gli scandali dilagarono fino alla maxitangente Petronim e all’affare Enimont. Pensavo che il Gruppo ENI non ne sarebbe più uscito. E invece no. Quasi come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, l’ENI, nelle sue ultime gestioni, non solo è tornata a crescere, ma si è affermata come l’unica grande multinazionale italiana rimasta sul proscenio, vitale e attiva. Sono convinto che, senza quelle radici gettate da Mattei più di mezzo secolo fa, rimaste per tanto tempo sotto traccia ma mai sradicate del tutto, tale recupero non avrebbe goduto i vantaggi di quella “continuità storica” che fa parte del pedigree di alcuni grandi gruppi internazionali (Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010).

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Gerbi-Liucci, Montanelli l'anarchico borghese, Einaudi, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010
Enrico Mattei, Scritti e discorsi, 1945-1962, Rizzoli, 2012

giovedì 25 ottobre 2012

27 ottobre 1962: 50 anni dalla morte di Enrico Mattei, fondatore dell'ENI, imprenditore formidabile al servizio dello Stato

Cinquant'anni fa, il 27 ottobre 1962, alle ore 19 circa, l’aereo di Enrico Mattei proveniente da Catania e diretto a Milano, un Morane Saulnier, cade nei cieli di Bascapè, località Albaredo, vicino Pavia, in procinto di atterrare a Linate.

Muore un protagonista assoluto del prodigioso sviluppo economico dell’Italia del dopoguerra. “Con la morte di Mattei l’Italia, e forse l’Europa, ha perso una delle personalità più eccezionali degli anni del dopoguerra” (The Guardian, 1962).

Enrico Mattei influenzò più di qualunque altro il continuo boom del dopoguerra, conosciuto come il "miracolo economico italiano” (Time, 1962).

L’Italia nel 1945 era in condizioni talmente disastrate da far supporre una sua dipendenza economica di lunga durata, e forse irreversibile. Si stimava nel 1945 che il reddito pro-capite fosse inferiore ai livelli del 1861.

In questa situazione era entrato in scena Enrico Mattei, nominato dal Comitato di liberazione nazionale per l’alta Italia (Clnai) commissario straordinario dell’AGIP (Azienda Italiana Generale Petroli). Il cruccio di Mattei divenne ben presto quello di elevare l'Italia al rango di potenza petrolifera.

Per contrastare Mattei, venne attuata dalla lobby petrolifera statunitense una azione molto decisa sul Governo Italiano al fine di fermare le ricerche dell’AGIP. L’AGIP effettivamente non riuscirà a ottenere alcun finanziamento dello European Recovery Program (ERP, alias Piano Marshall) per l’acquisto delle proprie attrezzature.

Il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni voleva che Mattei potenziasse l’AGIP, allargasse la sua attività, la rendesse forte abbastanza da combattere ad armi pari con le società americane, perchè doveva divenire il nucleo centrale di una vasta economia statale.

Con l’appoggio fondamentale di Vanoni e del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi – inizialmente propenso a smantellare l’AGIP - Mattei riuscì a creare le condizioni per l’approvazione in Parlamento della legge che avrebbe istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).

Mattei intuì le potenzialità enormi del settore petrolifero, e aprì la strada per realizzarle a vantaggio del nostro paese. L’energia metanifera per la ricostruzione, la modernizzazione, la competitività dell’industria italiana, è venuta dall’ENI. Mentre con la politica di reperimento delle fonti petrolifere all’estero, Mattei ha reso l’Italia autonoma – rispetto alle grandi potenze – nell’approvvigionamento energetico.

Mattei rivendica condizioni di non discriminazione, di parità, di sviluppo non condizionato da interessi stranieri.

L’ENI ha promosso e gestito la politica energetica del nostro paese per più di quarant’anni, consentendo all’Italia di essere presente nelle grandi trattative internazionali per il petrolio. Lo sviluppo economico italiano deve molto all’ENI.

La grande intuizione di Enrico Mattei fu disegnare uno scenario futuro dove i paesi arabi – nel quadro del grande movimento di decolonizzazione - avrebbero esautorato le “Sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero e messo sotto il loro diretto controllo le riserve di oro nero. Come ci racconta Mario Pirani “La previsione di una rottura del cartello petrolifero spinse Mattei alla ricerca di uno spazio autonomo non condizionato dall’egemonia dell’oligopolio internazionale, all’offerta di un rapporto diretto coi paesi di nuova indipendenza, attraverso la definizione di contratti di “partnership” con i loro governi al perseguimento della diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’Italia”.

Proprio lunedì scorso, il direttore generale dell'ENI per l'esplorazione e la produzione, Claudio Descalzi, ha detto ad Affari e Finanza: "Il successo che abbiamo in Africa è merito della lezione di Enrico Mattei. A noi piace dire in Africa abbiamo la doppia bandiera, italiana e del paese che ci ospita. Mattei è stato grazie alle sue caratteristiche di italiano, che lo rendevano e ci rendono più in sintonia con la gente dei paesi in cui operiamo, rispetto agli altri. Questa visione, che ha ispirato il fondatore, resta un atout per ENI. Si aggiunga che essere stati una società di Stato ci fa percepire in modo diverso. E' un altro elemento chiave , per essere più credibili e fare meno paura".

