giovedì 29 novembre 2012

Sicilia terra irredimibile: dallo splendore di Federico II al disastro odierno

Federico II di Svevia
Ogni sera alle 20.10 a casa mia c'è un appuntamento imperdibile: Gli incorreggibili, telenovela argentina che si svolge all'interno di un college, la Mastery school, dove un gruppo di ragazzi viziati imperversano. Ivo, Luna, Miranda e tanti altri vivono delle storie complicatissime per cui non capisco mai cosa sta succedendo. Caschi pure il mondo, ma i miei figli non perdono una puntata.

Visto che non ho alcun potere di scelta fino al termine della puntata, di solito prendo la mia mazzetta dei giornali e leggo.

Ieri sera, nel bel mezzo della puntata, ho sobbalzato e Allegra mi ha detto: "Papi, cosa è successo? Sei impazzito?".
Avevo appena letto su Repubblica: "Giocate al casinò con soldi pubblici, condannato a 6 anni ex deputato di Forza Italia, direttore della Fondazione Federico II".

Sono rimasto sbigottito per la pazzesca dicotomia tra il furto di oggi e la figura eccelsa di Federico II. Un direttore della Fondazione Federico II non può comportarsi in questo modo. Il politico in questione - Alberto Acierno, ex parlamentare nazionale di Forza Italia - è un ossimoro vivente, come ghiaccio bollente o silenzio assordante.

"Con la carte di credito di direttore della Fondazione Federico II, la fondazione culturale dell'Assemblea regionale siciliana, in un anno Acierno ha speso più di di centomila euro in giocate al casinò online, viaggi alle Maldive, alberghi alle isole Eolie, carburanti per la barca, acquisti per elettrodomestici, mobili, telefonia". No comment.

Ma chi era, cosa ha realizzato, cosa ha rappresentato la figura di Federico II?

Federico II di Svevia (1194-1250), imperatore del Sacro Romano Impero, re di Sicilia, re di Gerusalemme, Stupor Mundi, è considerato uno dei personaggi più affascinanti della storia europea, celebre per la sua cultura, per la volontà di stabilire un governo illuminato e per la determinazione con cui contrastò il potere papale.

Per capire quanto fosse ricca e florida la Sicilia, riporto un passaggio del saggio di David Abulafia: "La Sicilia era il possedimento più amato da Federico II. La Sicilia era opulenta e inoltre controllava le rotte commerciali del Mediterraneo...una burocrazia articolata (pensate dove siamo finiti oggi!, ndr), forzieri ragionevolmente pingui, un'eredità culturale composita che si rifletteva nella presenza a corte di Greci, Ebrei, Arabi.
Era una Sicilia che poteva dir la sua in grandiose guerre di conquista, in Africa, Grecia o nel Levante, persino in Spagna".

E ancora: "La Sicilia era in eccellente posizione strategica per soddisfare la domanda dell'intero Mediterraneo; e il fitto intreccio di rapporti con l'Europa Occidentale, tramite Genova, Pisa, Venezia e le città provenzali, garantivi sbocchi sufficienti ai suoi prodotti di lusso...Federico II diede forte impulso alle piantagioni di indaco e non trascurò gli zuccherifici; attorno a Gela si sviluppò una fiorente industria ceramica".

Dove siamo finiti? Come ha potuto la Sicilia ridursi così?
E' fondamentale una rigenerazione della politica. La società civile deve avere la forza di ribellarsi allo status quo e mettersi in gioco direttamente.

P.S.: si consiglia la lettura di:

David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Einaudi, 1990
Giorgio Ruffolo, Il Cavallo di Federico, Mondadori, 1991




lunedì 26 novembre 2012

Le elezioni si avvicinano. Prepariamoci alle panzane sul cambio lira-euro. Fondamentale ricordare il capolavoro di Ciampi il 24 novembre 1996

Ieri ci sono state del primarie nazionali del centro sinistra. Bersani e Renzi se la vedranno al ballottaggio tra una settimana. Una bella prova di democrazia, nessun dubbio.

Una volta che i candidati presidenti del Consiglio di destra e di sinistra saranno definiti, la battaglia politica tornerà intensa. E sono sicuro che si tornerà a parlare di Europa - imprescindibile per noi italiani se vogliamo rimanere legati all'Occidente e non andare alla deriva (africana) - e del cambio lira/euro.

Allora, visto che il 24 novembre cade l'anniversario dell'Ecofin a Bruxelles (1996) determinante per il cambio finale lira/euro (1936,27 lire per avere un euro), torniamo a ricordare il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi.

