giovedì 27 ottobre 2011

Omaggio a Enrico Mattei, imprenditore formidabile

Enrico Mattei
Quarantanove anni fa, Il 27 ottobre 1962, alle ore 19 circa, l’aereo di Enrico Mattei proveniente da Catania e diretto a Milano, un Morane Saulnier, cade nei cieli di Bascapè, località Albaredo, vicino Pavia, in procinto di atterrare a Linate.

Muore un protagonista assoluto del prodigioso sviluppo economico dell’Italia del dopoguerra. “Con la morte di Mattei l’Italia, e forse l’Europa, ha perso una delle personalità più eccezionali degli anni del dopoguerra” (The Guardian, 1962).

Enrico Mattei influenzò più di qualunque altro il continuo boom del dopoguerra, conosciuto come il "miracolo economico italiano” (Time, 1962).

L’Italia nel 1945 era in condizioni talmente disastrate da far supporre una sua dipendenza economica di lunga durata, e forse irreversibile. Si stimava nel 1945 che il reddito pro-capite fosse inferiore ai livelli del 1861.

In questa situazione era entrato in scena Enrico Mattei, nominato dal Comitato di liberazione nazionale per l’alta Italia (Clnai) commissario straordinario dell’AGIP (Azienda Italiana Generale Petroli). Il cruccio di Mattei divenne ben presto quello di elevare l'Italia al rango di potenza petrolifera.

Per contrastare Mattei, venne attuata dalla lobby petrolifera statunitense una azione molto decisa sul Governo Italiano al fine di fermare le ricerche dell’AGIP. L’AGIP effettivamente non riuscirà a ottenere alcun finanziamento dello European Recovery Program (ERP, alias Piano Marshall) per l’acquisto delle proprie attrezzature.

Il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni voleva che Mattei potenziasse l’AGIP, allargasse la sua attività, la rendesse forte abbastanza da combattere ad armi pari con le società americane, perchè doveva divenire il nucleo centrale di una vasta economia statale.

Con l’appoggio fondamentale di Vanoni e del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi – inizialmente propenso a smantellare l’AGIP - Mattei riuscì a creare le condizioni per l’approvazione in Parlamento della legge che avrebbe istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).

Mattei intuì le potenzialità enormi del settore petrolifero, e aprì la strada per realizzarle a vantaggio del nostro paese. L’energia metanifera per la ricostruzione, la modernizzazione, la competitività dell’industria italiana, è venuta dall’ENI. Mentre con la politica di reperimento delle fonti petrolifere all’estero, Mattei ha reso l’Italia autonoma – rispetto alle grandi potenze – nell’approvvigionamento energetico.

Mattei rivendica condizioni di non discriminazione, di parità, di sviluppo non condizionato da interessi stranieri.

L’ENI ha promosso e gestito la politica energetica del nostro paese per più di quarant’anni, consentendo all’Italia di essere presente nelle grandi trattative internazionali per il petrolio. Lo sviluppo economico italiano deve molto all’ENI.

La grande intuizione di Enrico Mattei fu disegnare uno scenario futuro dove i paesi arabi – nel quadro del grande movimento di decolonizzazione - avrebbero esautorato le “Sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero e messo sotto il loro diretto controllo le riserve di oro nero. Come ci racconta Mario Pirani “La previsione di una rottura del cartello petrolifero spinse Mattei alla ricerca di uno spazio autonomo non condizionato dall’egemonia dell’oligopolio internazionale, all’offerta di un rapporto diretto coi paesi di nuova indipendenza, attraverso la definizione di contratti di “partnership” con i loro governi al perseguimento della diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’Italia”.

Le Sette sorelle erano: Standard Oil Company of New Jersey (Exxon), Socony-Vacuum Oil (Mobil), Standard Oil Company of California (SOCAL), la Texas Oil Company (Texaco), la Gulf Oil Corporation, la Royal Dutch Shell Oil Company, la Anglo-Iranian Oil Company (AIOC, successivamente British Petroleum).

I successori di Mattei non capirono che dietro il sogno matteiano vi era una illuminante e realistica previsione della crisi petrolifera, destinata a esplodere di lì a poco tempo e che giustificava impegni finanziari, investimenti, un sistema di alleanze, al fine di attenuare l’impatto negativo sull’Italia, la più esposta alla dipendenza energetica.

Eugenio Cefis – a cui furono dati i poteri esecutivi alla morte di Mattei - trasformò l’ENI in un “mercante” che opera dentro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali.

Con la sua scomparsa viene meno non solo un grande imprenditore pubblico, ma il soggetto propulsivo di una politica energetica dell’Italia. Non siamo il paese europeo con i costi energetici più cari? Tutto nasce dalla tragica caduta dell’aereo di Mattei il 27 ottobre 1962.

Abbiamo adottato un’impostazione nuova, perchè non ci piaceva lasciare operare nel nostro paese imprese esclusivamente straniere, rimanendo solo a guardare. Esse ci lasciavano margini ridicoli di guadagno nella raffinazione, che divenivano quasi nulli nella vendita. Tutto il proftto rimaneva alla produzione, con l’alto prezzo di vendita delpetrolio. Io ho già avuto modo di dichiarare che che oggi il prezzo del petrolio nel mondo arabo e in tutto il Medio Oriente è formato per un quinto dai costi di produzione, per due quinti dalle royalties spettanti ai paesi concessionari e per due quinti dagli utili delle grandi compagnie. Ed è su quest’ultima parte che noi non siamo d’accordo. Non siamo d’accordo perchè danneggia enormemente la nosra espansione, la nostra possibilità di sviluppo industriale”(Enrico Mattei, 1 luglio 1960)

Per questo facciamo assegnamento sui giovani, gli uomini di domani, che dovranno raccogliere la nostra bandiera ed andare avanti, nell’interesse del nostro paese: affinchè il nostro paese possa contare qualche cosa domani, poichè non c’è indipendenza politica se non c’è indipendenza economica.