Le Sette sorelle erano: Standard Oil Company of New Jersey (Exxon), Socony-Vacuum Oil (Mobil), Standard Oil Company of California (SOCAL), la Texas Oil Company (Texaco), la Gulf Oil Corporation, la Royal Dutch Shell Oil Company, la Anglo-Iranian Oil Company (AIOC, successivamente British Petroleum).
I successori di Mattei non capirono che dietro il sogno matteiano vi era una illuminante e realistica previsione della crisi petrolifera, destinata a esplodere di lì a poco tempo e che giustificava impegni finanziari, investimenti, un sistema di alleanze, al fine di attenuare l’impatto negativo sull’Italia, la più esposta alla dipendenza energetica.

Eugenio Cefis – a cui furono dati i poteri esecutivi alla morte di Mattei - trasformò l’ENI in un “mercante” che opera dentro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali.

Con la sua scomparsa viene meno non solo un grande imprenditore pubblico, ma il soggetto propulsivo di una politica energetica dell’Italia. Non siamo il paese europeo con i costi energetici più cari? Tutto nasce dalla tragica caduta dell’aereo di Mattei il 27 ottobre 1962.

Abbiamo adottato un’impostazione nuova, perchè non ci piaceva lasciare operare nel nostro paese imprese esclusivamente straniere, rimanendo solo a guardare. Esse ci lasciavano margini ridicoli di guadagno nella raffinazione, che divenivano quasi nulli nella vendita. Tutto il proftto rimaneva alla produzione, con l’alto prezzo di vendita delpetrolio. Io ho già avuto modo di dichiarare che che oggi il prezzo del petrolio nel mondo arabo e in tutto il Medio Oriente è formato per un quinto dai costi di produzione, per due quinti dalle royalties spettanti ai paesi concessionari e per due quinti dagli utili delle grandi compagnie. Ed è su quest’ultima parte che noi non siamo d’accordo. Non siamo d’accordo perchè danneggia enormemente la nosra espansione, la nostra possibilità di sviluppo industriale”(Enrico Mattei, 1 luglio 1960)

Per questo facciamo assegnamento sui giovani, gli uomini di domani, che dovranno raccogliere la nostra bandiera ed andare avanti, nell’interesse del nostro paese: affinchè il nostro paese possa contare qualche cosa domani, poichè non c’è indipendenza politica se non c’è indipendenza economica.

Noi non possiamo seguitare a passare attraverso degli intermediari stranieri per rifornirci di una materia prima indispensabile: ci costa troppo caro; ce lo dicono i nostri economisti (Mattei aveva come consigliere l’economista Giorgio Fuà, che sosteneva la necessità di un intervento dello stato nel controllo di energia per il superamento delle situazioni di squilibrio economico strutturale, ndr) e hanno ragione” (Enrico Mattei, 11 gennaio 1958)

Walter Bonatti
In certe imprese Mattei sembra solo, come Bonatti (leggi post Omaggio a Walter Bonatti ) su per la parete nord del Cervino”, Giuseppe Ratti (collaboratore di Mattei)

Enrico Mattei era un uomo secco e virile, nazionalista e populista, onesto e corruttore, uno che usava la politica per farsi largo, ma anche per fare, e fare bene, nella vita pubblica. Tipi così ne avevo conosciuti durante il fascismo, tipi così ce ne saranno sempre in Italia, della specie dei condottieri, amati e odiati, profondamene italiani, profondamente antitaliani. Nel ’45 Mattei aveva salvato dalla liquidazione l’industria petrolifera italiana e aiutato da uomini simili a lui, profondamente italiani, profondamente antitaliani, come Vanoni, De Gasperi, aveva creato l’ENI”. (Giorgio Bocca, Il Provinciale, Mondadori, 1991)

Enrico Mattei, il creatore fuorilegge della nostra industria dell’energia, piaceva poco ai nostri conservatori del “salotto buono”, ma solo perchè faceva per conto dello stato ciò che essi facevan per gli interessi loro. Tutti dominati dall’illibero arbitrio, dalla corsa dei topi” (Giorgio Bocca, Il Sottosopra, Mondadori, 1994)

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Gerbi-Liucci, Montanelli l'anarchico borghese, Einaudi, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010

lunedì 22 ottobre 2012

L'insegnamento di Lady Gaga, formidabile imprenditrice, per uscire dall'immobilismo


Il 2 ottobre scorso Lady Gaga ha tenuto un concerto al Forum di Assago. Passeggiando per il centro, ho visto un numero spropositato di fan, little monster, in via del Gesù dove la star italo-americana era ospite a cena da Donatella Versace.

