mercoledì 18 settembre 2019

La parabola di Matteo Salvini, accecato dalla tracotanza


Il leader della Lega Matteo Salvini – evocando le parole di Benito Mussolini del 1922 – nel mezzo dell'estate, accecato dalla tracotanza, ha chiesto “pieni poteri” agli italiani, stufo dei “no” del Movimento 5 Stelle, delle pastoie della politica, dimenticandosi che la democrazia ha delle regole, che siamo in una repubblica parlamentare, che esiste un Presidente della Repubblica che non lavora sotto dettatura, un sistema democratico di contropoteri, di “check & balance”, che rendono il nostro sistema immune a un’altra dittatura.

La stampa deve funzionare da quarto potere, svolgere il compito determinante di far comprendere all’opinione pubblica le questioni che contano. L’economista Paolo Sylos Labini, invitava sempre a discernere, ad andare in profondità, stabilendo la corretta gerarchia dell’ordine delle priorità.
Una volta caduto il governo giallo-verde (Conte I) ci chiediamo cosa avrebbe potuto farne Salvini dei “pieni poteri” a livello di politica economica. Avrebbe certamente mantenuto come consiglieri due anti-Euro come Claudio Borghi e Alberto Bagnai, pericolosi assai soprattutto per il contribuente il quale ha pagato con lo spread maggiori costi sul debito pubblico. Quali alleanze avrebbe costruito in Europa? Avrebbe ascoltato gli industriali del Nord che sono competitivi a livello mondiale o coloro – piccoli imprenditori - che auspicano ancora il binomio svalutazione & deficit pubblico?  

Fortunatamente il nuovo governo giallo-rosso ha ricominciato a dialogare con l’Europa, nell’ottica di rappresentare un’Italia come forza europea. I nostri mercati di esportazione sono Germania, Francia e Inghilterra. Non Ungheria e Polonia. Come Paese fondatore della Ue, come abbiamo potuto porci sempre all’attacco delle istituzioni europee? Quando la sola regione Sicilia ha più dipendenti di tutta l’Unione Europea, Salvini appena ha potuto ha sostenuto che tutta la colpa della mancata crescita economica italiana sta negli “odiosi euroburocrati” che non ci consentono di sforare i parametri di Maastricht.
La verità – che fa male – come cantava Caterina Caselli, è un’altra: il motore della nostra economia è inceppato da venticinque anni: criminalità, sistema pubblico inefficiente, nanismo della imprese, familismo amorale hanno bloccato la crescita, che non può riaversi con prebende e sussidi concessi in deficit. La ricetta del reddito di cittadinanza è stata fallimentare perché ha alimentato l’idea che stare in panciolle ha più senso (e reddito) che lavorare.  

Fabrizio Saccomanni - una vita in Banca d’Italia come civil servant fino alla direzione generale (non divenne Governatore solo per il veto di Silvio Berlusconi), scomparso quest'estate, uno dei tanti costruttori dell’Italia europea - era ben consapevole dell’importanza dei rapporti internazionali e criticava l’irresponsabile strategia della “sedia vuota” (come quella seguita dal generale Charles De Gaulle negli anni sessanta per sabotare le funzioni del Consiglio europeo ). E’ invece stata la linea scelta dai due ex vice-premier, che non hanno mai partecipato ai vertici europei, come quelli sulle politiche migratorie previste dal trattato di Dublino e al contempo hanno biasimato l’Europa in modo autolesionistico senza cercare alleanze e compromessi.
W l'unione europea, pensata nel 1940 da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi in esilio fascista a Ventotene.

Nessun commento:

Posta un commento