lunedì 28 febbraio 2011

Adriano Olivetti, imprenditore sovversivo

Durante le mie lezioni all’Università, ho l’occasione di parlare degli Italiani con I maiuscola, persone che hanno consentito al nostro Paese di essere il secondo paese industrializzato al mondo pro-capite (fonte Ufficio Studi di Confindustria).

Ciò che mi stupisce è l’ignoranza degli studenti sulla storia del ‘900. Ma di chi è la colpa? Non c’è alcun dubbio: dei professori e delle istituzioni scolastiche che insegnano gli Egizi (30 volte), Gli Assiro-Babilonesi (26 volte), i Promessi Sposi (18 volte), ma NON si parla per nulla di:
- Enrico Mattei – fondatore dell’ENI, vedi post Mattei, imprenditore formidabile;
- Paolo Baffi – Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979 ("Il mio quinquennio di fuoco") – vedi post Paolo Baffi Governatore integerrimo;
- Carlo Azeglio Ciampi, Presidente emerito della Repubblica e Governatore della Banca d’Italia – vedi post Buon compleanno Carlo Azeglio;
- Beniamino Andreatta – Ministro del Tesoro, vedi post Andreatta e il Banco Ambrosiano (e seguenti) ;
- Tommaso Padoa-Schioppa, padre dell’euro, vedi post Omaggio a Padoa Schioppa;
- Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, ammazzato dalla mafia il 3 settembre 1982, vedi post Il Generale dalla Chiesa e lo sviluppo economico;
- Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, vedi post Ambrosoli e l'allucinante Andreotti,
- Franco Modigliani, Premio Nobel per l'economia, vedi post Modigliani, avventure di un economista;
- Ezio Tarantelli, economista grazie al quale siamo riusciti a debellare in Italia l'inflazione galoppante, vedi post Baffi, Modigliani e Tarantelli.

Allora faccio del mio meglio per colmare un po’ di lacune.

Il 27 febbraio del 1960 – giusto 51 anni fa - moriva in treno verso Losanna Adriano Olivetti, imprenditore illuminato. Oggi lo ricordiamo nella convinzione che gli italiani migliori sono un fulgido esempio per l’oggi. Vale ciò che mi dice mia figlia Allegra: “Papi, se lo fai tu, lo faccio anch’io”.
Abbiamo un tremendo bisogno di buoni esempi.

Adriano Olivetti - nato l’11 aprile 1901 a Ivrea - nel 1924 conseguì la laurea in ingegneria chimica e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti, durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere del padre Camillo, fece le prime esperienze come operaio. Divenne direttore della Società Olivetti nel 1933 e presidente nel 1938.

Si oppose al regime fascista con momenti di militanza attiva. Infatti partecipò con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini alla liberazione di Filippo Turati. Durante gli anni del conflitto bellico, in cui Olivetti era inseguito da mandato di cattura per attività sovversiva, riparò in Svizzera.

Rientrato alla caduta del regime, riprese le redini della azienda. Alle sue capacità manageriali che portarono la Olivetti ad essere la prima azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, unì una instancabile sete di ricerca e di sperimentazione su come si potessero armonizzare lo sviluppo industriale con la affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.

Sotto l'impulso delle fortune aziendali e dei suoi ideali comunitari, Ivrea negli anni Cinquanta raggruppò una quantità straordinaria di intellettuali che operavano (chi in azienda chi all'interno del Movimento Comunità, fondato da Olivetti) in differenti campi disciplinari, inseguendo il progetto di una sintesi creativa tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica.

Marco Vitale
 Il nostro sempiterno riferimento Marco Vitale – in un magistrale intervento dal titolo Un imprenditore sovversivo – scrisse: “Olivetti Adriano di Camillo. Classifica: Sovversivo”, così sta scritto sulla copertina del dossier che la Pubblica Sicurezza di Aosta apre su Adriano Olivetti nel giugno 1931. Credo che tra le tante definizioni di Adriano Olivetti che mi è capitato di leggere, questa dell’oscuro funzionario della questura di Aosta sia la più centrata. E come può non essere sovversivo un imprenditore che entra nella fabbrica paterna a 23 anni (nel 1924) quando questa produce 4.000 macchine da scrivere all’anno con 400 dipendenti – dunque 10 macchine all’anno per addetto – e che quando muore prematuramente, lascia un gruppo che nel 1958 festeggia il cinquantesimo anniversario con circa 25.000 dipendenti, con cinque stabilimenti in Italia e cinque all’estero, dai quali escono sei macchine al minuto; i cui dipendenti hanno un livello di vita superiore dell’80% a quello dei dipendenti di industrie similari; che si prepara a digerire, sia pure con fatica, l’acquisizione della mitica Underwood americana; che sta già affrontando la nuova sfida dell’elettronica; cha ha saputo imporre al mondo intero uno stile e un design che sono diventati un riferimento per tutti; che ha creato la più ricca e significativa scuola di management della storia italiana?"

Sempre Vitale: “E come può non essere sovversivo un imprenditore che per trent’anni ha sempre spiazzato tutti (i concorrenti, le crisi congiunturali, i parenti ostili, le difficoltà di ogni genere) in avanti, rilanciando sempre l’impresa nella direzione dello sviluppo e dell’innovazione? Innovazione di processo, di prodotto, di organizzazione, di sistema.
Come può non essere sovversivo un uomo che afferma: “E’ vero, non siamo immortali: ma a me pare sempre di avere davanti un tempo infinito. Forse perchè non penso mai al passato, perchè non c’è passato in me?”. Sempre in avanti.

Mentre oggi abbiamo tanti esempi di imprenditori-profittatori, Adriano Olivetti è stato un grandissimo imprenditore-creatore o imprenditore-innovatore (secondo la definizione di George Gilder in Spirito dell’Impresa, Longanesi, 1984): “Essi tendono a sovvertire statiche costituite, anzichè a stabilre equilibri. Sono gli eroi della vita economica”.