Noi non possiamo seguitare a passare attraverso degli intermediari stranieri per rifornirci di una materia prima indispensabile: ci costa troppo caro; ce lo dicono i nostri economisti (Mattei aveva come consigliere l’economista Giorgio Fuà, che sosteneva la necessità di un intervento dello stato nel controllo di energia per il superamento delle situazioni di squilibrio economico strutturale, ndr) e hanno ragione” (Enrico Mattei, 11 gennaio 1958)

Walter Bonatti
In certe imprese Mattei sembra solo, come Bonatti (leggi post Omaggio a Walter Bonatti ) su per la parete nord del Cervino”, Giuseppe Ratti (collaboratore di Mattei)

Enrico Mattei era un uomo secco e virile, nazionalista e populista, onesto e corruttore, uno che usava la politica per farsi largo, ma anche per fare, e fare bene, nella vita pubblica. Tipi così ne avevo conosciuti durante il fascismo, tipi così ce ne saranno sempre in Italia, della specie dei condottieri, amati e odiati, profondamene italiani, profondamente antitaliani. Nel ’45 Mattei aveva salvato dalla liquidazione l’industria petrolifera italiana e aiutato da uomini simili a lui, profondamente italiani, profondamente antitaliani, come Vanoni, De Gasperi, aveva creato l’ENI”. (Giorgio Bocca, Il Provinciale, Mondadori, 1991)

Enrico Mattei, il creatore fuorilegge della nostra industria dell’energia, piaceva poco ai nostri conservatori del “salotto buono”, ma solo perchè faceva per conto dello stato ciò che essi facevan per gli interessi loro. Tutti dominati dall’illibero arbitrio, dalla corsa dei topi” (Giorgio Bocca, Il Sottosopra, Mondadori, 1994)

Per saperne di più sulla morte di Enrico Mattei, vi invito alla lettura di Giallo Mattei, il post successivo.

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010

lunedì 24 ottobre 2011

La crisi dell'Eurozona, la zoppìa europea e l'impraticabilità degli Eurobond

E' da 4 anni che si susseguono vertici dell'Eurozona, ma non si vede la fine della crisi. Il prossimo appuntamento è mercoledì quando in teoria l'Italia - sotto l'ultimatum di Merkozy - risponderà con misure per la crescita.

Non si risolvono problemi strutturali con misure congiunturali.

Torniamo al problema che Carlo Azeglio Ciampi ha definito la zoppìa europea, cioe' alla mancata sovranita' fiscale in mano all'Unione. Ne abbiamo parlato diffusamente nel dicembre scorso con un post ad hoc L'Irlanda e la zoppìa dell'Europa.

Cos’è la zoppìa? La zoppìa è il non completamento dell’Unione politica europea, dopo aver creato l’Unione Monetaria. Non si è riusciti a completare il progetto istituzionale dei padri fondatori dell’Europa. E se non c’è governo europeo, la costruzione europea scricchiola. Come tutte le crisi, anche questa ultima può servire per sensibilizzare i cittadini europei che bisogna fare un salto in avanti e colmare la zoppìa.

Approfondiamo il termine zoppìa, rifacendoci all’imprescindibile Carlo Azeglio Ciampi (Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano, Il Mulino, 2010, p. 163): “Alla moneta unica, cioè a un fatto squisitamente europeo, non si è accompagnato un coordinamento della politica economica europea. Si è fatto l’eurogruppo, il gruppo dei paesi dell’Unione europea membri dell’Unione monetaria, e aventi tutti come moneta l’euro. Ma l’eurogruppo non si è mai istituzionalizzato in maniera piena; l’eurogruppo non ha assunto poteri maggiori. All’interno dell’Ecofin, l’eurogruppo funziona come un organo di consultazione; ma, ripeto, non ha mai avuto poteri decisionali, a cui debbano adeguarsi tutti i paesi dell’euro. Io penso che se fossero rimasti in carica per qualche anno in più alcuni ministri che hanno vissuto la creazione dell’euro, avremmo compiuto questo passo necessario, indispensabile: far corrispondere ad una Banca Centrale Europea un unico governo coordinato dell’economia europea, con alcuni poteri sovranazionali”.

Si andra' inevitabilmente in quella direzione comprando tempo per riscrivere i Trattati.

Sarà necessario rivedere l'impostazione di base di Basilea,  imponendo alla banche requisiti patrimoniali anche per attivita' in Titoli di Stato - oggi esenti - le quali abbiamo visto non essere più prive di rischio, ma soggette a un forte rischio Paese e di controparte.

Le anime belle pensano che la soluzione stia negli Eurobond, bond emessi dall'Unione Europea a tassi favorevoli rispetto agli spread attuali pagati dai Paesi periferici.

Gli Eurobond di fatto significano per la Germania garantire l'intera Europa. Non e' praticabile ne' auspicabile. Non si puo' risolvere un problema di debito eccessivo degli Stati - tutta l'Europa ormai nell'intorno del 100% di debito/pil - con nuovo debito (Eurobond).

