venerdì 29 ottobre 2010

La Cina non è Oriente, è Occidente avanzato

Shanghai
La Cina è diventato il secondo Paese al mondo a livello di Prodotto Interno Lordo, superando il Giappone, passato terzo in classifica. Gli Stati Uniti permangono in testa.

Peraltro il PIL pro-capite cinese – dati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale – è nell’intorno di 6.800 dollari, ben al di sotto delle potenze industriali occidentali, ma in forte crescita.

L’economista Raghuram Rajan – ex capo economista del FMI – ci ha spiegato nel suo ultimo libro – Fault lines. How hidden fractures still threaten the world economy (Princeton University Press, 2010) - che molte nazioni oggi sono ricche perchè hanno avuto una crescita stabile nel tempo, non perchè sono cresciuti particolarmente veloce.

Gli Stati Uniti dal 1820 al 1870 sono cresciuti in media dell’1,3%. Il Giappone - che nel 1850 aveva un PIL pro-capite inferiore a quello del Messico – tra il 1950 e il 1973 ha vissuto una crescita del PIL pro-capite di circa l’8% medio annuo: “No country has grown as fast as Japan did between 1950 and 1973".
Bene. La Cina sta superando le performance del Giappone. E' l'unico caso di Paese che cresce in modo stabile con alti tassi di crescita.

Se facciamo una proiezione dei dati del 2009 a dieci anni – con una crescita media dell’8% - vediamo che nel 2020 il PIL pro-capite cinese sarà pari a 15.855$ (2,3 volte quello del 2009), livello attuale del Portogallo.
Statene certi! Se la Cina si fissa degli obiettivi, li rispetta. Un esempio? Nel lontano 2001 la Cina dichiarò che all’EXPO di Shanghai del 2010 avrebbe superato i 70 milioni di visitatori. Così il Sole 24 Ore http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-10-25/lexpo-shanghai-supera-tutti-113635.shtml?uuid=AYD7TzdC del 25 ottobre: “Il biglietto con il numero 70 seguito da sei zeri è stato staccato alle 10.17 di ieri mattina. Il target di 70 milioni di visitatori per il Shanghai World Expo 2010 è stato raggiunto nell'ultima settimana, quella precedente ai sei mesi dall'apertura. Nella sola giornata di domenica i vistiatori sono stati 727.600. La maggior parte di nazionalità cinese”.

Juan ed Evita Peròn
Non è sempre così. Un esempio negativo? L’Argentina. Così l'economista d'impresa Marco Vitale nel 1991 http://www.marcovitale.it/articoli/1991/clubISTUD_29011991.pdf : “E se vogliamo stare sul leggero il colonnello Juan Peròn quando nel 1943 fu nominato ministro del lavoro era giovane, bello, aveva una bellissima voce, una grande abilità oratoria, era campione di sci e di scherma, era uno pseudointellettuale, era forte e impetuoso, aveva, insomma, un enorme carisma personale. Ma allora l’Argentina era uno dei paesi più ricchi del mondo, con 1500 milioni di dollari e sterline di riserve. Era la grande speranza, il Canada dell’America Latina. In poco più di dieci anni il peronismo ridusse l’Argenitna a pezzi, condannandola, sembra definitivamente all’arretratezza economica, sociale e politica”. Aggiungiamo a titolo ironico che vista l'inefficienza cronica di Telecom Argentina, alcune imprese assumevano persone "whose sole job was to hold a telephone handset for hours on end until thay heard a dial tone" (Rajan, p. 54).


Confrontandomi durante il mio viaggio a Shanghai con alcuni esponenti della business comunity, tutti mi hanno confermato che la classe dirigente cinese è di primissimo ordine. Il nepotismo? Se esiste è solo per i ruoli inferiori e non determinanti. Niente impedisce a un governo statale di distribuire favori ad amici o parenti incompetenti, ma in Cina siamo su un altro pianeta. La meritocrazia impera.

Zhou Xiaochuan, banchiere centrale cinese
Prendiamo il Governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan. "He is one of the most influential economic figures in the world and was ranked 9th by Foreign Policy in the Top 100 Global Thinkers report. He is generally considered the most academically capable of the current Chinese leadership, being praised for his intellect and diplomacy. He has been called "China's most able technocrat" and is the only highly-ranked Chinese politician to have been published in a Western academic journal. Although he has yet to reach the highest rungs of decisionmaking within the State Council, he is considered a strong and vocal advocate of further liberalization in the financial sector. He has increasingly displayed an openness to the press - rare for a senior Chinese official - and is most famous for the motto: "If the market can solve the problem, let the market do it. I am just a referee. I am neither a sportsman nor a coach."(Wikipedia)

Shanghai non è Oriente. E’ Occidente avanzato. Arrivati a Shanghai non si vive alcuno shock culturale. Solo la sensazione di una macchina oliata e perfetta in forte avanzamento.

Senofonte
Sempre Vitale puntualizza che nell’Economico di Senofonte, Socrate attribuiva grande importanza alla capacità di comando: “Comandare a gente che obbedisca volentieri è cosa che pare divina”. Ecco, in Cina la gente obbedisce volentieri. Senza nessun dubbio. Non siamo certo all’anarchia italica. Tutti vanno nella stessa direzione. E se lo fanno 1 miliardo e quattrocento milioni di persone, i risultati sono sotto i nostri occhi.

giovedì 28 ottobre 2010

Giallo Mattei

Enrico Mattei davanti al suo aereo
 

Abbiamo ripercorso ieri http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/10/enrico-mattei-imprenditore-formidabile.html la figura di Mattei, imprenditore pubblico di grandezza infinita.
Oggi ci focalizziamo sul mistero della sua morte.


La prima inchiesta sulla morte di Enrico Mattei il 27 ottobre 1962 venne chiusa a Pavia nel 1967 e ritenne accidentale il disastro di Bascapè. Nel 1994 – a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Iannì – vennero riaperte le indagini. Il successivo rinvio a giudizio, nel gennaio 1998, ha stabilito inequivocabilmente che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, Irnerio Bertuzzi (pilota) e William Mc Hale (giornalista, ospite di Mattei), venne dolosamente abbattuto.
I resti dell'aereo di Mattei a Bascapè
Venne utilizzata una limitata carica esplosiva. Nelle parole del pm Calia: “...di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-Snap (“I” stava per Italia, “Sna” per “Snam”, e “P” per presidente) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva verificatasi all’interno del velivolo, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. “Tale carica esplosiva, equivalente a cento grammi di “Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Mattei”.

Diversi storici hanno escluso un attentato da parte della CIA (tra i possibili mandanti dell'omicidio) poichè Mattei era alla vigilia di un viaggio negli Stati Uniti dove avrebbe dovuto tenere una lecture a Harvard University, e incontrare alla Casa Bianca il Presidente J.F. Kennedy. Era in via di definizione un accordo con una delle Sette sorelle – la Esso – che avrebbe anticipato un periodo di appeasement petrolifero.

Noi siamo dell’idea che l’aereo di Mattei – come dalla prima testimonianza dell’agricoltore Mario Ronchi (raccolta dal giornalista RAI Bruno Ambrosi, e successivamente "silenziata") – sia esploso in volo: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno...l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo...sui prati, sotto l’acqua”. Anni dopo si è acquisita la testimonianza di un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”.

Inoltre ci sono altri elementi che inducono a pensare a uno scoppio in quota:

1. lo sparpagliamento dei resti dell'aereo in un diametro di un chilometro;
2. la scarsa profondità (“circa un metro”) della buca nel punto di impatto dell’aereo;
3. la mancanza di tracce di incendio sui tronchi d’albero intorno alla zona dell’impatto, che si rivela dalle fotografie scattate subito dopo l’incidente. Così le risultanze dei carabinieri di Landriano: “Qua e là si rinvenivano resti umani per un raggio di circa un chilometro...gli alberi non presentavano segni di rottura o altra forma di violenza prodotta dalla velocità dell’aereo”.

Invito tutti i lettori – ma soprattutto i miei studenti - a vedere il magnifico film di Francesco Rosi – Il caso Mattei (1973), con una magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè.

Enrico Mattei (G.M. Volontè) a Gagliano
Io – quando rivedo Mattei in Sicilia (Gagliano, Enna), poche ore prima della tragedia, che parla dell’avvenire industriale siciliano – mi emoziono ancora: “Con le riserve che saranno accertate, una grande ricchezza è a disposizione della Sicilia. Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Noi non portiamo via il metano, il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere”.

