mercoledì 30 novembre 2011

Scialla, Anchise, Seneca e il Governatore di Banca d’Italia

Sabato sono andato al cinema a vedere Scialla! (Stai sereno), con la regia di Francesco Bruni. Andate a vederlo anche voi. Risate assicurate. E tante riflessioni.

Scialla! racconta la storia di un ragazzo, Luca, che riscopre – oltre a se stesso - il valore della fatica, dello studio, dell’approfondimento. La madre, in partenza per l’Africa, affida Luca al padre Bruno – un fantastico Fabrizio Bentivoglio – inconsapevole di esserlo.

Bruno è un professore che si è dato alla scrittura di racconti e alle ripetizioni private. Una vita senza particolari ambizioni. La presenza di Luca in casa lo costringe a rivedere le sue priorità e lo induce a fare da vero padre, stabilendo delle regole, difficili da rispettare anche per lui.

Secondo me, il passaggio più significativo del film è quando Bruno fa scattare in Luca la passione dello studio, raccontandogli la storia di Anchise , il padre di Enea, portato in spalle, dopo la caduta di Troia, mentre la città era in fiamme. “Luca, devi capire cosa vuol dire pietas, concetto pre-cristiano....”

Fabrizio Bentivoglio
E’ in quel momento che si accende il fuoco dentro Luca ed inizia una nuova vita, per tutti e due, padre e figlio.

La settimana scorsa sono andato in un Istituto Professionale – dove i ragazzi hanno pochissima voglia di studiare - a insegnare Educazione Finanziaria, all’interno di un progetto di Banca d’Italia volto a diffondere la cultura finanziaria fin dalle Scuole Superiori.

Nel corso della lezione ho citato uno dei miei riferimenti, Carlo Azeglio Ciampi – di cui abbiamo parlato qualche giorno fa onm un post sul cambio lira-euro - invitandoli a scavare, approfondire, ad andare in profondità, non accontentarsi di surfare su google: "Studiare come un forsennato vuol dire scavare i problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni.
Noi professori dobbiamo spiegare ai giovani la bellezza e la durezza della realtà, dello studio, del lavoro, della vita: il discrimine tra la vacanza e il lavoro, tra la ricreazione e l'impegno, tra "stare al mondo e vivere" (Seneca).

Ebbene, al termine della lezione, mi si è avvicinata una ragazza di origine filippina e mi ha aperto il cuore, chiedendomi qual’era il titolo esatto del libro di Carlo Azeglio Ciampi. Se non fosse tutto sottolineato e pieno di appunti, “Da Livorno al Quirinale” (Il Mulino, 2010) glielo avrei regalato con gioia.

Ignazio Visco Governatore di Banca d'Italia
Il Governatore di Banca d’Italia settimana scorsa ha chiuso così il suo Intervento – Investire in conoscenza: giovani e cittadini, formazione e lavoro : “Sarebbe riduttivo pensare che l’investimento in conoscenza sia importante solo perché accresce il nostro tasso di crescita economica. Esso può contribuire in modo profondo all’innalzamento del senso civico e del capitale sociale: valori in sé, indipendentemente dai loro effetti positivi sulla crescita economica. In questo, l’investimento in conoscenza è un importante fattore di coesione sociale e di benessere dei cittadini”.

Il ruolo della scuola e dell’istruzione è centrale. Scialla! ci mostra come un professore, scopertosi padre tardivamente, riesce a far scattare quella molla che solo i grandi Maestri riescono ad attivare.

Il maestro potremmo definirlo così: una persona singola, e pertanto un volto ben definito, che in un momento della nostra vita è entrato per sempre nelle nostre radici e si è trasformato in un valore che chiede di continuare a vivere” (cit. G. Piantoni)

P.S.: sui Maestri vi invito a rileggere il mio post “I maestri esistono ancora?”

giovedì 24 novembre 2011

Il cambio lira-euro sbagliato? A chi dice una panzana simile, raccontate il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi, 24 novembre 1996

Solo poche settimane fa - sembrano mesi, tanto è cambiato il panorama politico - l'ex presidente del consiglio è tornato a polemizzare sul cambio lira/euro, sostenendo che è stato un grave errore scegliere una parità sfavorevole per l'Italia.

Allora per colmare questa ignoranza crassa dei fatti storici, cogliamo l'occasione oggi 24 novembre per ricordare ai più cosa successe il 24 novembre 1996, 15 anni fa, giorno in cui si stabilì di fatto il cambio lira/euro: 1936,27 lire per avere un euro.

Il 24 novembre 1996 la delegazione italiana guidata dal Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi – presenti Mario Draghi (allora direttore generale del Ministero del Tesoro, ndr) per il Tesoro ed Antonio Fazio e Pierluigi Ciocca per Banca d’Italia - vola a Bruxelles dove si terrà l’Ecofin, la riunione dei Ministri economici europei. Ordine del giorno: il rientro della lira nel Sistema Monetario Europeo.

Il giorno precedente la direzione generale del Tesoro emana questo comunicato: “Il Governo italiano ha chiesto l’avvio delle procedure per il rientro della lira negli accordi di cambio previsti dal Sistema Monetario Europeo (SME). La procedura avrà inizio domani con la riunione del Comitato Monetario convocato per le 15.00”.

L’Italia uscì dallo SME nell’autunno 1992, e per rispettare i parametri di Maastricht e far parte dei Paesi dell’Unione Economica e Monetaria partecipanti alla nascita dell’Euro, era necessario e vitale rientrare nell’Exchange Rate Mechanism.

Il punto chiave del rientro nello SME era il tasso di cambio ritenuto corretto dagli altri partner europei. Nella riunione di sabato mattina a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Prodi e Ciampi appresero dal Governatore della Banca d’Italia Fazio che la video-consultazione del venerdì aveva prospettato la posizione tedesco-olandese, che sostenevano che il cambio giusto per la lira sarebbe stato 925 per un marco. Prodi e Ciampi dissero che non se ne parlava neppure. Gli industriali italiani fantasticavano tassi di cambio ben superiori a quota 1.000, tipo 1.030/1.040. Il Governo sapeva che l’unica speranza era aggrapparsi alla cifra tonda: quota 1.000.