La vera causa della crisi e' la politica dei singoli Stati periferici, incapaci di affrontare le riforme strutturali che aumentano la competitivita' dei Paesi. La Germania lo ha fatto - e Schroeder (SPD) ha perso le elezioni per questo.
E' imprescindibile uno stop serio alla spesa pubblica con in primis metodo contributivo per tutti fin da domani mattina. Basta sussidiare il sistema pensionistico per non avere altre risorse per il welfare - siamo l'unico Paese in Europa a non avere un sussidio universale di disoccupazione.

Come conclude stamane Franco Venturini in prima pagina sul Corriere della Sera "L’unione fiscale che ha in mente la signora Merkel è un sistema che controlla in anticipo le finanze di ogni Stato membro dell’eurozona e affida a un futuribile organismo di Bruxelles il compito di comminare sanzioni automatiche in caso di violazione anche minima delle regole concordate. Cambiare i Trattati non sarà facile, ma l’Italia è avvisata".

Frau Merkel ha idee chiare: mandiamo a casa Tremonti e Venizelos (Ministro delle Finanze greco) e diamo piani poteri a un SuperMinistro Europeo dell'Economia, che abbia il compito di uniformare le regole fiscali in Europa.
Se in Germania si va in pensione a 67 anni con il metodo contributivo - tanto hai versato, tanto ricevi - come mai in Italia si può andare a 58 anni con il sussidiato metodo retributivo -se hai diritto a una pensione di 600 euro, ricevi una pensione di 1.500 Euro e quindi 900€ li paga Pantalone?

Chiudiamo con l'economista Stefano Lepri - Sovranità ridotta per salvarsi: "L’Italia appare oggi come il caso limite di una irresponsabilità dei governi nazionali verso gli interessi collettivi europei che non è più compatibile con l’unione monetaria. Per andare avanti sarà richiesta a tutti una rinuncia parziale di sovranità; a tutti, anche alla Germania che per ora preferisce il soccorso alle proprie banche all’aiuto per la Grecia, benché il primo costi assai più caro del secondo. Il processo decisionale europeo è lento in modo esasperante, per colpa di tutti; ieri abbiamo veduto emergere il timore che la paralisi italiana lo faccia deragliare una volta per sempre".

venerdì 21 ottobre 2011

Onore a Ignazio Visco e Fabrizio Saccomanni, civil servant di assoluto valore


Ignazio Visco
Siamo molto contenti per la scelta di Ignazio Visco quale successore di Mario Draghi in Banca d’Italia. Non ci sarebbe piaciuta l’idea di una Banca d’Italia ausiliaria del Governo, ufficio studi al servizio del potere costituito. La forza istituzionale di Banca d’Italia ne esce rafforzata.

E’ una scelta di prim'ordine. Economista di vaglia, ministro degli esteri di Bankitalia, forte senso delle istituzioni, riservato, professore universitario, scrittore di libri d'economia, allievo di Federico Caffé - vedi post Omaggio A Federico Caffé illustre economista . Al termine di una vicenda complicata e gestita male, una scelta da incorniciare.

Sarkozy ha poche ragioni per arrabbiarsi per la presenza di due italiani nel board della Bce – Bini Smaghi e Draghi. Noyer ci mese un anno e mezzo per sloggiare quando nominarono Trichet. Si consoli con Giulia.

Fabrizio Saccomanni
Voglio indugiare ancora su Fabrizio Saccomanni, che vede premiato il suo più stretto collaboratore. Faccio mie le parole di Eugenio Scalfari di stamane su Repubblica  : “Dispiace per Fabrizio Saccomanni che avrebbe ben meritato la nomina a governatore della Banca d'Italia, ma la scelta di Ignazio Visco, suo principale collaboratore, è pienamente soddisfacente da tutti i punti di vista: la competenza professionale, l'autorevolezza del nome anche all'estero per le sue continue e proficue missioni e soprattutto la continuità d'una tradizione di indipendenza della Banca pur nel quadro d'una leale collaborazione con le altre istituzioni dell'economia e della finanza nazionale ed europea”.

E’ opportuno ricordare che sia Saccomanni che Visco partirono per altri lidi durante la pessima gestione Fazio. Quando in Banca d’Italia il Governatore Antonio Fazio faceva il bello e soprattutto il cattivo tempo – vedi post I furbetti del quartierino e l’ex Governatore Antonio Fazio. Una storia poco edificante ), Saccomanni prese la via di Londra dove andò in esilio presso la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo ) e Visco andò all’OCSE a Parigi.

In onore di Saccomanni, ho ripescato un suo intervento di a Berlino, l’8 febbraio 2011.

Ecco uno stralcio: “Ma la UE non potrà risolvere i suoi problemi strutturali solo attraverso il consolidamento fiscale. Questo è necessario per stabilizzare i mercati finanziari e per lasciare più spazio agli investimenti privati. Ma occorre anche adottare una strategia di riforme strutturali per accrescere il potenziale di crescita dell'economia europea, per riassorbire la disoccupazione, specie quella giovanile e femminile, e per correggere gli squilibri di produttività e di competitività all'interno dell'eurozona. Si tratta di riforme che devono e possono essere intraprese da tutti i paesi della UE...

In sintesi, occorre portare avanti il completamento del mercato interno introducendo ulteriori liberalizzazioni nel settore dei servizi, come la grande distribuzione, i trasporti, le costruzioni, i servizi finanziari e professionali, dove la UE è rimasta indietro rispetto ai principali concorrenti. Occorre promuovere la piena integrazione dei mercati dell'energia, ancora frammentati a livello nazionale e dominati da monopolisti locali che impongono costi elevati alle imprese e alle famiglie. Inoltre, come indicato dal Rapporto Monti (Mario Monti, ndr), è necessario rafforzare le infrastrutture fisiche che stanno alla base di un grande mercato interno, le reti di trasporti, di telecomunicazioni, di distribuzione dell'energia e dell'acqua. L'esperienza insegna che da questi processi di liberalizzazione e di integrazione viene la spinta per la ricerca e l'innovazione che sono il presupposto per lo sviluppo di nuovi investimenti e della produttività”.

