Per queste lunghe vacanze natalizie, magari davanti al camino al calduccio, vi consiglio una lettura divertente e piena di brivido. Giorgio Faletti, il vulcanico artista astigiano – nato ad Asti il 25 novembre 1950 - è tornato sui suoi livelli iniziali di “Io uccido”, suo capolavoro di esordiente scrittore.
Ricordo ancora le risate di quando negli anni '80 al Drive In impersonava Vito Catozzo, poliziotto purosangue, ossessionato da sua moglie Derelitta, 1 metro di altezza per 100 chili di peso. Per non parlare di altri personaggi come Suor Daliso o il testimone di Bagnacavallo. Ah, che bella gioventù!
Così il fantastico attacco del suo ultimo “Appunti di un venditore di donne” (B.C. Dalai Editore, 2010): “Io mi chiamo bravo e non ho il cazzo”.
Buone vacanze a tutti i miei lettori. E buon 2011.
lunedì 27 dicembre 2010
venerdì 24 dicembre 2010
Gesù e la Banca d'Italia (e la distribuzione della ricchezza)
Da una recente indagine di GFK Eurisko, su un campione di 13mila interviste in alcuni paesi, solamente 30 cattolici ogni 100 nel mondo leggono la Bibbia, contro oltre 70 protestanti su 100. Risulta che 86 italiani su 100 ignorano le Sacre scritture e appena 1 su 4 ha letto una pagina biblica in modo personale, al di fuori delle celebrazioni liturgiche.
Cerchiamo quindi di dare il nostro contributo, il giorno della vigilia di Natale.
“Beati i poveri perchè vostro è il regno di Dio” (Vangelo di Tommaso, 54); “Beati voi, poveri, perchè vostro è il regno di Dio" (Lc, 6,20); “Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).
“Ma di quali poveri sta parlando Gesù? In greco “povero” è penes, mentre la parola usata nei vangeli è ptochòs, che non significa persona di scarsa o umile condizione, bensì “derelitto”, colui che nulla possiede. Il povero di cui si parla è colui che deve impegnarsi allo spasimo per mettere insieme il pranzo con la cena. E’ il mendico, il vagabondo, il miserabile, colui che non ha casa, né cibo” (Corrado Augias-Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, 2006).
Gesù voleva che le famiglie ospitassero i diseredati, quelli che in greco si chiamano ptochòi, e anche i malati gravi. Il suo sogno utopico era una società di eguali, in cui si praticassero la giustizia e l’amore reciproco. Il noto biblista e storico del cristianesimo Mauro Pesce ci racconta: “Quando Gesù invitava i capi famiglia a praticare l’ospitalità verso i poveri, non poneva in discussione il fattto che essi fossero legittimi proprietari, e gli ospiti poveri restassero in posizione subordinata. Gesù non ha mai progettato concretamente un sistema di vita associato. Nulla gli è più estraneo che immaginare una società organizzata in modo uniforme e costrittivo. Egli denuncia l’ingiustizia, non propone l’egualitarismo, ma neppure il suo contrario”.
Nella recentissima ricerca di Banca d’Italia – La Ricchezza degli Italiani 2009, Supplementi al Bollettino Statistico n. 67, 20 dicembre 2010 - si legge: “La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza indicano che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva. L’indice di Gini, che varia tra 0 (minima concentrazione) e 1 (massima concentrazione), risultava pari a 0,613”. Lo studio fa presente che “Nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche se rispetto ai soli paesi più sviluppati”.
L’economista Raghuram Rajan ci ha illuminato - con il suo Fault lines (Princeton University Press, 2010), vedi post La crisi e le disuguaglianze. La distribuzione del reddito fattore decisivo
– sulle profonde e fatali conseguenze macroeconomiche di un mondo eccessivamente diseguale. Chi non benefica della crescita del reddito reale è costretto a indebitarsi. Se il sistema complessivamente si indebita in modo eccessivo, prima o poi arriva il botto. I dati sulla distribuzione del reddito e della ricchezza negli Stati Uniti fanno impressione. Uno studio condotto da Ariely e Norton di Harvard Business School dice che il 90% degli americani crede di vivere in un paese dove il 20% della popolazione controlla il 59% della ricchezza, quando invece i ricchi si spartiscono l’89%.
I Repubblicani hanno recentemente ottenuto che gli sgravi fiscali per i percettori di reddito sopra i 250mila $ venissero prorogati. Obama ha dovuto acconsentire per ottenere la proroga dei sussidi di disoccupazione. Il partito Repubblicano non ama gli ultimi, ma gli ultimi non lo sanno.
Buon Natale a tutti i miei lettori.
Cerchiamo quindi di dare il nostro contributo, il giorno della vigilia di Natale.
“Beati i poveri perchè vostro è il regno di Dio” (Vangelo di Tommaso, 54); “Beati voi, poveri, perchè vostro è il regno di Dio" (Lc, 6,20); “Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).
“Ma di quali poveri sta parlando Gesù? In greco “povero” è penes, mentre la parola usata nei vangeli è ptochòs, che non significa persona di scarsa o umile condizione, bensì “derelitto”, colui che nulla possiede. Il povero di cui si parla è colui che deve impegnarsi allo spasimo per mettere insieme il pranzo con la cena. E’ il mendico, il vagabondo, il miserabile, colui che non ha casa, né cibo” (Corrado Augias-Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, 2006).
Gesù voleva che le famiglie ospitassero i diseredati, quelli che in greco si chiamano ptochòi, e anche i malati gravi. Il suo sogno utopico era una società di eguali, in cui si praticassero la giustizia e l’amore reciproco. Il noto biblista e storico del cristianesimo Mauro Pesce ci racconta: “Quando Gesù invitava i capi famiglia a praticare l’ospitalità verso i poveri, non poneva in discussione il fattto che essi fossero legittimi proprietari, e gli ospiti poveri restassero in posizione subordinata. Gesù non ha mai progettato concretamente un sistema di vita associato. Nulla gli è più estraneo che immaginare una società organizzata in modo uniforme e costrittivo. Egli denuncia l’ingiustizia, non propone l’egualitarismo, ma neppure il suo contrario”.
Nella recentissima ricerca di Banca d’Italia – La Ricchezza degli Italiani 2009, Supplementi al Bollettino Statistico n. 67, 20 dicembre 2010 - si legge: “La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza indicano che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva. L’indice di Gini, che varia tra 0 (minima concentrazione) e 1 (massima concentrazione), risultava pari a 0,613”. Lo studio fa presente che “Nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche se rispetto ai soli paesi più sviluppati”.
L’economista Raghuram Rajan ci ha illuminato - con il suo Fault lines (Princeton University Press, 2010), vedi post La crisi e le disuguaglianze. La distribuzione del reddito fattore decisivo
– sulle profonde e fatali conseguenze macroeconomiche di un mondo eccessivamente diseguale. Chi non benefica della crescita del reddito reale è costretto a indebitarsi. Se il sistema complessivamente si indebita in modo eccessivo, prima o poi arriva il botto. I dati sulla distribuzione del reddito e della ricchezza negli Stati Uniti fanno impressione. Uno studio condotto da Ariely e Norton di Harvard Business School dice che il 90% degli americani crede di vivere in un paese dove il 20% della popolazione controlla il 59% della ricchezza, quando invece i ricchi si spartiscono l’89%.
I Repubblicani hanno recentemente ottenuto che gli sgravi fiscali per i percettori di reddito sopra i 250mila $ venissero prorogati. Obama ha dovuto acconsentire per ottenere la proroga dei sussidi di disoccupazione. Il partito Repubblicano non ama gli ultimi, ma gli ultimi non lo sanno.
Buon Natale a tutti i miei lettori.
giovedì 23 dicembre 2010
Cina, democrazia e le memorie di George W. Bush
George W. Bush |
La seconda guerra mondiale ha sconfitto le dittature in Germania e Italia, ma ne ha favorito la crescita in Unione Sovietica, con Stalin, e in Cina con Mao Zedong.
Cosa si può fare, invece? La scrittrice iraniana Shirin Ebadi – Nobel 2003 per la pace e autrice di La gabbia d’oro. Tre fratelli nell’incubo della rivoluzione iraniana (Rizzoli, 2009) – risponde così: “Ricordare cos’è il governo di Pechino, sempre. Un governo che ha sostenuto i generali in Birmania, che appoggia Ahmadinejad in Iran, Bashir in Sudan, e il cui principale alleato è la Corea del Sud. Non smettere mai di denunciare tutto questo”.
In relazione al rapporto tra democrazia e potere, casca a fagiolo il recente Decision Points (Virgin Books, 2010), libro di memorie di George W. Bush, presidente degli Stati Uniti per due mandati, dal 2000 al 2008.
Questo l’ironico commento del Financial Times (Known knowns, 13.11.10): “As peace activists argue, predictably, that this volume should be classified in the crime section. But Decision Points is no thriller. Mr Bush admits his early life was dominated by booze not books; this volume contains more references to films than to other texts….Decision Points has few political insights. Its personal details are also slight – Mr Bush wears running shorts to bed and gave vodka to his sister’s goldfish”.
Lionel Barber – il giornalista che nel novembre 1996 fece uno splendido ritratto di Carlo Azeglio Ciampi – scrive il 13 novembre scorso sul Financial Times: “Bush uses this promotion of democracy, irrespective of culture, ethnicity and geography, to cast himself on the right side of history…Yet the very concept of the “War on Terror”, was flawed. A quotable slogan to mobilise public opinion turned into open-ended pledge to use force, including questionable interrogation methods (è di recente la notizia che il governo britannico indennizzerà alcuni ex detenuti di Guantanamo, torturati con la collaborazione dei servizi segreti britannici, ndr) bordering on torture against individuals deemed to be terrorists, and armed action against countries harbouring or sponsoring terrorist”.
Rove (consigliere di Bush, ndr) thought Bush as “war president” was the safest ticket to a second term. Yet what played well at home, even at the expense of polarisation, played terribly abroad”.
Siamo completamente d’accordo con il giudizio conclusivo di Barber: “The more likely judgement is that Bush’s two terms marked the moment when US power peaked and he overreached, with execrable consequences”. L’esportazione della democrazia è un fallimento da ogni punto di vista.