Giulio Sapelli
Olivetti è stato senza dubbio uno dei più profondi teorici italiani sui temi dell’organizzazione di impresa. Sentiamo lo storico delle imprese Giulio Sapelli, che così scrive: “Il passaggio definitivo a una moderna teoria della direzione fu realizzato soltanto dal modello culturale elaborato da Adriano Olivetti, imprenditore e organizzatore d’eccezione” (Economia, tecnologia, direzione d’impresa in Italia, Einaudi, 1994).

Le società sono fatte di uomini, oltre che di capitali. Olivetti compiva lui stesso i coloqui di selezione, come ricorda Ottorino Beltrami. “Se in altre aziende il lavoratore si confonde in una massa indifferenziata, in Olivetti egli era una persona con una vita lavorativa ben individuata” (Uomini e lavoro alla Olivetti, a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi e Roberto Garruccio, 2005)

Vittorio Valletta
Dopo la morte di Adriano Olivetti, l’amministratore delegato della FIAT Vittorio Valletta disse (memorabile, ahinoi!): “L’Olivetti è un’azienda sana, ma ha un cancro da estirpare, l’elettronica”. Così l’Italia perse un altro treno.

Ma quanti treni ha perso l'Italia? E siamo ancora qua. Come il calabrone che non dovrebbe volare.

Grazie Adriano Olivetti, siamo convinti che coltivare la memoria serva ad alimentare la fiducia nel futuro, di cui abbiamo un gran bisogno.

giovedì 24 febbraio 2011

La fiducia - asset impalpabile - secondo Padoa-Schioppa

Il 18 dicembre scorso improvvisamente abbiamo perso un grande europeista, un riferimento culturale, uno dei padri dell’euro, Tommaso Padoa-Schioppa (per gli amici TPS).

Così lo ha ricordato il Financial Times: “A passionate advocate of European Integration, he was highly intelligent, well-versed in economics, and a first-rate financial technician. A central banker by training, he was kitty, charming, deeply cultures and steeped in European history”.

Siamo andati a rileggere alcuni suoi scritti e quindi colgo l’occasione per segnalare uno stralcio della Relazione al mercato finanziario il 7 aprile 1998 di TPS in qualità di Presidente della Consob. Il passo che abbiamo più apprezzato tratta dell’importanza della fiducia:

Il fondamento della fiducia

A differenza dei beni e dei servizi, tutti gli strumenti finanziari sono, in ultima analisi, promesse. Per questa ragione la fiducia è il fondamento stesso di ogni sistema finanziario, è ciò che ne determina la solidità. Non vi sono clausole contrattuali, per quanto minuziose, né vincoli regolamentari, per quanto severi, che possano sostituire la fiducia tra gli operatori e soprattutto fra questi e i risparmiatori.

Se correttezza e trasparenza del comportamento non divengono uso e costume di una piazza finanziaria, delle imprese e delle persone che vi operano, quella piazza è destinata a decadere o a divenire luogo di attrazione di cattivi soggetti. Se il principio della fiducia non riceve sostegno dal mondo degli operatori finanziari e se chi lo tradisce non è colpito dalla sanzione della disistima da parte del suo stesso ambiente, il sistema dei controlli pubblici viene caricato di un compito impervio. Non c'è apparato regolamentare, ispettivo, sanzionatorio che possa rimpiazzare il controllo sociale dei comportamenti: così come non c'è medicina che sia efficace in assenza di anticorpi.
Non si conforma al principio della fiducia la banca che consiglia al risparmiatore un titolo di cui essa ha interesse a disfarsi; né quella che acquista dai clienti di cui gestisce il risparmio titoli che sa destinati ad apprezzarsi. Non vi si conforma la società che fa appello al mercato celandogli qualche imminente perdita di bilancio; né l'amministratore che lucra guadagni su una informazione ancora non rivelata al pubblico. Non vi si conforma l'azionista di controllo che si rivolge agli azionisti di minoranza senza renderli edotti di una sua intenzione di ristrutturare il gruppo.


Tommaso Padoa-Schioppa
Il mercato finanziario italiano è ancora lontano dalla condizione nella quale la perdita della reputazione ha una funzione deterrente piena. In alcuni casi, il conseguimento di guadagni ingenti attraverso pratiche illecite o scorrette è stato forse giudicato normale, o perfino invidiato. E' stata eccessiva la rassegnata tolleranza verso comportamenti non corretti, di piccola entità se presi singolarmente, ma assai rilevanti nel loro insieme”.

Proprio l'altro giorno il vicedirettore generale di Banca d'Italia Anna Maria Tarantola - in un suo intervento - scrive: "La fiducia è un asset impalpabile che va coltivato ogni giorno agendo "nel miglior interesse del cliente, in ogni fase dell'attività di intermediazione. E per "miglior interesse del cliente" intendo non solo correttezza di comportamenti, ma anche efficienza in termini di qualità e costo dei servizi offerti".

Che esattezza di linguaggio, quante verità. Caro TPS, quanto ci manchi!

martedì 22 febbraio 2011

Il federalismo municipale? Un caso classico di manomissione delle parole

Due volte la settimana prendo il treno da Milano a Bergamo dove insegno all'Università Economia e Tecnica degli Scambi Internazionali. Il treno - sporco da far paura - ci impiega lo stesso tempo di inizio secolo. Ho quindi tempo per preparare le lezioni - all'andata - e per leggere - gran diletto - al ritorno.

Recentemente mi sono appassionato a Gianrico Carofiglio e al suo notevole La manomissione delle parole (Rizzoli, 2010).
Riporto un passo significativo: "Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perchè le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo "manomissione" questa operazione di rottura e ricostruzione. La parola manomissione ha due significati: nel primo è sinomino di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione. La manimissione delle parole include entrambi questi significati". 