Lady Gaga è un fenomeno imprenditoriale. Se ci rifacciamo a Schumpeter, "Designiamo con il termine impresa le attività consistenti nella realizzazione di innovazioni, chiamiamo imprenditori coloro che le realizzano (Joseph Schumpeter, Business Cycles. A theoretical, historical and statistical analysis of the capitalist process, Boringhieri, 1967).
Il magazine americano Forbes ha pubblicato la sua annuale lista delle The Best-Paid Celebrities Under 30, ovvero delle celebrità sotto i 30 anni che hanno guadagnato di più nell’arco degli ultimi 12 mesi. Al primo posto di trova Lady GaGa, che ha portato a casa 90 milioni di dollari sono nell’ultimo anno. Al di sotto dei 30 anni nessuno può competere con lei. Distanti si trovano i tennisti Roger Federer e Rafa Nadal, LeBron James, stella dei Miami Heat dell’NBA, le star del calcio Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, il nuovo Maradona. Beyoncé si ferma all’ottavo posto con 35 milioni di dollari.
Con oltre 30 milioni di followers, è la persona più seguita nel mondo di Twitter.

Ma chi è veramente Lady Gaga?

Il suo vero nome è Stefani Joanne Angelina Germanotta. E’ nata a New York il 28 marzo 1986. Ha solo 26 anni! E’ di origini italiane. Infatti entrambi i genitori sono italiani: suo padre Joseph Germanotta è di origine palermitana, e Cynthia Bissett di origine veneziana.

E’ cresciuta nel Lower East Side di Manhattan, e sin da piccola mostra uno spiccato senso artistico. Ha iniziato a studiare pianoforte all'età di quattro anni, ha frequentato la scuola cattolica Convent of the Sacred Heart School e ha composto la sua prima ballata per pianoforte a tredici anni. A quindici anni appare brevemente nell'episodio Piccoli boss crescono della serie televisiva I Soprano. A diciassette anni è stata una delle venti persone al mondo a ottenere l'ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts presso la New York University, dove ha studiato musica.

In una interessante intervista a Repubblica 18 maggio 2011 Lady GaGa viene così definita da Giuseppe Videtti: “Un´icona femminista o una diva del burlesque? Un incrocio tra Madonna e Marilyn Manson o la caricatura di un transgender sfuggito al controllo di Warhol? Lady GaGa è tutto questo. E anche di più… Che sia la nuova Madonna o un pastiche di Queen e glam rock, a 25 anni Stefani Joanne Angelina Germanotta è l´asso pigliatutto del pop: 25 milioni di album, 65 milioni di singoli venduti e un tour mastodontico che ha radunato fino a 70mila paganti a sera l´hanno trasformata in due anni - parola di Forbes - in una delle 100 donne più potenti d´America”.

L’intervista fa capire quanto è smart Lady Gaga. Sentiamola: “Sentivo che sarei diventata una performer. Non mi sono mai posto un traguardo, volevo tenacemente andare avanti, continuare a credere, a far musica, a esibirmi. E dopotutto un traguardo non ce l´ho ancora...Questo, mio caro, è un posto (United States of America, ndr) dove non è possibile approdare senza la necessaria perseveranza”.

Grande Lady Gaga! Mai arrendersi, sempre all’attacco, con determinazione e consistency.
L'altro giorno cercavo con insistenza di stimolare all'azione una mia amica imprenditrice. Le ho detto: "Laura, devi ignorare lo scenario macro di riferimento. Devi concentrarti sul tuo business e non farti influenzare dai pessimisti. Devi essere consistent, lavorare con metodo e ignorare gli eventi sui quali non hai il controllo". Alla fine del sermone, le ho dato una copia dell'articolo di Luke Johnson - fantastico imprenditore seriale - che è un sunto efficace delle linee guida da seguire per uscire dall'immobilismo (A guide to shaking off the doom and gloom, Financial Times, 10 novembre 2011): "Resilience is hard won, and the path is never smooth. Morover, delusional optimism can surely be dangerous, but I know that the power of indomitable leadership in business should not be understimated".

Joseph Schumpeter
Il talento non è una dote sufficiente? Lady Gaga: “Nel mondo del pop è solo un ingrediente. Il performer deve anche essere spavaldo, e allo stesso tempo inafferrabile; non deve permettere al pubblico d´imprigionarlo in un cliché. Per me, la cosa più importante è sempre stata quella di liberare quanta più gente possibile, partendo da me stessa naturalmente; di rendere i miei fan consapevoli del fatto che ognuno di noi è portatore di un tipo di bellezza, che tutti sono in grado di far emergere la propria personalità, la propria identità. Questo era il messaggio di The fame, il disco da cui tutto è cominciato”.

Le chiedono a cosa servono i soldi. E lei: “A tener lontani gli squali, a nutrire le certezze (la famiglia) e ad alimentare i sogni. Io spendo solo per avere queste certezze, non mi sono ancora comprata una casa, un´automobile per me (non ho neanche la patente, quando guido lo faccio illegalmente). Investo tutto nel mio spettacolo, sulle mie idee”. Vale il detto milanese: "Ofelè, fa' il to mestèe"

La sfida di un performer? ”E’ quella di diventare una versione sempre più grandiosa di se stesso. Sono ricca ma non ho smesso di fare i compiti a casa. Fino a un attimo fa ho rivisto con i miei collaboratori la perfomance tv di stasera. L´abbiamo studiata, vivisezionata, perché ne ho un´altra subito dopo a Londra e dobbiamo fare meglio. Credo sia proprio questo tipo d´impegno che separi quelli che hanno un hit e poi scompaiono da coloro che invece diventano artisti longevi. In una vita si può rinascere mille volte, non sono nata regina del pop, ma nel mio destino c´era scritto il cambiamento”.