Per ottenere la parità di 1.000 lire per un DM, si decise di dare a Draghi e Ciocca il mandato di chiedere 1.010, con la facoltà di scendere a 1.000. Il tasso di cambio sui mercati in quei giorni viaggiava intorno a 985 lire per marco.

Draghi e Ciocca non trovarono l’accordo ma riuscirono ad abbattere il muro delle 950 lire, trovando qualche difficoltà a trattare su quota 970.

La tensione era visibile. Il momento era importante. Si giocava il futuro dell’Italia. Cosi Paolo Peluffo in Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo e il Presidente (Rizzoli, 2007): “Ciampi volle partire per tempo, in mattinata. Si viaggiava ancora sul vecchio DC9 che aveva un grande salottino aperto e comodo per la conversazione. Ma di conversazione, quel giorno, ve ne fu davvero poca. Si guardava tabelle, dati sulla bilancia dei pagamenti, in silenzio, scambiandosi mezze frasi, sottovoce”.

Alle 15.00 in punto a Bruxelles inizia l’Ecofin. Dopo i primi convenevoli, Wim Duisemberg – poi primo presidente della BCE - per conto dell’Istituto Monetario Europeo dà la parola a Ciampi, che improvvisa l’arringa meglio riuscita della sua carriera istituzionale, parlando a braccio sulla base di una scaletta.

Questi i punti salienti del discorso di Ciampi:

1. "Sono qui davanti a Voi con emozione, ma anche con orgoglio, per proporre il reingresso dell’Italia nell’accordo di cambio. Personalmente ho vissuto tutta l’esperienza del Sistema Monetario Europeo, dalla sua creazione nel 1979 all’uscita dell’Italia...Le vicende dell’estate-autunno del 1992 furono estremamente gravi per lo SME (l'Italia svalutò del 7% la lira il 15 settembre 1992, ma non bastò; il 16 settembre 1992 la lira uscì provvisoriamente dallo SME; il 22 settembre 1992 viene prorogata sine die la sospensione per la lira degli obblighi di intervento, ndr). Ritengo che in quell’occasione pagammo tutti, ma credo che l’Italia pagò in particolar modo. Questi quattro anni in cui abbiamo continuato a partecipare allo SME, ma non al suo aspetto centrale – ovvero l’accordo di cambio – sono stati per il mio Paese anni che io chiamo di “sofferto esilio”.

2. Il 1992: il dramma del 1992 ha costituito il turning point per il risanamento dell’economia. Da allora il mio Paese ha fatto importanti progressi verso la stabilità, attraverso il concorso della politica monetaria, dei redditi, del bilancio pubblico. La politica monetaria, che alla fine degli anni Ottanta agli inizi degli anni Novanta aveva fatto dell’accordo di cambio elemento di disciplina, che costringesse a comportamenti degli operatori italiani verso la stabilità, ha continuato a essere non meno rigorosa, pur non avendo più il vincolo della disciplina del cambio, attraverso una gestione diretta e severa della moneta e del credito.

3. L’Italia che negli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta aveva visto più volte avvitare la sua economia nella spirale perversa “aumento dei costi salariali/prezzi”, ha abolito ogni indicizzazione e ha adottato una severa politica dei reddito. Congiuntamente è stata iniziata una politica di riequilibrio del bilancio dello Stato.

4. Veniamo ora alla proposta dell’Italia di una parità centrale tra 1.000 e circa 1.010 per marco. E’ sempre stata la prassi di impostare la discussione partendo dai valori di mercato. Come è stato ricordato e come è nella tabella di fronte a voi, il tasso di mercato della lira rispetto al marco, nella media degli ultimi sei mesi, è di poco superiore a 1.000. Questo è appunto il tasso al quale l’Italia fa riferimento.

5. Vi invito a considerare un altro aspetto: che per contribuire alla politica di disinflazione, la Banca d’Italia ha adottato una politica monetaria che ha mantenuto e mantiene elevati i tassi a breve. Se esaminate la curva dei tassi di interesse in Italia, essa disegna una “V”, con il tasso più basso del titolo a tre anni e agli estremi dei titoli a tre mesi e di quelli a dieci anni, che hanno di fatto lo stesso livello. Non sono in grado di calcolare quanto questa situazione dei tassi d’interesse sul mercato monetario abbia influenzato e influenzi il livello del tasso di cambio. Quel che sembra indubbio è che il tasso di cambio ha subito e subisce due influenze di segno opposto: 1) è sostenuto da un tasso di interesse elevato; 2) è frenato dagli acquisti di valuta estera fatti dalla Banca d’Italia.

6. E’ interesse dell’Italia di avere una parità che sia equa, sostenibile e duratura. Credo che una parità di 1.000 lire per marco sia una cifra appropriata.

7. Con questo animo, con questi sentimenti, con il desiderio di ritornare pienamente a far parte di questa Comunità Europea, che vede nell’accordo di cambio uno dei punti essenziali della politica di convergenza che l’Europa ha seguito in questi anni, Vi prego caldamente di tener conto di queste mie considerazioni e di accogliere integralmente la proposta che l’Italia ha fatto, e cioè non solo di vedere di buon grado il rientro dell’Italia, ma di approvare anche il valore proposto per la parità della lira”.

Peluffo racconta: “Seguì un lungo silenzio. Nessuno osò parlare. Investiti da quel fiume di argomentazioni appassionate. Il sottosegretario irlandese chiese se qualcuno volesse prendere la parola. Tutti tacquero. La seduta fu sospesa”.

Dopo estenuanti trattative durate più di otto ore – compresa la minaccia di Ciampi di tornare a Roma senza accordo e lasciar fluttuare liberamente la lira - si trovò l’accordo in tarda serata (giusto in tempo per comunicare l’accordo prima dell’apertura dei mercati australiani: mezzanotte di Bruxelles equivale alle 9.00 a Sidney) a quota 990 contro marco.