Torniamo sempre al punto. Riforme strutturali. Non esistono scorciatoie, non ci sono santi. Bisogna farle. Punto.

E bisogna dire la verità ai cittadini italiani. Ne abbiamo già parlato in un post recente: I mercati, le palle colossali e il linguaggio della verità

Tommaso Padoa-Schioppa
Saccomanni chiude il suo intervento citando il suo carissimo amico Tommaso Padoa-Schioppa : “Tommaso invitava l'Europa a esercitare una "pazienza attiva" e ammoniva che per: ".... completare la costruzione di un'Europa unita occorrono verità e chiarezza sulle questioni di fondo, rifiuto dell'ambiguità, spiegazioni convincenti del perché l'Europa sia necessaria tanto al benessere e alla sicurezza dei nostri Paesi quanto alla pace e all'ordine mondiale". È un ammonimento che mantiene tutta la sua validità anche oggi”.

Sono proprio queste le cose che mancano oggi: verità, chiarezza, spiegazioni convincenti.

martedì 18 ottobre 2011

Guadagna di più il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama o il Presidente del Molise Michele Iorio?

Il Presidente del Molise Michele Iorio è riuscito a vincere le elezioni chiuse ieri e si conferma presidente regionale per la terza volta. Così la cronaca del Corriere della Sera: "Determinante, come già accaduto in Piemonte, il consenso ottenuto dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che ha sottratto preferenze soprattutto al centrosinistra. Il presidente uscente, che si avvia a governare per il terzo mandato consecutivo, ha ottenuto il 46,94% dei voti scrutinati (89.142) nelle 392 sezioni. Il suo avversario diretto di centrosinistra, Paolo di Laura Frattura, dopo una notte di rocambolesche fughe e risultati ribaltati, si è fermato qualche centinaio di voti dietro, al 46,15% (87.637). Il testa a testa è durato per circa undici ore e si è dovuto attendere la fine dello spoglio per avere il quadro esatto della situazione".

Nell’ultima prova scritta per i miei studenti dell’Università di Bergamo – dove insegno Economia e Tecnica degli Scambi Internazionali, la domanda per il 30 e lode recitava: “Guadagna di più il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama o il presidente del Molise, Michele Iorio?”

Voi direte: ma cosa c'entra Iorio con il corso di finanza internazionale? Conta tantissimo invece, perchè se lo spread BTP-Bund - vedi post Lo spread Btp-Bund - si allarga non è certo colpa degli speculatori cattivi. La colpa è nostra che ci teniamo stretta gente come Michele Iorio.

Figuratevi il mio compiacimento quando lo scorso 4 dicembre, il Corriere della Sera con due delle sue firme più prestigiose – Stella e Rizzo – ha dedicato due pagine intere alle gesta di Iorio: “Viceré Michele e la Regione “pigliatutto”.

Michele Iorio
Ma chi è Michele Iorio? "Più che un barone, un viceré".

Michele Iorio è saldamente alla guida del Molise da tempo immemorabile. Prima assessore provinciale di Isernia, poi sindaco della città, poi assessore regionale di centrosinistra, poi candidato (trombato) dell’Ulivo appoggiato da Rifondazione comunista, poi governatore berlusconiano.

Il 20,4% dei molisani lavora nella pubblica amministrazione. Stella e Rizzo: “I soli uffici della Regione pagano un migliaio di dipendenti: con la stessa proporzione, per capirci, la Regione Lombardia dovrebbe avere oltre 30 mila dipendenti anziché quattromila. Con tutti quei dipendenti pubblici, dovrebbe essere un modello di efficienza. Non è così. Prendiamo la spazzatura: la regione è in coda alla classifica della raccolta differenziata con il 4,8%:meno ancora della Sicilia (6,1%), della Calabria (9,1%) e addirittura della Campania (13,5%)....E la sanità? Il deficit 2009 è astronomico:225 euro per abitante. Più pesante, Lazio a parte, di ogni altra regione.

Il vicerè Michele Iorio non si è scomposto....Governatore, leader del Popolo delle libertà, commissario alla sanità, commissario al terremoto, commissario all’alluvione: un patriarca”.

Con il terremoto di Campobasso, la maggior parte dei finanziamenti è finito nella zona di Isernia, il bacino elettorale di Iorio nemmeno sfiorato dal sisma. Un esempio di lucido investimento di ricostruzione? 200mila euro per il Museo del Profumo a Sant’Elena Sannita.

Con il decreto 314 del 2007, Iorio, commissario per il terremoto e l’alluvione (uno dei suoi tanti incarichi), ha destinato 40mila euro quale contributo per la esecuzione di n. 3 serate regionali del concorso Miss Italia.

La parentopoli di Michele Iorio? Ce la raccontano sempre Rizzo e Stella: “Il fratello Nicola Iorio, primario, ha visto il suo reparto ricevere un contributo di un milione di euro a dispetto del buco regionale salito in otto anni a 600 milioni. La sorella Rosa Iorio direttrice del distretto sanitario. Il figlio Luca Iorio medito ospedaliero. L’altro figlio Raffaele Iorio, direttore medico di un centro privato convenzionato con la Regione del papà. Il cognato Sergio Tartaglione, marito di Rosa Iorio, primario di psichiatria e presidente dell’ordine dei medici isernini”.