Allora cimentiamoci nello scoprire nuove manomissioni. Ci viene in aiuto il Presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, che di recente ha scritto: “Secondo me è improprio usare il termine federalismo per tutto ciò che sta accadendo in Italia perchè lo stato federale è una cosa più seria, più grande e più complicata dell’autonomismo. Con il termine federalismo si spaccia ciò che è autonomismo degli enti locali. E questo è un abuso linguistico antipatico – ogni abuso linguistico è indice di una scorretta rappresentazione della realtà - perchè la lingua è un fattore di unificazione”. E ancora: “Il cosiddetto federalismo municipale è solo un neologismo vuoto di contenuti, è solo il nomen dato alla legge di autonomia finanziaria, non c’entra niente con il federalismo e presuppone uno stato diverso. Il federalismo è un processo di unificazione progressiva di stati che erano sovrani verso un unico stato gestore. Che cosa c’entra questo con l’autonomia finanziaria dei comuni, decisa dal Parlamento nazionale?”

E ancora. Marco Vitale, in occasione della presentazione a Napoli del saggio di Luca Meldolesi – Federalismo democratico. Per un dialogo tra uguali (Rubbettino Editore, 2010) – ha scritto con la consueta lucidità: “Al di là delle differenti forme di federalismo, esiste un elemento comune che tutte le lega e caratterizza: la volontà di stare insieme o di mettersi insieme nonostante le diversità. Se non c’è questa volontà non c’è federalismo. Parlare di federalismo mentre si pensa alla separazione o secessione e per esse si lavora, è semplicemente una truffa...A Cattaneo farebbe orrore questo nostro miserabile dibattito sul federalismo, condotto esclusivamente in chiave economica, anzi in chiave contabile-fiscale.

Il federalismo democratico è una concezione politico-istituzionale che non va confusa con l’ingannevole concetto di federalismo fiscale. E anche quest’ultima definizione è falsa se gli enti locali – come è in Italia – non hanno entrate proprie significative o quando le voci di spesa – in primis la spesa sanitaria – sono governate dal centro. Il prof. Giarda, non a caso, ha tenuto una lezione anni fa all’Università Cattolica dal titolo “la favola del federalismo fiscale”, dove ricordava che il massimo grado di federalismo fiscale è stato da noi raggiunto sotto il regime fascista, con il Testo Unico della finanza locale del 1931, che ha posto le entrate fiscali locali – imposta di famiglia, le imposte di consumo, le sovraimposte sui redditi fondiari e sul reddito generale - su una solida base di autonomia.

Non possiamo che condividere le osservazioni del costituzionalista Michele Ainis: “Abbiamo bisogno di recuperare il valore delle regole non scritte, giacché altrimenti quelle scritte vanno in necrosi. Abbiamo bisogno di ripristinare un clima di rispetto. Altrimenti la nuova Italia federale somiglierà all’Italia feudale, diventerà un’arena di poteri l’uno contro l’altro armati”.

venerdì 18 febbraio 2011

L’Egitto, Mubarak e la caccia al tesoro dei dittatori

Settimana scorsa, dopo la dipartita di Hosni Mubarak – evviva! – è stato tutto un fluire di titoloni sui giornali sui tesori - presunti - del dittatore. Il Corriere della Sera ha titolato “E ora scatta la caccia al tesoro di Mubarak”. Repubblica: “Immobili, titoli e partecipazioni, caccia al patrimonio del rais”.

Secondo una stima raccolta dal Mail on Sunday, la famiglia Mubarak avrebbe trafugato all’estero, in trent’anni di regime, un capitale di 25 miliardi di sterline (30 miliardi di euro), tra conti bancari, proprietà immobiliari, azioni, società e altri investimenti. Fonti di intelligence vanno al ribasso: da un minimo di 2 a un massimo di 5 miliardi di dollari (che sono sempre bei soldi!, soprattutto in Egitto dove c’è chi vive con due dollari al giorno). A queste somme aggiungono circa 6 miliardi di dollari frutto di tangenti e commissioni finite nelle tasche dei personaggi vicini al potere – qualche giorno fa all’ISPI l’Ambasciatore Sergio Romano parlava di un entourage di 2.000 persone che costituivano l’élite intorno a Mubarak, da cui passava gran parte del business egiziano.

La Global Financial Integrity, un’agenzia americana specializzata, calcola che l’ammontare dei fondi illeciti nascosti sia 1.400 miliardi di dollari. La Banca Mondiale stima il livello di corruzione globale in 40 miliardi di dollari l’anno.

Sempre il quotidiano della City ha pubblicato una graduatoria degli autocrati ladroni, dove al primo posto figura Saddam Hussein (tra i 10 e 40 miliardi di dollari trafugati e ahilui non goduti), lo scomparso scià di Persia Reva Pahlavi (circa 35 miliardi), l’ex presidente indonesiano Suharto. Seguono Marcos (Filippine), Mobutu (Congo), Dos Santos (Angola), Moi (Kenya).

Sono d’accordo con l’arguta lettrice (Stella Pantelides, UK) del FT che scrive il 15.2.11: “I read with interest the Swiss government’s Swift move to freeze all accounts held by Hosni Mubarak, members oh his family and others closely linked with his regime. Am I only one left wondering why the swiss federal government and its banks have only just realizes that the funds thay have been holding and investing on behalf of Mr Mubarak and his family over the years may have been (misappropriated) Egyptian state property? Perhaps they might also care to tell us what they intend to do with the bank charges and fees they have been amassing over the years on these funds?

Aggiungo io: ma perchè non bloccare i fondi in entrata di dubbia provenienza invece che gridare al lupo quando Cappuccetto Rosso è già finita nella pancia?