Chiudo ricordando la dichiarazione di Lady Gaga al suo passaggio in Via del Gesù: "Sono italiana anch'io. Italia, sei il futuro!".

giovedì 18 ottobre 2012

Formigoni, la lobby di Dio, la lottizzazione della sanità e il cappello a due punte dei carabinieri

Finalmente ci liberemo a breve di Formigoni, il Celeste, colui che ha creato il "sacco" della sanità lombarda.

La sanità rappresenta un business gigantesco. Lo Stato destina oltre 100 miliardi l'anno in trasferimenti e rimborsi, cui si sommano le risorse regionali. In Lombardia, si parla di un business di oltre 17,3 miliardi di euro l'anno. Ospedali, medici, case di cura, farmaci rappresentano il 72% del bilancio regionale.

Ma non tutti sanno che tutti i più importanti ospedali dela Lombardia sono legati alla Compagnia delle Opere (CDO), braccio economico di Comunione e Liberazione (alias Comunione e Fatturazione). Il 43% della spesa, quindi circa 7,5 miliardi di euro l'anno (usti!) va a ospedali legati a Cl.
L'economista d'impresa Marco Vitale ha detto: "Il vero dramma è la corruzione legale, cioè l'abuso del potere e del denaro pubblico anche quando non rappresenta illegalità. La crisi della Lombardia è più grave di quella del Lazio e della Sicilia...Occorre una guerra di liberazione"

Nel suo libro Comunione e Liberazione: assalto al potere della Lombardia, Enrico de Alessandri, funzionario dell'assessorato regionale alla Sanità (poi sospeso, ovviamente), ha scritto: "Se non si è ciellini non si diventa primari", ironizzando sul comportamento di coloro che "mettono nel curriculum la loro foto con don Giussani".

Scalfari, fondatore di Repubblica, ha scritto (13 ottobre 2008): "Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto poterre. Negli ospedali, nell'assistenza, nell'università...".

Siamo d'accordo con Alberto Statera che su Affari e Finanza scrive: "Ammettiamo per un momento che il governatore lombardo Formigoni, dopo la condanna a dieci anni del suo sodale Pierangelo Daccò, possa uscire indenne dall'accusa di corruzione da cui si difende con impudente faccia di bronzo, nonostante la lampante evidenza della sua vita non da frugale "Memores Domini" ma da nababbo. Ciò non ridurrebbe minimamente la sua responsabilità politica per aver creato un mostro che ingoia ogni anno miliardi e miliardi di euro pubblici, trasformando la salute dei cittadini in una macchina da soldi, in una vacca da mungere senza ritegno, una immensa mangiatoia al servizio di politici, imprenditori privati senza scrupoli, faccendieri, bancarottieri e lestofanti di ogni risma".

Spetta allo Stato definire un quadro di regole certe cosicchè il mercato possa funzionare. Il mercato da solo non funziona. Men che meno il mercato della sanità che è un quasi-mercato. Ci vuole il "cappello a due punte dei carabinieri".

Il Governatore della Banca d’Italia nonchè Presidente della Repubblica Luigi Einaudi - per capire chi era vi raccomando la lettura del post Einaudi, la corruzione e le pere indivise - scrisse un pezzo memorabile dove il concetto di mercato era reso attraverso la descrizione di una fiera di paese: “Tutti coloro che vanno alla fiera, sanno che questa non potrebbe avere luogo se, oltre ai banchi dei venditori, i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse quals’altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario e il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno in fiera. E ci sono le piazze e le strade, le une dure e le altre fangose che conducono dai casolari di campagna al centro, ci sono le scuole dove i ragazzi vanno a studiare. E tante altre cose ci sono, che se non ci fossero, anche quella fiera non si potrebbe tenere e sarebbe tutta diversa da quello che effettivamente è (Lezioni di politica sociale, 1949, nell’edizione ingiallita ereditata da mio padre a p. 26).

Sant'Ambrogio, vescovo di Milano
Sant'Ambrogio, vescovo di Milano (Treviri, 339; Milano, 397) usava affermare: "Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi".
La variante formigoniana è: "I tempi sono cattivi, i tempi sono difficili. Vivete male, date il cattivo esempio, siate ipocriti, fate pagare ai faccendieri ciellini della sanità lombarda gli yacht per le mie vacanze, vedrete che i tempi peggioreranno".

Ma la pacchia è finita.

