lunedì 23 aprile 2018

Renato Vallanzasca: un killer spietato merita la semilibertà?

Vallanzasca e Turatello
Renato Vallanzasca, recita Wikipedia, è un criminale italiano, autore negli anni settanta e seguenti, di numerosi sequestri. E' stato condannato complessivamente a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Renato inizia a delinquere a soli 8 anni quando con un compagno cerca di far uscire da una gabbia la tigre di un circo che aveva piantato il tendone vicino a casa sua. Verrà portato il giorno dopo al Beccaria, il carcere minorile. Non c'è che dire, un buon inizio a soli 8 anni.

Successivamente, dopo aver frequentato le bande del Giambellino, la "ligéra", la vecchia mala milanese, decide di mettersi in proprio e fonda la Banda della Comasina, che diventa il più feroce gruppo criminale di Milano, contrapponendosi alla banda di Francis Turatello.
Sono oltre settanta le rapine che Vallanzasca e la sua banda mettono a frutto, senza contare i sequestri di persona (famoso quello a Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese). Nel 1977 al casello di Dalmine, fermati a un posto di blocco Vallanzasca, con Michele Giglio e Antonio Furlato, spara. Nello scontro a fuoco muoiono i due agenti di polizia Luigi D'Andrea e Renato Barborini.
Seguono arresti e fughe. Risse in carcere, vendette e addirittura decapitazioni (Massimo Loi, che aveva deciso di collaborare con Achille Serra), evasioni e catture. Un'epopea. Criminale.
Il sistema carcerario italiano prevede l'ergastolo effettivo solo in un numero limitato di casi. Infatti l'articolo 27 della Costituzione prevede espressamente che la pena debba mirare alla rieducazione del condannato.
Il giudice di sorveglianza nel 2010 diede parere favorevole a concedere a Vallanzasca il regime di semilibertà. Il 13 giugno 2014 Renato viene sorpreso in un supermercato a Milano con in una borsa biancheria intima e materiale da giardinaggio (non pagata, trattasi di taccheggio). Arrestato, processato per direttissima per il reato di rapina impropria, condannato a 10 mesi e 330 euro di multa. Gli viene revocata la semilibertà.
Attualmente Vallanzasca è recluso nel carcere di Bollate (uno dei migliori in Italia, grazie anche all'egregio lavoro compiuto da Lucia Castellano). 

Vallanzasca, dopo l'ennesimo arresto
Nei giorni scorsi Vallanzasca, tramite l'avvocato Davide Steccanella, ha chiesto di tornare a beneficiare della legge Gozzini, della semilibertà. So che alcuni imprecano e invocano il "buttar via la chiave". Ma occorre riflettere, non reagire in modo impulsivo. Per intanto, vale la pena di citare alcuni passaggi della memoria di Steccanella:
- Vallanzasca ha trascorso, seppur con qualche breve intervallo, l'intera propria esistenza in carcere: 45 anni di detenzione su 68 di vita;
- "La sua prima funzione della pena è certamente quella di assolvere ad una necessità afflittiva e in qualche modo "retributiva" del vulnus arrecato alla collettività, mentre la seconda, di non minore importanza, è invece quella di consentire e favorire in tutti i modi il successivo "recupero" sociale del reo deviante, finalizzandola al suo successivo reinserimento in quella comunità in precedenza vulnerata";
- in passato il ravvedimento non era necessario, era sufficiente la buona condotta. Qui Steccanella mostra la sua cultura storica citando Antonio Gramsci, che potè - per ragioni di salute - uscire dal carcere fascista nel 1934 senza abiurare (morirà nel 1937);
- sta al magistrato di sorveglianza valutare se il condannato è realmente cambiato;
- Vallanzasca ha iniziato nel febbraio 2017, su sua richiesta, un percorso di "mediazione" coordinato dall'equipe guidata dal criminologo prof. Adolfo Ceretti (di cui si segnala il volume a cura di G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzuccato, Il libro dell'incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, il Saggiatore, 2015);
- I mediatori hanno fatto incontrare a Vallanzasca il figlio di un agente di polizia ucciso e la reazione è stata positiva, "essendo stato capace - anche oltre le aspettative - di creare un dialogo possibile e aperto intorno alla questione della responsabilità";
Vallanzasca oggi
- Vallanzasca ha instaurato un rapporto con una compagna che ha accompagnato il condannato anche nella "rivisitazione critica", "ha mantenuto proficui rapporti con gli operatori, confermandosi, pertanto, un valido e solido riferimento esterno";
- il prof. Ceretti conclude che "ravvisando un adeguato livello di ravvedimento, tenuto conto del percorso di mediazione penale, vista la rete esterna (lavoro, volontariato, affetti), si ritiene che il soggetto possa essere ammesso alla liberazione condizionale (o on subordine alla semilibertà".
Venerdì 20 aprile la procura generale di Milano non ravvisa un "sicuro ravvedimento" e respinge la richiesta di Vallanzasca.