Questi risultati, che aprono un grande avvenire al nostro paese, sono il frutto di un lavoro tenace, duro, e spesso fra l’incomprensione e la sfiducia dei più” (Enrico Mattei, 19 giugno 1949)

Abbiamo cominciato in un’atmosfera di ostilità. Negli idrocarburi italiani non credeva nessuno; avevamo l’ostilità del governo e dell’iniziativa privata: questa è la verità. Io non voglio contrapporre l’iniziativa dello stato e l’iniziativa privata: io credo soltanto nell’iniziativa senza aggettivi, nell’iniziativa di tutti. E’ l’iniziativa che crea ricchezza, che aumenta il reddito, che apre nuovi posti di lavoro, che stimola il benessere di tutto il paese” (Enrico Mattei, 26 ottobre 1949)

Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita” (Amintore Fanfani, 1987).

Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei...Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco “Cicchiteddu” e da Salvatore La Barbera...Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perchè con la sua politica avava danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente...Di Cristina procurò l’accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei a caccia. L’aereo di quest’ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia” (Tommaso Buscetta in Addio Cosa Nostra, Pino Arlacchi, Rizzoli, 1994)

L’ENI era una “banda” formata da un solo uomo...Per questa ragione, era possibile liquidare una politica liquidando Mattei” (Giorgio Galli, La regia occulta, Tropea, 1996)

Alla morte di Mattei dietro all’apparenza del dolore e del ricordo collettivo aleggiava all’interno del governo, nei circoli politici e soprattuto in quelli commerciali, un’atmosfera di sollievo”, (Foreign Office britannico, 1963)

Senza di lui, tutto sarebbe stato diverso...La mia delusione nasceva dalla convinzione che fosse giusta la previsione di Mattei sulla ineluttabilità, nont roppo lontana, della fine dell’epoca caratterizzata dal basso prezzo del greggio – allora tra 1,70 e 2,20 dollari al barile – manovrato dalle Sette sorelle...Tutta la politica dell’ENI veniva ribaltata, la rete di alleanze, di simpatie, di credito che ci eravamo conquistati in tutto il Terzo Mondo era non solo stracciata, ma platealmente sconfessata (dal successore di Mattei, Eugenio Cefis, ndr). Ci allineavamo in posizione subalterna alle Sette Sorelle...Eppure, la crisi sarebbe scoppiata di lì a pochissimo, in coda alla guerra del Kippur, nell’ottobre del 1973, quando i paesi dell’Opec decisero l’interruzione degli approvvigionamenti petroliferi ai paesi consumatori, con conseguente, vertiginoso aumento dei prezzi che in un anno lievitarono di quattro volte, da 3 a 12 dollari il barile,per toccare nel 1979, con la seconda crisi petrolifera, susseguente alla rivoluzione khomeinista in Iran, i 35 dollari, e inevitabile spostamento di enormi flussi finanziari dai paesi consumatori ai paesi produttori” (Mario Pirani, collaboratore di Mattei, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010)

Avevo assistito alla stagione della sua (dell’ENI, ndr) decadenza e al coinvolgimento nel sistema corruttivo della politica italiana, con un rovesciamento della strategia di Mattei quando i partiti venivano finanziati per impedire che varcassero i cancelli del grande gruppo pubblico. E così avveniva. Poi prevalse il contrario, i partiti sfrondarono le difese, si spartirono posti e soldi, gli scandali dilagarono fino alla maxitangente Petronim e all’affare Enimont. Pensavo che il Gruppo ENI non ne sarebbe più uscito. E invece no. Quasi come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, l’ENI, nelle sue ultime gestioni, non solo è tornata a crescere, ma si è affermata come l’unica grande multinazionale italiana rimasta sul proscenio, vitale e attiva. Sono convinto che, senza quelle radici gettate da Mattei più di mezzo secolo fa, rimaste per tanto tempo sotto traccia ma mai sradicate del tutto, tale recupero non avrebbe goduto i vantaggi di quella “continuità storica” che fa parte del pedigree di alcuni grandi gruppi internazionali (Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010).

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010

mercoledì 27 ottobre 2010

Enrico Mattei, imprenditore formidabile

Enrico Mattei
Il 27 ottobre 1962, alle ore 19 circa, l’aereo di Enrico Mattei proveniente da Catania e diretto a Milano, un Morane Saulnier, cade nei cieli di Bascapè, località Albaredo, vicino Pavia, in procinto di atterrare a Linate.

Muore un protagonista assoluto del prodigioso sviluppo economico dell’Italia del dopoguerra. “Con la morte di Mattei l’Italia, e forse l’Europa, ha perso una delle personalità più eccezionali degli anni del dopoguerra” (The Guardian, 1962).
Enrico Mattei influenzò più di qualunque altro il continuo boom del dopoguerra, conosciuto come il "miracolo economico italiano (Time, 1962).

L’Italia nel 1945 era in condizioni talmente disastrate da far supporre una sua dipendenza economica di lunga durata, e forse irreversibile. Si stimava nel 1945 che il reddito pro-capite fosse inferiore ai livelli del 1861.
In questa situazione era entrato in scena Enrico Mattei, nominato dal Comitato di liberazione nazionale per l’alta Italia (Clnai) commissario straordinario dell’AGIP (Azienda Italiana Generale Petroli). Il cruccio di Mattei divenne ben presto quello di elevare l'Italia al rango di potenza petrolifera.

Per contrastare Mattei, venne attuata dalla lobby petrolifera statunitense una azione molto decisa sul Governo Italiano al fine di fermare le ricerche dell’AGIP. L’AGIP effettivamente non riuscirà a ottenere alcun finanziamento dello European Recovery Program (ERP, alias Piano Marshall) per l’acquisto delle proprie attrezzature.

Il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni voleva che Mattei potenziasse l’AGIP, allargasse la sua attività, la rendesse forte abbastanza da combattere ad armi pari con le società americane, perchè doveva divenire il nucleo centrale di una vasta economia statale.

Con l’appoggio fondamentale di Vanoni e del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi – inizialmente propenso a smantellare l’AGIP - Mattei riuscì a creare le condizioni per l’approvazione in Parlamento della legge che avrebbe istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).

Enrico Mattei
Mattei intuì le potenzialità enormi del settore petrolifero, e aprì la strada per realizzarle a vantaggio del nostro paese. L’energia metanifera per la ricostruzione, la modernizzazione, la competitività dell’industria italiana, è venuta dall’ENI. Mentre con la politica di reperimento delle fonti petrolifere all’estero, Mattei ha reso l’Italia autonoma – rispetto alle grandi potenze – nell’approvvigionamento energetico.

Mattei rivendica condizioni di non discriminazione, di parità, di sviluppo non condizionato da interessi stranieri.

L’ENI ha promosso e gestito la politica energetica del nostro paese per più di quarant’anni, consentendo all’Italia di essere presente nelle grandi trattative internazionali per il petrolio. Lo sviluppo economico italiano deve molto all’ENI.
La grande intuizione di Enrico Mattei fu disegnare uno scenario futuro dove i paesi arabi – nel quadro del grande movimento di decolonizzazione - avrebbero esautorato le “Sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero e messo sotto il loro diretto controllo le riserve di oro nero. Come ci racconta Mario Pirani “La previsione di una rottura del cartello petrolifero spinse Mattei alla ricerca di uno spazio autonomo non condizionato dall’egemonia dell’oligopolio internazionale, all’offerta di un rapporto diretto coi paesi di nuova indipendenza, attraverso la definizione di contratti di “partnership” con i loro governi al perseguimento della diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’Italia”.

Le Sette sorelle erano: Standard Oil Company of New Jersey (Exxon), Socony-Vacuum Oil (Mobil), Standard Oil Company of California (SOCAL), la Texas Oil Company (Texaco), la Gulf Oil Corporation, la Royal Dutch Shell Oil Company, la Anglo-Iranian Oil Company (AIOC, successivamente British Petroleum).

I successori di Mattei non capirono che dietro il sogno matteiano vi era una illuminante e realistica previsione della crisi petrolifera, destinata a esplodere di lì a poco tempo e che giustificava impegni finanziari, investimenti, un sistema di alleanze, al fine di attenuare l’impatto negativo sull’Italia, la più esposta alla dipendenza energetica.

Eugenio Cefis
Eugenio Cefis – a cui furono dati i poteri esecutivi alla morte di Mattei - trasformò l’ENI in un “mercante” che opera dentro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali.

Con la sua scomparsa viene meno non solo un grande imprenditore pubblico, ma il soggetto propulsivo di una politica energetica dell’Italia. Non siamo il paese europeo con i costi energetici più cari? Tutto nasce dalla tragica caduta dell’aereo di Mattei il 27 ottobre 1962.