Cosa deve fare l’Occidente? La risposta ce la dà Franco Venturini sul Corriere della sera – 11 dicembre 2010: “Chi ha sposato la causa delle liberaldemocrazie ha una convenienza fondamentale: quella di mantenere la propria identità, di difendere e riaffermare i propri valori, non soltanto perchè così dovrebbe consigliarci la nostra coscienza ma anche perchè questa è l’unica via per non essere travolti. Farsi sentire a difesa dei diritti umani pur sapendo che l’obiettivo non sarà raggiunto nella maggioranza dei casi, serve a noi. E non è un esercizio futile o addirittura dannoso”.
mercoledì 22 dicembre 2010
Uova sul principe Carlo e Camilla. Ma per gli studenti di tutto il mondo There Is No Alternative (TINA)
Ha destato impressione nei giorni scorsi la foto di Carlo e Camilla che si tengono per mano mentre gli studenti danno l’assalto alla loro Rolls Royce. 43 dimostranti e 6 poliziotto ricoverati. 30 arresti, il centro di Londra bloccato si lecca le ferite. La protesta rischia di radicalizzarsi dopo che la Camera dei Comuni ha approvato l’aumento delle tasse universitarie dall’attuale livello di 2.900 sterline fino a un massimo di 9.000.
In un precedente post sull'università italiana, abbiamo spiegato come i figli di papà sono oggi finanziati dagli operai e dagli impiegati, che di fatto sussidiano l’università in prevalenza frequentata dalle classi agiate. Siamo quindi dell’avviso che le proteste inglesi siano senza senso.
Lo storico Enzo Bettiza ha spiegato con chiarezza la differenza tra i college di Oxford e Cambridge – dove si forma la classe dirigente britannica - e la London School of Economics. Le great public school hanno tutt’oggi un fascino mitico e quasi fiabesco. Bettiza scrive: “Nella sua mente essa si confonde con il campus verde biliardo, dominato dall’immane edificio gotico color ocra bruciata....Molti non contestano affatto la retta alta, la considerano giusta per poter ottenere, in tempo di crisi, un privilegiato insegnamento oxoniano. Nell’immaginario popolare di una società a millenaria connotazione classista, una laurea di Oxford (fondata nel 1163) poteva fare il miracolo di consegnare di colpo il laureato alla scalda dei grandi poteri; ai vertici dello Stato; agli splendori della diplomazia, ai comandi della flotta, alle ricchezze della banca, alle avventure di imprese colonizzatrici, evocanti la Compagnia delle Indie. La London School of Economics (da dove sono partite le proteste venerdì scorso, ndr) è invece un’altra faccenda, che non accende la fantasia né delle classi ricche, né delle classi povere; essa sforna umanisti, sociologi, politologi, economisti, giuristi destinati a un reddito medio e dediti alla diagnosi e alla riparazione clinica dei guasti sociali. Taluni la vedono come un dotto esercito della salvezza”.
In Italia dovremmo imparare dal mondo anglosassone, dove la massima imperante è: ”Students first”. Ci troviamo d’accordo con il sociologo Ilvo Diamanti che ha recentemente scritto: “Perchè le colpe del corpo docente, all’Università, sono molte. Una fra tutte: non aver esercitato un controllo sulla qualità nel reclutamento. E nella valutazione dell’attività scientifica e didattica. Anzitutto della propria categoria”.
Ma ridurre il problema dell’Università ai professori pigri sarebbe ingeneroso e fuorviante. Come sintetizza efficacemente Severgnini, “Agli studenti manca un sogno” (Corsera, 11.12.10)...ma non mancano soltanto i soldi. Mancano i sogni e gli incoraggiamenti”. “Quarant’anni fa erano i sogni a riempire le strade; oggi è la mancanza di sogni”. Il futuro non è più quello di una volta (Paul Valery).
L’editorialista inglese John Lloyd riassume efficamente: “Diventa sempre più chiaro col passare del tempo che una certa epoca si è definitivamente conclusa, e non soltanto per il Regno Unito, la per tutte le ricche economie dell’Occidente. Mi riferisco all’epoca nella quale guadagnare era facile, il lavoro non era troppo difficile da trovare per buona parte delle persone, le ferie erano relativamente lunghe, i servizi della pubblica istruzione e dell’assistenza sanitaria migliorati costantemente. Ormai quei tempi sono alle spalle. Noi che viviamo oggi in queste nostre economie dobbiamo lavorare di più e più duramente per conservare il livello di servizi che abbiamo. Non ci sono alternative. Gli studenti benché giovani si stanno aggrappando a un’epoca in via di dissolvimento. Quella nella quale diverranno adulti, vivranno e lavoreranno sarà più dura, in linea generale, di quella nella quale hanno vissuto molti dei loro genitori. Questa è l’unica lezione che impareranno tutti”.
Gli inglesi hanno un’espressione fantastica: There Is No Alternative, il cui acronimo è TINA. Speriamo che lo capiscano anche i nostri studenti. Come in tempi non sospetti scrisse Paul Krugman, viviamo in un’epoca di “Diminishing Expectations”. TINA.
In un precedente post sull'università italiana, abbiamo spiegato come i figli di papà sono oggi finanziati dagli operai e dagli impiegati, che di fatto sussidiano l’università in prevalenza frequentata dalle classi agiate. Siamo quindi dell’avviso che le proteste inglesi siano senza senso.
Lo storico Enzo Bettiza ha spiegato con chiarezza la differenza tra i college di Oxford e Cambridge – dove si forma la classe dirigente britannica - e la London School of Economics. Le great public school hanno tutt’oggi un fascino mitico e quasi fiabesco. Bettiza scrive: “Nella sua mente essa si confonde con il campus verde biliardo, dominato dall’immane edificio gotico color ocra bruciata....Molti non contestano affatto la retta alta, la considerano giusta per poter ottenere, in tempo di crisi, un privilegiato insegnamento oxoniano. Nell’immaginario popolare di una società a millenaria connotazione classista, una laurea di Oxford (fondata nel 1163) poteva fare il miracolo di consegnare di colpo il laureato alla scalda dei grandi poteri; ai vertici dello Stato; agli splendori della diplomazia, ai comandi della flotta, alle ricchezze della banca, alle avventure di imprese colonizzatrici, evocanti la Compagnia delle Indie. La London School of Economics (da dove sono partite le proteste venerdì scorso, ndr) è invece un’altra faccenda, che non accende la fantasia né delle classi ricche, né delle classi povere; essa sforna umanisti, sociologi, politologi, economisti, giuristi destinati a un reddito medio e dediti alla diagnosi e alla riparazione clinica dei guasti sociali. Taluni la vedono come un dotto esercito della salvezza”.
In Italia dovremmo imparare dal mondo anglosassone, dove la massima imperante è: ”Students first”. Ci troviamo d’accordo con il sociologo Ilvo Diamanti che ha recentemente scritto: “Perchè le colpe del corpo docente, all’Università, sono molte. Una fra tutte: non aver esercitato un controllo sulla qualità nel reclutamento. E nella valutazione dell’attività scientifica e didattica. Anzitutto della propria categoria”.
Ma ridurre il problema dell’Università ai professori pigri sarebbe ingeneroso e fuorviante. Come sintetizza efficacemente Severgnini, “Agli studenti manca un sogno” (Corsera, 11.12.10)...ma non mancano soltanto i soldi. Mancano i sogni e gli incoraggiamenti”. “Quarant’anni fa erano i sogni a riempire le strade; oggi è la mancanza di sogni”. Il futuro non è più quello di una volta (Paul Valery).
L’editorialista inglese John Lloyd riassume efficamente: “Diventa sempre più chiaro col passare del tempo che una certa epoca si è definitivamente conclusa, e non soltanto per il Regno Unito, la per tutte le ricche economie dell’Occidente. Mi riferisco all’epoca nella quale guadagnare era facile, il lavoro non era troppo difficile da trovare per buona parte delle persone, le ferie erano relativamente lunghe, i servizi della pubblica istruzione e dell’assistenza sanitaria migliorati costantemente. Ormai quei tempi sono alle spalle. Noi che viviamo oggi in queste nostre economie dobbiamo lavorare di più e più duramente per conservare il livello di servizi che abbiamo. Non ci sono alternative. Gli studenti benché giovani si stanno aggrappando a un’epoca in via di dissolvimento. Quella nella quale diverranno adulti, vivranno e lavoreranno sarà più dura, in linea generale, di quella nella quale hanno vissuto molti dei loro genitori. Questa è l’unica lezione che impareranno tutti”.
Gli inglesi hanno un’espressione fantastica: There Is No Alternative, il cui acronimo è TINA. Speriamo che lo capiscano anche i nostri studenti. Come in tempi non sospetti scrisse Paul Krugman, viviamo in un’epoca di “Diminishing Expectations”. TINA.
martedì 21 dicembre 2010
L’Aids, Carla Bruni, la strategia da seguire e la morte di Tondelli
Il 1° dicembre è la giornata mondiale di lotta all’Aids. Anche se nei paesi occidentali il virus non spaventa più come negli anni passati, circa 2 milioni di persone muoiono ogni anno in tutto il mondo e 7.500 sono i contagiati ogni giorno.
Globalmente l’anno scorso sono spesi circa 868 milioni di dollari per la ricerca di un vaccino, il 10% inmeno del 2007. Gli sforzi, peraltro, non devono indirizzarsi solo alla ricerca, ma è necessario incrementare l’accesso universale a prevenzione e cure.
Carla Bruni Sarkozy – ambasciatrice del fondo mondiale anti-aids – ha raccontato di recente con trasporto : “Ho avuto modo di visitare un ospedale a un’ora di strada da Cotonou, la capitale del Benin, in Africa occidentale. Lì ho incontrato Francoise Ade, una madre sieropositiva che ha partorito un figlio perfettamente sano, Gabriel. Il bimbo è nato sieronegativo grazie a un corso di trattamento antivirale gratuito. Non riesco a immaginare gioia più grande per una madre se non quella di vedere il proprio figlio nascere sano. Incontrando Francoise, ho visto i suoi occhi illuminati di speranza...Il Fondo mondiale e i suoi partner stanno prendendo le misure necessarie per assicurare che entro il 2015 non nascano più bambini sieropositivi”.
Il ricercatore italiano Stefano Bertozzi – Director HIV e TB, Bill & Melinda Gates Foundation, della serie i migliori se ne vanno dall’Italia - è intervenuto sul Financial Times (“Long term strategy must focus on the local”, 1.12.10): “We need to replace the reactive, short-term response with proactive, long-term measures. Especially in a prolonged crisis, it is important to consider the long-term implications of short-term budget decisions”.
