giovedì 2 settembre 2010

Fuld, pallone gonfiato


Nella sua recente audizione al Congresso Americano davanti alla Commissione che indaga sule cause della crisi – Financial Crisis Inquiry Commission, http://www.fcic.gov/hearings/09-01-2010.php - Richard Fuld, l’ex chief executive officer di Lehman Brothers, fallita or filed for bankruptcy il 15 settembre 2008, ha dichiarato che con l’appoggio della Fed, Lehman poteva essere salvata. “Lehman’s demise was caused by incontrollable market forces and the incorrect perception and accompanying rumors tha Lehman did not have sufficient capital to support its investments. All of this resulted in a loss of confidence, chich then undermined the firms’s strength and soundness”.
Per un manager che ha guadagnato in dieci anni 457 milioni di $, l’idea di essere salvati dalla Fed è un chiaro esempio di bravura e diligenza. Non per noi, che pensiamo che i manager faso tuto mi, i CEO che si guardano allo specchio e si credono Napoleone, i CEO delle banche che rischiano il capitale a beneficio asimetrico dei loro bonus non ci piacciono per niente.
Siamo invece d’accordo con il FCIC commissioner Peter Wallison, che nel suo intervento ha detto: “Fed had given too much support to investment banks starting with Bear Stears”.
Fuld insiste che “There was no capital hole at Lehman”. Questo è nettamente in contrasto con le evidenze dei revisori che hanno capito come Lehman taroccava i conti trimestrali attraverso repo con controparti fuori bilancio – da cui il noto shadow banking system, su cui enormi responsabilità gravano sulle autorità di vigilanza.
“Nulla dovrebbe mai diventare troppo grande per fallire. Quel che è fragile dovrebbe rompersi presto, finchè è ancora piccolo” (N. Taleb, Il Sole 24 Ore, 31.8.10). Ma quel che ci preme sottolineare è che l’impresa è una equazione complessa. Non c’è solo il management e gli azionisti. Non c’è solo la proprietà. Ci sono il lavoro, i talenti, la conoscenza accumulata, il territorio, l’ambiente. E come ci ricorda Marco Vitale il mandato professionale del management non è quello di produrre, comunque, valore per gli azionisti; è quello di produrre valore aggiunto per l’impresa. Chi guida l’impresa deve, invece, assicurare la sana sopravvivenza della stessa nel tempo. “Bisogna avere il coraggio di dire che molti dei grandi CEO che ci hanno portato alla crisi non sono manager, ma pirati, e che molti di loro sono semplici palloni gonfiati, abili nel furto con destrezza e forti solo del loro smisurato cinismo, e dell’uso spregiudicato della violenza. Come i mafiosi” (M. Vitale, Passaggio al futuro, EGEA, 2010, p.96).

Shareholder value maximization is dead”, Financial Times, 16th March 2009

2 commenti:

  1. Alessandro Balsotti2 set 2010, 12:37:00

    Il commento di Vitale è sicuramente eccessivo. Per un'analisi più esauriente e meno manichea consiglio la professionale ricostruzione dei drammatici eventi del 2008 (sostanzialmente da Bear al piano-TARP post Lehman) di Andrew Ross Sorkin, giornalista del NYT, in "Too Big To Fail". Su Fuld il giudizio è forse troppo assolutorio... "CEO Richard Fuld did make errors, to be sure - some out of loyalty, some out of hubris and even some, possibly, out of naiveté. But unlike many of the charachters in this drama, whose primary motive was clearly to save themselves, Fuld seem to have been driven less by greed than by an overpowering desire to preserve the firm he loved."
    Di certo c'è solo che queste persone sono state sovrapagate almeno di un fattore 10 (forse anche 50) ma questo è probabilmente vero per tanti operatori finanziari, non solo i CEO...

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  2. Non mi piace :"drammatici eventi", non mi piace l'uso della parola "drama", si parla di drammatici eventi quando un qualcosa di inatteso e devasante, che non poteva essere prevenuto, accade e lascia dietro di se conseguenze disastrose e inevitabili. Non è questo il caso, questo è il caso di persone che, dato il loro enorme potere, potevano fare qualcosa, ma hanno DECISO di non fare nulla per il semplice fatto che era più vantaggioso "tirare la corda" e intascarsi milioni su milioni a scapito di ignari investitori e risparmiatori. Invece di "the firm he loved", direi più che altro "the money he loved", anzi the "easy-money he loved". E come lui molti altri, che si meriterebbero lavori forzati in miniera, per riscoprire un po' il vero VALORE del denaro.

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