Venti anni fa mi diedi alla lettura di La svizzera lava più bianco (Mondadori, 1990) di Jean Ziegler, sociologo e politico svizzero. Una lettura consigliata. Ecco un assaggio del personaggio: "La materia prima della federazione degli Emirati Arabi è il petrolio; quella dell'Emirato elvetico, il denaro altrui (p. 12); “Che lezioni hanno tratto, i potenti, dalla crisi? Nessuna. Prendiamo l’esempio della Svizzera. Il contribuente svizzero ha pagato 61 miliardi di dollari per il salvataggio della più grande delle banche, l’UBS. L’anno scorso, nel 2009, i dirigenti dell’UBS, sempre vicina al fallimento, si sono spartiti fra loro bonus per quattro miliardi di franchi svizzeri!”

Un po’ di ottimismo sull’enforcement? Ci viene dal fisco americano, che non molla e vuole nomi e cognomi di chi ha conti in Svizzera. L’Internal Revenue Service statunitense ha varato un primo programma di voluntary disclosure nel 2009, in coincidenza con lo scandalo del colosso svizzero UBS – che ha consegnato 4.500 nominativi di correntisti - accusata di aver aiutato i contribuenti a evadere le imposte. In questo modo l’IRS ha incassato 400 milioni di dollari. Chi non aderirà al “condono” – tassato al 25% - dovrà vedersela con il mastino a capo dell’IRS, Douglas Shulman, che dice testualmente: “Non abbiamo intenzione di mollare sulle questioni internazionali. E il nuovo programma rappresenta l’ultima possibilità per i contribuenti di mettersi in regola prima che vengano scovati”.

mercoledì 16 febbraio 2011

Ma le azioni - nel lungo termine - convengono veramente?

In tutte le università del mondo si insegna che nel lungo periodo le azioni offrono agli investitori un rendimento superiore alle obbligazioni. Lo storico della finanza Jeremy Siegel - Russell E. Palmer Professor of finance at the Wharton School of the University of Pennsylvania – ha raccolto tutta la sua sapienza in un famoso libro dal titolo Stocks for the long run (McGrawHill, 1994).

La psicologia – sappiamo dagli studi di finanza comportamentale di Kahneman, Tversky, Shiller, Akerlof, Piattelli Palmarini, Legrenzi, Motterlini – gioca butti scherzi. Le emozioni spesso trasformano un investitore di lungo termine in un trader di breve termine con letali conseguenze sulla gestione dei patrimoni. Come spesso avviene, dopo un forte ribasso si perde fiducia nel mercato e dopo molte sofferenze si capitola e si vende – spesso ai minimi.

Come sottolinea Peter Bernstein  nella prefazione a Siegel, “The ability to manage the unexpected consequences of our choices and decisions is the real secret of investment success...Successful investment management means understanding ahead of time how you will react to outcomes that are not only unexpected but unfamiliar. Although you might intellectually accept the reality of market volatility, emotionally acceptance is far more difficult to achieve”.


Jeremy Siegel
 La cosa che voglio sottolineare oggi è invece legata alla diversità di performance nei diversi mercati. Siegel ha analizzato principalmente il mercato azionario americano e i risultati sono incrontrovertibili. Detenere le azioni nel lungo termine paga. Ma si può dire la stessa cosa per gli altri mercati azionari mondiali?

Ci viene in soccorso Jeremy Grantham, chairman di  GMO che ha analizzato il ritorno dell’investimento azionario – ritorno al netto dell’inflazione reinvestendo i dividendi ricevuti ogni anno - negli ultimi 50 anni, dal 1960 al 2010. Questi i sorprendenti risultati:












Vediamo grandi differenze tra mercati anglosassoni - i mercati azionari in Gran Bretagna e Stati Uniti regalano agli investitori ritorni significativi - e mercato italiano – il mercato francese sta nel mezzo (in Germania dopo 50 anni il return è 586 contro i 100 di partenza). Di fatto, un investitore italiano che avesse investito in Italia nel 1960 avrebbe nel 2010 gli stessi soldi – reali, quindi al netto dell’inflazione – di 50 anni prima.

Non c’è che dire, se Siegel fosse vissuto in Italia, avrebbe scritto un libro ben diverso. Ne proponiamo uno: Azioni a babbo morto. Meglio lasciarle agli eredi così piangeranno loro.

Un’ulteriore considerazione. Visto che il mercato azionario italiano delude, si deve continuare a investire – come fanno la maggior parte degli italiani – in titoli governativi (BOT, BTP e CCT)? Nella Lex column del Financial Times del 7 febbraio scorso leggiamo: “Two years on, equities have snapped back. But stocks can still fall for periods most humans would consider to be the “long run”. .. But negative real returns on stocks have been known to persist for far longer than a decade. True, the longest drought in the US was only 16 years, but two world war led stocks outside the US to a cumulative negative return of 3% over the 39 years from 1910 to 1948. History shows that buy-and-hold investing in equities can be dangerous – but its more urgent message is that bonds’ performance of the last three decades is unsustainable”.

Quindi dimentichiamoci i ritorni stellari dei mercati obbligazionari degli ultimi 15 anni. La pensa allo stesso modo Jeremy Siegel che sempre sul Financial Times (3 febbraio 2011, Inflation–linked bonds face a headwind of many risks) scrive: “The major reason for the dramatic drop in these real yields is the unprecedented – and in my opinion unwarranted – level of pessimism and risk aversion that has gripped investors since the financial crisis…If returns on stocks reach their historical average, the margin by which stocks will outperform bonds will nearly double from its historic 3% level. Stocks are still reasonably priced at less than 15 times projected 2011 earnings in virtually every country in the world”.