Nel report “Aids: Taking a Long term view”, pubblicato dal FT il 13.12.10, vengono date diverse raccomandazioni, che qui sintetizziamo:
1. Adapt the strategy. Prevention must be re-emphasised to reduce new infections. A strategy for the long term means moving from a predominantly global approach to national and local agendas;
2. Increase efficiency. We need to be more effective with available resources – from optimising treatment to ensuring more efficient programme management;
3. Lengthen budget cycles. We cannot continue to address a long-term problem and life-long treatment with annual funding cycles. Budget cycles should move to 10-14 years, while programme performance indicators should change to measure long-term impact, such as new infections and deaths, rather than just short-term process gains;
4. Continue to innovate. It is critical to invest in science and technology;
5. Renew leadership. We are concerned leadership on Aids is waning. In some countries policy leadership rather than money may be the biggest issue.
Bertozzi chiude così: “It is crucial to remind ourselves Aids remains one of the greatest health crises of our time, having killed nearly 30 million people since 1981. There is an urgent need to take a long-term view and make bold changes so millions more do not die needlessly”.
Io concludo con uno splendido dialogo di Pier Vittorio Tondelli, nato a Correggio (RE) il 14 settembre 1955 e morto di Aids il 16 dicembre 1991:
Alberto: “Qual era il suo club del cuore?
Didi: “Il Liverpool: maglie e calzoncini completamente rossi. Comunque era per via dei Beatles. Io avevo invece la maglia bianca e i calzoncini blu che sono i colori del Tottenham. Me li aveva regalati Tommy.
Alberto: Già, Tommy. Sono curioso di conoscerlo.
Didi : Ti piacerà.
Alberto: Ne sei così sicuro? I nostri gusti sono differenti.
Didi: Un artista come te non può sfuggire al suo fascino. Parlare con lui è come avere il mondo ai propri piedi.
Alberto: Mi piace il footing.
Didi: Ti faccio un esempio. Tu dici: “Sai, Tommy, sto leggendo Aisherwood”. “Isherwood, caro, Chistopher Isherwood”. “Incontro al fiume è bellissimo”. “Ah, l’ho letto, l’ho letto. Solo ora è stato tradotto? Avrei potuto prestarti la mia copia condedica, se ti interessava tanto. Ero nel Laddak quando lo lessi, bah. Il caro, vecchio Christopher; l’ho incontrato due anni fa, in California; lui e il suo amico sono l’esempio di una coppia perfetta, di un’intesa tra uomini assolutamente unica, forse perchè il suo amico è di quarant’anni più giovane. Quanto alla sua scrittura io la trovo, come diciamo noi, underwritten o, se preferisci, una buona second class, capisci?”.
(Dinner Party, 1984)
Globalmente l’anno scorso sono spesi circa 868 milioni di dollari per la ricerca di un vaccino, il 10% inmeno del 2007. Gli sforzi, peraltro, non devono indirizzarsi solo alla ricerca, ma è necessario incrementare l’accesso universale a prevenzione e cure.
Carla Bruni Sarkozy – ambasciatrice del fondo mondiale anti-aids – ha raccontato di recente con trasporto : “Ho avuto modo di visitare un ospedale a un’ora di strada da Cotonou, la capitale del Benin, in Africa occidentale. Lì ho incontrato Francoise Ade, una madre sieropositiva che ha partorito un figlio perfettamente sano, Gabriel. Il bimbo è nato sieronegativo grazie a un corso di trattamento antivirale gratuito. Non riesco a immaginare gioia più grande per una madre se non quella di vedere il proprio figlio nascere sano. Incontrando Francoise, ho visto i suoi occhi illuminati di speranza...Il Fondo mondiale e i suoi partner stanno prendendo le misure necessarie per assicurare che entro il 2015 non nascano più bambini sieropositivi”.
Il ricercatore italiano Stefano Bertozzi – Director HIV e TB, Bill & Melinda Gates Foundation, della serie i migliori se ne vanno dall’Italia - è intervenuto sul Financial Times (“Long term strategy must focus on the local”, 1.12.10): “We need to replace the reactive, short-term response with proactive, long-term measures. Especially in a prolonged crisis, it is important to consider the long-term implications of short-term budget decisions”.
Nel report “Aids: Taking a Long term view”, pubblicato dal FT il 13.12.10, vengono date diverse raccomandazioni, che qui sintetizziamo:
1. Adapt the strategy. Prevention must be re-emphasised to reduce new infections. A strategy for the long term means moving from a predominantly global approach to national and local agendas;
2. Increase efficiency. We need to be more effective with available resources – from optimising treatment to ensuring more efficient programme management;
3. Lengthen budget cycles. We cannot continue to address a long-term problem and life-long treatment with annual funding cycles. Budget cycles should move to 10-14 years, while programme performance indicators should change to measure long-term impact, such as new infections and deaths, rather than just short-term process gains;
4. Continue to innovate. It is critical to invest in science and technology;
5. Renew leadership. We are concerned leadership on Aids is waning. In some countries policy leadership rather than money may be the biggest issue.
Bertozzi chiude così: “It is crucial to remind ourselves Aids remains one of the greatest health crises of our time, having killed nearly 30 million people since 1981. There is an urgent need to take a long-term view and make bold changes so millions more do not die needlessly”.
Pier Vittorio Tondelli |
Alberto: “Qual era il suo club del cuore?
Didi: “Il Liverpool: maglie e calzoncini completamente rossi. Comunque era per via dei Beatles. Io avevo invece la maglia bianca e i calzoncini blu che sono i colori del Tottenham. Me li aveva regalati Tommy.
Alberto: Già, Tommy. Sono curioso di conoscerlo.
Didi : Ti piacerà.
Alberto: Ne sei così sicuro? I nostri gusti sono differenti.
Didi: Un artista come te non può sfuggire al suo fascino. Parlare con lui è come avere il mondo ai propri piedi.
Alberto: Mi piace il footing.
Didi: Ti faccio un esempio. Tu dici: “Sai, Tommy, sto leggendo Aisherwood”. “Isherwood, caro, Chistopher Isherwood”. “Incontro al fiume è bellissimo”. “Ah, l’ho letto, l’ho letto. Solo ora è stato tradotto? Avrei potuto prestarti la mia copia condedica, se ti interessava tanto. Ero nel Laddak quando lo lessi, bah. Il caro, vecchio Christopher; l’ho incontrato due anni fa, in California; lui e il suo amico sono l’esempio di una coppia perfetta, di un’intesa tra uomini assolutamente unica, forse perchè il suo amico è di quarant’anni più giovane. Quanto alla sua scrittura io la trovo, come diciamo noi, underwritten o, se preferisci, una buona second class, capisci?”.
(Dinner Party, 1984)
lunedì 20 dicembre 2010
Omaggio a Padoa-Schioppa, padre dell'euro
Tommaso Padoa-Schioppa |
Un ricordo personale prima di descriverne la figura di splendido civil servant.
Era il 1993, all’ultimo anno di Bocconi, al termine di un convegno in Via Romagnosi all’allora Centro Congressi Cariplo, avvicino sgomitando TPS mentre sta assaggiando il risotto del buffet e chiedo: “Io vorrei fare una tesi sulle nuove disposizioni del Comitato di Basilea, cosa può suggerirmi?”. TPS mi sorrise e disse: “Scriva a Basilea alla Banca dei Regolamenti Internazionali, facendo il mio nome”. E così feci, indeciso se scrivere in tedesco o in inglese. Dopo pochi giorni il portinaio mi citofonò - io allibito abituato al muro di gomma delle istituzioni italiane - per dirmi che era appena arrivato un pacco proritaire da Basilea. Erano i working paper per la revisione di Basilea I di cui si stava discutendo nei consessi internazionali. E così scrissi la mia tesi “Strumenti derivati e autorità di vigilanza: rischi e requisiti patrimoniali”.
Nato a Belluno nel 1940, TPS si laurea alla Bocconi ed entra in Banca d’Italia. Disse: “Appartengo a una generazione nella quale era molto diffuso il richiamo di un impegno pubblico”.
Fece carriera velocemente scalando i gradini della rigida piramide gerarchica di Via Nazionale, entrando nel Direttorio fino a diventare vice-direttore generale.
Dal 1979 al 1983 TPS è Direttore Generale per gli Affari economici e finanziari della Commissione Europea a Bruxelles e inizia il lungo e fertilissimo ruolo svolto nella costruzione europea.
Carlo Azeglio Ciampi |
Lucido elaboratore di pensiero raffinato, fu colui che teorizzò il Quartetto Inconciliabile. All’interno di un’area economica (allora la Comunità Economica Europea), non possono coesistere quattro fenomeni, che erano anche gli obbiettivi della CEE:
1) Libertà di circolazione di merci e di servizi;
2) Libertà di movimento dei capitali;
3) Tassi di cambio fissi;
4) Politiche monetarie - dei singoli stati - autonome
A quell'epoca, i vari Paesi della Comunità Economica Europea (ora Unione Europea) mantenevano alcune limitazioni agli scambi e, soprattutto, alla circolazione dei capitali. Queste vennero via via eliminate tramite il programma del Mercato Unico e la liberalizzazione dei movimenti di capitali. Alla fine degli anni '80 i primi due obiettivi erano stati raggiunti; bisognava scegliere tra gli ultimi due. Nel 1982 Padoa-Schioppa propose di eliminare il terzo fine (politiche monetarie indipendenti) e di creare una moneta unica per tutti gli stati appartenenti all'Unione, gestita da un'unica Banca Centrale Europea. TPS: “Se vogliamo insistere nell’avere politiche monetarie autonome, prima o poi salteranno i cambi fissi o si comincerà a ridurre la libertà di movimento di capitali”. Il Rapporto Delors dell'aprile 1989 appoggiò questo punto di vista proponendo un'Unione Monetaria Europea con un'unica moneta. Padoa-Schioppa si occupò allora della creazione della nuova Banca Centrale Europea.