Il 24 novembre 1996 la delegazione italiana guidata dal Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi – presenti Mario Draghi (allora direttore generale del Ministero del Tesoro, ndr) per il Tesoro ed Antonio Fazio e Pierluigi Ciocca per Banca d’Italia - vola a Bruxelles dove si terrà l’Ecofin, la riunione dei Ministri economici europei. Ordine del giorno: il rientro della lira nel Sistema Monetario Europeo.

Il giorno precedente la direzione generale del Tesoro emana questo comunicato: “Il Governo italiano ha chiesto l’avvio delle procedure per il rientro della lira negli accordi di cambio previsti dal Sistema Monetario Europeo (SME). La procedura avrà inizio domani con la riunione del Comitato Monetario convocato per le 15.00”.

L’Italia uscì dallo SME nell’autunno 1992, e per rispettare i parametri di Maastricht e far parte dei Paesi dell’Unione Economica e Monetaria partecipanti alla nascita dell’Euro, era necessario e vitale rientrare nell’Exchange Rate Mechanism.

Il punto chiave del rientro nello SME era il tasso di cambio ritenuto corretto dagli altri partner europei. Nella riunione di sabato mattina a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Prodi e Ciampi appresero dal Governatore della Banca d’Italia Fazio che la video-consultazione del venerdì aveva prospettato la posizione tedesco-olandese, che sostenevano che il cambio giusto per la lira sarebbe stato 925 per un marco. Prodi e Ciampi dissero che non se ne parlava neppure. Gli industriali italiani fantasticavano tassi di cambio ben superiori a quota 1.000, tipo 1.030/1.040. Il Governo sapeva che l’unica speranza era aggrapparsi alla cifra tonda: quota 1.000.

Per ottenere la parità di 1.000 lire per un DM, si decise di dare a Draghi e Ciocca il mandato di chiedere 1.010, con la facoltà di scendere a 1.000. Il tasso di cambio sui mercati in quei giorni viaggiava intorno a 985 lire per marco.

Draghi e Ciocca non trovarono l’accordo ma riuscirono ad abbattere il muro delle 950 lire, trovando qualche difficoltà a trattare su quota 970.

La tensione era visibile. Il momento era importante. Si giocava il futuro dell’Italia. Cosi Paolo Peluffo in Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo e il Presidente (Rizzoli, 2007): “Ciampi volle partire per tempo, in mattinata. Si viaggiava ancora sul vecchio DC9 che aveva un grande salottino aperto e comodo per la conversazione. Ma di conversazione, quel giorno, ve ne fu davvero poca. Si guardava tabelle, dati sulla bilancia dei pagamenti, in silenzio, scambiandosi mezze frasi, sottovoce”.

Alle 15.00 in punto a Bruxelles inizia l’Ecofin. Dopo i primi convenevoli, Wim Duisemberg – poi primo presidente della BCE - per conto dell’Istituto Monetario Europeo dà la parola a Ciampi, che improvvisa l’arringa meglio riuscita della sua carriera istituzionale, parlando a braccio sulla base di una scaletta.

Questi i punti salienti del discorso di Ciampi:

1. "Sono qui davanti a Voi con emozione, ma anche con orgoglio, per proporre il reingresso dell’Italia nell’accordo di cambio. Personalmente ho vissuto tutta l’esperienza del Sistema Monetario Europeo, dalla sua creazione nel 1979 all’uscita dell’Italia...Le vicende dell’estate-autunno del 1992 furono estremamente gravi per lo SME (l'Italia svalutò del 7% la lira il 15 settembre 1992, ma non bastò; il 16 settembre 1992 la lira uscì provvisoriamente dallo SME; il 22 settembre 1992 viene prorogata sine die la sospensione per la lira degli obblighi di intervento, ndr). Ritengo che in quell’occasione pagammo tutti, ma credo che l’Italia pagò in particolar modo. Questi quattro anni in cui abbiamo continuato a partecipare allo SME, ma non al suo aspetto centrale – ovvero l’accordo di cambio – sono stati per il mio Paese anni che io chiamo di “sofferto esilio”.

2. Il 1992: il dramma del 1992 ha costituito il turning point per il risanamento dell’economia. Da allora il mio Paese ha fatto importanti progressi verso la stabilità, attraverso il concorso della politica monetaria, dei redditi, del bilancio pubblico. La politica monetaria, che alla fine degli anni Ottanta agli inizi degli anni Novanta aveva fatto dell’accordo di cambio elemento di disciplina, che costringesse a comportamenti degli operatori italiani verso la stabilità, ha continuato a essere non meno rigorosa, pur non avendo più il vincolo della disciplina del cambio, attraverso una gestione diretta e severa della moneta e del credito.