Riassumiamo il Siegel+Grantham pensiero: azioni sì, ma non italiane (a meno che non si sappia scegliere, e allora ci vogliono bravi gestori!, altro che ETF). Ma perchè l’Italia borsistica delude? Siamo andati lunghi, Lucarelli direbbe: “Ma questa è un’altra storia”. Arrivederci ai prossimi post.

lunedì 14 febbraio 2011

Mia zia Milli, Gesù e la regola del value first

Sono molto affezionato a mia zia Milli. Milli è una persona meravigliosa, generosa, che mi ha riempito di amore. E continua a circondarmi di affetto.

Milli è una grandissima cuoca. La sua casa è sempre piena di ospiti e amici. Spesso internazionali perchè Milli è cittadina del mondo e ha contatti everywhere. E' conosciuta per le sue abilità culinarie. Molti commensali, prima di andare via, prendono nota dei segreti della sua cucina.

Quando mio padre si ammalò, Milli venne tutti i sabati a cucinare il pesce a casa nostra, come dimostrazione di vicinanza e affetto profondo.
Da frequentatrice degli Stati Uniti, Milli segue il mantra “Garbage in, garbage out”, per cui la materia prima deve essere di prima qualità, altrimenti neanche il cuoco migliore del mondo può dare il suo contributo.

Abbiategrasso
Milli – che risiede ad Abbiategrasso – viene a Milano apposta per comprare le migliori materie prime, ognuna in un luogo diverso. Per il pesce, l’indirizzo obbligatorio è la Pescheria Spadari, dove da 70 anni c’è il pesce più fresco di Milano.

Milli – un giorno – mi ha spiegato il suo approccio: “Ogni volta che vado in Via Spadari, il giorno prima preparo una piccola torta per la persona – sempre la stessa – che mi serve al banco. Così sono sicura che mi darà il meglio del giorno. Infatti non ho mai preso fregature”.

Solo dopo molto tempo ho capito la profondità del pensiero di Milli. Se non sei disposto prima a dare e solo poi a ricevere, non andrai da nessuna parte. Un grandissimo uomo di marketing, Jeffrey Gitomer – si definisce a creative, on-the-edge, writer and speaker with expertise on sales, customer loyalty, and personal development – nel suo meraviglioso Little Black Book of Connections spiega con chiarezza la regola del Value First. Non inventa nulla, ma spiega con chiarezza: “By giving value first, I have created a base of connections, and a a basis for wealth. And so can you, if you’re willing to give away before you get it”.

Il grande psicologo statunitense Robert Cialdini nel suo imprescindibile Le armi della persuasione (Giunti, 1995) scrive: “Una delle più potenti armi della persuasione è la regola del contraccambio. La regola dice che dobbiamo contraccambiare quello che un altro ci ha dato. Do ut des...In virtù della regola della reciprocità, quindi, siamo obbligati a ripagare favori, regali, inviti. E’ così tipico il fatto che ricevendo cose del genere ci si senta in debito, che “obbligato” è diventato sinonimo di “grazie” in moltissime lingue”.

Milli è una raffinata esegeta dei testi biblici. Le farà sicuramente piacere la citazione di Gesù in occasione del discorso della montagna. Dal Vangelo di Luca (6,38); “Ma io dico a voi che mi ascoltate: Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono; pregate per i vostri calunniatori. A chi ti percuote su una guancia, porgi anche l'altra. A chi ti porta via il mantello, non impedirgli di prendere anche la veste. Date e vi sarà dato; anzi a chi ti toglie il tuo, non lo richiedere. E come volete che gli uomini facciano a voi, così fate voi a loro”.

Fondamentale è anticipare. Prima bisogna dare, Value First, poi si può chiedere.

Milli, sei un mito, avevi già capito tutto!

venerdì 11 febbraio 2011

Ottavio Missoni, buon compleanno!

L’11 febbraio di 90 anni fa nasce a Ragusa in Dalmazia (oggi Croazia) – Dubrovnik – Ottavio Missoni, stilista e atleta di eccellenza.

Vorrei incentrare il post di oggi non sul Missoni creatore di moda dai colori sgargianti, ma sul Missoni atleta, storia – notevole - poco nota ai più.

Per “memento ai più giovani” Ottavio nel 1935 veste la maglia azzurra, nella specialità dei 400 metri piani e nei 400 hs. A soli 16 anni nel 1937 all’Arena di Milano – oggi intitolata a Gianni Brera – battè gli americani in un memorabile quattrocento piani, con il tempo di 48,8’’; non si può parlare di primato, ma si può dire che ancora oggi è la migliore prestazione italiana per un sedicenne.

Nel 1939 – diciottenne - diviene campione mondiale studentesco (medaglia d’oro alle Universiadi) a Vienna.

Lapide per la prima battaglia di El Alamein
A causa della guerra le Olimpiadi del 1940 e del 1944 non si tengono. Missoni racconta: “Poi c'è stata la guerra che io ho combattuto - combattuto si fa per dire - sul fronte di El Alamein (seconda battaglia, 27 ottobre 1942, ndr) e gli inglesi mi hanno fatto prigioniero: 4 anni in Egitto. E io amo dire che sono stato ospite di Sua Maestà Britannica”.

In un’intervista al Corriere della Sera - Missoni racconta di quando nell'ottobre del '42 si trova in Nord Africa a riparare linee telefoniche con in tasca la fotografia di una sedicenne: “Una notte mi ritrovai al centro della battaglia di El Alamein, nel deserto ero da solo sotto le bombe dell'Armata di Montgomery, rotolai in un cratere e sotto il cielo livido di lampi mi addormentai. Quando uscii, sentii un come on! quasi festoso. Era un soldato neozelandese». Seguirono quattro anni di prigionia. Paura? «Solo per un attimo. Ci mancavano tante cose, ma per me non era un problema perché il mio passatempo preferito è sempre stato dormire”.