Quando Ciampi venne chiamato alla presidenza del consiglio nel 1993, TPS era il candidato naturale alla successione di Governatore di Banca d’Italia. Gli si contrappose Lamberto Dini e tra i due litiganti vinse l’orrido Antonio Fazio, le cui telefonate notturne con il banchiere Fiorani (in cui gli comunica l’appoggio pancia a terra per il blocco della scalata degli olandesi di ABN ad Antonveneta) – “Tonino, ti bacio sulla fronte”, disse al Governatore poco dopo la mezzanotte il cattolicissimo Legionario di Cristo Gianpi Fiorani - leggeremo disgustati in seguito.
Lorenzo Bini Smaghi |
Nel 2006 Prodi lo chiamò come Ministro dell’Economia del suo governo. Fu in tale occasione che uscì pubblicamente con due dichiarazioni che fecero molto discutere:
1. “Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima. E’ un modo civile di contribuire a beni indispensabili”. Fu massacrato ma aveva ragione lui. In un Paese dove evadere è lo sport nazionale – ogni anno leggiamo con nonchalance che i gioiellieri dichiarano in media 13mila euro di imponibile, molto meno di un operaio – dire una cosa del genere è uscire dall’ipocrisia;
2. “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa. Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi “ (4 ottobre 2007). Tutte le analisi disponibili, dal Censis all’ISTAT a Italia Futura ci illustrano come i giovani restino legati alle famiglie di origine coccolati e viziati. Ma con troppi agi e senza fatica – vedi il post la fatica è bella – non si va da nessuna parte. “Il sacrificio non è mai sterile”, diceva Giuseppe Mazzini.
“Solo l’Europa può spingere il mondo sulla via aurea; ma per poterlo fare deve percorrere la propria via aurea sino in fondo. Ciò significa procedere dall’unione economica e monetaria, compiutasi con l’euro, all’unione politica. E unione politica vuol dire un’unica capacità di decisione e di azione in materia di immigrazione, sicurezza, difesa, lotta alla criminalità; un’unica presenza nelle sedi della cooperazione e nei negoziati internazionali in campo commerciale, finanziario, ambientale, scientifico” (TPS, Dodici settembre, Rizzoli, 2002, p. 122). E la zoppìa di cui parla Carlo Azeglio Ciampi, vedi post.
Learn, earn, serve – studiare, guadagnare, servire – sono le tre distinte fasi della vita attiva di una persona completa secondo la saggezza della società americana di un tempo. Crediamo che Tommaso Padoa-Schioppa abbia servito l’Italia con eccezionale talento.
Caro Padoa-Schioppa, se l’Italia si è salvata con l’ingresso nell’euro e la politica delle mani legate (copyright Giavazzi, Favero), lo si deve anche a te. Ti sia lieve la terra.
P.S.: per approfondimenti si consiglia:
Mario Pirani, Il futuro dell’economia, Cap XIII, Le virtù salvifiche di Maastricht, Mondadori, 1993
Tommaso Padoa-Schioppa, Europa, forza gentile, Il Mulino, 2001
Tommaso Padoa-Schioppa, Dodici Settembre. Il mondo non è al punto zero, Rizzoli, 2002
Tommaso Padoa Schioppa, La veduta corta, Il Mulino, 2009
venerdì 17 dicembre 2010
Germania rullo compressore
La porta di Brandeburgo a Berlino |
Traino del boom, le esportazioni. La Germania è il secondo esportatore mondiale dopo la Cina. Da gennaio a giugno l’export di auto made in Germany è salito del 41%, del 25% quello di prodotti chimici. Un recente report della Bundesbank dice: “L’export continuerà ad avere un ruolo determinante nella crescita dell’economia federale, ma i suoi successi e i miglioramenti sul fronte dell’occupazione rafforzano in modo considerevole la domanda interna e la sua parte nell’andamento della congiuntura”.
L’IFO Institute di Monaco – noto sui mercati per l'elaborazione dell'indice di fiducia IFO – ha scritto di recente che “Retailers had become significanly more optimistic about prospetcs for next year, almost certainly because sharp falls in unemployment are likely to boost high street spending”.
Il comparto automobilistico – da Bmw a Volkswagen a Porsche fino a i big dell’indotto tagliano le ferie natalizie e aumentano gli straordinari per far fronte alla domanda in volo. “The German sports car maker (Porsche, ndr) said it would pay its 13.000 employees a performance bonus of 2.100 euro for the past financial year…Car sales rose by 86,4% year on year in the first quarter of its ramp financial year” (“Porsche reports 19% profit margin, FT, 25.11.10). Nel primo semestre 2010 l’export ha raggiunto i 458 miliardi di euro.
A fine giugno i disoccupati erano oltre 3 milioni, pari a un tasso di disoccupazione del 7,5%, mentre la media Ue viaggia intorno al 10%. Il rapporto deficit/pil nel 2011 andrà saldamente sotto il 3% (contro il 3,5% di quest’anno) - indicato dal Trattato di Maastricht e dal patto di stabilità.
I consumi – punto debole storico tedesco – sembrano risvegliarsi. Nel 2010 aumenteranno dello 0,5%, e nel 2011 e 2012 la Bundesbank stima una crescita dell’1,4%. Rimangono sul lato della domanda interna delle perplessità. Mr Cordes, ceo di Metro: “Let’s be honest – the German consumer is and remain a difficult animal. In the past, retail sales have neither soared nor nosedived on the swings in Geramn macroeconomics but have always been reassuringly stable”. Il Ceo di Gfk, società di ricerche di mercato ha detto: “Germans have suddently become the optimists of Europe in terms of propensity to purchase”. L’associazione dei distributori tedeschi si aspetta il miglior Natale in termini di consumo degli ultimi 5 anni.
Sintetizziamo i punti di forza del rullo compressore tedesco:
a) Export industriale al alto contenuto di eccellenze tecnologiche; il made in Germany è fortissimo in quattro settori: automobilistico, meccanica, chimico, farmaceutico. Le aziende tedesche vantano gli investimenti più alti al mondo in ricerca e sviluppo. Tra il gennaio 2007 e oggi, l'export tedesco verso la Cina è cresciuto dell'80%, quello verso l'India del 40%, quello verso la Francia non è variato e quello verso la Spagna è sceso del 20 per cento. Secondo i calcoli di Goldman Sachs, alla fine del 2011 la Cina sarà per la Germania un partner commerciale più importante della Francia.
b) Moderazione salariale e concertazione con i sindacati; la Mitbestimmung (cogestione) consente grandi ristrutturazioni senza costi sociali; come ha sottolineato di recente Lorenzo Bini Smaghi, nel comitato esecutivo della BCE: “Un aspetto essenziale è il funzionamento del mercato del lavoro in Germania. Tramite accordi sia a livello di settore che di azienda in Germania c’è un meccanismo che consente di remunerare di più i lavoratori delle aziende che hanno incrementi di produttività”.
c) Stabilità politica e rigore di bilancio. La Germania è la dimostrazione che il rigore di bilancio è compatibile con la crescita, con più export e con la fiducia di famiglie e imprese. “La Merkel è una donna di grande intelligenza e di eccezionale abilità politica. Ha puntualmente schiacciato e messo da parte tutti quelli che l’avevano sottovalutata e anche colui che l’aveva scoperta e valorizzata, Helmut Kohl. La Merkel non ha nessuna intenzione di abbandonare il progetto europeo e l’euro. Non intende espellere nessuno. Se succedesse lo considererebbe una sconfitta. E’ disponibile al salvataggio dei paesi in difficoltà, ma a condizione che si sottopongano a penitenze molto dure” (A. Fugnoli docet).
d) Grandi global player: Bmw, Volkswagen, Hoechst, Schering, Basf, Siemens;
e) Sicurezza del welfare. Uno strumento su tutti, il Kurze Arbeit, che permette nelle fasi di congiuntura negativa di ridurre l’orario di lavoro senza licenziare, con integrazioni dello stipendio da parte dello Stato;
f) Investimenti in capitale umano. Il governo ha consolidato e ridotto la spesa ovunque tranne che nella ricerca e nell’istruzione.
Anche le banche tedesche – punto debole nazionale, soprattutto le Landesbanken – beneficiano della ripresa. Il Financial Times scrive: “The country’s strong economic recovery meant writedowns from bad loans would be at the lower end of original expectations”. In ogni caso, secondo le stime della Bundesbank, per adempiere alle nuove regole di Basilea III dovranno aumentare il capitale di 50 miliardi di euro. “German banks face bad loan lossed of about 23bn euro this year and a similar amount in 2011, compared with 37bn euro in 2009”.
Mario Draghi |
giovedì 16 dicembre 2010
Banchieri, politici e militari
Due notizie mi hanno colpito nelle ultime settimane. Il taglio dei fondi del cinque per mille a favore delle associazioni non profit - per intenderci l’Associazione per la ricerca sul cancro (AIRC) , Emergency, il Fondo per l’Ambiente Italiano...- e la contemporanea decisione del governo di investire nei prossimi anni 11 miliardi di euro (21 mila miliardi delle vecchie lire!, come ci suggerisce Legrenzi) per l’acquisto di 131 cacciabombardieri.
Nel 2010 erano 400 milioni di euro le somme destinate alle associazioni non profit. Durante l’esame della legge di Stabilità, la Camera ha dirottato 300 milioni di euro (il 75%) ad altre voci di spesa. Solo per l’AIRC da 60 milioni, il finanziamento – scelto dai contribuenti con la scelta sul 740 in dichiarazione dei redditi – verrebbe a ridursi a soli 15 milioni. Sarebbero tagliati i progetti sulle cellule staminali tumorali, sulla leucemia legata all’attivazione delle cellule “natural born killer”.
L'oncologo Umberto Veronesi scrive: “Per la ricerca contro il cancro, malattia che causa 150 mila morti ogni anno, il nostro Paese spende annualmente l'equivalente di circa 225 milioni di dollari, mentre si designano 30 miliardi per le spese militari. Viene da chiedersi se in Italia abbiamo più a cuore le armi che i malati”.
Veronesi ha presentato nei mesi scorsi in Senato una mozione per fermare il progetto, al quale partecipa anche l'Italia, per la costruzione di 2.700 cacciabombardieri 'joint Strike Fighter F-35' a un costo complessivo stimato in 250 miliardi di dollari. Se l'Italia volesse dotarsi di 131 aerei F-35, il costo sarebbe di 14,8 miliardi di dollari.