Aspettiamo con ansia il prossimo editoriale televisivo – TG1 sei pronto? – che – raccontando il “contagio” europeo e la supposta crisi dell’Euro (mai uno che dica che l’euro è nato a 1,17 contro dollaro e ora ci vogliono molti più dollari, 1,38 per avere un euro) - accusa la “perfida speculazione internazionale”, il complotto “giudo-plutaico-massonico”, che osa vendere i nostri titoli di Stato e quindi contribuisce all’allargamento dello spread Btp-Bund. Ma non lo vedete che lo spread si allarga perchè in Italia siamo pieni di Michele Iorio? Perchè buttiamo via il denaro dei contribuenti in modo scandaloso e siamo amministrati da viceré senza un minimo di competenza. E poi la colpa è degli speculatori. Ma va là!

Carlo Azeglio Ciampi
Sentiamo cosa dice il nostro miglior riferimento, Carlo Azeglio Ciampi (intervista a Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2010):Il paese viene giudicato nel suo insieme. I mercati hanno bisogno di messaggi chiari e semplici. La fiducia è la conseguenza di scelte coerenti con gli impegni assunti. Certo vi è il rischio che venga meno la fiducia dei mercati. Ricordo Gerrit Zalm, il ministro delle finanze olandese: fu il più duro di tutti, tra il 1997 e il 1998, nel pretendere che l'Italia assumesse impegni precisi nel risanamento dei conti pubblici. Poi, quando questo impegno venne assunto, divenne uno dei nostri più accesi sostenitori. Ero a una riunione dell'Ecofin a Bruxelles. Un ministro espresse dubbi sull'Italia, e fu proprio Zalm a tacitarlo con queste parole: Carlo ha preso questo impegno e per me è sufficiente”.

Torniamo all’esame:

“Domanda valida per il 30 e lode:

GUADAGNA DI PIU’ IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA BARACK OBAMA O IL PRESIDENTE DEL MOLISE, MICHELE IORIO?

a) Ovviamente guadagna di più Obama, Iorio non so chi sia

b) Dipende dal cambio del dollaro; se il dollaro raggiungesse la parità con l’euro, come auspicano Giavazzi e Caballero, Obama guadagnerebbe di più

c) Non ho parole, ma guadagna di più Iorio “

Naturalmente la risposta al quesito d’esame è la c) “Non ho parole, ma guadagna di più Iorio” (più di Obama, avete capito bene).

venerdì 14 ottobre 2011

Gli indignados fuori da Banca d'Italia. Hanno clamorosamente sbagliato target

La protesta dei giovani in tutto il mondo - ne parlammo nel post Los indignados: il futuro non è più quello di una volta - è arrivata anche in Italia, paese tipicamente follower.

Ma l'intrinseca fragilità della democrazia italiana non deve portare all'invasione del populismo e dell'incompetenza. Se c'è un centro di merito, di competenza, di ricerca, denso di valori, questo è Banca d'Italia.
A palazzo Koch regnano l'indipendenza di giudizio, il rigore analitico, l'impegno civile. La reputazione dei civil servant italiani è altissima nei consessi internazionali di tutto il mondo.

E dove vanno i giovani indignati a protestare? Davanti alle sedi di Bankitalia. Hanno clamorosamente sbagliato target.

Io invito i giovani Indignati a leggere l'ultimo intervento di Mario Draghi, Governatore fino a fine ottobre di Banca d'Italia, in occasione delle Celebrazioni del 150° dell'Unità d'Italia.

Mario Draghi
Mi permetto di segnalare i seguenti passaggi del Governatore:

1) Le sorti di un paese di medie dimensioni privo di materie prime quale il nostro dipendono dalla sua capacità di fare interagire la propria economia con quella internazionale. Con le parole del grande storico Carlo M. Cipolla: “L’Italia prospera quando sa produrre cose che piacciono al mondo”.

2) Senza aggredire alla radice il problema della crescita lo stesso risanamento della finanza pubblica è a repentaglio. Abbiamo più volte indicato gli interventi necessari in ambiti essenziali per la crescita come la giustizia civile, il sistema formativo, la concorrenza, soprattutto nel settore dei servizi e delle professioni, le infrastrutture, la spesa pubblica, il mercato del lavoro, il sistema di protezione sociale.

3) Nella Venezia del Seicento o nell’Amsterdam del Settecento, società ancora ricche, a una lunga stagione di grande dinamismo era seguito l’affievolirsi dell’impegno a competere, a innovare. Gli sforzi prima diretti al perseguimento della crescita furono indirizzati alla difesa dei piccoli o grandi privilegi acquisiti da gruppi sociali organizzati. In un’economia che ristagna, si rafforzano sempre i meccanismi di difesa e di promozione degli interessi particolaristici. Si formano robuste coalizioni distributive, più dotate di poteri di veto che di capacità realizzativa. Il rafforzamento di tali coalizioni rende a sua volta sempre più difficile realizzare misure innovative a favore della crescita. È compito insostituibile della politica trovare il modo di rompere questo circolo vizioso prima che questo renda impossibili, per veti incrociati e cristallizzati, le misure necessarie per la crescita.

4) È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani. Una nostra tentazione atavica, ricordata da Alessandro Manzoni, è di attendere che un esercito d’oltralpe risolva i nostri problemi.1 Come in altri momenti della nostra storia, oggi non è così. E' importante che tutti i cittadini ne siano consapevoli. Sarebbe una tragica illusione pensare che interventi risolutori possano giungere da fuori. Spettano a noi".