3. L’Italia che negli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta aveva visto più volte avvitare la sua economia nella spirale perversa “aumento dei costi salariali/prezzi”, ha abolito ogni indicizzazione e ha adottato una severa politica dei reddito. Congiuntamente è stata iniziata una politica di riequilibrio del bilancio dello Stato.

4. Veniamo ora alla proposta dell’Italia di una parità centrale tra 1.000 e circa 1.010 per marzo. E’ sempre stata la prassi di impostare la discussione partendo dai valori di mercato. Come è stato ricordato e come è nella tabella di fronte a voi, il tasso di mercato della lira rispetto al marco, nella media degli ultimi sei mesi, è di poco superiore a 1.000. Questo è appunto il tasso al quale l’Italia fa riferimento.

5. Vi invito a considerare un altro aspetto: che per contribuire alla politica di disinflazione, la Banca d’Italia ha adottato una politica monetaria che ha mantenuto e mantiene elevati i tassi a breve. Se esaminate la curva dei tassi di interesse in Italia, essa disegna una “V”, con il tasso più basso del titolo a tre anni e agli estremi dei titoli a tre mesi e di quelli a dieci anni, che hanno di fatto lo stesso livello. Non sono in grado di calcolare quanto questa situazione dei tassi d’interesse sul mercato monetario abbia influenzato e influenzi il livello del tasso di cambio. Quel che sembra indubbio è che il tasso di cambio ha subito e subisce due influenze di segno opposto: 1) è sostenuto da un tasso di interesse elevato; 2) è frenato dagli acquisti di valuta estera fatti dalla Banca d’Italia.

Carlo Azeglio Ciampi
6. E’ interesse dell’Italia di avere una parità che sia equa, sostenibile e duratura. Credo che una parità di 1.000 lire per marco sia una cifra appropriata.

7. Con questo animo, con questi sentimenti, con il desiderio di ritornare pienamente a far parte di questa Comunità Europea, che vede nell’accordo di cambio uno dei punti essenziali della politica di convergenza che l’Europa ha seguito in questi anni, Vi prego caldamente di tener conto di queste mie considerazioni e di accogliere integralmente la proposta che l’Italia ha fatto, e cioè non solo di vedere di buon grado il rientro dell’Italia, ma di approvare anche il valore proposto per la parità della lira”.

Peluffo racconta: “Seguì un lungo silenzio. Nessuno osò parlare. Investiti da quel fiume di argomentazioni appassionate. Il sottosegretario irlandese chiese se qualcuno volesse prendere la parola. Tutti tacquero. La seduta fu sospesa”.

Dopo estenuanti trattative durate più di otto ore – compresa la minaccia di Ciampi di tornare a Roma senza accordo e lasciar fluttuare liberamente la lira - si trovò l’accordo in tarda serata (giusto in tempo per comunicare l’accordo prima dell’apertura dei mercati australiani: mezzanotte di Bruxelles equivale alle 9.00 a Sidney) a quota 990 contro marco.

Questa parità di 990, non modificabile secondo il Trattato di Maastricht, sarà la parità base per il calcolo del cambio lira/euro a fine 1998, prima della nascita dell'euro, il 1° gennaio 1999.

Sempre Peluffo: “Il ritorno a tarda sera fu euforico. Ci si rendeva conto di aver ottenuto un successo strepitoso. Ciampi si attendeva un trionfo anche sulla stampa”. Ma grande fu la delusione perche i giornali presentarono il risultato come una vittoria a metà, perchè gli industriali speravano in qualcosa di meglio" (a una parità di 1.100 lire, le esportazioni italiane sarebbero state agevolate, con lo svantaggio di importare imflazione, ndr). Non si capì che grazie all’accordo, saremmo poi entrati nell’euro fin dalla sua introduzione. E vi pare poco?

Il Financial Times, però, il 26 novembre 1996 fece tornare il sorriso a Carlo Azeglio Ciampi. Lionel Barber – The quest for Emu: Italy home but not dry – descrisse Ciampi come un lottatore ("His craftiness is legendary") senza pari in Europa, l’unico in grado di vincere la resistenza del duro dei duri, Hans Tietmeyer, Presidente della Bundesbank. Barber – tra l’altro - cita un diplomatico italiano: “Ciampi gave the performance of his life. Se qualcuno (diverso da CA Ciampi, ndr) avesse provato la stessa operazione lo avrebbero buttato giù dalla finestra”.