P.S.: consiglio la lettura di Ferruccio Pinotti, La Lobby di Dio, Chiarelettere, 2010.
Commento di Marco Vitale: "E' una indagine seria, ben documentata, certo non facile da realizzare, che getta un fascio di luce su una setta poco conosciuta che, per il peso assunto e per i suoi metodi di lavoro, è diventata uno snodo importante del funzionamento della nostra democrazia e della nostra economia".

lunedì 15 ottobre 2012

Se una scuola funziona, perchè smembrarla? Pisapia ha cambiato idea. Onore al merito

Una delle più toste e brave giornaliste italiane, Milena Gabanelli, chiude sempre Report la domenica sera con una rubrica intitolata "La Buona Notizia".
Anch'io voglio portarvene all'attenzione una.

Prologo. Il 9 maggio scorso ho scritto un post - Se una scuola funziona, perchè smembrarla? Caro Pisapia, finchè non lo vedo, non ci credo - sulla scuola dove vanno i miei figli, oggetto di "dimensionamento", ossia nella modifica della composizione degli istituti scolastici. In sintesi, ogni istituto comprensivo (elementari+medie, per capirci), nelle intenzioni del Ministero, dovrebbe essere costituito da almeno 1.000 studenti.

La scuola in oggetto è l’Istituto comprensivo Giovanni Pascoli , che comprende la scuola primaria di Via Rasori, la scuola primaria di Via Ruffini e la scuola secondaria “Mauri”.
La ratio del Ministero dell'Istruzione (MIUR) - tramite i singoli Comuni che sono tenuti a dare seguito alle disposizioni - è la razionalizzazione delle strutture scolastiche e risparmiare (bien sur).

Il progetto era potenzialmente destabilizzante per la continuità didattica delle scuole in oggetto. E' per questo che la dirigente scolastica, il Consiglio di Istituto, i rappresentanti di classe, i genitori si sono tutti opposti in maniera decisa.


Citiamo il burocratese: “L’Amministrazione Comunale ha formulato una proposta di riordino del piano di dimensionamento delle autonomie basata sui criteri della verticalizzazione, dei flussi degli studenti, della coerenza territoriale e di una più armonica distribuzione dimensionale del sistema che intende discutere con i Dirigenti Scolastici e con le Istituzioni coinvolte”.

Traduzione: il Comune di Milano ha predisposto un piano di riordino, per cui ha convocato la DS proponendo lo scorporo - dall'attuale Istituto comprensivo Pascoli - della scuola primaria Ruffini che passerebbe ad altro plesso, l'Istituto comprensivo Cavalieri.

Dal momento che per procedere al dimensionamento, sono necessari i pareri consultivi dei Consigli di Zona coinvolti - nel nostro caso CdZ 1 e CdZ 7 - i funzionari del Comune di Milano si sono presentati per illustrare le motivazioni del dimensionamento:

1) criterio dei flussi di studenti, ovvero quanti bambini della quinta elementare di Ruffini accedono alla Media Cavalieri. Quest'anno solo tre allievi (pari al 4,5% del totale) sono passati da Ruffini a Cavalieri. Se ne deduce che il 95,5% (dato pazzesco) degli alunni di Ruffini – quattro sezioni delle classi quinte – NON va in Cavalieri #epicfail

2) criterio della coerenza territoriale, ovvero Ruffini e Cavalieri appartengono entrambi alla Zona 1 del Comune di Milano.

Se guardiamo google.map vediamo come i tre Plessi (Rasori, Mauri e Ruffini) sono tutti raggiungibili a piedi in cinque minuti perchè situati nello stesso Quartiere. Mentre Cavalieri è molto distante da Ruffini #epicfail

3) criterio della più armonica distribuzione dimensionale: attualmente l’Istituto Cavalieri conta (apparentemente) 765 alunni, mentre il Pascoli ne ha circa 1.350.

Ecco allora il busillis, il punto centrale del problema. Con l'accorpamento di Ruffini, Cavalieri raggiungerebbe l’agognata quota 1.000 allievi. E voilà ottenuta “l’armonica (sic) distribuzione dimensionale”.

Io ero presente al Consiglio di Zona 1, presieduto dalla competente Donatella Capirchio. E mi sono divertito perchè ho toccato con mano la debolezza argomentativa dei funzionari del Comune di Milano, i quali ragionano come un bambino di 8 anni, neanche tanto intelligente.
Infatti - come ha sottolineato la Dirigente Scolastica (DS) del Cavalieri - Prof.ssa Rita P. Bramante - nel conteggio degli studenti complessivo, i funzionari del Comune - bontà loro - non hanno voluto prendere in considerazione gli studenti del Centro Territoriale Permanente "San Vittore" (carcere, per chi non lo sapesse), che fa sempre parte del Comprensivo Cavalieri, a cui si dedicano diversi insegnanti.
Dal momento che gli allievi in carcere sono decisamente problematici, dovrebbero anche esser conteggiati con un peso maggiore, che so 1,5 per ogni alunno. In ogni caso contando "San Vittore", il Cavalieri ha oltre 1.000 studenti, altro che 765!

Esilerante è stato il botta e risposta tra il dirigente del settore Educazione del Comune MI e il DS:
Dirigente Comune MI: "Mi scusi, ma gli allievi del carcere sono in aumento o in calo nel corso del tempo?
DS: "Nella mia esperienza la crescita è stata costante. Anzi, col tempo, alcuni che escono, poi rientrano (in carcere e quindi tornano allievi della scuola, ndr).