Mario Monti
Quest'ultimo passaggio è la risposta alle analisi di Mario Monti, espresse in un significativo articolo sul Corriere della Sera: Il podestà forestiero.

5) Quanto alla crescita, l’urgenza deriva non solo dagli effetti positivi che ne scaturirebbero sulla finanza pubblica, ma soprattutto dal dovere non più eludibile che abbiamo nei confronti dei giovani, un quarto dei quali sono senza lavoro.
L’Italia deve oggi saper ritrovare quella condivisione di valori comuni che, messi in sordina gli interessi di fazione, è essenziale per mobilitare le energie capaci di realizzare, in anni non lontani, una rigogliosa crescita economica e di offrire credibili speranze alle nuove generazioni".

Come si può apprezzare, Mario Draghi e tutta la Banca d'Italia con le loro lucide analisi pensano ai giovani e alle future generazioni. E' la politica che non agisce con rapidità, che perde troppo tempo, che non ha la forza per incidere con riforme strutturali.

Io ai miei studenti dico: C'è un solo antidoto alla disoccupazione. Studiare più degli altri in modo matto e disperatissimo, sviluppando capacità di fare e desiderio di sapere.

mercoledì 12 ottobre 2011

Le dittature sparano palle colossali. E le democrazie?

Kishore Mahbubani, il Dean di Lee Kuan Yew School of Public Policy, la più nota Università di Singapore – dove il merito è la priorità assoluta – è intervenuto sulle pagine del Financial Times criticando ferocemente l’Occidente e la sua tendenza a sparare palle colossali, definite big lie:

How do dictators survive? They tell lies. Muammer Gaddafi was one of the biggest liars of all time. He claimed that his people loved him. He also controlled the flow of information to his people to prevent any alternative narrative taking hold. Then the simple cell phone enabled people to connect. The truth spread widely to drown out all the lies that the colonel broadcast over the airwaves. Similarly in Egypt and Tunisia, the regimes lost control of the narrative. In short, technology has undermined dictators’ ability to lie to their people.

E le democrazie? Anche loro ci raccontano frottole. Sentiamo Mahbubani:

Kishore Mahbubani
So why are democracies failing at the same time? The simple answer: democracies have also been telling lies. Now we know, for example, that the eurozone project was created on a big lie. All the major European politicians assured their publics that the contradiction between monetary union and fiscal independence would be resolved by insisting on fiscal discipline. Any eurozone member that violated the 3 per cent budget deficit rule would be punished”.


All this was a big lie. When France and Germany breached the 3 per cent rule in 2003, nothing happened. This then opened the doors for others to break the rule (Portugal, Ireland, Greece and Spain). Even worse, Greece began lying to its European partners from the very beginning. To be fair to Greece, its European partners knew Greece was lying.

Europe is not alone. The American people are equally angry with their government. No US leaders dare to tell the truth to the people. All their pronouncements rest on a mythical assumption that “recovery” is around the corner. Implicitly, they say this is a normal recession. But this is no normal recession. There will be no painless solution. “Sacrifice” will be needed and the American people know this.

Don Luigi Sturzo
In un suo recente intervento in occasione del convegno organizzato dalla sapiente Linda Gilli di INAZ, http://www.inaz.it/ Marco Vitale insiste sul linguaggio della verità: “La sfida che abbiamo di fronte richiede a tutti ed in particolare agli uomini d’impresa di parlare, in modo nuovo, il linguaggio della verità.
Il deficit di verità è il più grave deficit del nostro Paese in questa fase storica. Per riavviare l’economia su un sentiero di sviluppo, dobbiamo, prima, semplicemente, rifondare la democrazia, nei suoi principi, nella sua etica, nei suoi meccanismi. Per fare questo dobbiamo anche chiamare all’opera i giovani ed aiutarli ad inserirsi rapidamente; che si mettano alla stanga, come diceva De Gasperi ai giovani democristiani nel 1947, anticipando e non ritardando il loro ingresso nell’assunzione di responsabilità. Dobbiamo farlo così parlando un linguaggio di verità, perché, come diceva Don Sturzo, senza verità non ci può essere libertà".

Ho già affontato in settembre il tema della verità, quindi per approfondimenti vi rimando al post: I mercati, le palle colossali e il linguaggio della verità.

Così chiude saggiamente Mahbubani: “Most people know what is happening. Hence, there is a simple way politicians can regain trust: tell the truth, even if it hurts. But they won’t until they learn that lying doesn’t work – it is not just dictators like Col Gaddafi who never will”.


Dire la verità. Sappiamo, come cantava Caterina Caselli, che la verità fa male, ma è necessaria.

lunedì 10 ottobre 2011

Tu sei il male


Un nuovo fantastico personaggio è nato nel noir italiano: Michele Balistreri, commissario della Polizia di Stato. E’ una creatura di Roberto Costantini, fuoriclasse assoluto - attualmente responsabile del fund raising presso la Luiss di Roma - al suo primo thriller, Tu sei il male (Marsilio, 2011).

Era da tanto che non ci capitava di leggere un giallo così ben costruito, appassionante, denso di personaggi che non dimenticheremo facilmente perchè ci ricordano l’Italia degli ultimi 30 anni.

Tutto parte dalla notte Mundial dell’11 luglio 1982, giorno in cui l’Italia vince il campionato del mondo battendo la Germania 3-1. Quel giorno – mentre tutti hanno la testa persa nell’imminenza della partita, viene brutalmente assassinata Elisa Sordi, ragazza bellissima che lavora alle dipendenze del potente cardinale Alessandrini.

Elisa è troppo bella. Piace a troppe persone.