Tempo fa ero rimasto molto colpito dal volume "Fine pena: ora" (Sellerio, 2015) scritto dal giudice Elvio Fassone sulla base della sua corrispondenza con l'ergastolano che aveva condannato. Non si può fermarsi a pensare quando Salvatore gli scrive: "Le volevo dire che se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia; e se io nascevo dove è nato suo figlio, magari facevo l'avvocato, ed ero pure bravo".
Fassone parla di "quella maledizione che lo ha timbrato fin dalla nascita, che costringe i nati nel suo Bronx a svolazzare e divincolarsi intorno al filo mortale per brevi anni di violenza, sino a che una scarica li raggiunge e li seppellisce".

Nelle pagine finali Fassone scrive: "Nessun individuo, noi compresi, è uguale a quell"'io" che era venti o trenta anni fa, e perciò è ragionevole che il nostro giudizio sia diverso a seconda che si appunti su quella o su questa figura. Nessuno - è stato scritto - è mai tutto in un gesto che compie, buono o cattivo che sia . Ciò che oggi sembra indegno di qualsiasi atteggiamento benevolo, può diventare creditore dopo molto tempo e moltissimo patire".

Io credo che il diniego dei benefici a Vallanzasca possa essere dovuto, come suggerisce Fassone nel capitolo  "Abolire l'ergastolo?" ai media, che ci mettono sotto gli occhi qualche crimine particolarmente efferato e le emozioni negative susseguenti insorgano con intensità ancora più forte travolgendo lo sforzo di riflessione e il senso di umanità.

Chi non è d'accordo, commenti. Grazie. Non esistono verità rivelate.

lunedì 16 aprile 2018

Facebook, la Schadenfreude e il sedicente crollo del Nasdaq: il modello economico non è minacciato