A seguire è intervenuta al CdZ1 la DS del Pascoli, prof.ssa Giovanna Croci, la quale ha ribadito l'insensatezza del progetto del Comune.
Nell'osservare la determinazione e la saggezza dei Dirigenti Scolastici (a me piaceva di più il termine Preside), ho pensato che dobbiamo essere loro grati.

Ho trovato bellissimo l'articolo di Giovanni Pacchiano, che su Sette/Corsera (La scuola non è più un mestiere per presidi) di venerdì scorso scrive:
"Il preside ha parecchio in comune col capitano di una nave (pre-Schettino): governa la rotta dell'imbarcazione, dà le disposizioni necessarie all'equipaggio e lo coordina, controllandone l'attività, decide rapidamente e in prima persona nei momenti di emergenza, si occupa affinché venga garantito il benessere dei passeggeri".

La biblioteca di Rasori rimessa a nuovo grazie al team guidato da
S. dalla Costa/M. Cerrettani
La cosa che più conta è la continuità didattica, è la territorialità – quella vera, non quella definita dalla divisione Circoscrizionale o Zonale - è l’ottimo funzionamento del complesso Pascoli, con un numero altissimo di genitori che si interessano della scuola (segnalo Simona Ester dalla Costa, Marta Cerrettani e tutto il team che ha rimesso a nuovo la Biblioteca), con un’Assemblea dei Genitori che è riuscita a raccogliere 15.000 Euro – con numerose attività che vanno da una lotteria (RasoRiffa great!) a un mercatino natalizio, alla vendita di torte - per ridipingere interamente la Scuola, per renderla più funzionale e più bella.

Nel maggio scorso scrivevo:
"Perchè si vuole distruggere tutto questo? Per risparmiare? Neppure, visto che il Dirigente Scolastico in Pascoli è uno e uno rimarebbe anche nell’ipotetetica scissione.

Sarei veramente meravigliato se Giuliano Pisapia e il vicesindaco Maria Grazia Guida - Assessore all’educazione e istruzione – dessero seguito al progetto di scissione dell’Istituto Pascoli in modo così illogico, senza senso?"

Ebbene, la buona notizia è che il Comune è rinsavito ed ha rinunciato al dimensionamento. Il 2 ottobre la DS ha scritto una lettera in cui si legge: "Si rende noto, in base alla comunicazione della Direzione Centrale Educazione e Istruzione del Comune di Milano (prot. n 5014/A39 del 2/10/2012), che la nostra Autonomia Scolastica con sede in via Rasori 19 non sarà oggetto di dimensionamento nell’ambito del piano attualmente in via di approvazione".

La storia della scuola dei miei figli conferma che è dal basso che si possono cambiare le cose, con il dialogo, il ragionamento, la partecipazione, la pacatezza dei contenuti, la condivisione dellle questioni veramente decisive.

#finchenonlovedononcicredo scrivevo con l'hashtag di twitter nel maggio scorso. Ho avuto ragione, l'amministrazione Pisapia ha cambiato idea. Solo gli imbecilli non cambiano mai idea. Bravo Pisapia.

mercoledì 10 ottobre 2012

Le carezze e gli schiaffi (ai banchieri) di Papa Giovanni

La crisi colpisce tutti, ma soprattutto il ceto medio-basso. La classe agiata si difende bene. Ma ciò che è intollerabile, in questa situazione che durerà anni, è il comportamento degli amministratori delegati delle banche, i CEO, i chief executive officer, i Napoleone di oggi, che si guardano allo specchio e si dicono: "Ma quanto sono figo!", e subito convocano il Consiglio di amministrazione, si aumentano lo stipendio e il bonus.

Secondo il Financial Times - 25 giugno 2012 - gli alti dirigenti delle 15 principali banche in Europa e Stati Uniti hanno fatto registrare, nel 2011, un aumento medio dei loro compensi pari al 12%, dopo un aumento del 36% nel 2010. Nello stesso periodo, naturalmente, i rendimenti e il valore delle singole banche si sono squagliati.

Ricordo che Mervying King, il Governatore della Banca d'Inghilterra - la Old Lady, la più antica banca centrale del mondo, nata il 27 luglio 1694 - l'estate scorsa, si è rivolto ai vertici delle quattro principali banche della City - Barclays, Royal Bank of Scotland, HSBC e Lloyds - accusandoli di "trattamento meschino dei clienti, e manipolazione fraudolenta".
King ha chiuso il suo intervento definendo i banchieri "cinici, manipolatori e strapagati".

Domani cade l'anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. L’11 ottobre 1962 Papa Giovanni XXIII,  il “Papa buono” – nel suo discorso della serata di apertura del Concilio - uscì dalla finestra di Piazza San Pietro e disse con parole memorabili: «Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata stasera, osservatela in alto, a guardare a questo spettacolo... 
Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa.Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza».

