Infatti se il tasso di disoccupazione esprime il rapporto tra persone disoccupate o in cerca di lavoro in rapporto al totale della popolazione in età lavorativa, il tasso di occupazione rappresenta quanta parte della popolazione attiva lavora rispetto alla popolazione di riferimento. E in Italia siamo ai minimi europei. Gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona - che prende il nome dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 che fissava degli obiettivi per il futuro dell'Unione Europea - sono lontanissimi. Come abissali sono i differenziali tra l'Italia e l'Europa in relazione al tasso di occupazione femminile.
Solo il 56,6% degli italiani è occupato, secondo i dati Istat del 2 aprile. All'interno del Bollettino Economico di aprile di Bankitalia, a pag. 27 c'è una tabella esaustiva e preoccupante che evidenzia i seguenti dati:
Il tasso di occupazione maschile è pari al 66,1% contro il 47,1% di quello femminile. Nel Nord Italia siamo al 64,8% contro il 60,6% del Centro e il 43,6% del Sud (drammatico!).
Il 36,1% degli italiani tra i 15 e 64 anni è inattivo, cioè non lavora e non è interessato alla ricerca di un impiego. Sono ben oltre 4 milioni di persone. Il tasso di inattività in Germania è del 23%.
L'inattività in Italia si concentra tra i più giovani e tra i più maturi. Oltre il 70% delle persone tra 15 e 24 anni rimane fuori dal mercato del lavoro, contro meno del 50% in Germania. Nella fascia 55-64 anni, 23 punti percentuali separano il tasso di inattività italiano da quello tedesco. Se consideriamo l'età di genere, emerge la maggiore inattività delle donne. Ben 47 italiane su 100, tra i 15 e 64 anni, non lavorano nè cercano una occupazione, contro le sole 28 della Germania.
I numeri deprimenti sul tasso di occupazione inducono a riflettere sul declino demografico e sulla sostenibilità di un modello sociale che vede il peso degli over 60 sempre crescente.
Purtroppo è ancora attuale un saggio interessantissimo di Massimo Livi Bacci scritto nel 2001, all'interno del volume Il Caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese? (Garzanti, 2001).
Leggiamolo insieme: "La questione non è se l'Italia sarebbe un posto migliore con 10 o 20 o 30 milioni di abitanti in meno, ma se un rapido declino demografico è sostenibile per lungo tempo senza provocare un generale impoverimento della società...Di fatto, l'ipotizzato declino di 7 milioni di unità nei prossimi trent'anni comporta un rapidissimo invecchiamento della popolazione e sarà la somma algebrica di 5 milioni in più di ultrasessantenni e 12 milioni in meno di persone sotto i sessant'anni. Tale rapido invecchiamento implica la non sostenibilità economica degli attuali meccanismi dei trasferimenti intergenerazionali per il decrescente numero di chi produce e paga le tasse e il contemporaneo aumento di anziani e pensionati".
In sostanza il rapido declino demografico porta con sè un generale impoverimento della società. Le nuove generazioni, già lo vediamo, avranno un tenore di vita inferiore a quello dei genitori, i quali peraltro vivranno sempre di più e quindi il figlio unico - così tanto coccolato - dovrà sostenere i genitori che invecchiano.
Urge che si introducano degli incentivi per motivare le persone a tornare sul mercato del lavoro. There is no alternative. TINA.
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