venerdì 19 luglio 2013

Omaggio a Paolo Borsellino, magistrato straordinario

Nel duro e struggente romanzo di Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, 2008, il padre trasmette al figlio una testimonianza di cosa puo' fare un legame in un'epoca di pura violenza e di assenza di legami umani.

Al figlio risponde cosi': "E' cosi' che fanno I buoni. Continuano a provarci, non si arrendono mai".

Ecco, Paolo Borsellino era cosi'. Sapeva di dover morire. Dopo la morte del suo migliore amico, il giudice Giovanni Falcone, trucidato il 23 maggio 1992, si autodefiniva "Un morto che cammina". Ma fino all'ultimo giorno agì senza arrendersi mai, con una determinazione pazzesca. Che solo la morte violenta poteva interrompere.

Il 19 luglio del 1992 una autobomba in Via D’Amelio a Palermo annientò Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Borsellino tutte le domeniche andava a trovare - in Via D'Amelio - la madre. Cosa Nostra mise sotto controllo il telefono di casa Borsellino così da sapere con certezza quando il magistrato si sarebbe recato in Via D'Amelio.

Sul sedile posteriore della macchina di Borsellino è stata trovata intatta la sua borsa di pelle. Dentro però non si è trovata l'agenda rossa, da cui non si separava mai.

Io mi ricordo ancora i funerali di Paolo Borsellino. Non fu un funerale, ma una rivolta. Migliaia di carabinieri cercarono di tenere lontano la gente dalla chiesa. Ma non ce la fecero. La rabbia della gente era così forte che si passò agli spintoni, agli insulti verso la classe politica romana che scende a Palermo solo per i funerali.

Borsellino – dopo l’assassinio del suo amico e collega Giovanni Falcone (vedi post Omaggio a Falcone) il 23 maggio 1992 – fino alla fine restò coerente con il suo motto: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

In tempi come gli attuali in cui per essere considerati colpevoli, la politica ci propina in continuazione la necessità della condanna definitiva, ricordiamo il pensiero di Borsellino:

L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati”.


Via D'Amelio dopo l'esplosione
 Protagonista del Pool di Palermo negli Anni ’80 – costituito dal giudice Chinnici insieme a Falcone, Di Lello, Borsellino, Guarnotta - Paolo Borsellino costituì il cuore pulsante della Procura di Palermo: insieme a Giovanni Falcone scrisse dentro le strutture del carcere dell’Asinara – per evitare attentati – la requisitoria al maxi-processo. Il processo si concluse con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena.

In virtù di una promozione di merito quale Procuratore della Repubblica di Marsala – caso raro al Consiglio Superiore della Magistratura, che fonda le sue valutazioni sull’anzianità – Paolo Borsellino fu attaccato dalle colonne del Corriere della Sera da Leonardo Sciascia.

Lo scrittore siciliano si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso".

Borsellino fu definito "professionista dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell'antimafia". Bella carriera, dico io, ha fatto il povero Borsellino!

All’inizio di luglio 1992, in un’intervista a Lamberto Sposini, Borsellino disse: “Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà (poliziotto eccezionale ammazzato dalla mafia nel 1985, ndr) - allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985. Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".

Caro Paolo Borsellino, ti sia lieve la terra.

2 commenti:

  1. Ricevo e pubblico:

    Bravissimo Ben,
    Il tuo ricordo e' toccante e molto profondo
    Un abbraccio

    Antonio

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  2. Ricevo e pubblico:

    Carissimo Beniamino,

    La selezione dei documenti che ci mandi, esprimono già da soli la struttura morale (si usa ancora) della tua persona e ci sono preziosi per non perdere il coraggio.

    Come saprai, il Premio Giorgio Ambrosoli, ha recentemente premiato due persone che operano in questi difficili contesti.

    Se dopo 150 anni, lo Stato non è riuscito a debellare il sistema della criminalità organizzata vuol dire che era connivente.

    E' soprattutto doloroso che la scuola, ne corso di 7 generazioni non sia riuscita( non ha voluto/è stata incapace/era d'accordo?) a dimostrare l'inciviltà di questo comportamento acquiescente .

    Grazie

    Maria Teresa

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