Questa parità di 990, non modificabile secondo il Trattato di Maastricht, sarà la parità base per il calcolo del cambio lira/euro a fine 1998, prima della nascita dell'euro, il 1° gennaio 1999.

Sempre Peluffo: “Il ritorno a tarda sera fu euforico. Ci si rendeva conto di aver ottenuto un successo strepitoso. Ciampi si attendeva un trionfo anche sulla stampa”. Ma grande fu la delusione perche i giornali presentarono il risultato come una vittoria a metà, perchè gli industriali speravano in qualcosa di meglio" (a una parità di 1.100 lire, le esportazioni italiane sarebbero state agevolate, con lo svantaggio di importare inflazione, ndr). Non si capì che grazie all’accordo, saremmo poi entrati nell’euro fin dalla sua introduzione. E vi pare poco?

Il Financial Times, però, il 26 novembre 1996 fece tornare il sorriso a Carlo Azeglio Ciampi. Lionel Barber – The quest for Emu: Italy home but not dry – descrisse Ciampi come un lottatore ("His craftiness is legendary") senza pari in Europa, l’unico in grado di vincere la resistenza del duro dei duri, Hans Tietmeyer, Presidente della Bundesbank. Barber – tra l’altro - cita un diplomatico italiano: “Ciampi gave the performance of his life. Se qualcuno (diverso da CA Ciampi, ndr) avesse provato la stessa operazione lo avrebbero buttato giù dalla finestra”.

Peluffo ci racconta che quell’articolo fu una delle soddisfazioni più intense di quegli anni in prima linea. Io l’articolo di Barber – pescato nel mio archivio, qui a fianco - lo porto sempre a lezione. Per ricordare agli studenti il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi.

martedì 22 novembre 2011

I Maestri esistono ancora?

Il 25 gennaio 1996 all’Università Bocconi il prof. Gianfranco Piantoni tenne una lezione dal titolo: “Esistono ancora i Maestri?”. Il positioning paper – che potete trovare a questo link - ha un attacco fulminante: “Non esiste comunità senza maestri e discepoli. E’ un rapporto che si prolunga nel tempo, al di là del distacco. Quando riaffiorano i volti delle persone che sono state nostri maestri, ritornano alla memoria tanti ricordi che credevamo sepolti e dimenticati. Invece, da sempre, i loro valori continuano ad alimentarci, spesso in maniera inconscia. Siamo stati gli ultimi ad aver incontrato dei grandi maestri? Salvaguardano soltanto la memoria o sono destinati a incidere in profondità in ogni generazione? In altri termini: esistono ancora i maestri?”

Oggi 22 novembre compie gli anni (auguri!) la mia insegnante di lettere, Luciana Audagna, e voglio ringraziarla con le parole del Prof. Piantoni, che faccio completamente mie: “Il maestro potremmo definirlo così: una persona singola, e pertanto un volto ben definito, che in un momento della nostra vita è entrato per sempre nelle nostre radici e si è trasformato in un valore che chiede di continuare a vivere”.

La Prof.ssa Audagna – continuo a darle del Lei, ovviamente – mi ha trasmesso nel 1985 l’entusiasmo nell’apprendere, il desiderio di sapere, la fortissima curiosità. Le sue doti maieutiche hanno decisamente contribuito a trasformare un lettore della Gazzetta dello Sport – che mio padre non considerava un quotidiano – in un lettore onnivoro e oggi addirittura in un prof. universitario.

Nell’imprescindibile The World is flat, Thomas L. Friedman scrive con saggezza: “Quando penso ai miei professori preferiti, non ricordo con precisione cosa mi insegnavano, ma ricordo perfettamente l'eccitazione che provavo a impararlo”. E ancora: “Ciò che mi è rimasto non sono le nozioni che mi hanno trasmesso, ma l'entusiasmo per l'apprendimento che sapevano ispirare. Per imparare ad imparare bisogna amare l'apprendimento, perché quest'ultmo si fonda in gran parte sulla capacità di trovare in se stessi la motivazione a istruirsi”.

Una mia studentessa - outlier - mi ha scritto un commento interessante: “Parlando degli esempi positivi che ho avuto la fortuna di incontrare , una frase che trovo perfettamente azzeccata è quella sui maestri di vita: "regalano il piacere di pensare e di esistere"; leggendola quasi mi emoziono per quanto mi riconosco in essa.
Un bravo maestro è capace di darti continuamente nuovi stimoli, non ti lascia il tempo di riposare dopo avere raggiunto una meta, perché è già pronto a proporti una nuova sfida (che sia un esame da preparare, un libro da leggere o, perché no, una tesi che può sembrare più grande di te); e lo può fare perchè un bravo maestro conosce i propri alunni, riesce a intuirne i limiti ma soprattutto le capacità inespresse, e le fa fiorire. Ha la pazienza di ascoltare e, se necessario, correggere le persone che "ha preso sotto la propria ala", ma senza imporre in alcun modo il proprio pensiero: all'allievo lascia sempre la possibilità di seguirlo o di fare le proprie scelte”.

Il maestro ha il gusto della parola. E’ dotato di un “vocabolario decisivo”. Ricordo ancora la mia prof. esclamare: “kalòs kai agatòs” , il bello e il bene greco; “due cuori e una capanna ma nella capanna ci sono i granchi grossi così”; gli episodi del Drive-in declinati nella realtà; “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”; “l’uomo ha un piede nelle caverne”; “quanto siete ignoranti, non sapete neanche chi è Jan Palach

Anch’io, pur non considerandomi un maestro, ho un mio “vocabolario decisivo”, che i miei studenti mi hanno ricordato qualche giorno fa via mail:

- la speculazione brutta e cattiva; conoscere per deliberare; andate in profondità; Ciampi gave the performance of his life; il mondo è piatto; è cambiato il baricentro economico del mondo; testa pelata Pascal Lamy; stay hungry, stay foolish; il tempo di è fatto breve; stand up speak out; se non hai grinta a 20 anni quando ce l’hai?; Carlo Azeglio.