Abbiamo adottato un’impostazione nuova, perchè non ci piaceva lasciare operare nel nostro paese imprese esclusivamente straniere, rimanendo solo a guardare. Esse ci lasciavano margini ridicoli di guadagno nella raffinazione, che divenivano quasi nulli nella vendita. Tutto il proftto rimaneva alla produzione, con l’alto prezzo di vendita delpetrolio. Io ho già avuto modo di dichiarare che che oggi il prezzo del petrolio nel mondo arabo e in tutto il Medio Oriente è formato per un quinto dai costi di produzione, per due quinti dalle royalties spettanti ai paesi concessionari e per due quinti dagli utili delle grandi compagnie. Ed è su quest’ultima parte che noi non siamo d’accordo. Non siamo d’accordo perchè danneggia enormemente la nosra espansione, la nostra possibilità di sviluppo industriale”(Enrico Mattei, 1 luglio 1960)

Per questo facciamo assegnamento sui giovani, gli uomini di domani, che dovranno raccogliere la nostra bandiera ed andare avanti, nell’interesse del nostro paese: affinchè il nostro paese possa contare qualche cosa domani, poichè non c’è indipendenza politica se non c’è indipendenza economica.
Noi non possiamo seguitare a passare attraverso degli intermediari stranieri per rifornirci di una materia prima indispensabile: ci costa troppo caro; ce lo dicono i nostri economisti (Mattei aveva come consigliere l’economista Giorgio Fuà, che sosteneva la necessità di un intervento dello stato nel controllo di energia per il superamento delle situazioni di squilibrio economico strutturale, ndr) e hanno ragione” (Enrico Mattei, 11 gennaio 1958)

In certe imprese Mattei sembra solo, come Bonatti su per la parete nord del Cervino”, Giuseppe Ratti (collaboratore di Mattei)

Enrico Mattei era un uomo secco e virile, nazionalista e populista, onesto e corruttore, uno che usava la politica per farsi largo, ma anche per fare, e fare bene, nella vita pubblica. Tipi così ne avevo conosciuti durante il fascismo, tipi così ce ne saranno sempre in Italia, della specie dei condottieri, amati e odiati, profondamene italiani, profondamente antitaliani. Nel ’45 Mattei aveva salvato dalla liquidazione l’industria petrolifera italiana e aiutato da uomini simili a lui, profondamente italiani, profondamente antitaliani, come Vanoni, De Gasperi, aveva creato l’ENI”. (Giorgio Bocca, Il Provinciale, Mondadori, 1991)

Enrico Mattei, il creatore fuorilegge della nostra industria dell’energia, piaceva poco ai nostri conservatori del “salotto buono”, ma solo perchè faceva per conto dello stato ciò che essi facevan per gli interessi loro. Tutti dominati dall’illibero arbitrio, dalla corsa dei topi (Giorgio Bocca, Il Sottosopra, Mondadori, 1994)

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010

martedì 19 ottobre 2010

La Cina cresce perchè pensa a lungo termine

La Cina cresce a un tasso annuo superiore all’8% da vent’anni. Ci si chiede come possa mantenere tassi così elevati di crescita per lungo tempo.

Io credo che la risposta vada cercata nella storia. La Cina è un Paese con tradizioni secolari, con dei valori forti, con un passato pieno denso di storia e filosofia.

Qualche dato:

1. il PIL della Cina ha raggiunto i 1.337 miliardi di dollari, superando il PIL giapponese e diventando la seconda economia del mondo;

2. il PIL nel secondo trimestre 2010 è cresciuto del 10,3% (e noi italiani siamo qui a trastullarci sullo zero virgola);

3. l’indice dei prezzi al consumo è al 3,5% in crescita dal 3,3% (e le minute pubblicate del meeting di settembre del Federal Open Market Committee della Banca centrale americana indicano la chiara volontà della FED di creare inflazione perchè i prezzi non crescono: “Participants noted a number of possible strategies for affecting short-term inflation expectations, including providing more detailed information about the rates of inflation the Committee considered consistent with its dual mandate, targeting a path for the price level rather than the rate of inflation, and targeting a path for the level of nominal GDP”;

Shanghai
4. la Cina ha due porti – Shanghai e Shenzhen – tra i quattro maggiori del mondo quanto al numero di container movimentati al giorno;

5. la cinese Suntech Power è la seconda società “solar power” al mondo;

6. in Cina sono presenti più di 900.000 milionari (in dollari), e il numero cresce ogni anno (come private banker, mi dovrei spostare immediatamente là!);

7. è il primo Paese al mondo dove il produttore di vino Chateau Margaux ha aperto i suoi uffici;

8. i turisti cinesi nel 2010 spenderanno in Giappone circa 6 miliardi di dollari, e si stima 60 miliardi entro 10 anni;

9. l’import di orologi svizzeri nel 2010 cresce del 49%;

10. la società quotate trattano a 13 volte gli utili del 2010, sotto la media storica a livello di p/e (price earning ratio);

11. le tre donne self-made più ricche del mondo sono cinesi e 11 delle 20 donne miliardarie nel mondo vengono dalla Cina http://www.economist.com/node/17248052?fsrc=scn%2Ffb%2Fwl%2Far%2Fselfmadewomen

Come sottolinea Jim O’Neill di Goldman Sachs, “China is at the core of a broader BRIC and N11 group which is going to create between them , between $ 10 -15 trillion Dollars worth of additional consumption this decade. As this happens, there will be plenty for all producers to benefit from, almost irrelevant of currency values”.

In Italia sembra sia scomparso il lungo termine. Tutti dico tutti stanno dando retta a Lord Keynes – in the long term we are all dead; siamo affetti da short-termismo acuto e siamo focalizzati sull’oggi, neanche sul domani o sul dopodomani. Siamo malati di presentismo.

Io credo che la Cina invece abbia un grande vantaggio competitivo e culturale. Ha in sè la cultura dei tempi lunghi e riesce a progettare su archi ventennali. E la dirigenza cinese è di alto livello. E’ intrisa di cultura millenaria. Segue diligentemente i precetti del Tao del filosofo Lao-Tze, V° secolo a.C.: “Il capo eccellente ottiene i risultati con pochissimo movimento, insegna non attraverso molte parole ma attraverso l’esempio. Si tiene informato di tutto. Ma non interferisce quasi per niente. La sua presenza assicura che le cose siano fatte meglio che se lui non ci fosse ma quando i suoi uomini hanno successo egli non se ne prende il merito e poichè non se ne prende il merito, il merito non lo abbandona mai”.

Henry Kissinger e Mao Zedong
E’ utile e divertente ricordare che quando Kissinger – Consigliere per la sicurezza nazionale dell’Amministrazione Nixon - visitò la Cina ai tempi di Mao nel 1972, il premier cinese Zhou Enlai diede proprio l’idea del lunghissimo termine. Quando Kissinger gli chiese la sua opinione sull’impatto della Rivoluzione Francese del 1789, Zhou ci pensò intensamente prima di dire: “La Rivoluzione Francese? E’ troppo presto per giudicare”.

Bene. Domani parto per Shanghai. Al mio ritorno il 27 ottobre vi racconterò le mie impressioni sulla Cina. Il blog si ferma per un meritato riposo.

lunedì 18 ottobre 2010

Forza Europa!

Non se ne può più delle continue critiche all’Europa. Mentre la crisi - partita dagli Stati Uniti – ha dimostrato la bontà del modello europeo di capitalismo ben temperato, i soliti soloni – the usual suspects – ci continuano a dire che dobbiamo seguire il modello americano.

Finalmente leggiamo il 9 ottobre 2010 un pensiero controcorrente di Gianfelice Rocca, Presidente del Gruppo Techint - Cina-Ue: più del cambio conta la tecnologia (Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2010).

Gianfelice Rocca
Subito Rocca sottolinea – visto che sui giornali si parla di guerra valutaria con il dollaro debole, l’euro forte (e la moneta cinese renmimbi che mantiene il peg con il dollaro, scontentando l’Occidente) che “Il cambio è un elemento rilevante ma ce ne sono altri. Concentrarsi su quello è un po’ come guardare solo la schiuma della birra, che non è la birra”.

Rocca prosegue: “L’Europa esce dalla crisi meglio di altri. Con il 21% del PIL mondiale contro il 20% degli Stati Uniti e il 13% della Cina. Con la bilancia commerciale in pareggio contro il profondo deficit americano. Con meno debito, 80% contro il 100 degli Usa e 200 del Giappone. Risparmio privato positivo. Con 174 grandi imprese contro le 139 americane e 21 nelle prime 50, contro le 20 degli Usa. Con livelli educativi nella media e una distribuzione dei redditi meno sbilanciata di quella di Stati Uniti e Cina”.

Secondo le ultime stime dei principali centri studi, la Germania nel 2010 dovrebbe segnare una crescita del PIL del 3,5%, il massimo da 20 anni.