Peluffo ci racconta che quell’articolo fu una delle soddisfazioni più intense di quegli anni in prima linea. Io l’articolo di Barber – pescato nel mio archivio, qui a fianco - lo porto sempre a lezione. Per ricordare agli studenti il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi.

giovedì 22 novembre 2012

Omaggio a John Fitzgerald Kennedy, assassinato il 22 novembre del 1963

John Fitzgerald Kennedy, comunemente chiamato John Kennedy o solo JFK, venne assassinato a Dallas, in Texas, 49 anni fa, alle 12.30 del 22 novembre 1963.

Il quarantaseienne presidente degli Stati Uniti sta percorrendo su una macchina scoperta una piazza della città, accompagnato dalla moglie Jacqueline e dal governatore del Texas John Connolly, quando dal quinto piano di un edificio e da una collinetta sulla destra del corteo (memorabile il filmato di Zapruder) partono alcuni colpi di fucile. Gravemente feriti, Kennedy e il governatore sono immediatamente trasferiti al Parkland Memorial Hospital, dove il presidente muore, trenta minuti dopo senza riprendere conoscenza.

Immediatamente dopo gli spari, la polizia arresta il presunto responsabile: Lee Harvey Oswald – che poi verrà ammazzato solo due giorni dopo da Jack Rubinstein detto Jack Ruby - il quale ha fatto parte in passato del corpo deimarines. Nel frattempo sull’aereo che lo riporta a Washington il vicepresidente Lyndon B. Johnson presta giuramento come 36° presidente degli Stati Uniti: sono passati appena 99 minuti dalla morte di JFK.

Candidato del Partito Democratico, vinse le elezioni presidenziali del 1960 e succedette al Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower. Assunse la carica il 20 gennaio 1961 e la mantenne fino al suo assassinio.

Kennedy, di origine irlandese, è stato il primo Presidente degli Stati Uniti di religione cattolica. Fu anche il primo presidente statunitense ad essere nato nel XX secolo ed il più giovane a morire ricoprendo la carica.

La sua breve presidenza, in epoca di guerra fredda, fu segnata da alcuni eventi molto rilevanti: lo sbarco nella Baia dei Porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la conquista dello spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l'affermarsi del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

Desidero ricordare John Fitzgerald Kennedy con le sue parole più belle, enunciate nel discorso di insediamento alla Casa Bianca il 10 gennaio 1961: “My fellows Americans, ask not what the country can do for you, ask what you can do for your country. My fellows citizens of the world, ask not what America will do for you, ask what together we can do for the freedom of men”.

Ask not. Due sole parole che sono ancora oggi evocative. Smettiamola di lamentarci. Chiediamoci invece che cosa possiamo fare noi per il nostro paese. Solo così potrà tornare un po’ di entusiasmo e di ottimismo. Ne avremmo bisogno.

Ripensiamo alle parole di Giorgio Ambrosoli - commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, assassinato dal killer J. Arico assoldato dal finanziere mafioso Michele Sindona - del 25 febbraio 1975 (ben 4 anni prima di essere ammazzato) alla moglie Annalori: “...Qualunque cosa succeda (titolo del bellissimo libro del figlio Umberto), comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”.

In sole otto righe la declinazione della parola dovere è ripetuta quattro volte. Pensiamoci. Basta lamenti. Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. In modo serio, competente e onesto.

lunedì 19 novembre 2012

Il pessimismo è una gran brutta bestia


Vorrei rileggere con voi Cesare Pavese – La luna e i falò (Einaudi, 1950, p. 104): “Sotto la luna e le colline nere Nuto una sera mi domandò com’era stato imbarcarmi per andare in America, se ripresentandosi l’occasione e i vent’anni l’avrei fatto ancora. Gli dissi che non tanto era stata l’America quanto la rabbia di non essere nessuno, la smania, più che di andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame. In paese non sarei stato mai altro che un servitore, che un vecchio Cirino (anche lui era morto da un pezzo, s’era rotta la schiena cadendo da un fienile  aveva ancora stentato più di un anno) e allora tanto valeva provare, levarmi la voglia, dopo che avevo passata la Bormida, di passare anche il mare”.