Frequentando l’università, sentendo l’opinione degli studenti, credo che pochi prof. si rendano conto che fissare intere lezioni nella muta immobilità di lucidi preconfezionati è una falsificazione e un tradimento. Io ho imparato dal Prof. Claudio Dematté che, al termine delle lezioni, buttava via i lucidi. Ogni lezione fa storia a sè. Il futuro ha più fantasia di noi.

Cara Professoressa Audagna, il maestro apre nuovi mondi, al gusto della scoperta, al valore della diversità e all’arte del discernimento. Lei ci è riuscita. Grazie ancora.

lunedì 21 novembre 2011

Omaggio a John Fitzgerald Kennedy, assassinato il 22 novembre 1963

JFK appena colpito dai proiettili
John Fitzgerald Kennedy, comunemente chiamato John Kennedy o solo JFK, venne assassinato a Dallas, in Texas, 48 anni fa, alle 12.30 del 22 novembre 1963.

Il quarantaseienne presidente degli Stati Uniti sta percorrendo su una macchina scoperta una piazza della città, accompagnato dalla moglie Jacqueline e dal governatore del Texas John Connolly, quando dal quinto piano di un edificio e da una collinetta sulla destra del corteo (memorabile il filmato di Zapruder) partono alcuni colpi di fucile. Gravemente feriti, Kennedy e il governatore sono immediatamente trasferiti al Parkland Memorial Hospital, dove il presidente muore, trenta minuti dopo senza riprendere conoscenza.

Immediatamente dopo gli spari, la polizia arresta il presunto responsabile: Lee Harvey Oswald – che poi verrà ammazzato solo due giorni dopo da Jack Rubinstein detto Jack Ruby - il quale ha fatto parte in passato del corpo dei marines. Nel frattempo sull’aereo che lo riporta a Washington il vicepresidente Lyndon B. Johnson presta giuramento come 36° presidente degli Stati Uniti: sono passati appena 99 minuti dalla morte di JFK.

Candidato del Partito Democratico, vinse le elezioni presidenziali del 1960 e succedette al Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower. Assunse la carica il 20 gennaio 1961 e la mantenne fino al suo assassinio.

Kennedy, di origine irlandese, è stato il primo Presidente degli Stati Uniti di religione cattolica. Fu anche il primo presidente statunitense ad essere nato nel XX secolo ed il più giovane a morire ricoprendo la carica.

La sua breve presidenza, in epoca di guerra fredda, fu segnata da alcuni eventi molto rilevanti: lo sbarco nella Baia dei Porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la conquista dello spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l'affermarsi del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

Desidero ricordare John Fitzgerald Kennedy con le sue parole più belle, enunciate nel discorso di insediamento alla Casa Bianca il 10 gennaio 1961: “My fellows Americans, ask not what the country can do for you, ask what you can do for your country. My fellows citizens of the world, ask not what America will do for you, ask what together we can do for the freedom of men”.

Ask not. Due sole parole che sono ancora oggi evocative. Smettiamola di lamentarci. Chiediamoci invece che cosa possiamo fare noi per il nostro paese. Solo così potrà tornare un po’ di entusiasmo e di ottimismo. Ne avremmo bisogno.
Ripensiamo alle parole di Giorgio Ambrosoli - commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, assassinato dal killer J. Arico assoldato dal finanziere mafioso Michele Sindona - del 25 febbraio 1975 (ben 4 anni prima di essere ammazzato) alla moglie Annalori: “...Qualunque cosa succeda (titolo del bellissimo libro del figlio Umberto), comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”.


In sole otto righe la declinazione della parola dovere è ripetuta quattro volte. Pensiamoci. Basta lamenti. Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. In modo serio e onestamente.

giovedì 17 novembre 2011

Vent’anni fa nasceva il web. Nella vita non ci sono soluzioni, ma forze in cammino

Vent’anni fa nasceva il world wide web, il www, la Grande Rete. L’inventore della rete, Tim Berners Lee, ha raccontato in un’intervista a Repubblica come è riuscito a creare la rete: “Non c’è stato un momento “eureka” nella creazione del web. Un momento preciso in cui ho detto: è fatta. E’ stato piuttosto un percorso lungo. Se devo indicare un inizio potrebbe essere addirittura il 1980 quando scrissi un programma che si chiamava Enquire: io ero allora un giovane fisico e lavoravo al Cern di Ginevra. Quel programma mi serviva a tenere traccia del complesso di relazioni fra persone, idee, progetti e computer di quella straordinaria comunità di scienziati. Era solo ad uso personale. Poi nel 1989 scrissi un memo ai miei capi, un memo storico anche se allora non potevo saperlo. Proponevo di creare uno spazio comune dove mettere le informazionia disposizione di tutti: lo chiamai il Web. L' idea era avere una rete dove chiunque potesse facilmente avere accesso a qualunque informazione, e dove aggiungere informazioni fosse altrettanto facile. Nel 1991 già funzionava fra gli scienziati e ho iniziato a diffonderla nel resto del mondo. Sono passati vent' anni esatti e posso dire che abbiamo avuto un certo successo...”.


Nel leggere Berners Lee mi è tornato in mente il più grande romanzo sul valore d’impresa, Volo di notte di Antoine de Saint-Exupéry. Tutti conoscono Il Piccolo Principe ma pochi hanno letto questo fantastico romanzo.

In Vol de nuit sono raccontati gli anni eroici dei primi, pericolosi collegamenti aerei internazionali, i primi voli notturni sulle sconfinate regioni dell’America Latina. Ogni pilota, accettando il suo compito, sa di rischiare la vita.

In un passaggio chiave del libro – quando il pilota Fabien rischia l’osso del collo nel mezzo di un uragano che spinge fuori rotta l’aereo – il collaboratore di Riviére, responsabile dell’intera rete aerea, si sente rispondere: “Vede Robineau, nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo”.