Mi torna alla mente un libro di Tommaso Padoa- Schioppa, Europa, forza gentile (Il Mulino, 2001). Il banchiere centrale affronta il tema del “tentativo che da mezzo secolo l’Europa ha intrapreso per darsi unità e pace opponendo alla forza rozza delle armi e dell’istinto quella gentile del diritto e della civiltà...Si tratta proprio di forza, sostantivo polivalente che trae significato preciso da un aggettivo qualificativo o dall’intera frase; ma di forza gentile. Non violenza, ma fermezza; non potenza, ma destrezza”.

Da parecchi anni l’Europa procede da un Trattato all’altro: Lussemburgo 1986, Maastricht 1992, Amsterdan 1996, Nizza, 2000, Lisbona 2007. Vediamo con occhi obiettivi che la magnifica traiettoria ascendente tracciata da Lussemburgo e Maastricht si è quasi appiattita a Amsterdam, Nizza e Lisbona.

Bisogna andare avanti. L’Europa non si deve fermare. Deve proseguire nella strada della limitazione dei poteri sovrani. La velocità del mondo rendono urgenti il consolidamento istituzionale, la politica estera, la difesa, la revisione - con maggiore enforcement per i Paesi inadempienti - del Patto di stabilità e di crescita.

Per l’Italia è stata una manna la politica delle mani legate (copyright Giavazzi, Pagano). Solo con i lacci imposti dall’Europa siamo riusciti a sradicare molte debolezze nostrane.

Siamo in linea con la posizione di Rocca: “I problemi stanno nelle divergenze interne all’Unione, nel fatto che i vari sistemi nazionali hanno resistito alla crisi in modo asimmetrico”.

Questo la sintesi dell’ultimo Bollettino Economico (Ottobre, n. 62) di Banca d’Italia http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/bollec/2010/bolleco62/bollec62;internal&action=_setlanguage.action?LANGUAGE=it : “Nell’area dell’euro la crescita è diseguale tra paesi e tende a rallentare - I divari di crescita tra i maggiori paesi dell’area dell’euro tendono ad ampliarsi. Nel complesso dell’area il PIL è cresciuto dell’1 per cento nel secondo trimestre rispetto al primo (contro lo 0,2 del periodo precedente); l’accelerazione ha riflesso quella delle esportazioni e degli investimenti, mentre la dinamica dei consumi delle famiglie, benché positiva, è stata ancora frenata dall’incertezza delle prospettive sull’andamento dell’occupazione.
In Germania l’incremento del PIL è stato molto più deciso (2,2 per cento nel secondo trimestre); dal punto di minimo ciclico l’economia tedesca è finora complessivamente cresciuta del 4,2 per cento, circa tre punti più della media degli altri paesi dell’area; in Francia e in Italia il recupero è stato solo dell’1,9 e dell’1,3 per cento, rispettivamente. L’accresciuta capacità delle imprese tedesche di competere nei mercati più dinamici si è riflessa in una espansione delle loro vendite all’estero nettamente superiore a quelle degli altri paesi dell’area”.

Carlo Azeglio Ciampi, grande europeista (e ottimo nuotatore)
Non possiamo non chiudere che con l’opinione di Carlo Azeglio Ciampi, il nostro più grande europeista, che ci spiega cosa intende per zoppia: “Alla moneta unica non si è accompagnato un coordinamento della politica economica europea. Si è fatto l’eurogruppo, il gruppo dei Paesi dell’Unione Europea membri dell’Unione monetaria, e avanti come moneta l’euro. Ma l’eurogruppo non si è mai istituzionalizzato in maniera piena; non ha assunto poteri maggiori. All’interno dell’Ecofin, l’eurogruppo funziona come organo di consultazione; ma ripeto, non ha mai avuto poteri decisionali, a cui debbano adeguarsi tutti i paesi dell’euro” (Da Livorno al Quirinale, Il Mulino, 2010).

Solo completando il suo Risorgimento l’Europa potrà dare ordine a sé e promuovere il proprio modello oltre i propri confini.

venerdì 15 ottobre 2010

Ma quali Paesi Emergenti! Sono già belli che emersi!

La sede a Basilea della Banca dei Regolamenti Internazionali
In un suo recente speech, Stephen Cecchetti - Economic Adviser and Head of Monetary and Economic Department della Banca dei Regolamenti Internazionali - http://www.bis.org/speeches/sp100903.pdf  ha messo in rilievo come nei Paesi Emergenti la crisi non è mai esistita o quasi. Nelle sue parole: “Indeed, the patient efforts of many emerging countries, especially in this part of the world, to reform and strengthen their regulatory frameworks over the past decade are an important reason why the spillovers from the recent financial crisis in the US and Europe to these economies have been relatively mild. This is why my BIS colleagues in the Office for Asia and the Pacific have, from the beginning, corrected my terminology, insisting that I speak not about the global financial crisis, but about the international financial crisis. As they have said repeatedly, “There is no financial crisis out here”.

 Se ci mettiamo ad analizzare la tabella qui a fianco – tratta dal Financial Times, “A case not so much of agreeing to differ as just differing”, Martin Wolf, Special Report World Economy, FT, October 8 2010 – vediamo quale drammatico differenziale di crescita ci sia tra i Paesi Sviluppati e i Paesi Emergenti.

Mentre le economie dei Paesi Emergenti pesano oggi per il 30% del PIL mondiale, gli investitori di Stati Uniti, Europa e Giappone detengono solo tra il 2% e il 7% dei loro asset – 50.000 miliardi di dollari – nei Paesi Emergenti.

Attualmente le azioni presenti nel MSCI emerging markets scambiano a circa 13 volte gli utili previsti nel 2010 e 11 volte gli utili del 2011 (le azioni americane trattano a 14 volte gli earnings del 2010). In linea con la media a 5 anni. Non crediamo si possa parlare di una bolla.

In un intervento a Denver presso la National Association for Business Economics, l’economista Michael Spence, Premio Nobel per l’economia nel 2001, ha sostenuto che Brasile, Cina e India (i cosiddetti BRICs, acronimo che comprende anche la Russia) crescono di più degli Stati Uniti per i seguenti motivi:

1) Queste economie hanno imparato l’amara lezione della crisi 1997-98 che colpì più i paesi asiatici che le economie avanzate;

2) Sono in “a good initial position” con una leva finanziaria estremamente bassa, e quindi non stanno assistendo al deleveraging (riduzione della leva) statunitense;

3) Non hanno vissuto la diffusione e la proliferazione dei prodotti finanziari collateralizzati (Collateral Debt Obligation, alias CDO, mutui subprime cartolarizzati...);

4) Hanno costituito riserve di valuta estera ingenti.
Mercoledì sono stati pubblicati i dati del III° trimestre 2010 per la sola Cina, che ha aumentato le sue foreign exchange reserves di 194 miliardi di dollari (in tre mesi!), portandole a un totale di 2.650 miliardi di dollari.

5) Le loro banche centrali hanno risposto con velocità e agilità al credit tightening (razionamento del credito alle imprese);

6) Gli economic managers hanno dimostrato un livello elevato di competenza.

Alla domanda se si tratti di una crescita sostenibile, Spence ha risposto in modo affermativo, “I wouldn’t have said that 10 years ago

Ma quali Paesi Emergenti! Sono già belli che emersi!

giovedì 14 ottobre 2010

Il Banco Ambrosiano e la Banca d'Italia


Abbiamo visto in questi giorni come si sia comportato egregiamente Andreatta. E la Banca d’Italia - in questa vicenda del Banco Ambrosiano - come si comportò?

Gli ispettori della Banca d’Italia avevano messo sotto osservazione il Banco fin dal 1978, ma non si ebbe il coraggio di prendere provvedimenti drastici (consentiti dall‘art. 57 della legge bancaria).

Quando il presidente della Consob Guido Rossi – fortemente voluto da Andreatta - chiese il benestare alla Banca d’Italia per la quotazione d’ufficio dell’Ambrosiano in borsa - le cui azioni venivano scambiate sul mercato ristretto - Palazzo Koch diede l’autorizzazione senza alcuna riserva. Questo accadeva nel marzo-aprile 1982, quattro mesi prima che il Banco venisse dichiarato fallito.

Così Marco Vitale (http://www.marcovitale.it/ ) - con la consueta lungimiranza - nel giugno 1981 (un anno prima del del fallimento del Banco): “La domanda principale che l’opinione pubblica deve porre alla Banca d’Italia è se sia concepibile che una grande banca sia controllata da sospette società estere. Se la risposta è negativa, e io non ho il minimo dubbio che sia negativa, le domande successive sono due. Non ritiene la Banca d’Italia che il complesso delle situazioni e dei comportamenti emersi, congiuntamente ai gravi sospetti contenuti nello stesso rapporto degli ispettori sulla proprietà effettiva di tali società estere, costituiscano un caso di gravi irregolarità nell’amministrazione dell’azienda di credito ovvero un caso di violazione delle norme legali e statutarie che ne regolano l’attività, cioè uno dei casi che giustificano lo scioglimento degli organi amministrativi?….Altrimenti di crisi in crisi, di Sindona in Sindona (http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/09/michele-sindona-un-affarista-corrotto.html ), di Calvi in Calvi, questa agonia del paese non finirà più”.