Il 18 maggio 2012 Facebook si quotava sul più importante mercato tecnologico del mondo, il NASDAQ, a 38 dollari per azione. Nonostante il giorno della quotazione il titolo aprì in calo, a 6 anni di distanza il titolo quota oltre 160 dollari. Chi avesse investito il primo giorno e mantenuto le azioni, avrebbe moltiplicato il capitale per 4. Un rendimento stellare.
In Italia, invece di comprendere la forza del capitalismo americano, pieno di private equity e venture capital che credono fin dall'inizio nelle iniziative imprenditoriali di giovanissimi (il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg è nato nel 1984, quindi al momento della fondazione nel 2004 aveva solo 20 anni, provate a trovare in Italia finanziamenti di equity quando avete 20 anni), viviamo costantemente nella Schadenfreude, nel godimento delle disgrazie altrui. Per cui ogni volta che i mercati scendono, piovono sul web urla di gioia per la ricchezza svanita in un batter d'occhio. Si guarda il dito e non la luna, ossia l'enorme creazione di ricchezza generata dal sistema americano, che consente alle imprese di accedere con facilità al capitale di rischio, che, a sua volta, ha la chance di uscire dall'investimento al momento dell'Initial public offering (Ipo), generando le risorse per altre iniziative.
Zuckerberg, secondo la rivista Forbes, è il quinto uomo più ricco del mondo, con oltre 72 miliardi di dollari di ricchezza. Eppure siamo pieni di opinionisti che hanno colto l'ennesima occasione per dimostrare la loro ignoranza (nel senso che ignorano bellamente i fatti).
Loretta Napoleoni, economista che si vantava di essere professore (vedasi polemica con Riccardo Puglisi su Linkiesta), sul Venerdì di Repubblica del 13 aprile scrive un articolo dal titolo "Con l'high-tech la borsa perde la bussola", dove si legge: "E' chiaro che nel primo trimestre del 2018, nonostante la ripresa economica mondiale, il crollo delle azioni Facebook, Amazon e Google sia stato sufficiente a causare un calo inaspettato degli indici di mercato del 10 per cento, il più grande registratosi dal 2015".
Intanto: da quando i cali non sono inattesi? Viviamo nella random walk theory. Altrimenti "if you are so smart, why arent't you so rich?"
Crollo? Caduta rovinosa? Ma di cosa stiamo parlando? Intanto il NASDAQ è ampiamente positivo da inizio anno, al contrario, per esempio dei mercati azionari europei, tutti in calo eccetto il listino italiano. Inoltre, Facebook (la cui market cap, tanto per avere un'idea, è di 477 miliardi $), apparentemente crollata, da inizio anno scende solo del 12% (dopo essere salita a rotto di collo nel 2017), Amazon sale del 24%, Google (alias Alphabet), scende solo del 3,76%. Di quali cali sconvolgenti stiamo parlando? Normale volatilità.
Il modello di Facebook è ancora pienamente funzionante. Per capirlo bisogna comprendere il significato antropologico del dono, "quanto viene dato per pura liberalità" (Devoto.Oli, cit). Secondo Ronald Dore, autore dell'imprescindibile "Bisogna prendere il Giappone sul serio" (il Mulino), sono molti i giapponesi che non accettano i regali, perché sanno in partenza di non poter contraccambiare. Il dono genera un'azione uguale e contraria. Se non si è in grado di replicare il regalo, si rinuncia.
Colui che si iscrive a Facebook e beneficia dei servizi (compreso Whatsapp, controllata sempre da Facebook) dati gratuitamente dal social media, sa benissimo che paga con i suoi dati venduti alle società che fanno pubblicità. Facebook agisce con il principio del value first, prima ti do qualcosa e poi, dopo, ti chiedo (dati, tue preferenze e abitudini di consumo). Antropologicamente, se non penso di dover contraccambiare, perché rinunciare a un servizio, che si ripaga con la pubblicità?
Ha perfettamente ragione l'economista Enrico Moretti (si cui si consiglia "La nuova geografia del lavoro", portato di persona alla Casa Bianca da Barack Obama, avido lettore), che su Repubblica (13 aprile) scrive: "Mi pare che l'ondata di ostilità politica crescente non rappresenti, almeno per ora, una minaccia esistenziale al loro modello economico, che consiste in uno scambio esplicito. Da un lato ai consumatori vengono offerte tecnologie avanzate a costo monetario zero. Dall'altro, le imprese che forniscono gratuitamente questi servizi chiedono ai consumatori di ricevere pubblicità personalizzata".
Moretti pensa addirittura che questo scandalo andrà a favore di Facebook. Infatti "le nuove norme potrebbero favorire le grandi imprese della Silicon Valley, rendendo più difficile l'entrata di nuovi concorrenti. Le barriere all'entrata, in sostanza, opererebbero a favore degli incumbent, di coloro che dominano già sul mercato.