Io immagino che se Papa Giovanni XXIII potesse oggi incontrare i banchieri - che tenacemente continuano a pagarsi dei bonus insostenibili, frutto dell'incentivo asimmetrico a far sostenere alla banca rischi elevati - altro che carezze, gli mollerebbe un bello schiaffone.

lunedì 8 ottobre 2012

Il mio ricordo di Steve Jobs, a un anno dalla morte

Il 5 ottobre dell'anno scorso moriva Steve Jobs, il fondatore di Apple. Ricordiamolo insieme.

Jay Elliott, per sette anni vicepresidente della Apple, venerdì scorso - alla domanda sull'eredità lasciata da Jobs - ha risposto: "Un'azienda, per avere successo e ancora di più per mantenerlo, non deve mai perdere la mentalità della start-up, delle imprese nate in garage per passione, con l'unico obiettivo di inseguire una idea meravigliosa e fare il prodotto più bello di tutti. La Apple di Jobs non ha mai smesso di essere una start up, ovvero un posto dove entri a mezzogiorno ma poi lavori fino a mezzanotte, dove il capo ti tira giù dal letto alle tre del mattino se ha avuto una idea nuova, dove anche l'ultimo impiegato gode del successo grazie al fatto che ha delle azioni e dove, se il tuo capo sta presentando al mondo un telefonino fantastico, e tu hai contribuito a farlo, beh, ti senti una persona felice".

Sul tema delle azioni e del valore di Apple, è opportuno dire che alla chiusura di venerdì scorso, la capitalizzazione di borsa di Apple (ticker AAPL, quotata sul Nasdaq) è di 611,7 miliardi di dollari. Ben più della capitalizzazione di tutte le società quotate sulla Borsa italiana.

L'economista Alessandro Penati, il 26 marzo 2012 ha scritto: "Il declino della nostra Borsa rispecchia quello del nostro sistema economico, ne evidenzia le debolezze, e spiega l'incapacità di crescere, creare occupazione, e aumentare il reddito degli italiani....La Borsa serve a far crescere le aziende perchè le azioni quotate sono la miglior moneta per pagare le acquisizioni, e la migliore garanzia per l'accesso al credito. Ma la maggioranza delle imprese italiane non se ne è servita: meglio restare sottodimensionati, per non pregiudicare il controllo familiare, o non pagare i costi di trasparenza impliciti nelle quotazioni. Imponendo così un costo per tutti: nanismo e controllo familiare pregiudicano la crescita di una classe manageriale e la domanda di importanti figure professionali; le dimensioni contenute limitano l'attività di ricerca e sviluppo, che ha elevati costi fissi e forti economie di scala. E senza un efficiente mercato dei capitali, l'apporto di private equity e venture capital allo sviluppo delle aziende diventa risibile".

Voglio ricordare Steve Jobs - imprenditore formidabile - con le sue parole agli studenti di Stanford: "Stay hungry, stay foolish", che si può tradurre con "Non accontentatevi mai e pensate fuori dal coro, in modo non omologato".

When I was 17, I read a quote that went something like: "If you live each day as if it was your last, someday you'll most certainly be right." It made an impression on me, and since then, for the past 33 years, I have looked in the mirror every morning and asked myself: "If today were the last day of my life, would I want to do what I am about to do today?" And whenever the answer has been "No" for too many days in a row, I know I need to change something.

Remembering that I'll be dead soon is the most important tool I've ever encountered to help me make the big choices in life. Because almost everything — all external expectations, all pride, all fear of embarrassment or failure - these things just fall away in the face of death, leaving only what is truly important. Remembering that you are going to die is the best way I know to avoid the trap of thinking you have something to lose. You are already naked. There is no reason not to follow your heart".

Death is very likely the single best invention of Life. It is Life's change agent. It clears out the old to make way for the new. Right now the new is you, but someday not too long from now, you will gradually become the old and be cleared away. Sorry to be so dramatic, but it is quite true.

Your time is limited, so don't waste it living someone else's life. Don't be trapped by dogma — which is living with the results of other people's thinking. Don't let the noise of others' opinions drown out your own inner voice. And most important, have the courage to follow your heart and intuition. They somehow already know what you truly want to become. Everything else is secondary".

Io lo dico sempre ai miei studenti: "Cercate di pensare con la vostra testa. Evitate di fare i pecoroni, di essere soggetti all’herd effect, ”effetto gregge”. Liberate le energie potenziali che sono in voi. Seguite le vostre passioni".
La crisi che stiamo vivendo ha tra le sue radici l'omologazione del pensiero, una gran brutta bestia.

Riflettiamo prima di agire. Non dobbiamo aver paura della nostra libertà di pensiero.

Caro Steve Jobs, ti sia lieve la terra.

mercoledì 3 ottobre 2012

Mario Draghi, l’euro e il calabrone italiano

Nel maggio di quest’anno l’esuberante Paolo Sorrentino è uscito con il suo nuovo splendido libro Tony Pagoda e i suoi amici (Feltrinelli, 2012).

Nel capitolo 9 intitolato Stromboli, Sorrentino scrive: “Piccola premessa. Nell’ipotesi assai remota che un giorno lontano dovessi incontrare il signor Dio, creatore di tutta questa gran confusione, io avrò per lui una sola domanda, semplice e concisa. Questa: “Carissimo, ma perchè hai inventato i calabroni?”.