Nel 1946 torna in Italia. Così racconta Missoni: “Il nostro campo era il 305 ed era il campo dei co-belligeranti e fu l'ultimo ad essere smobilitato. La guerra era già finita da tempo, ma all'epoca non c'erano le crociere Costa, man mano gli inglesi ci imbarcavano dall'Australia, dal Sudafrica, dall'India. A noi per ultimi”.

Alle Olimpiadi del '48 a Londra, dopo cinque anni di inattività sportiva, riesce a superare brillantemente le eliminatorie nei 400 ostacoli, e arriva in finale, dove inciampa e finisce ultimo.

Gianni Brera in un pezzo memorabile così lo descrisse: “Io lo guardavo correre ogni volta più incredulo a tanta bellezza. La sua falcata era esemplare, armoniosa, elegante e perfino possente...E mi insegnava a giudicarne un passo (pendolare, circolare, tacco e pianta finlandese, a linee incrociate ecc.), a valutarne la coordinazione, il sincronismo con le braccia. Lo ammiravo abbastanza per non invidiarlo e sparlarne come quasi tutti...Quando voglio confonderlo, lo ricordo come ectoplasma del grande, grandissimo atleta che sarebbe stato se a vent’anni non l’avesse fermato la guerra, restituendolo vecchio e logoro a noi” (Gianni Brera, La bocca del leone, L’arcimatto II 1967-1973, Baldini & Castoldi, 1995)

Missoni è stato azzurro 22 volte, la prima nel '37, l'ultima nel '53. Non tutti sanno che il conte Ottavio – come lo chiamava Brera - è tuttora campione mandiale di diverse discipline over 80. “Sono stato campione italiano dei 50 dorso: over 80, si capisce”, oltre che campione europeo over 85 nel lancio del giavellotto. Il conte Ottavio – alla domanda del giornalista della Gazzetta dello sport (27.3.2009) - Dal sesto posto nella finale dei 400 ostacoli alle Olimpiadi di Londra, nel 1948, a questa allegria attempata, che filo c'è? “Mah. Venivo da quattro anni di prigionia in Egitto, senza una gara da 21 a 26 anni, e feci la finale: un miracolo. Allora però le corsie erano solo sei, mio padre mi chiamò e mi disse: sei arrivato ultimo. Allora le Olimpiadi erano una festa. Io correvo, mi divertivo. Mica la gigantesca rottura di coglioni di oggi, con troppe discipline: l'hockey su prato, il tiro con l'arco, la carabina, ma dài. E il sollevamento pesi per le donne, che orrore”.
Non possiamo che chiudere con Gianni Brera: “Ciascuno sta solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole e confortato da uno o più paladini degni di entrare nel suo epos. Ora nel mio epos figura Ottavio Missoni. Ottavio ha perso due Olimpiadi a causa della guerra. Quando è potuto rientrare dalla prigionia, ha portato il proprio ectoplasma alla finale dei 400 ostacoli nell’Olimpiade londinese (1948)...(Gianni Brera, Il club del giovedì, Aragno Editore, 2006).

Ottavio e Rosita Missoni

Grande Ottavio Missoni, aspettiamo la medaglia d’oro alle prossime Olimpiadi over 90!

mercoledì 9 febbraio 2011

I sultani della Regione Sicilia, Tocqueville e la gatta che lecca lo spiedo

Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea Regionale
E’ dell’altro giorno l’ennesimo scandalo dell’Assemblea Regionale Siciliana, dove i 90 deputati hanno votato no alla riduzione del loro numero a 70 (per la cronaca la proposta era del Pd, voto contrario di Pdl e Mpa). “Siamo tutti indispensabili”, hanno detto in coro gli onorevoli siciliani. Vediamo insieme quale scandaloso trattamento si permettono alle nostre spalle:

- stipendio fisso lordo 19.400 euro al mese;
- rimborso telefonico mensile 345 euro al mese;
- diaria trasporto 1.017 euro al mese;
- spese vitto e alloggio 4.003 euro al mese;

Per 57 deputati su 90, vista l’esiguità del trattamento, spetta una ulteriore indennità di carica che va da 3.316 a 5.199 euro al mese. Il caffè, bontà loro, alla buvette costa 36 centesimi, un pasto completo 9 euro.

Ogni eletto costa alla collettività 496.400 euro l’anno. Ma dove andremo a finire?

La Valle dei Templi di Agrigento
Nel mettere ordine nel mio archivio ho trovato un esilerante pezzo di Gian Antonio Stella del 20.10.10 – Leccornie giornalistiche dalle lande agrigentine – dove si narra la storia dell’Adi, Area di Sviluppo industriale di Agrigento. Un terzo del consiglio, invece di imprenditori, economisti, esperti, era composto di agenti di custodia. Peraltro la legge regionale 19/1997 era ben chiara quanto ai requisiti per la nomina: 1) titolo di sutdio adeguato all’attività dell’organismo interessato; 2) esperienza almento quinquellnale scientifica ovvero di tipo professionale o dirigenziale o di presidente o amministratore delegato.

Riportiamo letteralmente GA Stella: “Bene, a sviluppare l’imprenditoria dell’Asi di Agrigento i comuni interessati hanno nominato: Massimo Parisi (rappresentante di commercio), Annamaria Coletti (insegnante), Valentina Giammusso (insegnante), Giuseppe Cacciatore (segretario di scuola), Vincenzo Randisi (agente di custodia), Filippo Panarisi (pensionato), Vincenzo Gaglianrdo (agente di custodia), Michele Maria (carrozziere), Luigi Fiore (impiegato Enel), Adriana Di Maida (insegnante), Stefano Marsiglia (paramedico), Carmelo Zambito (impiegato), Aldo Piscopo (medico), e via così....Resta una curiosità: ma è con loro che sarà rilanciata l’industria e l’occupazione nelle lande agrigentine?

