mercoledì 16 febbraio 2011

Ma le azioni - nel lungo termine - convengono veramente?

In tutte le università del mondo si insegna che nel lungo periodo le azioni offrono agli investitori un rendimento superiore alle obbligazioni. Lo storico della finanza Jeremy Siegel - Russell E. Palmer Professor of finance at the Wharton School of the University of Pennsylvania – ha raccolto tutta la sua sapienza in un famoso libro dal titolo Stocks for the long run (McGrawHill, 1994).

La psicologia – sappiamo dagli studi di finanza comportamentale di Kahneman, Tversky, Shiller, Akerlof, Piattelli Palmarini, Legrenzi, Motterlini – gioca butti scherzi. Le emozioni spesso trasformano un investitore di lungo termine in un trader di breve termine con letali conseguenze sulla gestione dei patrimoni. Come spesso avviene, dopo un forte ribasso si perde fiducia nel mercato e dopo molte sofferenze si capitola e si vende – spesso ai minimi.

Come sottolinea Peter Bernstein  nella prefazione a Siegel, “The ability to manage the unexpected consequences of our choices and decisions is the real secret of investment success...Successful investment management means understanding ahead of time how you will react to outcomes that are not only unexpected but unfamiliar. Although you might intellectually accept the reality of market volatility, emotionally acceptance is far more difficult to achieve”.


Jeremy Siegel
 La cosa che voglio sottolineare oggi è invece legata alla diversità di performance nei diversi mercati. Siegel ha analizzato principalmente il mercato azionario americano e i risultati sono incrontrovertibili. Detenere le azioni nel lungo termine paga. Ma si può dire la stessa cosa per gli altri mercati azionari mondiali?

Ci viene in soccorso Jeremy Grantham, chairman di  GMO che ha analizzato il ritorno dell’investimento azionario – ritorno al netto dell’inflazione reinvestendo i dividendi ricevuti ogni anno - negli ultimi 50 anni, dal 1960 al 2010. Questi i sorprendenti risultati:












Vediamo grandi differenze tra mercati anglosassoni - i mercati azionari in Gran Bretagna e Stati Uniti regalano agli investitori ritorni significativi - e mercato italiano – il mercato francese sta nel mezzo (in Germania dopo 50 anni il return è 586 contro i 100 di partenza). Di fatto, un investitore italiano che avesse investito in Italia nel 1960 avrebbe nel 2010 gli stessi soldi – reali, quindi al netto dell’inflazione – di 50 anni prima.

Non c’è che dire, se Siegel fosse vissuto in Italia, avrebbe scritto un libro ben diverso. Ne proponiamo uno: Azioni a babbo morto. Meglio lasciarle agli eredi così piangeranno loro.

Un’ulteriore considerazione. Visto che il mercato azionario italiano delude, si deve continuare a investire – come fanno la maggior parte degli italiani – in titoli governativi (BOT, BTP e CCT)? Nella Lex column del Financial Times del 7 febbraio scorso leggiamo: “Two years on, equities have snapped back. But stocks can still fall for periods most humans would consider to be the “long run”. .. But negative real returns on stocks have been known to persist for far longer than a decade. True, the longest drought in the US was only 16 years, but two world war led stocks outside the US to a cumulative negative return of 3% over the 39 years from 1910 to 1948. History shows that buy-and-hold investing in equities can be dangerous – but its more urgent message is that bonds’ performance of the last three decades is unsustainable”.

Quindi dimentichiamoci i ritorni stellari dei mercati obbligazionari degli ultimi 15 anni. La pensa allo stesso modo Jeremy Siegel che sempre sul Financial Times (3 febbraio 2011, Inflation–linked bonds face a headwind of many risks) scrive: “The major reason for the dramatic drop in these real yields is the unprecedented – and in my opinion unwarranted – level of pessimism and risk aversion that has gripped investors since the financial crisis…If returns on stocks reach their historical average, the margin by which stocks will outperform bonds will nearly double from its historic 3% level. Stocks are still reasonably priced at less than 15 times projected 2011 earnings in virtually every country in the world”.

Riassumiamo il Siegel+Grantham pensiero: azioni sì, ma non italiane (a meno che non si sappia scegliere, e allora ci vogliono bravi gestori!, altro che ETF). Ma perchè l’Italia borsistica delude? Siamo andati lunghi, Lucarelli direbbe: “Ma questa è un’altra storia”. Arrivederci ai prossimi post.

3 commenti:

  1. c'è un errore, hai scritto "il mercato tedesco sta nel mezzo" invece di scrivere "il mercato francese sta nel mezzo".
    Ciao

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  2. sconcertante il caso italiano

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  3. Meglio comprare un appartamento a Sanremo....

    Zulicci Fc

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