Sempre Vitale il 21 agosto 1982 in un’intervista a Mazzuca disse: “Calvi appartiene a quel tipo di banchiere che utilizza i denari dei risparmiatori per comprarsi fette crescenti di potere…Io credo che nella Banca d‘Italia ci sia ormai nell‘area della vigilanza una struttura arcaica e obsoleta…Non intervenendo pubblicamente, ma soffocando tutto nell‘ingenua speranza di evitare “turbative“ la Banca d‘Italia finisce per permettere i più colossali saccheggi: banche Sindona, Italcasse, Banco Ambrosiano; i casi sono ormai troppi e troppo vicini per pensare che si tratti di fatti casuali”.

Mi piace chiudere questa storia con una risposta - a una interrogazione parlamentare - di Nino Andreatta l’8 ottobre 1982: “ E’ stato detto che la costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano è stata una decisione affrettata. La cronaca dimostra che c’è stato, invece, un processo approfondito di elaborazione, certo in tempi che le cose stesse rendevano stretti. Ma a torto è stata criticata la celerità con cui le soluzioni sono state prese. Le crisi finanziarie si alimentano e si ingrandiscono a valanga e quindi non servono le meditazioni del filosofo, ma la prontezza dell’uomo di azione, per impedirne l’effetto devastatore”.

Quanto è attuale il pensiero di Andreatta! Se pensiamo al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre 2008 e alle drammatiche e convulse giornate che si sono susseguite, comprendiamo con chiarezza che in certi contesti la prontezza degli interventi è decisiva.

Proprio settimana scorsa sono stati pubblicati i dati sul TARP - Trouble Asset Relief Program – approvato dal Congresso il 3 ottobre 2008 al termine della presidenza Bush.

Con un intervento stimato di 700 miliardi di dollari, il Tesoro Americano ha evitato una catastrofe. L’FT di settimana scorsa: “The banks recovered; the financial systems, thug impaired, continued to function; the value of distressed assets improved. The scheme would have been cheap at 10 times the price”.

Tante furono le critiche al TARP. Oggi emerge che il costo complessivo si è rivelato molto inferiore, pari a 29 miliardi di dollari. La prontezza evocata da Andreatta ha avuto la meglio.

P.S.: per approfondimenti si consiglia la lettura di:

Andreatta. Ministro del Tesoro, Salsano F., Il Mulino, 2009;
Vaticano S.p.A., Nuzzi G., Chiarelettere, 2009;
I Segreti del Vaticano, Augias C., Mondadori, 2010;
I banchieri di Dio, a cura di Mario Almerighi, Editori Riuniti, 2002;
Storia del Banco Ambrosiano. Fondazione, ascesa, dissesto 1896-1982, Bellavite Pellegrini C., Laterza, 2001;
Romanzo Criminale, De Cataldo G., Einaudi, 2002
La grande truffa, Raw C., Mondadori, 1993

mercoledì 13 ottobre 2010

Andreatta, lo IOR e il Banco Ambrosiano - Terza parte

Roberto Calvi
Sappiamo che in Italia i processi durano una vita. Anche nel caso Calvi, i processi si sono chiusi poco tempo fa e non si è ancora giunti in Cassazione.
In occasione dell’ultimo processo di primo grado, il pm dell‘accusa Luca Tescaroli ha sostenuto nel 2005: “Gli imputati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa Nostra e Camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni; conseguire l’impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini connessi all’impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello IOR, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro”.

Aggiungiamo che:

Roberto Calvi, assassinato sotto il Blackfriars Bridge
1) Calvi era debilitato fisicamente, un uomo in tali condizioni non poteva compiere acrobazie per impiccarsi sotto un ponte; il pm scrisse: “Sulla base degli esperimenti giudiziari espletati è “da escludersi che in seguito al percorso descritto non rimangano indelebili tracce di ruggine nelle mani, nelle scarpe e nei vestiti...che non potevano non venire a contatto – e ripetutamente – con i supporti metallici ossidati mediante uno strusciamento che avrebbe dovuto lasciare ben evidenti ed indelebili segni di ruggine e altre sostanze imbrattanti...”

2) Calvi era solito portare un copridita al dito indice della mano destra che “era solito sanguinare” a un semplice sfregamento su parete ruvida, ma in sede di esame autopico nulla è stato rilevato in proposito. Il Tribunale civile di Milano ha osservato che “le fasi di attraversamento dell’impalcatura e delle ipotizzate manovre di scivolamento a scopo suicidario dalla sbarre avrebbero provocato lesioni e abrasioni quantomeno all’indice della mano desra di Calvi che era stato leso a causa di un incidente domestico avvenuto nel 1969 con conseguente intervento di chirurgia plastica d’urgenza consistente nel chiudere, con tessuto cutaneo prelevato da altra parte del corpo, la ferita”.

Il 4 luglio 2010 una sentenza della Corte d’assise d’Appello di Roma – a 28 anni dall’omicidio di Calvi - conferma quella emessa in primo grado il 6 giugno 2007, dove secondo la Corte non fu dimostrata la colpevolezza degli imputati. Il rappresentante dell’accusa, Luca Tescaroli, aveva chiesto la condanna all’ergastolo dei tre imputati per l’omicidio dell’ex presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri.
L’accusa per Carboni e Calò, ex cassiere della mafia, e Diotallevi, già coinvolto in indagini sulla banda della Magliana era quella di aver organizzato la morte di Calvi, in concorso tra loro e con altri non ancora identificati, avvalendosi delle organizzazioni criminali di tipo mafioso «per punirlo di essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali». La sentenza, pur assolvendo gli imputati, conferma che Roberto Calvi è stato assassinato.

Torniamo ad analizzare il comportamento competente e rigoroso del Ministro del Tesoro.
Beniamino Andreatta
Andreatta, sempre nel suo intervento alla Camera il 2 luglio 1982, spiegò: “La storia delle banche ha presentato in passato gravi episodi di criminalità economica, che hanno indotto le autorità a rafforzare i controlli. Ogni volta le tecniche impiegate per aggirare le disposizioni degli ordinamenti sono divenute più sofisticate. La vicenda del Banco Ambrosiano rappresenta la più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione, verificatesi in un grande paese industriale in questi ultimi 40 anni. Essa è anche il frutto di una confusione dei poteri, di influenze, di ambiti, che ha caratterizzato taluni aspetti della vita italiana di questo decennio. Al fondo di questa vicenda c’è la solita miscela, che ha caratterizzato tutti gli altri scandali della storia bancaria italiana, fatta di scorrettezze amministrative, di familiarità politiche, di legami indecifrati”.

E’ significativo sottolineare che Andreatta non si diede per vinto e continuò a combattere per ottenere il dovuto dallo IOR, socio di fatto di Roberto Calvi.

Venne quindi costituita una Commissione mista Stato Italiano/Stato Vaticano. I tre commissari scelti dal Vaticano furono Pellegrino Capaldo, l’Avvocato Agostino Gambino (già difensore di Sindona http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/09/michele-sindona-un-affarista-corrotto.html , è stato chiamato nel luglio 2005 dal pessimo Governatore Fazio per contraddire il parere degli uffici interni di Bankitalia sfavorevole a Fiorani e alla Banca Popolare di Lodi, che non rispettava i requisiti patrimoniali di vigilanza in occasione della scalata a Banca Antonveneta) e Mons. Dardozzi, ascoltatissimo consigliere di Agostino Casaroli, il Segretario dello Stato del Vaticano.

Una volta che i tre commissari comunicano che la tesi minimalista sulle responsabilità vaticane non può passare, il cardinale Casaroli suggerisce una soluzione più ragionevole - rispetto alla convinzione di Marcinkus “Se non siamo colpevoli non dobbiamo pagare”. Il verbale della tesissima riunione recita: “Sua Eminenza il cardinale segretario di Stato ha osservato che il fondamentale obiettivo è di salvaguardare l’immagine della Santa Sede e ha espressso l’opinione che una composizione amichevole della vertenza appare indispensabile...Essendosi comunque verificato un dissesto produttivo di danni, a carico di soggetti terzi, in attività in cui lo IOR non è assente, motivi di ragionevolezza e di equanimità militano a favore di un intervento dell’Istituto”.