Si tratta di velivoli ‘stealth’ di quinta generazione che dal 2014 dovrebbero progressivamente sostituire tutta la flotta aerea d’attacco italiana, attualmente composta dai Tornado e dagli Amx dell’Aeronautica e dagli Harrier-II della Marina. 69 F-35A a decollo convenzionale verrebbero destinati alle forze aeree, mentre 62 F-35B a decollo rapido o verticale andrebbero a finire sui ponti delle portaerei ‘Garibaldi’ e ‘Cavour’.
Colgo quindi l’occasione per portare alla vostra attenzione l’ultimo saggio di Innocenzo Cipolletta - grande congiunturalista e Presidente del Cda dell’ottima Università degli studi di Trento – dal titolo “Banchieri, politici e militari. Passato e futuro delle crisi globali (Laterza, 2010).
Cipolletta cerca di dimostrare la tesi che le ultime grandi crisi economiche sono nate da squilibri macroeconomici della potenza egemone - gli Stati Uniti d’America - determinati dalle ingenti spese belliche sostenute per le campagne militari.
Dal secondo dopoguerra, ogni grande conflitto ha creato le condizioni per una successiva crisi economica.
La Guerra del Vietnam (1962-1975) costò complessivamente 500 miliardi di dollari di allora. Una somma enorme che fu la condizione di base per la formazione dei twin deficit, dei deficit gemelli, deficit pubblico e deficit con l’estero. Cipolletta: “Il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagementi statunitense, che era ancora positivo nel 1966 per 2,1 miliardi di dollari, diventò negativo nel 1968, fino a raggiungere nel 1972 un disavanzo di circa 8 miliardi di dollari. Il saldo globale, compresi i movimenti di capitale, divenne passivo per ben 30 miliardi di dollari nel 1971 in seguito alla crescente uscita di capitali dagli USA...I mercati odoravano nell’aria una svalutazione del dollaro...Il 15 agosto 1971 il presidente degli USA, Richard Nixon, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Era la fine del Gold Exchange Standard ideato a Bretton Woods nel 1944, alla vigilia della conclusione della seconda Guerra Mondiale”.
Nel 1973 l’Egitto e la Siria decisero di organizzare un attacco ad Israele per riconquistare i territori persi durante la Guerra dei Sei Giorni (1967). L’attacco fu sferrato il giorno di preghiera per il popolo ebraico (da qui il nome Guerra del Kippur), il 6 ottobre 1973. Israele respinse l’attacco e sconfisse sia i siriani che gli egiziani.
Ma all’indomani della vittoria israeliana, i paesi arabi – che avevano sostenuto finanziariamente l’offensiva di Egitto e Siria - aderenti all’OPEC decretarono il blocco delle esportazioni di petrolio greggio nei confronti di tutti i Paesi che avevano sostenuto Israele. Il prezzo del petrolio quadruplicò (da 1 a 4 dollari). L’Occidente, di fronte alla scelta di ridurre le importazioni di petrolio o indebitarsi per comprare petrolio, scelse la seconda opzione: “Si trattò della più vasta e devastante modifica della distribuzione internazionale del reddito nel dopoguerra. Il vecchio mondo era terminato”.
Per la cronaca congiunturale, la recessione che ne seguì nel 1974 e 1975 ebbe proporzioni mai viste. La produzione industriale scese del 18%. Ci vollero 25 mesi per recuperare i livelli produttivi precedenti.
La sequenza è sempre la stessa: guerra, debiti, recessioni. Le crisi sistemiche sono quindi strettamente legate alla politica internazionale e agli interventi militari, i quali sono possibili grazie alla capacità che hanno gli Stati Uniti di indebitarsi sui mercati finanziarsi internazionali, grazie al fatto che il dollaro è una moneta di riserva.
Potendosi indebitare, gli Stati Uniti fanno fatica a capire le implicazioni dello sforzo bellico e lo accetta supinamente, pensando di non doverne pagare i costi. Se non gli States non potessero indebitarsi, il costo vivo sarebbe molto più visibile e non trasmesso alle generazioni future. Più trasparenza verso i cittadini contribuenti vorrebbe dire meno guerre. Come disse Louis Brandeis, Consigliere della Corte Suprema Americana negli anni '30, “La luce del sole è il miglior disinfettante, la luce elettrica il miglior poliziotto”.
L’ultima crisi non è un’eccezione, visto che prima della crisi dei subprime ci sono state le due invasioni in Iraq e Afghanistan, seguite al terribile attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. La spesa militare venne fatta crescere in modo eccezionale, grazie alle pressioni del Pentagono che trovarono ascolto nell’Amministrazione Bush, sotto shock per l’attentato. Dal 2001 al 2007 gli USA hanno impegnato oltre 600 miliardi di dollari per la sola guerra in Iraq.
Cipolletta: “Le guerre hanno pesato sensibilmente sulle politiche di bilancio americane, con risvolti pesanti sui conti pubblici. Questi disavanzi hanno sostenuto l’economia e contribuito a produrre squilibri nei conti con l’estero. Il protrarsi degli squilibri ha generato forti afflussi di liquidità sul mercato finanziario internazionale. Questa abbondante liquidità ha suscitato l’offerta di nuovi strumenti finanziari da parte delle banche internazionali (che hanno realizzato rilevanti profitti), e ciò ha prodotto bolle speculative. Ne sono derivate bolle speculative la cui esplosione ha prodotto una recessione mondiale”.
Carl Von Clausewitz sosteneva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Noi preferiremmo che le spese militari fossero ridotte. Così gli squilibri macroeconomici sarebbero quantomeno tenuti sotto controllo. E magari con i miliardi di euro disponibili si potrebbe finanziare il terzo settore, la ricerca sul cancro, i beni culturali cadenti, premiare il merito....
Nel 2010 erano 400 milioni di euro le somme destinate alle associazioni non profit. Durante l’esame della legge di Stabilità, la Camera ha dirottato 300 milioni di euro (il 75%) ad altre voci di spesa. Solo per l’AIRC da 60 milioni, il finanziamento – scelto dai contribuenti con la scelta sul 740 in dichiarazione dei redditi – verrebbe a ridursi a soli 15 milioni. Sarebbero tagliati i progetti sulle cellule staminali tumorali, sulla leucemia legata all’attivazione delle cellule “natural born killer”.
L'oncologo Umberto Veronesi scrive: “Per la ricerca contro il cancro, malattia che causa 150 mila morti ogni anno, il nostro Paese spende annualmente l'equivalente di circa 225 milioni di dollari, mentre si designano 30 miliardi per le spese militari. Viene da chiedersi se in Italia abbiamo più a cuore le armi che i malati”.
Umberto Veronesi |
Si tratta di velivoli ‘stealth’ di quinta generazione che dal 2014 dovrebbero progressivamente sostituire tutta la flotta aerea d’attacco italiana, attualmente composta dai Tornado e dagli Amx dell’Aeronautica e dagli Harrier-II della Marina. 69 F-35A a decollo convenzionale verrebbero destinati alle forze aeree, mentre 62 F-35B a decollo rapido o verticale andrebbero a finire sui ponti delle portaerei ‘Garibaldi’ e ‘Cavour’.
Innocenzo Cipolletta |
Cipolletta cerca di dimostrare la tesi che le ultime grandi crisi economiche sono nate da squilibri macroeconomici della potenza egemone - gli Stati Uniti d’America - determinati dalle ingenti spese belliche sostenute per le campagne militari.
Dal secondo dopoguerra, ogni grande conflitto ha creato le condizioni per una successiva crisi economica.
La Guerra del Vietnam (1962-1975) costò complessivamente 500 miliardi di dollari di allora. Una somma enorme che fu la condizione di base per la formazione dei twin deficit, dei deficit gemelli, deficit pubblico e deficit con l’estero. Cipolletta: “Il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagementi statunitense, che era ancora positivo nel 1966 per 2,1 miliardi di dollari, diventò negativo nel 1968, fino a raggiungere nel 1972 un disavanzo di circa 8 miliardi di dollari. Il saldo globale, compresi i movimenti di capitale, divenne passivo per ben 30 miliardi di dollari nel 1971 in seguito alla crescente uscita di capitali dagli USA...I mercati odoravano nell’aria una svalutazione del dollaro...Il 15 agosto 1971 il presidente degli USA, Richard Nixon, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Era la fine del Gold Exchange Standard ideato a Bretton Woods nel 1944, alla vigilia della conclusione della seconda Guerra Mondiale”.
Nel 1973 l’Egitto e la Siria decisero di organizzare un attacco ad Israele per riconquistare i territori persi durante la Guerra dei Sei Giorni (1967). L’attacco fu sferrato il giorno di preghiera per il popolo ebraico (da qui il nome Guerra del Kippur), il 6 ottobre 1973. Israele respinse l’attacco e sconfisse sia i siriani che gli egiziani.
Ma all’indomani della vittoria israeliana, i paesi arabi – che avevano sostenuto finanziariamente l’offensiva di Egitto e Siria - aderenti all’OPEC decretarono il blocco delle esportazioni di petrolio greggio nei confronti di tutti i Paesi che avevano sostenuto Israele. Il prezzo del petrolio quadruplicò (da 1 a 4 dollari). L’Occidente, di fronte alla scelta di ridurre le importazioni di petrolio o indebitarsi per comprare petrolio, scelse la seconda opzione: “Si trattò della più vasta e devastante modifica della distribuzione internazionale del reddito nel dopoguerra. Il vecchio mondo era terminato”.
Per la cronaca congiunturale, la recessione che ne seguì nel 1974 e 1975 ebbe proporzioni mai viste. La produzione industriale scese del 18%. Ci vollero 25 mesi per recuperare i livelli produttivi precedenti.
La sequenza è sempre la stessa: guerra, debiti, recessioni. Le crisi sistemiche sono quindi strettamente legate alla politica internazionale e agli interventi militari, i quali sono possibili grazie alla capacità che hanno gli Stati Uniti di indebitarsi sui mercati finanziarsi internazionali, grazie al fatto che il dollaro è una moneta di riserva.
Potendosi indebitare, gli Stati Uniti fanno fatica a capire le implicazioni dello sforzo bellico e lo accetta supinamente, pensando di non doverne pagare i costi. Se non gli States non potessero indebitarsi, il costo vivo sarebbe molto più visibile e non trasmesso alle generazioni future. Più trasparenza verso i cittadini contribuenti vorrebbe dire meno guerre. Come disse Louis Brandeis, Consigliere della Corte Suprema Americana negli anni '30, “La luce del sole è il miglior disinfettante, la luce elettrica il miglior poliziotto”.