Claudio Magris in un suo intervento sul Corriere della Sera del 23 ottobre – Basta sfiducia, dobbiamo rialzarci – scrive: “Non siamo al mondo per indulgere ai nostri stati d’animo, alle malinconie delle nostre animucce che talvolta derivano da cattiva digestione...Il malessere e la stanchezza pessimista sono un male da combattere, tanto più quanto più essi sono, come oggi, sempre più diffusi”.

Ancor più indicativa la mail che ho ricevuto dal direttore del September 11 Memorial di New York, Joe Daniels, il quale, dopo l’uragano Sandy che ha messo in difficoltà NY, scrive: “We will have a clearer picture of the extent of the damages as our dedicated response teams continue their assessments. We are working closely with the state, city and the Port Authority to reopen the Memorial as soon as possible, as well as make any necessary repairs. We will be sure to keep you apprised of updates on conditions.

During this time of recovery, we hope that you and your family are safe. Once again, we are reminded as we were after 9/11, that together we can surmount the most unimaginable challenges”.

Ecco, sfide impensabili e inimmaginabili sono state superate. Giovani, non abbiate timore di desiderare il futuro. Sta in voi.

mercoledì 14 novembre 2012

In Cina comandano in nove e lavorano in un miliardo e quattro


In Cina al recente 18esimo Congresso del Partito Comunista, Mr Xi Jimping è stato eletto nuovo segretario del Partito e nel marzo 2013 diventerà anche Presidente della Cina.

Nel mio viaggio a Shanghai di due anni fa ero rimasto fulminato dall’affermazione di un manager bresciano residente in Cina da alcuni anni, Alessandro Asperti - rappresentante in Cina della famiglia bresciana dei Lonati - , il quale mi disse a cena in un ristorante sul Bund: “Decidono in nove e lavorano in un miliardo e quattro”. 

Nel suo "The Party. The secret world of China’s Communist rulers" (Harper Collins, 2010), il giornalista statunitense Richard McGregor ha raccontato il mondo segreto del vertice politico cinese. E conferma l’incipit di Asperti: “Comandano in nove. Nove sono i membri del Comitato permanente dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito comunista cinese. Hu Jintao fra questi nove è un primus inter pares, un primo tra pari. Io li descriverei seduti interno ad un tavolo rotondo del quale il presidente occupa il posto principale, ma in cerchio con gli altri”.

Vediamo più in dettaglio alcuni numeri sulla crescita cinese:

1. Cresce a livello di PIL di un 10% l'anno da più di un decennio; negli ultimi 10 anni è passata da essere la seconda economia del mondo (era la sesta nel 2002), quadruplicando il Pil. Il Dragone è destinato a superare gli Stati Uniti prima del 2025, quando sarà – secondo le stime di Frost & Sullivan – la prima economia del mondo.

Shanghai
2. Secondo le stime, entro il 2025 oltre 921 milioni di cinesi si saranno trasferiti in città e metropoli: rappresenteranno il 65,4% della popolazione (oggi siamo pici oltre il 50%).

3. è il più grande esportatore del mondo;

4. è il più grande importatore del mondo;

5. è il primo mercato di auto del mondo. Bmw, nel maggio 2012, ha inaugurato un secondo stabilimento nell'ex celeste impero. La fabbrica a Tiexi, nei pressi della citta di Shenyang in Manciuria ha comportato investimenti congiunti tra Bmw e Brilliance per 1.5 miliardi di euro. 

La fabbrica espanderà la capacità produttiva della casa dell'elica blu e bianca di 200mila unità a regime con turni di 5 giorni a settimana, per un totale di 300mila vetture prodotte in Cina, sommando l'output della fabbrica di Dadong, la prima fino a oggi a essere attiva nel Paese.
Nel 2016 BMW conta di vendere in Cina due milioni di vetture l’anno.

5. ha il numero di laureati maggiore al mondo.

Xi Jinping, prossimo Presidente Cina
Il Presidente uscente Mr Hu Jintao alla cerimonia di inaugurazione del Congresso, ha detto: “We should steadily enhance the vitality of the state-owned sector of the economy and its capacity to leverage and influence the economy”. Mr Hu ha posto come obiettivo il raddoppio del Pil e del reddito medio pro-capite entro il 2020. La crescita stimata media futura è del 7% annuo, una crescita che l’occidente si sogna di notte. Noi italiani ci crogioliamo nella stagnazione duratura, poichè i nostri problemi sono strutturali, non congiunturali.