La partita debitoria dello IOR viene chiusa il 25 maggio 1984 a Ginevra. Lo IOR, pur proclamandosi estranea al dissesto, si dichiara disposta a versare un “contributo volontario“ di 242 milioni di euro al Banco Ambrosiano. E' un’implicita ammissione di correità. La mossa corretta, se veramente estranea, sarebbe stata quella di unirsi alle banche del comitato creditori.

martedì 12 ottobre 2010

Andreatta, lo IOR e il Banco Ambrosiano - Seconda parte

Il 2 luglio 1982 - lo stesso giorno il cui il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta rispondeva alla prima tornata di interrogazioni parlamentari - i tre commissari straordinari del Banco Ambrosiano si incontrarono con i rappresentanti dello IOR, ai quali chiesero il rimborso dei finanziamenti effettuati dal Gruppo Ambrosiano estero alle società patrocinate dallo IOR, ma i dirigenti vaticani rifiutarono ancora di riconoscere il debito, esibendo le lettere di manleva che lo stesso Calvi aveva consegnato a monsignor Marcinkus.

Il Banco Ambrosiano attraverso le sue consociate estere vantava una posizione creditoria nei confronti dello IOR, presieduto da Paul Marcinkus. Le consociate estere dovevano 748 milioni di dollari all’Ambrosiano S.p.A., 788 milioni di dollari alle banche dell’euromercato, 102 milioni di dollari ad altre consociate, il tutto per un valore di 1.633 milioni di dollari. Le consociate, a loro volta, dovevano avere dallo IOR e da sue patrocinate 1.159 milioni di dollari.

La situazione precipitò in seguito alla fuga di Calvi all’estero. I vertici del Banco furono costretti a chiedere il commissariamento e la Banca d’Italia ne assunse la gestione straordinaria.
Andreatta allora si incontrò con l’allora Governatore della Banca d’Italia Ciampi, e con alcuni esponenti del mondo bancario, i quali ritennero di non partecipare a una ricapitalizzazione del Banco, necessaria per evitare la messa in liquidazione.
Nei giorni successivi Andreatta esaminò gli aspetti giuridici e procedurali riguardanti le varie ipotesi. La soluzione più adatta divenne la cessione immediata di attività e passività a un nuovo organismo, che avrebbe ridotto il carico finanziario delle banche intervenenti e l’onere da ripianare.

Il 6 agosto il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) deliberò all’unanimità la liquidazione coatta amministrativa del Banco Ambrosiano. Lo stesso giorno Andreatta firmò il decreto di revoca dell’autorizzazione all’esercizio. Contestualmente fu sancita la nascita del Nuovo Banco Ambrosiano, con la partecipazione degli istituti che avevano contribuito durante la gestione straordinaria, la cui guida fu affidata a giurista Giovanni Bazoli.

Andreatta e Ciampi dovettero resistere a forti pressioni perché fosse evitato il fallimento del Banco Ambrosiano. La rilevanza dei rapporti intrattenuti da Calvi con importanti esponenti del mondo politico, dell’alta finanza, delle gerarchie ecclesiastiche, della loggia massonica P2 e della criminalità organizzata.

Ritengo opportuno ricordare che il 27 marzo 1982, il vicedirettore del Banco Ambrosiano Roberto Rosone fu gambizzato durante un agguato teso da membri della Banda della Magliana, dove perse la vita colpito a morte da una guardia giurata Danilo Abbruciati, detto Er Camaleonte, uno dei capi della Banda.

Il 18 giugno 1982 il presidente del Banco Ambrosiano venne trovato morto a Londra, impiccato sotto il Blackfriars Bridge (per i cultori della materia, non è causale che Calvi sia stato impiccato sulla riva del Tamigi dove la competenza nelle indagini non spettava a Scotland Yard).

Roberto Calvi è stato assassinato. Mentre Sindona si è suicidato, come dimostrato da Turone/Simoni in “Il caffè di Sindona” (Garzanti, 2009) e spiegato nel post http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/09/sindona-i-depositanti-i-cambi-il-suo.html, Calvi è stato ammazzato.
Questa la testimonianza del pentito Francesco Marino Mannoia - ritenuto attendibile da Giovanni Falcone - in una nota informativa dello SCO in data 9.7.1991.
La morte di Calvi era di interesse del mio compare Calò, cioè in gergo Calò aveva dato incarico di uccidere Calvi...Pullarà disse: “Ma che suicidio del cazzo, quello è stato strangolato da Francesco Di Carlo..poi è stato impiccato per farlo sembrare suicidio...Pullarà mi precisò che Calvi si era impossessato di decine di miliardi di Calò e Gelli, che tali somme di denato erano state recuperate, ma che Calvi era diventato inaffidabile”.

In sintesi le ragioni dell’omicidio di Roberto Calvi appaiono riconducibili a:

1) alla paura che Calvi potesse trasformarsi in una “scheggia impazzita inaffidabile”;

2) al timore che Calvi potesse rivelare informazioni di cui era in possesso sui movimenti di ricilaggio di ingentissime somme di denaro provenienti dalle attività illecite collegate a Cosa Nostra;

3) al timore che Calvi potesse tentare di salvarsi attraverso manovre ricattatorie nei confronti dei suoi vecchi alleati con i quali fino a un certo punto aveva gestito l’investimento di tali ingentissime somme di denaro.

Non è finita! Vi aspettiamo domani per la terza parte.

lunedì 11 ottobre 2010

Andreatta, lo IOR e il Banco Ambrosiano

Beniamino Andreatta
Settimana scorsa abbiamo parlato con ampiezza del sequestro effettuato dalla magistratura su richiesta della Banca d’Italia di 23 milioni di euro dello IOR - Istituto per le Opere di Religione - la Banca del Vaticano, http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/10/lo-ior-il-purgatorio-dei-conti-offshore.html
L’evangelista Matteo (6,24) scrive: “Non si può servire Dio e Mammona” (secondo il Devoto-Oli, Mammona è definita la ricchezza terrena idolatrata). Le vicende che ci accingiamo a raccontare testimoniano la difficoltà di scegliere da parte delle autorità vaticane.

L’intera vicenda mostra un’Italia inquietante, continuamente segnata dal crimine, mafioso o politico. Tutte ragioni ampiamente sufficienti perché un Istituto votato alle “opere di religione” si allontanasse a passi lunghi e ben distesi da certi personaggi.

Cogliamo allora l’occasione per parlare di una figura eccelsa, di un riformatore solido e geniale, Beniamino Andreatta. Accademico, politico, pubblicista, fondatore di Università e Istituti di Ricerca (AREL http://www.arel.it/), animatore della vita culturale italiana. Deputato e Senatore della Repubblica, più volte ministro, membro e presidente di Commissioni Parlamentari. In particolare, Ministro del Tesoro dal 1980 al 1982.

Così lo ricorda Tommaso Padoa-Schioppa: “Il tratto più caratteristico della personalità di Nino Andreatta fu l’eccezionale capacità di coniugare due termini che troppo spesso vengono contrapposti: disciplina e libertà e quasi scandalosa spregiudicatezza, la spregiudicatezza di chi non si stanca di cercare il meglio, ovunque possa trovarsi. Con questo tratto egli ha segnato la sua opera di economista e di uomo di cultura, ma ancor più la sua condotta al di fuori degli schemi convenzionali, innovando nei metodi, negli indirizzi, nelle pratiche di lavoro, nella scelta delle persone, nel modo di parlare

Andreatta subì l’ostracismo della Democrazia Cristiana dopo la sua determinazione nella vicenda del Banco Ambrosiano. “L’establishment italiano è scheletrico e anchilosato, ma cattivo e pauroso. Dare prova di libertà costa carissimo”, ha affermato l’ing. Carlo De Benedetti (Per Adesso, F. Rampini, Longanesi, 1999). “Come Ministro del Tesoro, dopo il fallimento dell’Ambrosiano fece in Parlamento un memorabile discorso d’accusa contro lo IOR e il Vaticano. Dopo quell’episodio Andreatta fu emarginato dalla vita politica italiana per dieci anni. Solo la sua intelligenza e la sua passione politica lo hanno riportato a galla, dopo Mani Pulite”.

Allora andiamo a rileggere il discorso, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, VIII legislatura, 2 luglio 1982. Andreatta rivendicò con convinzione la linea della fermezza tenuta durante gli sviluppi del “più grande scandalo finanziario del dopoguerra”:

"…L’atteggiamento di fermezza delle autorità italiane è stato approvato dalle autorità monetarie di molti paesi. Anche la collaborazione mostrata di recente da ambienti bancari, solitamente chiusi e riservati, è stata aiutata dal nostro diniego di assumere obbligazioni al di là dei limiti cui ci sentivamo tenuti dagli accordi di Basilea e cioè soltanto nei confronti dei creditori esteri di istituzioni aventi residenza in Italia. Ma questa fermezza ha avuto effetti anche per assicurare alla giustizia uomini legati a questo e ad altri episodi che hanno turbato la vita del nostro paese…


…Nell’assumere questa posizione di fermezza ero consapevole dei rischi che il credito del paese avrebbe potuto correre. Le operazioni concluse sui mercati internazionali degli ultimi mesi avevano mostrato che questi pericoli non dovevano essere sopravvalutati.

