Il 18 maggio 2012 Facebook si quotava sul più importante mercato tecnologico del mondo, il NASDAQ, a 38 dollari per azione. Nonostante il giorno della quotazione il titolo aprì in calo, a 6 anni di distanza il titolo quota oltre 160 dollari. Chi avesse investito il primo giorno e mantenuto le azioni, avrebbe moltiplicato il capitale per 4. Un rendimento stellare.
In Italia, invece di comprendere la forza del capitalismo americano, pieno di private equity e venture capital che credono fin dall'inizio nelle iniziative imprenditoriali di giovanissimi (il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg è nato nel 1984, quindi al momento della fondazione nel 2004 aveva solo 20 anni, provate a trovare in Italia finanziamenti di equity quando avete 20 anni), viviamo costantemente nella Schadenfreude, nel godimento delle disgrazie altrui. Per cui ogni volta che i mercati scendono, piovono sul web urla di gioia per la ricchezza svanita in un batter d'occhio. Si guarda il dito e non la luna, ossia l'enorme creazione di ricchezza generata dal sistema americano, che consente alle imprese di accedere con facilità al capitale di rischio, che, a sua volta, ha la chance di uscire dall'investimento al momento dell'Initial public offering (Ipo), generando le risorse per altre iniziative.
Zuckerberg, secondo la rivista Forbes, è il quinto uomo più ricco del mondo, con oltre 72 miliardi di dollari di ricchezza. Eppure siamo pieni di opinionisti che hanno colto l'ennesima occasione per dimostrare la loro ignoranza (nel senso che ignorano bellamente i fatti).
Loretta Napoleoni, economista che si vantava di essere professore (vedasi polemica con Riccardo Puglisi su Linkiesta), sul Venerdì di Repubblica del 13 aprile scrive un articolo dal titolo "Con l'high-tech la borsa perde la bussola", dove si legge: "E' chiaro che nel primo trimestre del 2018, nonostante la ripresa economica mondiale, il crollo delle azioni Facebook, Amazon e Google sia stato sufficiente a causare un calo inaspettato degli indici di mercato del 10 per cento, il più grande registratosi dal 2015".
Intanto: da quando i cali non sono inattesi? Viviamo nella random walk theory. Altrimenti "if you are so smart, why arent't you so rich?"
Crollo? Caduta rovinosa? Ma di cosa stiamo parlando? Intanto il NASDAQ è ampiamente positivo da inizio anno, al contrario, per esempio dei mercati azionari europei, tutti in calo eccetto il listino italiano. Inoltre, Facebook (la cui market cap, tanto per avere un'idea, è di 477 miliardi $), apparentemente crollata, da inizio anno scende solo del 12% (dopo essere salita a rotto di collo nel 2017), Amazon sale del 24%, Google (alias Alphabet), scende solo del 3,76%. Di quali cali sconvolgenti stiamo parlando? Normale volatilità.
Il modello di Facebook è ancora pienamente funzionante. Per capirlo bisogna comprendere il significato antropologico del dono, "quanto viene dato per pura liberalità" (Devoto.Oli, cit). Secondo Ronald Dore, autore dell'imprescindibile "Bisogna prendere il Giappone sul serio" (il Mulino), sono molti i giapponesi che non accettano i regali, perché sanno in partenza di non poter contraccambiare. Il dono genera un'azione uguale e contraria. Se non si è in grado di replicare il regalo, si rinuncia.
Colui che si iscrive a Facebook e beneficia dei servizi (compreso Whatsapp, controllata sempre da Facebook) dati gratuitamente dal social media, sa benissimo che paga con i suoi dati venduti alle società che fanno pubblicità. Facebook agisce con il principio del value first, prima ti do qualcosa e poi, dopo, ti chiedo (dati, tue preferenze e abitudini di consumo). Antropologicamente, se non penso di dover contraccambiare, perché rinunciare a un servizio, che si ripaga con la pubblicità?
Ha perfettamente ragione l'economista Enrico Moretti (si cui si consiglia "La nuova geografia del lavoro", portato di persona alla Casa Bianca da Barack Obama, avido lettore), che su Repubblica (13 aprile) scrive: "Mi pare che l'ondata di ostilità politica crescente non rappresenti, almeno per ora, una minaccia esistenziale al loro modello economico, che consiste in uno scambio esplicito. Da un lato ai consumatori vengono offerte tecnologie avanzate a costo monetario zero. Dall'altro, le imprese che forniscono gratuitamente questi servizi chiedono ai consumatori di ricevere pubblicità personalizzata".
Moretti pensa addirittura che questo scandalo andrà a favore di Facebook. Infatti "le nuove norme potrebbero favorire le grandi imprese della Silicon Valley, rendendo più difficile l'entrata di nuovi concorrenti. Le barriere all'entrata, in sostanza, opererebbero a favore degli incumbent, di coloro che dominano già sul mercato.
Cari vaticinisti, it's a long way to Tipperary!
Ottimo articolo Professore!
RispondiEliminaTanto clamore per nulla: è ovvio che chi si iscrive a Facebook fornisce i propri dati ad altre aziende. Non capisco proprio la ragione per cui si definisca questa news con il termine "scandalo".
Massimo
questo mi è proprio piaciuto,Ben! soprattutto la riflessione antropologica.
RispondiEliminaEleonora
Ricevo o pubblico:
RispondiEliminaBello. Prima dei giapponesi, i pellerossa nel loro galateo, se ricevevano un regalo cui non potevano contraccambiare, lo ritenevano un grave insulto, e uccidevano il donatore...
M.Ponti