L’ultima crisi non è un’eccezione, visto che prima della crisi dei subprime ci sono state le due invasioni in Iraq e Afghanistan, seguite al terribile attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. La spesa militare venne fatta crescere in modo eccezionale, grazie alle pressioni del Pentagono che trovarono ascolto nell’Amministrazione Bush, sotto shock per l’attentato. Dal 2001 al 2007 gli USA hanno impegnato oltre 600 miliardi di dollari per la sola guerra in Iraq.
Cipolletta: “Le guerre hanno pesato sensibilmente sulle politiche di bilancio americane, con risvolti pesanti sui conti pubblici. Questi disavanzi hanno sostenuto l’economia e contribuito a produrre squilibri nei conti con l’estero. Il protrarsi degli squilibri ha generato forti afflussi di liquidità sul mercato finanziario internazionale. Questa abbondante liquidità ha suscitato l’offerta di nuovi strumenti finanziari da parte delle banche internazionali (che hanno realizzato rilevanti profitti), e ciò ha prodotto bolle speculative. Ne sono derivate bolle speculative la cui esplosione ha prodotto una recessione mondiale”.
Carl Von Clausewitz sosteneva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Noi preferiremmo che le spese militari fossero ridotte. Così gli squilibri macroeconomici sarebbero quantomeno tenuti sotto controllo. E magari con i miliardi di euro disponibili si potrebbe finanziare il terzo settore, la ricerca sul cancro, i beni culturali cadenti, premiare il merito....
mercoledì 15 dicembre 2010
Autorità per l'energia, concorrenza e rendite (CIP6)
Il Presidente dell’Autorità per l’Energia, Alessandro Ortis, conclude oggi il suo mandato settennale. Ci sarà una prorogatio tecnica di 60 giorni poichè il successore designato Antonio Catricalà – attuale Presidente dell’Authority per la concorrenza – ha rinunciato alla designazione e ha deciso di rimanere dove sta (è un bene che non ci siano corsie preferenziali per i presidenti in scadenza).
Ma qual è il ruolo dell’Authority per l’Energia elettrica e il gas? Pochi ne sono consapevoli. Molti ne ignorano addirittura l’esistenza.
Sul sito web http://www.autoritaenergia.it/ leggiamo: “L'Autorità per l'energia elettrica e il gas è un'autorità indipendente con funzioni di regolazione e di controllo dei settori dell'energia elettrica e del gas...I poteri di regolazione settoriale fanno riferimento alla determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, in servizi in cui il mercato non sarebbe in grado di garantire l'interesse di utenti e consumatori a causa di vincoli tecnici, legali o altre restrizioni che limitano il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali.
L'Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio nel quadro degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo e dal Parlamento e tenuto conto delle normative dell'Unione europea in materia. L'Autorità formula osservazioni e proposte da trasmettere al Governo e al Parlamento, presenta annualmente al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei ministri una relazione sullo stato dei servizi e sull'attività svolta.
L'Autorità ha il compito di "garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza" nei settori dell'energia elettrica e del gas, nonché "assicurare adeguati livelli di qualità" dei servizi".
Il Presidente uscente - in carica dal 2003 - Alessandro Ortis è un ingegnere friulano, tosto e determinato. Sentiamolo. In una recente intervista a Il Sole 24 Ore, Ortis dice: “Il mercato deve essere mercato, non può essere una savana selvaggia dove chiunque possa operare in qualsiasi modo. Un mercato, diceva Einaudi, è un mercato quando ci sono regole e quando le regole sono rispettate. L’abbiamo visto con la crisi del sistema finanziario negli Stati Uniti che ha innescato la crisi globale, il cui inizio è stato generato da “bad regulation”, scarsa regolazione. Servono buone regole; monitoraggio del mercato; se del caso, fare rispettare le regole, anche ahimé con sanzioni e prescrizioni. Ci vuole un regolatore indipendente e attento. L’autorità ha due missioni: competizione e consumatori. Tutelare il consumatore significa garantire di fatto ai nostri concittadini delle scelte libere, consapevoli e convenienti. Il potere dei consumatori è uno strumento veramente forte che consente di sostenere di continuo la migliore efficienza del mercato. La vera libertà di scelta, il vero potere del consumatore, trascina l’efficienza, la sana competizione tra le imprese e in definitiva la competitività del sistema”.
Spesso, è opportuno dirlo, il consumatore è pigro – per approfondimenti, si consiglia la lettura di R. Petrini, L’economia della pigrizia (Laterza, 2007) - per cui a fronte della possibilità di scegliere, l’italiano rimane avvinghiato a doppio filo con l'ex monopolista di turno, di cui è decisamente scontento. Ma finita la litanìa e il lamento, non segue mai l’azione conseguente, ossia l’anglosassone “votare con i piedi”, cioè cambiare e passare a un altro operatore.
Prosegue Ortis: “Una soddisfazione è constatare che in sette anni con la liberalizzazione ed una migliore efficienza del mercato elettrico, abbiamo portato a casa minori costi per i consumatori pari a 4,5 miliardi di euro l’anno e significativi miglioramenti della qualità del servizio, con risultati tra i migliori d’Europa”.
Nel suo ultimo libro Them and Us. Changing Britain. Why we need a fair society, il politologo inglese Will Hutton sostiene che il capitalismo vincente deve essere inteso in modo diverso dal capitalismo oligarchico e di relazione, dove le rendite sono la risultante finale. Nelle sue parole: “Capitalism is indeed the uniquely productive its proponents claim. But it must be the capitalism of the innovative entrepreneur operating in a competitive economy open to all the talents. All productive economies depend on entrepreneurship; but not all entrepreneurship is productive. Too often it is wasted on rent-seeking”.
Facciamo un auspicio. Che il prossimo futuro veda scomparire i disastrosi CIP6 (per chi non lo sapesse, il CIP6 è una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e "assimilate") – che non dipendono certo dall’Authority ma dalla politica - di fatto sussidi ai petrolieri nostrani, che non ne hanno alcun bisogno. I consumatori ne fanno volentieri a meno, visto che il costo annuo in bolletta per il sistema Italia è di 830 milioni di Euro (Fonte: relazione annuale 2010 Autorità dell’Energia).
Nel caso dei CIP6, sembra di essere tornati nel Medioevo, quando – secondo le parole del nostro più grande storico Carlo Maria Cipolla – “Tramite la costituzione di corporazioni professionali si vieta l’accesso ai più e si difendono i privilegi dei propri membri”.
Va il nostro plauso all’operato di Alessandro Ortis che ha avuto il coraggio di compiere una battaglia durissima con ENI/SNAM RETE GAS al fine della separazione tra proprietà della rete e distribuzione in monopolio. L’ex Ministro Scajola – fino alle dimissioni legate alla vicenda dell’appartamento romano di Via del Fagutale alle spalle del Colosseo, pagato (su un totale di 1.5mio Euro) con 900mila euro forniti in nero dall’Architetto Zampolini (fiduciario del costruttore Anemone, parte della cosiddetta Cricca) – ha cercato di contrastare in tutti i modi Ortis. Non ce l’ha fatta.
Ma qual è il ruolo dell’Authority per l’Energia elettrica e il gas? Pochi ne sono consapevoli. Molti ne ignorano addirittura l’esistenza.
Sul sito web http://www.autoritaenergia.it/ leggiamo: “L'Autorità per l'energia elettrica e il gas è un'autorità indipendente con funzioni di regolazione e di controllo dei settori dell'energia elettrica e del gas...I poteri di regolazione settoriale fanno riferimento alla determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, in servizi in cui il mercato non sarebbe in grado di garantire l'interesse di utenti e consumatori a causa di vincoli tecnici, legali o altre restrizioni che limitano il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali.
L'Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio nel quadro degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo e dal Parlamento e tenuto conto delle normative dell'Unione europea in materia. L'Autorità formula osservazioni e proposte da trasmettere al Governo e al Parlamento, presenta annualmente al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei ministri una relazione sullo stato dei servizi e sull'attività svolta.
L'Autorità ha il compito di "garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza" nei settori dell'energia elettrica e del gas, nonché "assicurare adeguati livelli di qualità" dei servizi".
Luigi Einaudi |
Spesso, è opportuno dirlo, il consumatore è pigro – per approfondimenti, si consiglia la lettura di R. Petrini, L’economia della pigrizia (Laterza, 2007) - per cui a fronte della possibilità di scegliere, l’italiano rimane avvinghiato a doppio filo con l'ex monopolista di turno, di cui è decisamente scontento. Ma finita la litanìa e il lamento, non segue mai l’azione conseguente, ossia l’anglosassone “votare con i piedi”, cioè cambiare e passare a un altro operatore.
Prosegue Ortis: “Una soddisfazione è constatare che in sette anni con la liberalizzazione ed una migliore efficienza del mercato elettrico, abbiamo portato a casa minori costi per i consumatori pari a 4,5 miliardi di euro l’anno e significativi miglioramenti della qualità del servizio, con risultati tra i migliori d’Europa”.
Nel suo ultimo libro Them and Us. Changing Britain. Why we need a fair society, il politologo inglese Will Hutton sostiene che il capitalismo vincente deve essere inteso in modo diverso dal capitalismo oligarchico e di relazione, dove le rendite sono la risultante finale. Nelle sue parole: “Capitalism is indeed the uniquely productive its proponents claim. But it must be the capitalism of the innovative entrepreneur operating in a competitive economy open to all the talents. All productive economies depend on entrepreneurship; but not all entrepreneurship is productive. Too often it is wasted on rent-seeking”.
Facciamo un auspicio. Che il prossimo futuro veda scomparire i disastrosi CIP6 (per chi non lo sapesse, il CIP6 è una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e "assimilate") – che non dipendono certo dall’Authority ma dalla politica - di fatto sussidi ai petrolieri nostrani, che non ne hanno alcun bisogno. I consumatori ne fanno volentieri a meno, visto che il costo annuo in bolletta per il sistema Italia è di 830 milioni di Euro (Fonte: relazione annuale 2010 Autorità dell’Energia).
Nel caso dei CIP6, sembra di essere tornati nel Medioevo, quando – secondo le parole del nostro più grande storico Carlo Maria Cipolla – “Tramite la costituzione di corporazioni professionali si vieta l’accesso ai più e si difendono i privilegi dei propri membri”.