L’Italia non è una repubblica delle banane; questa vicenda, come altre che ci stanno davanti, dovrebbe ricordarci che la fermezza non è la peggiore delle strade.

Il Governo di attende che vi sia una chiara assunzione di responsabilità da parte dello IOR, che in alcune operazioni con il Banco Ambrosiano appare assumere la veste di socio di fatto”.

Vi aspettiamo domani per la seconda parte.

venerdì 8 ottobre 2010

Il Flash Crash, l'high frequency trading e il pesce rosso - Seconda Parte

Il 6 maggio 2010 i mercati erano già sotto pressione per timori legati al declassamento del debito europeo dei famigerati PIGS - Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. L’euro era in forte calo, visto che gli operatori si rifugiavano nel dollaro per paura del default della Grecia e conseguentemente dell’euro. Gli operatori erano dunque alla ricerca di qualità. In gergo si parla di flight to quality, cioè di fuga verso gli emittenti più affidabili come Stati Uniti e Germania. L’indice di volatilità – VIX – salì il 6 maggio del 31,7%, la quarta salita di sempre.

La pressione combinata di:
1. 75.000 contratti sul future S&P 500 posti in vendita dall’investitore istituzionale Waddell & Reed;
2. degli ordini provenienti dagli HF traders e da altri traders portarono l’indice future E-Mini S& P500 a perdere circa il 3% in soli quattro minuti dalle 2:41 alle 2:44 p.m.

Il report di SEC/CFTC http://www.sec.gov/news/studies/2010/marketevents-report.pdf
mette in luce un aspetto interessante: la struttura del mercato si è rivelata meno robusta del previsto. L’insufficiente domanda sul buy side – liquidity dry-up rapidly - ha generato un effetto “patata bollente” – “hot potato” volume effect - in cui la stessa posizione veniva continuamente passata (o scaricata per meglio dire) ad altri, come nel gioco della Peppa Tencia, in cui si cerca di cedere al proprio avversario la donna di picche.
Nelle parole esatte del report: “Still lacking sufficient demand from fundamental buyers or cross-market arbitrageurs, HFTs began to quickly buy and then resell contracts to each other – generating a “hot-potato” volume effect as the same positions were rapidly passed back and forth. Between 2:45:13 and 2:45:27, HFTs traded over 27,000 contracts, which accounted for about 49 percent of the total trading volume, while buying only about 200 additional contracts net”. Quindi gli high frequency traders protagonisti del mercato in acquisto e in vendita, ma acquirenti netti solo di 200 contratti.

La profondità del book in acquisto sul contratto E-Mini S&P 500 passò da 6 miliardi di dollari a inizio giornata a 58 milioni di dollari – che rappresenta l’1% rispetto ai livelli di partenza.
In soli 4 minuti e mezzo – dalle 2:41 p.m. alle 2:45:27 p.m. il prezzo dell’E-Mini future S&P 500 perse più del 5% e il prezzo dell’indice cash S&P 500 perse oltre il 6%.

Alle 2:45:28 p.m. scattò il blocco (si parla di circuit breakers http://en.wikipedia.org/wiki/Circuit_breaker) delle contrattazioni (Stop Logic Functionality, SLP) – durato solo 5 secondi! – al Chicago Mercantile Exchange (CME), creato per prevenire e arginare cali improvvisi. L’effetto fu positivo perchè quando il trading riprese, alle 2:45:33 p.m., i prezzi si stabilizzarono e poco dopo l’E-Mini future S&P 500 iniziò a salire portandosi dietro l’indice cash S&P 500.

Nei 20 minuti dalle 2:40 p.m. e le 15.00 p.m. più di 20.000 trades su oltre 300 titoli azionari diversi – mercato a pronti quindi - furono eseguiti al 60% o più di scostamento rispetto al prezzo segnato alle 2:40 p.m. . "After the market closed, the exchanges and FINRA (Financial Industry Regulatory Authority http://www.finra.org/ ) met and jointly agreed to cancel (or break) all such trades under their respective “clearly erroneous” trade rules".

I market maker e gli high frequency traders sono stati messi sotto accusa perchè nelle fasi frenetiche di attività tra le 2:40 e le 15:00 p.m. hanno offerto dei prezzi in bid – cosiddette stub quote – molto lontani dai prezzi di pochi istanti prima. Alcuni investitori hanno venduto/comprato a prezzi completamente irrazionali (anche a un penny!). Per portare un esempio, Procter & Gamble, presente nell’indice Dow Jones, è passata da 60$ a 39.37$ in 3 minuti e 30 secondi (un calo del 36,14%!), per poi recuperare quota 60$ in un solo minuto.

Tiriamo le fila.
Sappiamo tutti che la liquidità di un mercato è fondamentale. Consente di comprare e vendere in qualsiasi momento. E’ quindi un fatto di per sè positivo perché maggiore è la profondità del mercato – sul buy e sul sell side - meglio è. E soprattutto, più stretto è il bid-ask spread (cioè la differenza tra la più alta proposta di acquisto, bid, e la più bassa proposta di vendita, ask), minori sono i costi di transazione per l’investitore. Come ben dice Sebastian Mallaby sul Financial Times del 22.9.10 “ We should clone the robo-trader rather than revile him”: “Financial markets, like grocery markets, need participants who specialize in the short run. Denouncing high frequency traders for their quick turnover of inventory is like grumbling that your local shop only hold soap powder for the short term. Financial short termists are often called “market makers” because without them markets would not function….Bid-ask spreads in US stocks have fallen steadily since the 1980 and by about a third in four years. Savers have benefited, to the tune of billions of dollars”. In sostanza i risparmiatori – grazie alla liquidità del mercato offerta dagli high frequency traders – hanno ridotto i loro costi di intermediazione.

Abbiamo anche visto che la liquidità del mercato può svanire in un attimo – è una questione di secondi! – e quando il mercato raggiunge livelli parossistici di frenesia – come il 6 maggio 2010 – gli operatori si dileguano e offrono stub quotes (prezzi farlocchi, per intenderci), rendendo il mercato improvvisamente illiquido e quindi poco robusto.
Alcuni osservatori propongono di imporre agli HF traders una regulation più severa obbligandoli a fornire liquidità al mercato qualunque siano le condizioni di mercato.
Un lettore del Financial Times pochi giorni fa - a seguito dell’intervento di Mallaby - ha messo in luce una posizione avversa: “HF traders, who control two-thirds of the market volume, can move the prices anywhere they want as shown on May 6 2010. They don’t care whether the stock go up or down. In short, their market doesn’t reflect reality or analysis of fundamentals. The only analysis they do is fluctuation analysis. Clonare l’High Frequency Trading è come clonare il cancro”.

E’ evidente che il pericolo vero sia la perdita di fiducia degli investitori nei confronti del mercato azionario e nella sua funzione di price discovery. Se la fiducia nella classe di attività azioni dovesse venire meno a causa dell’erraticità dei mercati, allora sarebbero problemi seri. Suggeriamo di monitorare con attenzione quale sarà la raccolta netta 2010 dell’industria del risparmio gestito negli Stati Uniti. Secondo l’Investment Company Institute (The National Association of U.S. Investment Companies) http://www.ici.org/research/stats/trends/trends_08_10 nei primi 8 mesi del 2010 i fondi azionari negli Stati Uniti hanno subito deflussi netti per 244,7 miliardi di dollari (70 miliardi di dollari dopo il Flash Crash).
Peraltro i veri long term investors nemmeno sanno del Flash Crash, si sono giustamente disinteressati e non hanno subito alcun danno.

