mercoledì 2 settembre 2015

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa vive ancora in tutti noi

Verso la fine del colloquio di maturità, la mia mente improvvisamente si ricordò di Ugo Foscolo e recitò al volo il celebre passo dei Sepolcri

A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.

Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l'urne de' forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi  recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.

Il 3 settembre cade l'anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo.

Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso - che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo - non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.

La A112 del Generale Dalla Chiesa crivellata di colpi
Il giudice Gian Carlo Caselli, collaborator di Dalla Chiesa sul fronte del terrorismo - ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa "un servitore dello Stato fino all'estremo sacrificio".

Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere - a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d'impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:


"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia".

Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.

Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.

6 commenti:

  1. Tre uomini la cui fine - nel suo alto ruolo pubblico, nel caso di Baffi - è ancora avvolta, almeno parzialmente, da zone d'ombra. Un filo mafioso potrebbe legare le tre vicende, non l'unico.

    Grazie per il ricordo

    Andrea

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  2. Ricevo e volentieri pubblico:

    Grazie mille, davvero! Anche da parte di Dora, che sarà lusingata e felice del complimento. Cari e grati saluti, Nando dalla Chiesa

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  6. ." Il quotidiano ( Giornale di Sicilia del 12 Settembre 1982) aggiunge, inoltre : " Pio La Torre, che voleva la nuova legge, è stato ammazzato perchè al voto di ieri non si arrivasse ( per l'approvazione della legge antimafia)? E il Generale Dalla Chiesa, che voleva quei poteri, come invece è accaduto, non fossero creati e attribuiti? In tutti e due i casi la mafia si sarebbe comportata in modo del tutto imprevidente, anzi contro i suoi interessi... è più fondato ritenere che la mafia svaluta le norme ... dà scarso peso ai mezzi mentre massima considerazione riserva agli uomini. In questo senso La Torre e Dalla Chiesa erano dei nemici e dei bersagli". [ Tratto dal libro:" I quotidiani italiani e l'omicidio Dalla Chiesa" di Patrizia Piotti, edizione Vita e Pensiero del 1989, pagina 47].
    E questo porta alla considerazione che entrambi non solo avrebbero lavorato per conto dello Stato, ma che al contrario di quanto le rivendicazioni meridionaliste possano far credere, quello Stato in mano loro avrebbe funzionato. Portando oltremodo al passo successivo: mettendo a nudo, rivoltando un sistema politico per cui i fatti travolgono quelle considerazioni,quei discorsi che danno per morto fin dal principio un qualsiasi cambiamento, anche, se con leggi e poteri appropriati alla lotta alla mafia in mano qualsiasi. A maggior ragione se mi chiamo Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre.
    Grazie!...

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