Ecco, l’inventore del world wide web non aveva la soluzione in mano. Ma ha messo in cammino le forze necessarie per il successo finale, raggiunto dopo vent’anni.

Solo quando la vita viene vissuta con pienezza e coraggio conta qualche cosa. Il significato scaturisce dalle imprese che gli uomini riescono a compiere. Come il pilota Fabien, che ha potuto riabbracciare la moglie a destinazione nonostante l’uragano, il vento, il carburante in esaurimentol’oscurità cieca.

Caro Mario Monti, non esistono soluzioni, ma forze in cammino. Facciamo - di corsa - emergere  le forze dell'Italia. Le soluzioni arriveranno. Ce la faremo.

lunedì 14 novembre 2011

Il Governo d'emergenza e l'equità sociale

Ieri sera il pacato Presidente del Consiglio incaricato Mario Monti - a cui facciamo i nostri migliori auguri - ha rilasciato le prime dichiarazioni. Un passaggio ci ha colpito: "L'obiettivo è di risanare la situazione finanziaria e riprendere il cammino della crescita in un quadro di accresciuta attenzione all'equità sociale per dare ai nostri figli un futuro concreto di dignità e di speranza".

Se il Presidente dell'Università Bocconi sente il bisogno di parlare di equità sociale significa che non è più possibile sottovalutare il tema della polarizzazione del reddito.

A quattro anni dal sorgere della crisi finanziaria, il dibattito ferve sulla distribuzione del reddito e della ricchezza. Si parla di società dell'1% - banchieri e CEO (fasso tutto mi) - e del rimanente 99% - tutti gli altri.

E' sotto gli occhi di tutti che qualcosa non funziona nella redistribuzione della ricchezza. Non solo in America, ma anche in Italia. Almeno in America la mobilità sociale intragenerazionale e generazionale esiste. In Italia le "robuste coalizioni distributive"  - copyright Mario Draghi - rendono la mobilità sociale molto difficile.

La causa delle cause della crisi dei Paesi Occidentali è la drammatica polarizzazione del reddito e della ricchezza.

I dati portati da Raghuram Rajan, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, parlano da soli. Nel suo splendido Fault lines (Princeton University Press, 2010), Rajan nell’introduzione – Rising Inequality and the push for housing credit – fornisce numeri tanto impressionanti quanto inconfutabili: “The top 1% of households accounted for only 8,9% of income in 1976, but this share grew to 23,5% of the total income generated in the United States in 2007. Put differently, of every dollar of real income growth that was generated between 1976 and 2007, 58 cents went to the top 1% of households. In 2007 the hedge fund manager John Paulson earned $3,7 billion, about 74.000 times the median household income in the United States.
 Since the 1980s, the wages of workers at the 90th percentile (i più agiati, ndr) of the wage distribution in the United States have grown much faster than the wage of the 50th percentile worker (the median worker)”.

Le cause di questo cambiamento drastico nella distribuzione della ricchezza? “Technological progress requires the labor force to have ever greater skills, the education system has been unable to provide enough of the labor force with the necessary education. A mind is a terrible thing to waste, and the United States is wasting too many of them... The every day consequence for the middle class is a stagnant paycheck as well as growing job insecurity”.

Stiglitz – premio Nobel per l’economia nel 2001 – in un’intervista ha detto: “Il Sogno americano non c’è più, è finito. Basta guardare al reddito di una famiglia media americana: quello del 2009 è inferiore a quello del 1997. Dunque gli americani stanno peggio rispetto a 12 anni fa. L’idea che questa fosse una terrà di opportunità per tutti, che si potesse passare dagli stracci alla ricchezza come nelle novelle di Horatio Alger, è evaporata”.

L'editorialista dell'FT Stephens ha scritto – “Angry America raises the barricades”: “Globalisation has been goog only for the few. It has enriched bankers and chief executives, but left the middle classes at once no better off today and more insecure about tomorrow

Qual è stata la risposta della politica alla “rising inequality”? Allargare e favorire la possibilità di indebitarsi, specialmente per i meno fortunati – low income households. Piovono illusioni. Beneficio immediato – più consumi e più lavoro – e le conseguenze a medio termine sono note a tutti dopo l’ultima crisi. Viva il credito facile, che bello potersi comprare una casa senza avere nè redditi, nè attività, nè lavoro! Ecco a voi dunque i mutui NINJA – no income, no asset, no jobs, erogati senza presentare alcun documento!

Rajan ci ricorda – smemorati che siamo! – che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Nei primi anni del secolo scorso, la deregulation e la rapida espansione del credito facile fu la risposta al successo del Populist Movement, sostenuto dagli agricoltori che vollero correre dietro i successi della prima classe industriale nascente: “Excessive rural credit was one of the important causes of bank failure during the Great Depression”.

Anche l’ultimo libro "Aftershock. The next economy and America’s Future" (tradotto anche in italiano, Fazi Editore, 2011) di Robert Reich – Ministro del Lavoro dell’Amministrazione Clinton e docente a Berkeley – è sulla stessa linea. L’uno per cento degli americani più ricchi negli anni Settanta contava per il 9% del reddito totale; nel 2007 la loro quota era salita al 23%, lo stesso valore del 1928. Mentre il reddito mediano è diminuito in termini reali negli ultimi 30 anni.

Conclusione: la maggior parte della popolazione americana è stata esclusa dalla distribuzione delle risorse generate negli ultimi 30 anni.

L’economista Marco Onado riassume felicemente così: “Come in una partita di poker in cui le fiches si concentrano nelle mani di pochi giocatori, gli altri potevano continuare a giocare solo a credito. Quando nessuno è stato più disposto a concederne, la partita è finita tragicamente”.

mercoledì 9 novembre 2011

Studiare duramente, unico antidoto alla povertà

Mio figlio Francesco l’altra sera mentre lo mettevo a letto, mi ha detto: “Papi, io ho paura di diventare povero”. E perchè hai questa paura, ho replicato? “Perchè ho visto un signore in metropolitana per terra, accucciato, che mi chiedeva dei soldi”.