A me Elisa Sordi ha subito fatto tornare alla mente Emanuela Orlandi , la figlia di un funzionario del Vaticano scomparsa in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni e mai più ritrovata.

Che ne sarà del caso di Elisa? Balistreri, dopo essere stato indotto a non proseguire con le indagini, a 23 anni di distanza - con una struttura narrativa dei due tempi, 1982 e 2005 - riprende il filo dell’intricata vicenda, quando ricominciano altre morti di giovani donne, tutte contraddistinte dalle stesse modalità: sevizie, un’incisione con una lettera dell’alfabeto del corpo.

La storia è il risultato di un piano più ampio volto a destabilizzare la democrazia in Italia. Un piano che faceva leva sul razzismo strisciante verso rom e rumeni, sull paura che gli italiani avevano della barbarie che arrivava dall’est.

La macchina narrativa è così perfetta da lasciare senza fiato il lettore. I personaggi, abilmente mescolati, rappresentano l’universo mondo, buoni, cattivi, impavidi, deboli, fragili e forti. Ma Balistreri svetta su tutti: un mattatore. E il finale è un’autentica sorpresa. Non ve la sveliamo.

Se dobbiamo scegliere due passaggi, scegliamo questi:

La rabbia non è la scorciatoia per la verità”.

La parola d’ordine, a tutti i livelli, era sedimentare. Governo centrale e giunta comunale, opposizione, Vaticano, Servizi, polizia. Tutti erano d’accordo, bisognava lasciare che la polvere ricadesse naturalmente sui mobili vetusti della memoria”.

Ecco, in Italia si sedimenta sempre. In eterno. Non si passa mai all'azione. Si riflette e si crea una Commissione per studiare il fenomeno.

Caro Costantini, visto che si tratta di una trilogia, aspettiamo con ansia la seconda parte.

giovedì 6 ottobre 2011

Omaggio a Steve Jobs, imprenditore formidabile

Voglio ricordare Steve Jobs - imprenditore formidabile - con le sue parole agli studenti di Stanford: "Stay hungry, stay foolish", che si può tradurre con "Non siate mai sazi e soddisfatti, pensate fuori dal coro".

 “When I was 17, I read a quote that went something like: "If you live each day as if it was your last, someday you'll most certainly be right." It made an impression on me, and since then, for the past 33 years, I have looked in the mirror every morning and asked myself: "If today were the last day of my life, would I want to do what I am about to do today?" And whenever the answer has been "No" for too many days in a row, I know I need to change something.

Remembering that I'll be dead soon is the most important tool I've ever encountered to help me make the big choices in life. Because almost everything — all external expectations, all pride, all fear of embarrassment or failure - these things just fall away in the face of death, leaving only what is truly important. Remembering that you are going to die is the best way I know to avoid the trap of thinking you have something to lose. You are already naked. There is no reason not to follow your heart".

Death is very likely the single best invention of Life. It is Life's change agent. It clears out the old to make way for the new. Right now the new is you, but someday not too long from now, you will gradually become the old and be cleared away. Sorry to be so dramatic, but it is quite true.
 Your time is limited, so don't waste it living someone else's life. Don't be trapped by dogma — which is living with the results of other people's thinking. Don't let the noise of others' opinions drown out your own inner voice. And most important, have the courage to follow your heart and intuition. They somehow already know what you truly want to become. Everything else is secondary".

Io lo dico sempre ai miei studenti: "Cercate di pensare con la vostra testa. Evitate di fare i pecoroni, di essere soggetti all’”effetto gregge”. Liberate le energie potenziali che sono in voi. Seguite le vostre passioni".
 
La crisi che stiamo vivendo ha tra le sue radici l'omologazione del pensiero, da me definita in un post una brutta bestia
Riflettiamo prima di agire. Non dobbiamo aver paura della nostra libertà di pensiero.

Caro Steve Jobs, ti sia lieve la terra.

mercoledì 5 ottobre 2011

Only the paranoids survive. Così è la vita: cadere sette volte e rialzarsi otto

Nel 1996 il fondatore di Intel – colosso dei microprocessori americano – Andy Grove scrisse un libro dal titolo molto indicativo: Only the paranoids survive. Solo con molta consistency e focalizzazione decisa si ottengono risultati in un contesto supercompetitivo: “Business success contains the seeds of its own destruction. Success breeds complacency. Complacency breeds failure. Only the paranoid survive”.

Quest’estate ho letto un libro che vi consiglio, scritto da Andre Agassi, a lungo numero 1 del tennis mondiale con 8 tornei dello Slam nel carniere, Open. La mia Storia (Einaudi, 2011).

Con uno stile diretto, avvincente, emozionante Agassi racconta come suo padre, campione di pugilato, rappresentatante dell’Iran alle Olimpiadi, una volta fuggito negli Stati Uniti, ha costretto tutti suoi figli a concentrarsi sul tennis. In modo paranoico. Fino a far odiare il tennis ad Andre: “Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio perchè non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi, non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita”.

Andre Agassi
Il padre di Agassi inventò per Andre, il figlio più dotato, una macchina lanciapalle, soprannominato il Drago: “Nero come la pece, montato su due ruote di gomma, il drago assomiglia a qualunque macchina lanciapalle. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei miei fumetti. Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero e una voce terrificante. Risucchiando un’altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi...Quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all’ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta”.

Ho trovato fantastico e significativo questo passaggio: “Papà dice che se colpisco 2.500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono. Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile”. Ecco il valore della consistency!