Per la cronaca, il Comune di Palermo ha 20.000 dipendenti comunali, per pagare i quali, a gennaio, il sindaco ha dovuto attingere ai fondi inviati da Roma per togliere la spazzatura dalle strade. Ma non sono un po’ troppi ventimila?

Il pm Francesco Greco
Siamo d’accordo con l’autorevole pubblico ministero della procura di Milano Francesco Greco (nato a Napoli, ndr), che qualche tempo fa disse: “E un Sud che non riesce a decollare economicamente, non ha alcuna capacità di fare impresa e, a differenza di una volta, non esprime più neppure grandi movimenti culturali. In passato Napoli e Palermo hanno espresso grandi avanguardie e grandi personaggi: Benedetto Croce, la scuola di matematica a Palermo, la scuola di biologia a Napoli. Oggi al Sud non c’è più niente: a parte la camorra, la mafia, la ‘ndrangheta, gli abusi edilizi. Salvo sporadiche eccezioni, i giovani vanno alla deriva. E le finestre aperte dopo le stragi di Falcone e Borsellino si sono di nuovo richiuse” (Mani Sporche, Barbacetto, Gomez, Travaglio, Chiarelettere, 2007).


Alexis de Tocqueville

 Ma è sempre stato così? Tocqueville – nel 1827 durante un viaggio in Sicilia scrisse: “Giunti a Catania...si direbbe che non vi sia un solo angolo di terra sprecato: dovunque coltivazioni arboree, inframmezzate da capanne e da graziosi villaggi; dovunque un’aria di prosperità e di abbondanza”.

Chiudiamo per tirarci su con un proverbio siciliano raccolto da Marco Vitale in I proverbi di Calatafimi - Antichi e modernissimi punti di vista inusuali sui grandi temi dell´Impresa (Edizioni Studio Domenicano, 2009): “A la gatta chi licca lu spitu non cci fidari la carni arristuta”.
Diffidare degli ingordi. Maggior ragione se non ne vogliono sapere di ridurre i loro appetiti.

lunedì 7 febbraio 2011

India, Davos, choc planetari (Egitto) e cigni neri

In un’interessante corrispondenza dall’India, Lionel Barber del Financial Times (20.11.2010 Seven days in South Asia) – autore del meraviglioso ritratto di Carlo Azeglio Ciampi il 26 novembre 1996, clicca qui per vedere il post Il Capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi - informa i suoi lettori che:

- entro il 2020 l’età media in India sarà di 28 anni, compared with 37 in China e 38 in US;
- entro il 2025, i bambini sotto i 15 anni rappresenteranno in India il 24% (rispetto al 31% di oggi);
- la percentuale di persone sopra i 65 anni rimarrà invariata, sotto il 10%.

I numeri demografici indiani sono più rosei di quelli cinesi, dove il limite alla crescita demografica – la politica del figlio unico – porterà gli over 60 a essere oltre il 60% della popolazione entro il 2040.

Barber conclude: “But India must educate all these young people entering the workforce – or else miss the historic opening. And that, coupled with the enormous challenge of modernising food production and distribution in the countryside and raising overall living standards, is the next big hurdle to India’s rise to great power status”.

Nel corso degli incontri al World Economic Forum di Davos in Svizzera, il dibattito si è incentrato sul prossimo Cigno nero – definizione tratta dal libro Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita di Nassim N. Taleb (Il Saggiatore, 2008, una lettura interessante) – un evento ad alto impatto, bassa probabilità, bassissima prevedibilità.

Larry Summers, ex segretario al Tesoro di Bill Clinton e consigliere economico di Obama fino al mese scorso, indica la demografia come possibile cigno nero: “Metà della popolazione del pianeta oggi ha meno di 25 anni. E sono i più interconnessi attraverso le tecnologie digitali, i siti sociali, Face-book e Twitter. Sono anche la fascia della popolazione che, dalla Spagna al Medio Oriente, soffre tassi di disoccupazione fino al 40%, il doppio degli adulti. Quante altre Tunisie vedremo esplodere?” (singolare il fatto che questa dichiarazione è stata resa poco prima che in Egitto scoppiasse la rivolta contro Hosni Mubarak, al potere da oltre 30 anni).

Non bisogna sempre pensare in negativo, ci sono anche i cigni neri positivi. Il capo di McKinsey Dominic Barton ha detto a Davos: “Dell’invecchiamento si parla quasi sempre come un disastro per i conti della previdenza. Invece sarà uno choc positivo. Il progressivo pensionamento delle generazioni del baby-boom (nate fra il 1945 e il 1965) sta per creare un’enorme domanda aggiuntiva di nuovi servizi, servizi alla persona, per il benessere fisico e psichico, per il tempo libero, la cultura. Ne deriveranno miriadi di nuove opportunità di lavoro”.


Be positive - come la bellissima Natalie Portman. Basta piangere! Sta in noi cogliere le opportunità.

venerdì 4 febbraio 2011

Lo spread BTP-BUND (terza parte)

I post più popolari e quindi più letti del blog Faust e il Governatore sono:
- lo spread BTP-BUND (prima parte), ben più di 1.500 lettori!;
- lo spread BTP-BUND (seconda parte).
Allora proseguo questa saga, assecondando le preferenze del mio pubblico.

Traggo spunto dalle dichiarazioni a Davos al World Economic Forum del Presidente francese Nicolas Sarkozy: “The euro is Europe. We will never let the euro be destroyed”. E per paura di non essere stato compreso, ha ripetuto: “Never, listen to me carefully. Never we turn our backs on the euro, never will we drop the euro. It is not simply a monetary or an economic issue. It has to do with our identity as Europeans”.