Non a caso il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha dichiarato a Der Spiegel il 29 ottobre scorso: “There is no better protection against the euro crisis than successful structural reform in southern Europe”.
Come titolava il suo saggio, Luigi Einaudi, sono Prediche Inutili (Einaudi, 1956), i politici nicchiano e scaricano i problemi sulle generazioni future.

lunedì 12 novembre 2012

L’esegesi del discorso di Obama: LA priorità dell’America è la scuola


Ho ascoltato e poi letto con attenzione il discorso di Obama dopo la vittoria sullo sfidante Romney.

Per diverse volte ha detto che serve una scuola migliore. Secondo Obama, non uno qualunque, la scuola è LA priorità. La scuola è il miglior investimento sul futuro per costruire un paese più moderno. E noi italiani cosa aspettiamo? Il cucù?

Rileggiamo i passaggi decisivi del discorso integrale :

  1. “You'll hear the determination in the voice of a young field organiser who's working his way through college and wants to make sure every child has that same opportunity”. Contano le condizioni eguali di partenza, non di arrivo, si badi bene. Ma l’obiettivo è che tutti abbiano le stesse opportunità di emergere.

  1. “We want our kids to grow up in a country where they have access to the best schools and the best teachers”. La didattica e gli insegnanti sono considerati prioritari. In Italia la qualità della didattica non è assolutamente una priorità. E' empiricamente provato che un bravo insegnante trasforma letteralmente una classe e dà loro future opportunità;

  1. “Our university, our culture are all the envy of the world”. Le università italiane sono da sempre nelle ultime posizioni delle classifiche mondiali, fatta eccezione per l’Università Bocconi. Fino a che i Rettori verranno eletti dai professori stessi, nulla cambierà. Prima chiudiamo la CRUI, la Conferenza dei Rettori poi potremo parlare di rinnovamento. L’autoreferenzialità è una caratteristica tutta italiana.

Vi invito a leggere l’ultima mozionedel 25 ottobre 2012 della CRUI, dove testualmente è scritto: “L’Assemblea della CRUI, riunitasi il giorno 25 ottobre 2012, denuncia con forza l’estrema gravità in cui versa il sistema universitario italiano, sistema che sta ormai precipitando in una crisi irreversibile tale da minare l’immagine internazionale del Paese e le sue prospettive di sviluppo”.
Ma cari Rettori, siete voi i massimi responsabili dello sfacelo dell’università italiana. Siete voi sul banco degli imputati. Altro che accusatori. Siete voi che avete ridotto in questo stato l’università italiana. Ma i Rettori applicano alla lettera l’italica cultura dell’alibi dove le cause di ogni fenomeno non sono dentro di noi ma fuori di noi.

Torniamo a respirare aria fresca di montagna. Torniamo a Barack Obama. Rileggiamo insieme il passaggio chiave del Victory speech: “Se siamo disposti a lavorare sodo non importa chi siamo, da dove veniamo, che aspetto abbiamo, o chi amiamo. Non importa se siamo neri, bianchi, ispanici, asiatici o nativi americani, se siamo giovani o vecchi, ricchi o poveri, abili o disabili, gay o etero: qui in America, se siamo disposti a provarci possiamo farcela”.

giovedì 8 novembre 2012

Cosa significa dare senso alla nostra vita? La servitù volontaria, Darwin e Paolo Baffi


L’altra notte stavo leggendo “La Natura dell’amore” (Mondadori, 2005), dove l’autrice, la straordinaria saggista e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, scrive:

“I pappagalli amazzonici, i pesci tropicali con i loro colori sgargianti sono prede facili rispetto ad animali più “grigi”; dunque dobbiamo supporre che venga violato il principio del survival of the fittest ipotizzato da Charles Darwin?”

Mi sono fermato, colpito al cuore. Le sinapsi della corteccia cerebrale hanno iniziato a lavorare alla ricerca del passaggio corretto impresso nella mia mente. Pindaricamente sono volato a Paolo Baffi, Governatore di Bankitalia dal 1975 al 1979  – oggetto di studi matti e disperatissimi, i cui frutti si vedranno a breve con un saggio curato da me e lo storico Sandro Gerbi - che, in una lettera a Romano M. Levante, scrive il 27 luglio 1979 (dopo aver subito ingiustamente un vile attacco, non l’hanno arrestato solo per limiti di età):

Purtroppo il nemico ha usato contro di me e contro la Banca linee di attacco nuove dalle quali né la mia preparazione né la mia disposizione d’animo mi hanno offerto sufficiente copertura. 