Premesso che la memoria del pesce rosso - goldfish - è di 3 secondi, Mr Wroble il 31.8.10 ha scritto con ironia al Financial Times: “At present more than 60% of share trading is done by computers. These machines trade into and out of shares at microsecond rates. This timeframe makes the goldfish a long term investor with an exceptional memory”. Non trovate fantastico che il pesce rosso sia ormai considerato - nella frenetica attività di trading di oggi - un investitore di lungo termine perchè 3 secondi sono un’eternità? Chissà cosa penserebbe Benjamin Graham!http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2010/09/intelligent-investor-non-gioca-investe.html

Alla fine – nonostante tutto - noi siamo d’accordo con Mallaby: “The truth is computers are more likely than specialists to keep their nerve in turbulent markets, for the good reason they don’t have nerves.” Sono coloro che danno istruzioni sbagliate, come Waddell & Reed il problema. “Robo-traders must be deemed innocent. May they clone themselves a thousand times”.

giovedì 7 ottobre 2010

Il Flash Crash, la SEC e l’High Frequency Trading (HFT) - Prima parte

Il 6 maggio 2010 i mercati azionari americani – sia a pronti che a termine – hanno registrato una giornata particolare, con oscillazioni così forti e anomale da indurre la SEC – Securities and Exchange Commission - e la CFTC – Commodity Futures Trading Commission – a ricercare le cause del pesante calo segnato dai mercati tra le 14.40 e le 15.00 – report “Findings regarding market events of May 6 2010” al link http://www.sec.gov/news/studies/2010/marketevents-report.pdf


Il 6 maggio 2010 è ormai definito il giorno del Flash-Crash: un forte calo dei mercati durato solo alcuni minuti. L’indice Dow Jones – che riflette l’andamento dei 30 titoli più importanti del listino americano – perse 600 punti (circa il 6%) in soli cinque minuti, per poi recuperare.

I primi soggetti indicati come possibili colpevoli del Flash-Crash furono i traders, in particolare gli high frequency traders (HFT), e gli hedge funds, ambedue poi scagionati alla luce dei risultati evidenziati nel report.

Ma chi sono gli high frequency traders? High-frequency trading is the execution of computerized trading strategies characterized by extremely short position-holding periods. In high-frequency trading, programs running on high-speed computers analyze market data, using algorithms to utilize trading opportunities that may open up for only a fraction of a second to several hours. High-frequency trading, often abbreviated HFT, uses quantitative investment computer programs to hold short-term positions in equities, options, futures, ETFs, currencies, and all other financial instruments that possess electronic trading capability. High frequency traders compete on a basis of speed with other high frequency traders, not long term investors (who typically look for opportunities over a period of weeks, months, or years), and compete with each other for very small, and very consistent profits.

Peraltro attenzione a non confondere l’HFT con l’algorithmic trading: Algorithmic trading refers to any computerized trading strategy and can include the holding of assets for long periods, whereas high frequency trading is a sub class that aims for very short holding periods. Algorithmic trading, including high frequency trading, has been shown to substantially improve market liquidity among other benefits.
Per quanto questi sistemi di trading sembrino “forzare” il mercato nel senso tradizionale del termine, il crash (contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente) non è stato causato da niente di tutto ciò. Il colpevole è, invece, un tradizionale gestore di fondi, un investitore istituzionale: Waddell & Reed http://www.waddell.com/, con sede nel Kansas, che con leggerezza di un ippopotamo ha deciso di passare un ordine di vendita – con finalità di copertura (hedging) di una posizione longsenza porre un limite di prezzo.
Chiariamo. Un investitore istituzionale è long – ha posizioni rialziste – per definizione. Infatti ha ricevuto il mandato dai suoi clienti di investire e quindi compra tipicamente azioni e obbligazioni. Per ridurre il rischio, ha in modo autonomo deciso di coprirsi, ossia immunizzare il portafoglio da eventuali cali di mercato attraverso la tecnica di portfolio insurance, ossia le vendita a termine di futures sull’indice più noto al mondo, l’indice Standard & Poors 500, alias S&P 500, al cui interno sono presenti – pesate secondo la capitalizzazione – i maggiori 500 titoli azionari quotati.

L’ordine di vendita non era leggero. Si trattava di 75.000 contratti sull’indice future S&P 500 (detto E-Mini) per un controvalore complessivo di 4,1 miliardi di dollari!
Dave Cummings ha saggiamento commentato: http://www.ritholtz.com/blog/2010/10/waddell-stupidity-caused-crash/ “Wow! Who puts in a $4.1 billion order without a limit price? The trader at Waddell & Reed showed historic incompetence".

Nel report congiunto SEC/CFTC si legge: “However, on May 6, when markets were already under stress, the Sell Algorithm chosen by the large trader to only target trading volume, and neither price nor time, executed the sell program extremely rapidly in just 20 minutes….The execution of this sell program resulted in the largest net change in daily position of any trader in the E-Mini since the beginning of the year”.

Si è trattato chiaramente di un errore umano. Molti di noi si ricordano di HAL 9000 - il computer di bordo della nave spaziale del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick - che - leggendo nelle labbra gli astronauti - li sbatte fuori dalla navicella spaziale. E se al cinema i computer sono pericolosi quando pensano, nella vita reale sembrerebbero temibili per la ragione opposta. Ma come suggerisce Cummings “The trader could have easily put a price limit on the order, but recklessly chose not to. The Sell Algorithm performed exactly as it was designed. It angers me when people blame technology for what are clearly lapses in human judgment”.

Facciamo un passo indietro per cercare di chiarire meglio il punto.
In generale, un investitore professionale che voglia operare una vendita o un acquisto importante in termini quantitativi ha tre alternative, da scegliere a seconda dell’importanza che si vuole dare al giudizio soggettivo – human judgement:

1. passare l’ordine a un intermediario che
a. esegue l’ordine con un block trade – operazione Over The Counter (OTC) con una grossa controparte che compra il tutto;
b. oppure gestisce l’ordine discrezionalmente;

2. inserire manualmente l’ordine sul mercato (cioè in borsa?);

3. far eseguire l’ordine attraverso un algoritmo di esecuzione automatica, che prende in considerazione le variabili chiave (scelte dal cliente) quali prezzo, tempo (di esecuzione) e volumi.

Il 6 maggio 2010, Waddell & Reed decise – opzione n. 3 - di passare al broker l’ordine di vendita per 4,1 miliardi di $, invitandolo a usare un algoritmo di esecuzione di vendita automatica, in gergo Sell Algorithm. L’unico vincolo prefissato – limite di volume – si esauriva nel divieto di superare il 9% dei volumi complessivi (calcolati sul minuto precedente). L’ordine, come abbiamo visto, venne eseguito in soli 20 minuti. Per procedere all’operazione inversa – il riacquisto dei 75.000 contratti, in gergo ricopertura – si resero necessarie ben 6 ore.

Affaticati? Facciamo una pausa di riflessione. A domani la seconda parte. Vi aspettiamo.

mercoledì 6 ottobre 2010

Obama, il deficit, la guerra, i Tea Party

In tutto il mondo – meglio dire in Occidente, poichè la crisi più che mondiale è stata internazionale - la crisi economica ha indotto gli Stati sovrani ad aumentare la spesa pubblica e il deficit spending. Il risultato sotto i nostri occhi è l’incremento spaventoso dei due rapporti classici: deficit/PIL e debito/PIL.


Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, http://www.bis.org/, nel 2011 gli Stati Uniti avranno un rapporto deficit/PIL tra l’8 e il 10% e un rapporto debito/PIL nell’intorno del 100%.

Anche il Presidente degli Stati Uniti d’America è in difficoltà. Vorrebbe aumentare la spesa pubblico ma il Congresso si oppone. E le prossime elezioni di mid-term sono vicine e a lui – secondo i sondaggi – sfavorevoli. Buon ultimo, il finanziere e filantropo di orgine ungherese George Soros http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-10-06/caro-obama-spendi-invece-091654.shtml?uuid=AYFqTDXC lo invita a spendere.

Allora – siccome gli vogliamo bene – vorremmo umilmente dare qualche consiglio, dal lato dei costi.

Ci permettiamo di ricordare che gli US hanno speso 750 miliardi di dollari per la Guerra in Iraq e 350 miliardi di dollari per la Guerra in Afghanistan.

Il piano per lo sviluppo delle infrastrutture – proposto da Obama - da 50 miliardi di dollari rappresenta quindi solo il 4,6% del costo complessivo di queste due Guerre.

Invece che battagliare con i Repubblicani – e i retrogradi Tea Party – Obama farebbe meglio a essere meno disponibile agli interventi militari. La mentalità interventista degli Stati Uniti è il suo più grande nemico. E anche del mondo.

In relazione all’abolizione dei tagli fiscali per le classi abbienti, ereditati dall’Amministrazione Bush (si tratta di riduzioni di aliquote sul reddito, la nostra IRE, per individui che hanno un reddito superiore ai 200.000 dollari e famiglia con reddito superiore ai 250.000 dollari; complessivamente rappresentano il 2/3% della popolazione statunitense), Obama nel suo weekly address ha recentemente dichiarato: “On average, that’s a tax cut of about $100.000 for millionaires. Instead of cutting taxes for the wealthiest few, I’ve called for tax cuts for middle class families who saw their incomes shrink by 5% during the last, lost decade”.
Rendere permanenti questi tax cuts costerebbe all’Amministrazione US 3.300 miliardi di dollari.

Obama, adesso sai dove tagliare. Almeno provaci.