Va il nostro plauso all’operato di Alessandro Ortis che ha avuto il coraggio di compiere una battaglia durissima con ENI/SNAM RETE GAS al fine della separazione tra proprietà della rete e distribuzione in monopolio. L’ex Ministro Scajola – fino alle dimissioni legate alla vicenda dell’appartamento romano di Via del Fagutale alle spalle del Colosseo, pagato (su un totale di 1.5mio Euro) con 900mila euro forniti in nero dall’Architetto Zampolini (fiduciario del costruttore Anemone, parte della cosiddetta Cricca) – ha cercato di contrastare in tutti i modi Ortis. Non ce l’ha fatta.
martedì 14 dicembre 2010
Il Nobel a una sedia vuota. Ma la Cina non è una dittatura
Quando venerdì scorso è stato consegnato il Nobel per la pace, la sedia di Liu Xiaobo, dissidente, promotore di “Charta 08”, è rimasta vuota. Xiaobo è stato condannato a undici anni per “istigazione alla sovversione” e rinchiuso nel carcere della Manciuria.
E’ stato un brutto spettacolo. E’ brutto che i primi ministri europei si siano fatti intimidire dalla Cina e non abbiamo osato chiedere la liberazione di Xiaobo.
L’archistar e artista dissidente Ai Weiwei – arrestato perchè voleva festeggiare con un party la demolizione forzata del suo studio a Shanghai, liberato dopo tre giorni ai domiciliari - ha dichiarato: “Humour is a necessary ingredient when you are living under an authoritarian society. I’m in a battle against any system that tries to limit our imagination. Only with humour and art do we have a superior advantage, and we sill win every time....La Cina è un luogo dove non esiste libertà di espressione, dove l’accesso alle informazioni è limitato dalla censura, dove non si svolgono elezioni e dove la giustizia dipende dalla violenza del potere. Il mondo deve capire cosa significa trasformare un luogo simile nella prima potenza del pianeta”. E prosegue – decisamente incazzato: “L’atteggiamento internazionale fa pietà. Arrivano in Cina capi di Stato e di governo e nessuno osa pronunciare in pubblico le parole “diritti umani”. Come possono essere così miopi? I grandi leader, dopo il Nobel per la pace, non si arrischiano nemmeno a dire il nome di Liu Xiaobo. I figli dell’Occidente malediranno questo errore”.
A fronte della sedia vuota di Xiaobo e delle affermazioni di Weiwei, la reazione sarebbe di considerare la Cina una dittatura. Non è così.
Il nostro sempiterno riferimento Marco Vitale in un recente commento scrive: “In primo luogo la Cina è un paese governato da una classe dirigente che coltiva una cultura del fare vera e non parolaia, come da noi. In secondo luogo la peculiare democrazia cinese, così diversa dalla nostra, con il ruolo centrale del partito, facilita il processo decisionale anche se in Cina vi sono talora divergenze forti fra autorità locali e centrali e se la presenza di un’opinione pubblica attenta è in crescita. Immagino che molti si risentano del fatto che ho usato la parola democrazia cinese, ma penso che sia un grande errore continuare a classificare la Cina come un Paese totalitario. Nell’interno del partito esiste una forte dialettica e forme di competizione democratica. L’opinione pubblica incomincia a contare. Gran parte della strada verso un Paese di diritto è stata percorsa. Molti meccanismi di bilanciamento di poteri sono in atto, che rendono possibile parlare di democrazia sia pure controllata e fortemente guidata dalle oligarchie del partito che resta tetragono ad ogni democratizzazione. Forse, provocatoriamente, si potrebbe parlare di autoritarismo democratico”.
Interessanti anche alcune considerazioni del filosofo sloveno – gran provocatore, visiting professor in numerose università dal mondo - Slavoj Zizek: “Dovendo immaginare in onore di chi si costruiranno statue tra un secolo, penso a Lee Kwan Yew, per oltre trent’anni primo ministro di Singapore. E’ stato lui a inventare quella pratica di grande successo che poeticamente potremmo chiamare “capitalismo asiatico”: un modello economico ancora più dinamico e produttivo del nostro, ma che può fare a meno della democrazia, e anzi funziona meglio senza democrazia. Deng Xiaoping visitò Singapore quando Lee stava introducendo le sue riforme, e si convinse che quel modello andava applicato alla Cina”.
Poi Zizek tocca un punto importante, la fine della connessione tra democrazia e capitalismo: “Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all’orizzonte. Sembrano richiedere un “governo di esperti” molto decisionista, che si esprima su quel che occorre fare, e lo metta rapidamente in atto senza tanti salamelecchi. Ma il punto non è criticare la democrazia in sè; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l’aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico”.
Io sono indotto a pensare che non bisogna prendere scorciatoie. Noi europei ci abbiamo messo circa duemila anni per approdare alla democrazia, non possiamo pretendere che questo salto storico altri lo facciano in un solo giorno. Abbiamo visto come esportare la democrazia sia assai complicato e nefasto. Ogni popolo deve trovare dentro di sè le energie per liberarsi dei propri tiranni, altrimenti diventerà schiavo del suo liberatore.
Si sbaglia di grosso chi pensa che la guerra sia la via più veloce per risolvere un problema. Dopo una guerra il problema è ancora intatto. E la guerra per esportare la democrazia è stata un fallimento clamoroso. Dopo l’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001, la situazione è migliorata?
Consiglio a tutti la visione del film Bhutto sulla storia della famiglia Bhutto e in particolare di Benazir, gran donna, con un coraggio ammirevole, primo ministro due volte del Pakistan, assassinata il 27 dicembre 2007.
E’ stato un brutto spettacolo. E’ brutto che i primi ministri europei si siano fatti intimidire dalla Cina e non abbiamo osato chiedere la liberazione di Xiaobo.
L'architetto Ai Weiwei |
A fronte della sedia vuota di Xiaobo e delle affermazioni di Weiwei, la reazione sarebbe di considerare la Cina una dittatura. Non è così.
Il nostro sempiterno riferimento Marco Vitale in un recente commento scrive: “In primo luogo la Cina è un paese governato da una classe dirigente che coltiva una cultura del fare vera e non parolaia, come da noi. In secondo luogo la peculiare democrazia cinese, così diversa dalla nostra, con il ruolo centrale del partito, facilita il processo decisionale anche se in Cina vi sono talora divergenze forti fra autorità locali e centrali e se la presenza di un’opinione pubblica attenta è in crescita. Immagino che molti si risentano del fatto che ho usato la parola democrazia cinese, ma penso che sia un grande errore continuare a classificare la Cina come un Paese totalitario. Nell’interno del partito esiste una forte dialettica e forme di competizione democratica. L’opinione pubblica incomincia a contare. Gran parte della strada verso un Paese di diritto è stata percorsa. Molti meccanismi di bilanciamento di poteri sono in atto, che rendono possibile parlare di democrazia sia pure controllata e fortemente guidata dalle oligarchie del partito che resta tetragono ad ogni democratizzazione. Forse, provocatoriamente, si potrebbe parlare di autoritarismo democratico”.
Slavoj Zizek |
Poi Zizek tocca un punto importante, la fine della connessione tra democrazia e capitalismo: “Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all’orizzonte. Sembrano richiedere un “governo di esperti” molto decisionista, che si esprima su quel che occorre fare, e lo metta rapidamente in atto senza tanti salamelecchi. Ma il punto non è criticare la democrazia in sè; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l’aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico”.
Io sono indotto a pensare che non bisogna prendere scorciatoie. Noi europei ci abbiamo messo circa duemila anni per approdare alla democrazia, non possiamo pretendere che questo salto storico altri lo facciano in un solo giorno. Abbiamo visto come esportare la democrazia sia assai complicato e nefasto. Ogni popolo deve trovare dentro di sè le energie per liberarsi dei propri tiranni, altrimenti diventerà schiavo del suo liberatore.
Si sbaglia di grosso chi pensa che la guerra sia la via più veloce per risolvere un problema. Dopo una guerra il problema è ancora intatto. E la guerra per esportare la democrazia è stata un fallimento clamoroso. Dopo l’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre 2001, la situazione è migliorata?
Consiglio a tutti la visione del film Bhutto sulla storia della famiglia Bhutto e in particolare di Benazir, gran donna, con un coraggio ammirevole, primo ministro due volte del Pakistan, assassinata il 27 dicembre 2007.
lunedì 13 dicembre 2010
Faust, il Governatore Carli e il ritorno da Maastricht
“Eravamo tornati nella notte da Maastricht. Ricordo il freddo secco, pungente. Per la mattina dopo – era l’11 dicembre 1991 (19 anni fa, dunque, ndr) – avevo convocato un gruppo di cronisti al Ministero del Tesoro. Preparai il testo del Trattato, da portare e commentare. Poi, all’ultimo momento cambiai idea. E presi dalla biblioteca una vecchia copia del Faust di Goethe, parte seconda, sulla quale avevo studiato nel 1936 all’Università di Monaco di Baviera. Portai quel libretto ingiallito nel mio incontro con i giornalisti, destando un’increspatura di stupore.
Entrai nella sala della Maggioranza...posi sul tavolo rotondo il testo del Faust, e spiegai il valore simbolico di quel gesto. Nella seconda parte del Faust, Mefistofele consiglia all’Imperatore di finanziare le proprie guerre contro l’Antimperatore stampando banconote senza preoccuparsi della loro quantità. La Corte è in preda all’euforia per l’invenzione della banconota e per la possibilità di moltiplicare magicamente il potere d’acquisto, con il solo atto della firma dell’Imperatore....Il denaro risveglia la città imperiale “già quasi muffita e mezza morta” come il soffio rivitalizzante del favonio. Il popolo è felice. Consuma. La crescita dell’economia riparte. Il Medioevo finisce. E’ il Rinascimento. L’Imperatore è stordito dalle meraviglie che gli vengono prospettate. Obietta: ma che cosa garantirà il valore di quelle banconote? Faust replica: se mancherà l’oro e l’argento con i quali riscattare i biglietti al portatore, basterà garantirli con il sottosuolo ricco di miniere, di tesori, di gemme. E Mefistofele commenta: “Se manca moneta, basta scavare un po’...