La “survival of the fittest(concetto darwiniano- sopravvivenza del più adatto -  riferito alla selezione naturale, ndr) si realizza in senso di adattamento all’ambiente quale esso è. Di qui la mia debolezza nell’attuale contesto”. Questa la stoffa di Paolo Baffi, oggetto di una macchinazione politico-giudiziaria ideata  da ambienti vicini alla P2, vedasi post L’ignoranza del passato e il desiderio di sapere Lo scandalo Italcasse, Andreotti, Rovelli, Caltagirone. E la pulizia compiuta da Paolo Baffi


Paolo Baffi
Anche Baffi con il suo esempio e la sua testimonianza di comportamento rigoroso, integerrimo e competente, ha trasmesso l’idea che non conta soltanto essere “adatti a sopravvivere”. Bisogna dare senso alla propria vita. E non essere servi. Mai.

Paul Heinrich Dietrich – all’interno di un saggio (scritto nel 1554!) dal titolo Discorso sulla servitù volontaria di Etienne de la Boétie (Chiarelettere, 2011) – scrive: “La corte non è fatta per i personaggi alteri, inflessibili, che non sanno prestarsi ai capricci o cedere alle fantasie, nè tanto meno, quando occorre, avallare o favorire i reati che il potere reputa necessari al bene dello Stato”.

Allora valgono le parole di E. De la Boètie: “Proprio individui siffatti, a differenza del popolo crasso, non s’accontentano di ciò che hanno sotto gli occhi, a portata di mano, ma prestano attenzione al prima e al dopo, continuando a ricordare il passato per giudicare gli eventi del futuro, e per valutare il presente: si tratta di individui che, avendo per natura un’intelligenza acuta, l’hanno poi anche educata con l’esercizio e il sapere. Costoro, quando la libertà è del tutto perduta ed espulsa da questo mondo, ne mantengono vivi l’immagine e il sentimento, e continuano ad apprezzarla; e la servitù, per quanto mascherata, non è di loro gusto”.

martedì 6 novembre 2012

No al solito vittimismo italico


Settimana scorsa - tra le mie letture - ho apprezzato in particolare una lettera al direttore della Stampa Mario Calabresi.

Miei cari italiani, voi che protestate contro qualunque cosa faccia Monti, la Fornero, Passera & c., vi chiedo: dove eravate, dalla vostra nascita a oggi? Sono stufo dell’ipocrisia dilagante dove tutti protestano, cittadini, politici, giornali, senza guardarsi prima le proprie scarpe e dove e come hanno camminato fino ad oggi. E lo dice uno che contesta radicalmente questo sistema economico e chi di questo è espressione. Quando pagavate al nero, quando intascavate il nero, quando avete corrotto, anche nel piccolo, quando vi siete lasciati corrompere, anche nel piccolo, quando, voi giovani, avete rifiutato un lavoro o avete chiesto al colloquio come prima cosa «quanto è lo stipendio? Ho il weekend libero?», quando ai vostri figli avete omesso di insegnare la dignità che porta il lavorare, quando ai vostri figli avete omesso di insegnare la dignità di non sottomettersi, di non scendere oltre certi compromessi, quando non avete spento la televisione ai vostri figli piccoli, quando parcheggiate sulle strisce pedonali o sul posto per i portatori di handicap, quando chiedete favori per passare avanti ad una lista o ad una fila, quando spendete quasi cento euro a famiglia per l’uso del vostro telefono cellulare, quando comprate ogni giorno un «gratta e vinci» o giocate alle slot machine, quando avete votato chi vi prometteva di fare i vostri interessi, anche (e soprattutto) in barba agli interessi della collettività… ecco, voi, dove eravate?  
Se siete senza peccato, allora scagliate pure le vostre pietre. Altrimenti, abbiate almeno la decenza di stare zitti”, Fabio Artigiani, Livorno

Ecco. L’audace lettore coglie nel segno, l’italiano si indigna il tempo di un minuto poi torna a casa, evade, se può, e poi accende la tv per vedere la partita.

Vorrei ricordare le parole di Alessandro Galante Garrone, che nel suo memorabile saggio L’Italia corrotta 1895-1996. Cento anni di malcostume politico (Aragno) scrisse: “Proprio come aveva scritto, nella sua ultima lettera prima della fucilazione, il partigiano diciannovenne Giacomo Ulivi: “Dobbiamo rifare noi stessi”. E’ questo il nostro filo di speranza: l’obbedienza al comandamento; dobbiamo rifare noi stessi”.

venerdì 2 novembre 2012

Il ricordo di mio padre, nel giorno dei morti



Oggi è il giorno dei morti, in cui si dovrebbe riflettere sulle persone che non ci sono più. 