Io allora per seminare un po’ di sano ottimismo e responsabilità ho risposto: “Chicco, se studierai nella vita, duramente e con costanza, non avrai problemi di reddito o di soldi, e potrai vivere anche più felice perchè i libri ti terranno compagnia”.

Avrei voluto citare Luigi Einaudi: "Conoscere per deliberare” era la massima del Governatore della Banca d’Italia e Presidente della Repubblica, colui che era solito dividere una pera con i commensali al Quirinale per paura di sprecare qualcosa – vedasi il post Luigi Einaudi, la corruzione e le pere indivise

Riccardo Faini
Mi è capitato di rileggere un intervento di Mario Draghi in ricordo dell’economista Riccardo Faini, prematuramente scomparso.
Draghi sostenne: “L’istruzione incrementa l’efficienza dei processi produttivi, particolarmente in fasi di rapido progresso tecnico. Come sottolineava Riccardo, un livello avanzato di conoscenze è essenziale per innovare e, attraverso l’imitazione, per sfruttare le opportunità tecnologiche che si rendono disponibili. La diffusione delle idee e il miglioramento delle prospettive di remunerazione danno ulteriore impulso al progresso tecnico e agli investimenti in istruzione. Ma l’impatto del sistema di istruzione sull’economia non si limita al contesto produttivo; è essenziale per la condivisione delle regole civili che innervano la nostra società. L’istruzione accresce la mobilità sociale, si associa a migliori condizioni di salute, aumenta la speranza di vita”.

Draghi chiuse così nel settembre 2007 il suo intervento: “Riccardo ha offerto pensiero e vita alla politica economica nel nostro paese. Ha illuminato le complessità del reale, ha combattuto la pigrizia culturale, ha espresso con passione e franchezza le sue opinioni. Di questi esempi l’Italia ha ancora bisogno”.

Riprendo l'opinione di Craig Barrett, presidente di Intel, tratta da Il mondo è piatto (Thomas L. Friedman Mondadori, 2006): "Il tenore di vita è collegato con il valore aggiunto medio della tua forza lavoro e questo è legato al suo livello medio d'istruzione. Se il livello di istruzione della tua forza lavoro si riduce in rapporto a quello della concorrenza, si riduce  anche il tuo tenore di vita".

Thomas L. Friedman nel suo fantastico libro spiega chiaramente come la mediocrità professionale non è mai stata un vantaggio, ma in un mondo protetto da mura si poteva guadagnare uno stipendio decente anche se si era dei mediocri.

Parafrasando Friedman, dico a miei studenti: "Ragazzi, finite i vostri compiti, approfondite, non surfate su google e basta. Date seguito alla vostra curiosità e al desiderio di sapere, perchè in Cina e India la gente è affamata dei vostri posti di lavoro".

Per tranquillizzare Francesco ho ripescato un antico proverbio cinese: "Chi si alza prima dell'alba trecentosessantacinque giorni l'anno non mancherà di arricchire la sua famiglia". Stasera, quando lo metto a letto, glielo dirò. Speriamo non venga poi a svegliarmi all'alba.

lunedì 7 novembre 2011

Come sarebbe l'Italia oggi se Mattei non fosse stato assassinato il 27 ottobre 1962? Giallo Mattei

La caduta dell'aereo di Mattei
In tempi così tristi e senza apparente futuro, prendiamo ispirazione dal Foscolo - A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti (I Sepolcri) - e guardiamo ai migliori italiani.

Settimana scorsa abbiamo ripercorso la figura di Mattei, imprenditore pubblico di grandezza infinita. In qualità di commissario liquidatore dell'Agip riuscì a convincere Alcide De Gasperi della necessità - per l'industrializzazione dell'Italia - di indipendenza e autonomia energetica.
Mattei può quindi essere considerato il fondatore dell'ENI, che così lo ricorda: "Nel 1906 nasceva Enrico Mattei, figura centrale nella storia del sistema industriale nazionale e internazionale. Passione, visione strategica, innovazione: gli ideali che Enrico Mattei ha trasmesso a Eni hanno portato la Società a crescere fino a diventare la sesta compagnia petrolifera mondiale".

Nel 1991 il giornalista Mario Pirani - collaboratore di Mattei in Nord Africa nei primi anni Sessanta - scrisse un interessante saggio: Tre appuntamenti mancati dell'industria italiana (Il Mulino, nov-dic 1991). La conclusione era la seguente: "La sorte avversa di tre personalità di grande preveggenza - Enrico Mattei, Felice Ippolito e Roberto Olivetti - finì per determinare uno sviluppo dell'economia italiana qualitativamente diverso da quello che avrebbe potuto essere se le intuizioni maturate a cavallo degli anni Sessanta non fossero state volutamente respinte".

Approfondiamo quindi il mistero della morte di Enrico Mattei.

La prima inchiesta sulla morte di Enrico Mattei - avvenuta il 27 ottobre 1962 - venne chiusa a Pavia nel 1967 e ritenne accidentale il disastro di Bascapè. Nel 1994 – a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Iannì – vennero riaperte le indagini. Il successivo rinvio a giudizio, nel gennaio 1998, ha stabilito inequivocabilmente che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, Irnerio Bertuzzi (pilota) e William Mc Hale (giornalista, ospite di Mattei), venne dolosamente abbattuto.

I resti dell'aereo di Mattei a Bascapè
Venne utilizzata una limitata carica esplosiva. Nelle parole del pm Calia: “...di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-Snap (“I” stava per Italia, “Sna” per “Snam”, e “P” per presidente) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva verificatasi all’interno del velivolo, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. “Tale carica esplosiva, equivalente a cento grammi di “Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Mattei”.