Molti campioni dello sport hanno avuto dei genitori ossessivi. Mi ricordo lo sciatore Marc Girardelli, il cui padre gli faceva fare a scaletta la pista alle 7 del mattino prima che aprissero gli impianti. Senza parlare del padre delle sorelle Williams, Richard, che pianificò la carriera delle figlie Venus e Serena ancor prima che nascessero (arrivando a sabotare i contraccettivi di sua moglie!).

Larry Bird
Qualche mese fa, intervistato dal Corriere della Sera, uno dei più grandi cestisti di sempre, Larry Bird dei Boston Celtics degli anni Ottanta, ha risposto: “Io mi definirei un professionista che lavorava sodo e cercava ogni giorno di dare il meglio di sè. Essere competitivo significa restare concentrato sull’obiettivo finale, cioè la vittoria, a prescindere da quello che sto facendo”.

Roland Barthes nel suo splendido Frammenti di un discorso amoroso, scrisse: “Subisco senza adattarmi, persevero senza abituarmi: sempre sconsolato, mai scoraggiato; sono un pupazzo Daruma, un misirizzi senza gambe a cui si danno continuamente dei buffetti, ma che alla fine si ritrova sempre in piedi, grazie a un equilibrio interiore. E’ ciò che dice una poesia popolare che accompagna questi pupazzi giapponesi:

Così è la vita:
Cadere sette volte
E rialzarsi otto.

Una bambola Daruma
P.S.: (Wikipedia) Le bambole daruma, dette anche bambole dharma, sono figurine votive giapponesi senza gambe né braccia, che rappresentano Bodhidharma (Daruma in giapponese), il fondatore e primo patriarca dello Zen. I colori più comuni sono: rosso (il più frequente), giallo, verde e bianco. La bambola ha un volto stilizzato da uomo con barba e baffi, ma gli occhi sono dei cerchi di colore bianco.

A causa del loro basso centro di gravità, alcuni modelli di bambola daruma si raddrizzano da sole dopo essere state spinte da un lato. Per tale motivo sono diventate un simbolo di ottimismo, costanza e forte determinazione. Queste bambole derivano da un modello più antico di bambola che si raddrizza da sola, nota come il "piccolo monaco rotondetto" o "piccolo monaco sempre-in-piedi". Una filastrocca per bambini del XVII secolo descrive le bambole daruma dell'epoca in modo assai simile alle loro raffigurazioni moderne:

Una volta! Due volte!
Sempre il Daruma di rosso vestito
Incurante torna seduto

lunedì 3 ottobre 2011

Lapalisse e l'Italia. Sappiamo tutti cosa è necessario fare ma la palude sommerge tutto

Lei mi ha domandato il mio giudizio sulla situazione monetaria e finanziaria. Le ho risposto che siamo indubbiamente malati da tempo; che sarebbe vano voler dire che ne morremo un mese prima o un mese dopo; ma che certamente ne soffochiamo intanto giorno per giorno; che ne siamo già in fase avanzata; che ne è caratteristico l’acceleramento crescente.

Questa malattia, si capisce, è il disfacimento del credito e della moneta”.

Se sostituiamo moneta con euro, il dado è tratto, sembra un’osservazione di ieri. E invece il passo è tratto da una lettera dell’allora amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, Raffaele Mattioli, banchiere d’altri tempi, a Palmiro Togliatti, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano. La data in calce alla lettera è 28 maggio 1947.

Oggi sembra proprio di soffocare. Sembra che il malato Italia sia entrato in agonia e non riesca ad essere curato. Le soluzioni ci sono, belle che pronte. Ma domina l'immobilismo, la palude. Nel mondo anglosassone si dice Think before you act. In Italia il motto è Think but don't act.
Basta leggere le ultime Considerazioni Finali del Governatore di Banca d’Italia, Mario Draghi.

Rivisitiamole insieme.

1) Le nostre analisi chiamano in causa la struttura produttiva italiana, più frammentata e statica di altre, e politiche pubbliche che non incoraggiano, spesso ostacolano, l’evoluzione di quella struttura.

2) Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale; l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia.

3) Occorre proseguire nella riforma del nostro sistema di istruzione, già in parte avviata, con l’obiettivo di innalzare i livelli di apprendimento, che sono tra i più bassi nel mondo occidentale anche a parità di spesa per studente.

Raffaele Mattioli
4) La concorrenza, radicata in molta parte dell’industria, stenta a propagarsi al settore dei servizi, specialmente quelli di pubblica utilità. Non si auspicano privatizzazioni senza controllo, ma un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto. La sfida della crescita non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l’occupazione e minano la competitività
complessiva del Paese.

5) L’Italia è indietro nella dotazione di infrastrutture rispetto agli altri principali paesi europei, pur con una spesa pubblica che dagli anni Ottanta al 2008 è stata maggiore in rapporto al PIL.

6) La diffusione nell’ultimo quindicennio dei contratti di lavoro a tempo determinato e parziale ha contribuito a innalzare il tasso di occupazione, ma al costo di introdurre nel mercato un pronunciato dualismo: da un lato i lavoratori in attività a tempo indeterminato, maggiormente tutelati; dall’altro una vasta sacca di precariato, soprattutto giovanile, con scarse tutele e retribuzioni.

Riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più nella formazione delle risorse umane, a inserirle nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera.

Mario Draghi chiude così le sue ultime Considerazioni: “Perché la politica, che sola ha il potere di tradurre le analisi in leggi, non fa propria la frase di Cavour “…le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”?

Ce lo chiediamo tutti i giorni anche noi.

P.S.: si consiglia la lettura di Profilo di Raffaele Mattioli, Giovanni Malagodi, Nino Aragno Editore, 2010