Il problema dell’isola di Stromboli è popolata dall’unico essere vivente che non la finirà mai di terrorizzarmi: il calabrone...”Cosa si può fare per eliminare i calabroni?”, chiedo io con l’ingenuità di un dodicenne. L’autoctono prorompe un una risata memorabile che, sulle prime, ho confuso per un’eruzione del vulcano e poi aggiunge, tra lacrime di ridarella: “Tornare a casa”.

Si potrebbe pensare che Mario Draghi a giugno abbia letto Sorrentino e che si sia ispirato, definendo l'Euro un calabrone. Infatti nel suo intervento del 26 luglio 2012 a Londra, Draghi ha dichiarato: “And the first thing that came to mind was something that people said many years ago and then stopped saying it: The euro is like a bumblebee (calabrone, ndr). This is a mystery of nature because it shouldn’t fly but instead it does. So the euro was a bumblebee that flew very well for several years. And now – and I think people ask “how come?” – probably there was something in the atmosphere, in the air, that made the bumblebee fly. Now something must have changed in the air, and we know what after the financial crisis. The bumblebee would have to graduate to a real bee. And that’s what it’s doing.

The first message I would like to send, is that the euro is much, much stronger, the euro area is much, much stronger than people acknowledge today. Not only if you look over the last 10 years but also if you look at it now, you see that as far as inflation, employment, productivity, the euro area has done either like or better than US or Japan.

Then the comparison becomes even more dramatic when we come to deficit and debt. The euro area has much lower deficit, much lower debt than these two countries. And also not less important, it has a balanced current account, no deficits, but it also has a degree of social cohesion that you wouldn’t find either in the other two countries.

That is a very important ingredient for undertaking all the structural reforms that will actually graduate the bumblebee into a real bee (vera ape, ndr)”.

Paul Krugman
L’economista liberal Paul Krugman ha commentato a caldo – Lo strano volo del calabrone euro, La Repubblica 1.8.12: “La metafora (di Draghi, ndr) è imperfetta, ma il messaggio è chiaro. Nel lungo periodo l’euro potrà funzionare solo se l’Unione Europea assumerà le caratteristiche di un Paese unificato...L’acquisto di bond non è una cosa semplice. Non si può salvare l’euro se la Germania non è disponibile ad accettare un sostanziale aumento dell’inflazione nei prossimi anni e finora I tedeschi hanno dato segno di voler neppure discutere di quest’ipotesi, figuriamoci accettarla”.

Anni fa Luca Paolazzi – attuale direttore del Centro Studi di Confindustria - e Fabrizio Galimberti scrissero un libro interessante dal titolo Il volo del calabrone. Breve storia dell’economia italiana nel Novecento (Le Monnier, 1998).

Gli autori si chiesero come ha fatto l’Italia a divenire il quinto Paese industriale del mondo nonostante il retaggio di immaturità statuale e di arretratezza contadina che ne appesantiva le ali: L’ossatura congenita dell’economia italiana, costituita da miriadi di imprese piccole o micro, con pochi casi di aziende di stazza internazionale, e viziata dalla apparente incapacità di stare sulla nuova frontiera tecnologica appraiva e apprare ai più troppo pesante per consentirle di spiccare il volo.

Eppure, come il calabrone che non rispetta la leggi della fisica e con molto rumore si libra in aria, così l’economia italiana ha continuato a crescere, a ritmi talvolta superiori a quelli dei sistemi produttivi presi a modello di “aerodinamica” e che l’Azienda Italia ha non di rado battuto sonoramente nei duelli diretti per la conquista della leadership mondiale in significativi mercati. In tal modo ha suscitato tra gli addetti aigli studi economici uno stupore e un’incredulità perfino superiori a quello che il povero calabrone infonde ai fisici”.

L’Italia ha continuato a volare, malgrado che, secondo le leggi della fisica economica, avrebbe dovuto già sfracellarsi a terra più di una volta. Ma è da un decennio che il volo è rasoterra. La spesa pubblica esorbitante e i benefici (grazie Euro!) dei bassi tassi di interesse – e quindi esigui oneri sul nostro mostruoso debito pubblico – non sono più ripetibili. Occorre ristrutturare questo Paese in profondità riducendo, in primis, il perimetro della presenza pubblica, che svolge – oltre all’inefficienza e alla enorme corruzione - un ruolo malsano di spiazzamento - crowding out - del settore privato.

Franco Fiorito, Er Batman di Anagni
Chiudiamo con l’opinione di Gianfelice Rocca, imprenditore di altissimo livello, Presidente del gruppo Techint, che in occasione della recente tavola rotonda in Bocconi dal titolo “I nostri campioni e le sfide dell’economia mondiale” ha correttamente affermato: “Il calabrone italiano rimarrà impigliato se non si disbosca l’apparato amministrativo e normativo pubblico”. Altrimenti nuovi Fiorito solcheranno le aule dei Consigli Regionali italiani.