Cari vaticinisti, it's a long way to Tipperary!

domenica 8 aprile 2018

A Ivrea, città olivettiana, emerge la concezione della libera stampa del Movimento 5 Stelle

Sabato 7 aprile ad Ivrea si è tenuto il Sum #02 (Capire il futuro), una kermesse organizzata dall'Associazione Casaleggio per parlare di lavoro, imprese, precariato, democrazia digitale, ricerca e medicina. Vaste programme, direbbe il generale De Gaulle.
All'inviato della Stampa Jacopo Iacoboni non è stato consentito di entrare. Come mai? "Ragioni personali", hanno detto i pentastellati. Il motivo vero sta nel volume di Iacoboni, L'esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 Stelle (Laterza, 2017) e nelle analisi pubblicate sul giornale di Torino.

Ricordiamo solo che Ivrea è il luogo sbagliato per bloccare il pensiero critico. Ad Ivrea nel lontano 1908 viene fondata l'Accomandita Semplice Ing. C. Olivetti & Co da Camillo Olivetti (che venne chiamato così in onore di Camillo Benso di Cavour e delle sue idee liberali) e che ha visto il figlio, Adriano, creare uno dei più efficaci centri di pensiero mai esistiti in Italia.
Come viene superato l'isolamento canavese? Con la ricerca e la libertà creativa, "dando spazio alla libertà di pensare e creare da parte di tutti, divenendo una comunità di pratica all'interno e con tutti gli stakeholders per la condivisione delle conoscenze" (Bruno Lamborghini, cit.).
Per Adriano Olivetti, intellettuali e letterati sono necessari dovunque, anche in un'industria ad alto contenuto tecnologico. Gli scrittori in Olivetti non sono un lusso o un "ornamento" dell'alta direzione, ma fattori organici dello sviluppo aziendale. A Ivrea hanno lavorato Giudici, Fortini, Volponi, Pampaloni, Soave, lo psicanalista Cesare Musatti, Sinisgalli, il poeta ingegnere. E tanti altri.
Adriano Olivetti non è stato solo un formidabile imprenditore, ma anche un uomo di cultura, un filosofo sociale, un mecenate.
All'Olivetti viene sistematicamente valorizzato il ruolo dei collaboratori sia direttivi che operai. Così ricorda Ottorino Beltrami: "Ho assistito a una riunione nella biblioteca...quella sera c'era Gaetano Salvemini e il tema era la ricostruzione del Paese e della democrazia. Dopo un breve intervento dell'ospite, iniziava la discussione che durava fino a tardi. Parlava Adriano Olivetti e parlavano gli operai, mi sorprese l'estrema libertà e democrazia con cui tutti interloquivano. Molti avevano fatto solo le elementari, però erano persone intelligenti e lo si capiva dalle cose interessanti che dicevano. Adriano parlava come fosse uno dei tanti: lo interrompevano anche. Non ho visto un simile esempio di democrazia neppure in America, erano tutti eguali, una cosa emozionante, da far venire i brividi".

In uno scritto del 1937 Thomas Mann, immenso, nota come "tutte le regole e le leggi morali si possono ricondurre ad una, la verità...Goethe dichiarò: "Io preferisco la verità dannosa all'errore utile. Una verità dannosa è utile, perché può essere dannosa solo a momenti e poi conduce ad altre verità, che devono diventare più utili, sempre più utili; e viceversa un errore utile è dannoso, poiché può essere utile solo per un momento e induce altri errori, che diventano sempre più dannosi". Questo non è intellettualismo né idealismo gonfiato, è senso della verità, ossia della vera felicità della vita".

Come fanno i grillini a procedere verso responsabilità governative se non accettano critiche, se pensano come Beppe Grillo che la stampa è da mettere al pubblico ludibrio? Se i giornalisti vengono definiti giornalai, se si gettano banconote false per sfregio ai cronisti (Italia 5 Stelle, Rimini, 2017), se non si è capaci di accettare alcuna critica, il cammino di Luigi Di Maio e il suo entourage sarò molto duro.

Tom Nichols, politologo che insegna ad Harvard, ha scritto di recente un volume dal titolo "La conoscenza e i suoi amici. L'era dell'incompetenza e i rischi per la democrazia". La tesi è che elettori incompetenti non potranno che eleggere governi incompetenti.
Che abbia ragione Nichols?