Diversi storici hanno escluso un attentato da parte della CIA (tra i possibili mandanti dell'omicidio) poichè Mattei era alla vigilia di un viaggio negli Stati Uniti dove avrebbe dovuto tenere una lecture a Harvard University, e incontrare alla Casa Bianca il Presidente J.F. Kennedy. Era in via di definizione un accordo con una delle Sette sorelle – la Esso – che avrebbe anticipato un periodo di appeasement petrolifero.

Noi siamo dell’idea che l’aereo di Mattei – come dalla prima testimonianza dell’agricoltore Mario Ronchi (raccolta dal giornalista RAI Bruno Ambrosi, e successivamente "silenziata") – sia esploso in volo: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno...l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo...sui prati, sotto l’acqua”. Anni dopo si è acquisita la testimonianza di un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”.

Mattei davanti al suo aereo
Inoltre ci sono altri elementi che inducono a pensare a uno scoppio in quota:

1. lo sparpagliamento dei resti dell'aereo in un diametro di un chilometro;
2. la scarsa profondità (“circa un metro”) della buca nel punto di impatto dell’aereo;
3. la mancanza di tracce di incendio sui tronchi d’albero intorno alla zona dell’impatto, che si rivela dalle fotografie scattate subito dopo l’incidente. Così le risultanze dei carabinieri di Landriano: “Qua e là si rinvenivano resti umani per un raggio di circa un chilometro...gli alberi non presentavano segni di rottura o altra forma di violenza prodotta dalla velocità dell’aereo”.

Invito tutti i lettori – ma soprattutto i miei studenti - a vedere il magnifico film di Francesco Rosi – Il caso Mattei (1973), con una magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè.

GM Volontè (Mattei) a Gagliano
Io – quando rivedo Mattei in Sicilia (Gagliano, Enna), poche ore prima della tragedia, che parla dell’avvenire industriale siciliano – mi emoziono ancora: “Con le riserve che saranno accertate, una grande ricchezza è a disposizione della Sicilia. Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Noi non portiamo via il metano, il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere”.

Questi risultati, che aprono un grande avvenire al nostro paese, sono il frutto di un lavoro tenace, duro, e spesso fra l’incomprensione e la sfiducia dei più” (Enrico Mattei, 19 giugno 1949)

Abbiamo cominciato in un’atmosfera di ostilità. Negli idrocarburi italiani non credeva nessuno; avevamo l’ostilità del governo e dell’iniziativa privata: questa è la verità. Io non voglio contrapporre l’iniziativa dello stato e l’iniziativa privata: io credo soltanto nell’iniziativa senza aggettivi, nell’iniziativa di tutti. E’ l’iniziativa che crea ricchezza, che aumenta il reddito, che apre nuovi posti di lavoro, che stimola il benessere di tutto il paese” (Enrico Mattei, 26 ottobre 1949)

Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita” (Amintore Fanfani, 1987).

Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei...Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco “Cicchiteddu” e da Salvatore La Barbera...Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perchè con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente...Di Cristina procurò l’accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei a caccia. L’aereo di quest’ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia” (Tommaso Buscetta in Addio Cosa Nostra, Pino Arlacchi, Rizzoli, 1994)

L’ENI era una “banda” formata da un solo uomo...Per questa ragione, era possibile liquidare una politica liquidando Mattei” (Giorgio Galli, La regia occulta, Tropea, 1996)

Alla morte di Mattei dietro all’apparenza del dolore e del ricordo collettivo aleggiava all’interno del governo, nei circoli politici e soprattutto in quelli commerciali, un’atmosfera di sollievo”, (Foreign Office britannico, 1963)

Senza di lui, tutto sarebbe stato diverso...La mia delusione nasceva dalla convinzione che fosse giusta la previsione di Mattei sulla ineluttabilità, non troppo lontana, della fine dell’epoca caratterizzata dal basso prezzo del greggio – allora tra 1,70 e 2,20 dollari al barile – manovrato dalle Sette sorelle...Tutta la politica dell’ENI veniva ribaltata, la rete di alleanze, di simpatie, di credito che ci eravamo conquistati in tutto il Terzo Mondo era non solo stracciata, ma platealmente sconfessata (dal successore di Mattei, Eugenio Cefis, ndr). Ci allineavamo in posizione subalterna alle Sette Sorelle...Eppure, la crisi sarebbe scoppiata di lì a pochissimo, in coda alla guerra del Kippur, nell’ottobre del 1973, quando i paesi dell’Opec decisero l’interruzione degli approvvigionamenti petroliferi ai paesi consumatori, con conseguente, vertiginoso aumento dei prezzi che in un anno lievitarono di quattro volte, da 3 a 12 dollari il barile, per toccare nel 1979, con la seconda crisi petrolifera, susseguente alla rivoluzione khomeinista in Iran, i 35 dollari, e inevitabile spostamento di enormi flussi finanziari dai paesi consumatori ai paesi produttori” (Mario Pirani, collaboratore di Mattei, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010)

Avevo assistito alla stagione della sua (dell’ENI, ndr) decadenza e al coinvolgimento nel sistema corruttivo della politica italiana, con un rovesciamento della strategia di Mattei quando i partiti venivano finanziati per impedire che varcassero i cancelli del grande gruppo pubblico. E così avveniva. Poi prevalse il contrario, i partiti sfrondarono le difese, si spartirono posti e soldi, gli scandali dilagarono fino alla maxitangente Petronim e all’affare Enimont. Pensavo che il Gruppo ENI non ne sarebbe più uscito. E invece no. Quasi come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, l’ENI, nelle sue ultime gestioni, non solo è tornata a crescere, ma si è affermata come l’unica grande multinazionale italiana rimasta sul proscenio, vitale e attiva. Sono convinto che, senza quelle radici gettate da Mattei più di mezzo secolo fa, rimaste per tanto tempo sotto traccia ma mai sradicate del tutto, tale recupero non avrebbe goduto i vantaggi di quella “continuità storica” che fa parte del pedigree di alcuni grandi gruppi internazionali (Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010).