Ma le persone importanti per noi non muoiono, sono sempre presenti. Con i valori, le letture, i suggerimenti, le riflessioni, i ricordi, le emozioni vissute insieme.

Mio padre nasce nel 1926 a Grazzano Badoglio (Asti). Fino al 1939 si chiama Grazzano Monferrato poi, fu cambiato in Grazzano Badoglio per accontentare il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, nato colà nel 1871, primo ministro dopo la defenestrazione di Mussolini da parte del Gran Consiglio del fascismo il 25 luglio 1943. 
A soli 17 anni sale in montagna come partigiano. Ma cosa spinge un ragazzo a scegliere da che parte stare a soli 17 anni? Cosa fa oggi un ragazzo a quell’età? Sta attaccato a Facebook tutto il giorno? Altri tempi.



Così racconta Giorgio Bocca (Fratelli Coltelli, Feltrinelli, 2010, p. 38): “Che cosa è stata per chi l’ha fatta la guerra partigiana? La scoperta della libertà? Una felice illusione? Venti mesi di libertà dai legami dell’esistenza, dal posto della tua vita già deciso dagli altri, dai tuoi genitori, dal loro censo, dai loro calcoli e desideri. E anche la libertà fisica di andare dove ti portano le gambe, di giorno e di notte in un mondo ritornato immenso, dove puoi scegliere anche la tua morte, dove puoi vivere senza una lira in tasca, come il santo Francesco, e riscoprire ciò che la vita in società ti ha nascosto, quel desiderio del valico da superare verso il nuovo e l’ignoto. E dentro questo vago ma inebriante senso di libertà, tutti i ferrei doveri che hai liberamente scelto: il coraggio in guerra, la solidarietà con i compagni di lotta, la scoperta degli altri, dei poveri, dei deboli, l’intransigenza verso gli oppressori......La guerra partigiana era per i giovani arrivati dal lungo viaggio dentro il fascismo la scoperta della ragione, della conoscenza, l’uso, finalmente, della ragione e della conoscenza che la dittatura non aveva cancellato, ma sospeso dietro gli opportunismi e gli inganni”.

Piero Calamandrei
Un giorno mio padre mi raccontò la sua fuga. Era stato catturato dai tedeschi, ma riuscì a scappare in circostanze avventurose. Si salvò.

Al termine del racconto, mi citò Pietro Calamandrei (che ho avuto modo di leggere e apprezzare più avanti): “Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzioneandate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì col pensiero perchè lì è nata la nostra Costituzione” (Discorso sulla Costituzione, Milano, 26 gennaio 1955).


Luigi Einaudi
Nel saggio del Governatore della Banca d’Italia e Presidente della Repubblica Luigi Einaudi – Lezioni di politica sociale (Giulio Einaudi Editore, 1949) – che mi ha lasciato mio padre, ho trovato significativa una nota di Einaudi (che scrisse il libro nel 1944 quando esiliò in Svizzera durante il fascismo): “Compito della scienza non è d’inculcare una fede, ma d’insegnare il metodo di osservare i fatti (economici od altri) e di ragionare correttamente intorno ad essi”. Questo è proprio l’insegnamento che mi ha lasciato mio padre.

Come sapete, mio padre mi ha insegnato fin da ragazzo a tenere un archivio cartaceo con i migliori articoli della stampa italiana. E’ dall’archivio che pesco spesso qualche chicca per voi lettori.

A mio padre piaceva molto il filosofo Umberto Galimberti, e mi invitava a leggerlo la domenica sul Sole 24 Ore. E io ho continuato a leggerlo (e ritagliarlo).

Umberto Galimberti
Quando ho iniziato a insegnare in Università, ho capito un messaggio più volte reiterato da Galimberti: “Attraverso la cultura si offre agli studenti la possibilità di evolvere dall’impulso, a cui corrisponde come reazione il gesto (come il bullismo insegna), all’emozione, e dall’emozione a quella forma ancor più evoluta che è il sentimento dove i giovani si orientano davvero poco...Occorrerebbero dei test di personalità per vedere se il futuro insegnante, oltre a sapere, sa anche comunicare e affascinare, perchè, come ci insegna Platone quando parla di Socrate, in età giovanile si apprende per fascinazione” (La distanza tra la cattedra e i banchi, 27 giugno 2009).

Io a lezione ci metto l'anima. Speriamo che i miei studenti se ne accorgano!

Caro Papi, la terra ti sia lieve.