Non si può non rifarsi all’appassionato ricordo del nostro amato Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando rievoca l’euro come punto di non ritorno: “Nel ’93 ebbi un incontro con Kohl. Un vertice diretto, senza impedimenti protocollari, tra due uomini che avevano conosciuto la tragedia delle guerre. Mi chiese cosa pensassi dell’Europa e della moneta unica. Non risposi da ex banchiere centrale. Gli dissi semplicemente che l’euro avrebbe creato il punto di non ritorno, avrebbe avviato la stagione dell’Europa veramente unita, senza più conflitti, senza più lutti. Se non lo facciamo noi, aggiunsi, rischiamo un ritorno indietro, un contraccolpo della storia che sarebbe terribile, un nuovo alibi per il rinascere dei nazionalismi, di quegli spettri degli anni ’30 che né io né lei vogliamo riportare in vita. Dopo questo colloquio uscì di scena definitivamente l’idea di rinviare l’adesione ai parametri di Maastricht. Nessun rinvio; l’euro non poteva aspettare (Non è il paese che sognavo, Il Saggiatore, 2010, p.112).

E’ chiaro che la credibilità delle affermazioni di Sarkozy si scontra con i mercati finanziari che giustamente sono il termometro della sostenibilità del debito dei Paesi periferici dell’Europa. Ha un bel dire il primo ministro greco George Papandreu che si lamenta delle persistenti domande dei giornalisti: negli ultimi due anni non gli chiedono che delucidazioni sul default greco (non ancora avvenuto ma scontato dai mercati che quotano il decennale greco a circa 84 contro un prezzo di emissione di 100, coupon 4,60%). I mercati – attraverso i prezzi - dicono: probabilisticamente avverrà un default parziale. Altrimenti lo spread tra rendimento a 10 anni del BUND e l’equivalente greco non sarebbe nell’intorno di 7,7 punti percentuali (773 basis point, in questo momento).

In relazione alla Grecia, tornano in mente le parole dell’inossidabile Carlo Azeglio Ciampi, a cui dobbiamo l’ingresso dell’Italia nell’Euro: “Purtroppo paghiamo l’errore di aver ampliato il numero dei paesi dell’eurozona senza prima aver approfondito i legami istituzionali, senza essere riuscitri a creare almeno quel coordinamento delle politiche economiche che era obiettivo prioritario fin dalla nascita dell’euro. Non bastava il rispetto dei famosi parametri di Maastricht, serviva una politica economica comune, dal fisco allo sviluppo, alla difesa. Va detto che nella prima fase di scrematura dei paesi degni dell’euro la selezione fu molto severa, e l’Italia per prima ne rimase colpita. Poi con l’allargamento fu subito chiaro che la morsa del rigore si era allentata. Forse ci fu indulgenza verso l’Est perchè alla Germania interessava consolidare il primo dei suoi mercati di sbocco. Che tristezza vedere adesso che la Grecia aveva truccato i conti e che questo costume potrebbe essere imitato anche da altri Paesi!” (Non è il paese che sognavo, Il Saggiatore, 2010, p.115)

Io credo che abbiamo bisogno di più Europa, di più politica europea. E l’Italia deve giocare un ruolo, positivo e propulsivo. Come in passato ha sostenuto Tommaso Padoa-Schioppa - già nel 1992 egli vedeva che "lo spazio per l'ambiguità e per l'incertezza sull'unità europea era divenuto più stretto” - commemorato in Bocconi dalla Milano migliore e dai maggiori rappresentanti del mondo finanziario.

Giorgio Napolitano
Il Presidente Giorgio Napolitano – commosso - ha usato queste parole: “Ma è anche vero che sono riapparse nelle sfere politiche e nelle più vaste opinioni pubbliche di diversi Stati membri, tendenze frenanti rispetto ai passi ulteriori, per quanto graduali, che ormai si impongono sulla via di una più coerente integrazione e di una più robusta volontà politica comune. A questo proposito, di spazio per esitare o ancor peggio per ripiegare ne è rimasto davvero poco”.

Non possiamo che chiudere con Ciampi, che ha coniato il termine zoppìa, vedi post : “Il rafforzamento, il “deepening” come si dice in gergo europeo, cioè la governabilità delle istituzioni europee, non può essere ulteriormente rinviato. Non c’è niente da fare: alla moneta deve seguire il ccordinamento delle politiche economiche”.

Con il rafforzamento evocato da Ciampi, gli spread dei Paesi periferici (Grecia 773 basis point, Irlanda 564bp, Spagna 193bp, Portogallo 368bp, Italia 137bp) potranno scendere – a gennaio lo hanno già fatto - in modo significativo.

P.S.: sono venuti all’Università Bocconi i migliori (del mondo!). Io non ho mai visto un tributo così sentito e partecipato da parte di protagonisti internazionali di cotanta fama:

- Paul Volcker, il "falco" della Federal Reserve - che spiazzò tutti negli anni Ottanta alzando i tassi per sradicare l’inflazione; tenace chairman of the Independent Committee of Eminent Persons (Volcker Commission) to look into the dormant accounts of Jewish victims of the Holocaust lying in Swiss banks);
- uno dei maggiori protagonisti dell’Unione Europea Jacques Delors;
- il Presidente della banca centrale europea Jean-Claude Trichet;
- l’ex Presidente del Consiglio e della Commissione Europea, Romano Prodi (il suo intervento è stato il più applaudito);
- Helmut Schmidt, Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca dal 1974 al 1982, il cui messaggio è stato letto dal Presidente Napolitano;
- Carlo Azeglio Ciampi in un commosso intervento video.

Tommaso Padoa-Schioppa
E’ stato un omaggio all’Italia, non solo a Padoa-Schioppa. Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano.
A un certo punto, ricordandomi del sorriso di Tommaso Padoa-Schioppa quando gli chiesi aiuto per la mia tesi , non sono riuscito a trattenere le lacrime.

P.S.: per leggere lo spread BTP-BUND (quarta parte, cliccare qui)