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010

mercoledì 2 novembre 2011

Le ragioni dell'antipatico Bini Smaghi

Lorenzo Bini Smaghi
Sono giorni convulsi sui mercati finanziari. La infausta decisione del premier greco Papandreu di indire un referendum nel prossimo gennaio al fini di condividere le misure di austerità con l'opposizione ha accelerato la crisi in atto. Non è una crisi dell'euro, che si dimostra fortissimo, ma dell'Eurozona.

Anche ieri la Banca Centrale Europea - che battesimo di fuoco per Mario Draghi - ha proseguito negli acquisti di titoli di Stato italiani all'interno del Securities Market Program (SMP) al fine di mitigare il rialzo dei rendimenti sulla parte lunga della curva. Lo spread BTP-Bund - di cui abbiamo scritto ampiamente vedasi post . Gli analisti stimano che senza gli acquisti da parte della BCE, lo spread sarebbe oltre i 500 punti base (alias 5%).

Visto che il ruolo della banca centrale europea è in discussione nella misura in cui si occupa anche della stabilità finanziaria - non previsto nello Statuto - e non solo della stabilità dei prezzi, esuliamo dalla stretta attualità e analizziamo la baruffa chiozzotta della presenza di due italiani nel comitato esecutivo della BCE. Per approfondimenti sulla stabilità finanziaria si rinvia a Guido Tabellini, che è intervenuto di recente sul Sole 24 Ore.

Nelle ultime settimane il banchiere centrale italiano Lorenzo Bini Smaghi – membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea – è stato oggetto di pressioni affinchè si dimettesse al più presto dalla carica.

Il 27 ottobre scorso il premier Silvio Berlusconi al telefono in diretta con Bruno Vespa “A porta a porta” ha lanciato un appello pubblico a Bini Smaghi invitandolo a lasciare: “Non so se la televisione sia il mezzo migliore per far passare il messaggio, ma bisogna rispettare gli impegni”.

Il motivo della richiesta sta nella nomina di Mario Draghi a Presidente della Banca Centrale Europea. I francesi infatti hanno perso nel board un loro connazionale a vantaggio dell’Italia che da ieri 1° novembre ha due membri – Draghi e Bini Smaghi – nel comitato esecutivo.

Gli altri membri del Comitato Esecutivo sono:

- Un portoghese Vitor Costancio;
- Uno spagnolo, José Manuel Gonzales-Pàramo;
- un tedesco, Juergen Stark
- un belga, Peter Praet

Questo discorso delle nazionalità non ha senso, poichè i membri del comitato esecutivo della banca sono membri della Banca centrale Europea, non rappresentano i singoli stati nazionali (che sono 17, e quindi non possono essere accontentati tutti con un board di 6 membri). Se si analizza la procedura di nomina, si comprendono le ragioni di Bini Smaghi.

Mario Draghi
Premettiamo che il mandato dei membri del comitato esecutivo è di otto anni e non è rinnovabile. Essendo stato nominato nel giugno 2005, il mandato di Bini Smaghi scade il 31 maggio 2013.

I membri del comitato esecutivo sono nominati in base ad una raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea e previa consultazione del Parlamento europeo e del consiglio dei governatori della BCE. L’art. 109 del Regolamento del Parlamento Europeo regola la nomina dei membri della BCE e prevede:

1. Il candidato proposto alla carica di membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea è invitato a fare una dichiarazione dinanzi alla commissione parlamentare competente e a rispondere alle domande rivolte dai deputati.

2. La commissione competente trasmette al Parlamento una raccomandazione sull'opportunità di approvare la candidatura proposta.

3. La votazione si svolge entro due mesi dalla ricezione della proposta.

4. Se il Parlamento esprime parere negativo, il Presidente chiede al Consiglio di ritirare la sua proposta e di presentarne una nuova al Parlamento.

Come si può apprezzare, il Paese proponente indica al Consiglio Europeo il proprio candidato, ma è poi il Parlamento Europeo a dare il proprio imprimatur alla nomina, che diventa quindi avulsa dal contesto nazionale.

Berlusconi in passato ha spiegato che la richiesta all'esponente italiano di dimettersi dal board dell'Eurotower si rende necessaria in quanto ''per ottenere dalla Francia l'assenso alla candidatura di Mario Draghi ci deve essere nella Bce la presenza di un francese. E questo potrebbe realizzarsi – ha rilevato il premier - con le dimissioni di Bini Smaghi dal board della Banca”

Bini Smaghi, dal canto suo, ha parlato sul mandato dei componenti del comitato esecutivo dell'istituto con sede a Francoforte sottolineando che l'indipendenza della Banca centrale europea e' garantita tra l'altro dalla ''indipendenza personale'' dei suoi membri che ''garantisce la permanenza in carica dei membri degli organi decisionali per tutto il periodo prestabilito dalla nomina e tutela contro la revoca arbitraria''.

I francesi – forti della promessa di Berlusconi - con la nota veemenza del Presidente Sarkozy, insistono per le dimissioni di Bini Smaghi. Ma non hanno alcuna ragione dalla loro parte se osserviamo la procedura di nomina.

Jean-Claude Trichet
Inoltre esiste un precedente. Nel 2003, una volta che Jean-Claude Trichet fu nominato Presidente della BCE succedendo all’olandese Duisenberg , il francese Christophe Noyer si dimise anzitempo dal comitato – che rimase senza francesi per sei mesi – forte della staffetta favorevole ai francesi.

Un’ultima nota. Una fonte confidenziale ci ha rivelato che poco prima di salire al Quirinale per indicare a Napolitano il futuro Governatore della Banca d’Italia, Berlusconi ha telefonato a Bini Smaghi dicendogli che avrebbe fatto il suo nome. Come sappiamo, il prescelto è stato Ignazio Visco – vedasi post Onore a Saccomanni e Visco, civil servant si assoluto valore

Bini Smaghi apparirà pure antipatico e poco propenso - agli occhi degli italiani - a mollare la cadrega, ma le ragioni stanno dalla sua parte.