Quella sussurrata da Mefistofele è la tentazione che tutti i Principi, tutti i potenti della storia hanno avuto: finanziare le proprie guerre, i propri fasti, stampando moneta senza preoccuparsi di garantirne il valore, la stabilità. Finanziandoli con l’inflazione. Il Trattato di Maastricht si propone proprio di allargare all’Europa la Costituzione monetaria della Repubblica Federale di Germania, che proibisce al Principe, vale a dire al governo, di stampare moneta a proprio piacimento. Costringe tutti ad assumere comportamenti non inflazionistici.
Mostrai il libricino e dissi: “Questo volume venne stampato per le scuole tedesche negli anni Trenta, e in esse diffuso e commentato. Questo vi testimonia quanto sia radicata nell’animo dei tedeschi l’ostilità per l’inflazione, dopo Weimar. Questo pilastro si estende oggi anche all’Europa”.
Questa la testimonianza di Guido Carli nell’Epilogo di Cinquant’anni di vita italiana (Laterza, 1993). E’ da questo passaggio che deriva il nome di questo blog, Faust e il Governatore.
Maastricht è una piccola città sulla Mosa al confine tra l’Olanda, il Belgio e la Germania. A Maastricht si apriva il 9 dicembre 1991 lo storico Consiglio europeo che avrebbe dato vita al nuovo Trattato.
Nella prima giornata furono sciolti gli ultimi nodi sull'Unione economica e monetaria: entro il 1º gennaio 1999 si sarebbe avviata la terza tappa del calendario, con l'introduzione della moneta unica. Più difficile fu superare l'opposizione britannica a questa soluzione e sulle questioni sociali. Venne sancita così la clausola di opting-out attraverso la quale la Gran Bretagna avrebbe potuto rimanere nella futura Unione europea pur senza accogliere le innovazioni che il suo governo avesse rifiutato.
L’11 dicembre i dodici Paesi della Comunità Europea sottoscrissero il trattato di Maastricht, che perfezionato nel febbraio 1992 e ratificato nel 1993, porterà alla nascita dell’Unione Europea (1° novembre 1993).
Dopo la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), sarebbe nata da esso la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Venivano distinte due ulteriori tappe: nella prima le moneta nazionali sarebbero continuate a circolare pur se legate irrevocabilmente a tassi fissi con il futuro Euro; nella seconda le monete nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica. Per passare alla fase finale ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare cinque parametri di convergenza (denominati parametri di Maastricht, per l’appunto):
• Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.
• Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.
• Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.
• Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.
• Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.
Secondo Carli “Nel trattato confluiscono le idee di Luigi Einaudi, idee contraddistinte dall’obiettivo di consolidare la pace in Europa organizzando il vecchio continente secondo il principio federalista, ossia secondo il principio che ogni Stato membro mantiene la propria identità, ma ammette di restringere la sovranità nazionale nei campi della difesa e della moneta”.
Sempre Carli: “Il Trattato di Maastricht è incompatibile con l’idea stessa della “programmazione economica”. Ad essa si vengono a sostituire la politica dei redditi, la stabilità della moneta, e il principio di pareggio del bilancio.
Tangentopoli non è che un’imprevista opera di disinflazione di un’economia drogata, un completamento inconsapevole del trattato di Maastricht”.
Chiudiamo con l’opinione del Governatore Paolo Baffi – delegittimato e costretto a dimettersi nel 1979 a seguito dell’attacco di esponenti della Democrazia Cristiana corrotti e della P2 - il quale in una lettera allo stesso Carli scrisse: “Sarà forse uno scossone violento, quello che scuoterà un giorno il Paese dal suo torpore”. Ciampi sarà il suo successore.
Quando arriverà questo scossone? Fasten seat belt, dice il comandante prima della partenza dell’aereo.
Entrai nella sala della Maggioranza...posi sul tavolo rotondo il testo del Faust, e spiegai il valore simbolico di quel gesto. Nella seconda parte del Faust, Mefistofele consiglia all’Imperatore di finanziare le proprie guerre contro l’Antimperatore stampando banconote senza preoccuparsi della loro quantità. La Corte è in preda all’euforia per l’invenzione della banconota e per la possibilità di moltiplicare magicamente il potere d’acquisto, con il solo atto della firma dell’Imperatore....Il denaro risveglia la città imperiale “già quasi muffita e mezza morta” come il soffio rivitalizzante del favonio. Il popolo è felice. Consuma. La crescita dell’economia riparte. Il Medioevo finisce. E’ il Rinascimento. L’Imperatore è stordito dalle meraviglie che gli vengono prospettate. Obietta: ma che cosa garantirà il valore di quelle banconote? Faust replica: se mancherà l’oro e l’argento con i quali riscattare i biglietti al portatore, basterà garantirli con il sottosuolo ricco di miniere, di tesori, di gemme. E Mefistofele commenta: “Se manca moneta, basta scavare un po’...
Quella sussurrata da Mefistofele è la tentazione che tutti i Principi, tutti i potenti della storia hanno avuto: finanziare le proprie guerre, i propri fasti, stampando moneta senza preoccuparsi di garantirne il valore, la stabilità. Finanziandoli con l’inflazione. Il Trattato di Maastricht si propone proprio di allargare all’Europa la Costituzione monetaria della Repubblica Federale di Germania, che proibisce al Principe, vale a dire al governo, di stampare moneta a proprio piacimento. Costringe tutti ad assumere comportamenti non inflazionistici.
Mostrai il libricino e dissi: “Questo volume venne stampato per le scuole tedesche negli anni Trenta, e in esse diffuso e commentato. Questo vi testimonia quanto sia radicata nell’animo dei tedeschi l’ostilità per l’inflazione, dopo Weimar. Questo pilastro si estende oggi anche all’Europa”.
Guido Carli |
Maastricht è una piccola città sulla Mosa al confine tra l’Olanda, il Belgio e la Germania. A Maastricht si apriva il 9 dicembre 1991 lo storico Consiglio europeo che avrebbe dato vita al nuovo Trattato.
Nella prima giornata furono sciolti gli ultimi nodi sull'Unione economica e monetaria: entro il 1º gennaio 1999 si sarebbe avviata la terza tappa del calendario, con l'introduzione della moneta unica. Più difficile fu superare l'opposizione britannica a questa soluzione e sulle questioni sociali. Venne sancita così la clausola di opting-out attraverso la quale la Gran Bretagna avrebbe potuto rimanere nella futura Unione europea pur senza accogliere le innovazioni che il suo governo avesse rifiutato.
L’11 dicembre i dodici Paesi della Comunità Europea sottoscrissero il trattato di Maastricht, che perfezionato nel febbraio 1992 e ratificato nel 1993, porterà alla nascita dell’Unione Europea (1° novembre 1993).
Dopo la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), sarebbe nata da esso la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Venivano distinte due ulteriori tappe: nella prima le moneta nazionali sarebbero continuate a circolare pur se legate irrevocabilmente a tassi fissi con il futuro Euro; nella seconda le monete nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica. Per passare alla fase finale ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare cinque parametri di convergenza (denominati parametri di Maastricht, per l’appunto):
• Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.
• Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.
• Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.
• Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.
• Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.
Secondo Carli “Nel trattato confluiscono le idee di Luigi Einaudi, idee contraddistinte dall’obiettivo di consolidare la pace in Europa organizzando il vecchio continente secondo il principio federalista, ossia secondo il principio che ogni Stato membro mantiene la propria identità, ma ammette di restringere la sovranità nazionale nei campi della difesa e della moneta”.
Sempre Carli: “Il Trattato di Maastricht è incompatibile con l’idea stessa della “programmazione economica”. Ad essa si vengono a sostituire la politica dei redditi, la stabilità della moneta, e il principio di pareggio del bilancio.
Tangentopoli non è che un’imprevista opera di disinflazione di un’economia drogata, un completamento inconsapevole del trattato di Maastricht”.
Chiudiamo con l’opinione del Governatore Paolo Baffi – delegittimato e costretto a dimettersi nel 1979 a seguito dell’attacco di esponenti della Democrazia Cristiana corrotti e della P2 - il quale in una lettera allo stesso Carli scrisse: “Sarà forse uno scossone violento, quello che scuoterà un giorno il Paese dal suo torpore”. Ciampi sarà il suo successore.
Quando arriverà questo scossone? Fasten seat belt, dice il comandante prima della partenza dell’aereo.
venerdì 10 dicembre 2010
Guadagna di più Barack Obama o il presidente del Molise Michele Iorio?
Nell’ultima prova scritta per i miei studenti dell’Università di Bergamo – dove insegno Economia e Tecnica degli Scambi Internazionali, la domanda per il 30 e lode recitava: “Guadagna di più il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama o il presidente del Molise, Michele Iorio?”
Voi direte: ma cosa c'entra Iorio con il corso di finanza internazionale? Conta tantissimo invece, perchè se lo spread BTP-Bund si allarga non è certo colpa degli speculatori cattivi. La colpa è nostra che ci teniamo stretta gente come Michele Iorio.
Figuratevi il mio compiacimento quando sabato scorso 4 dicembre, il Corriere della Sera con due delle sue firme più prestigiose – Stella e Rizzo – ha dedicato due pagine intere alle gesta di Iorio: “Viceré Michele e la Regione “pigliatutto” http://archiviostorico.corriere.it/2010/dicembre/04/Vicere_Michele_Regione_pigliatutto__co_9_101204079.shtml.
Ma chi è Michele Iorio? Più che un barone, un viceré.
Michele Iorio è saldamente alla guida del Molise da tempo immemorabile. Prima assessore provinciale di Isernia, poi sindaco della città, poi assessore regionale di centrosinistra, poi candidato (trombato) dell’Ulivo appoggiato da Rifondazione comunista, poi governatore berlusconiano.
Il 20,4% dei molisani lavora nella pubblica amministrazione. Stella e Rizzo: “I soli uffici della Regione pagano un migliaio di dipendenti: con la stessa proporzione, per capirci, la Regione Lombardia dovrebbe avere oltre 30 mila dipendenti ancziché quattromila. Con tutti quei dipendenti pubblici, dovrebbe essere un modello di efficienza. Non è così. Prendiamo la spazzatura: la regione è in coda alla classifica della raccolta differenziata con il 4,8%:meno ancora della Sicilia (6,1%), della Calabria (9,1%) e addirittura della Campania (13,5%)....E la sanità? Il deficit 2009 è astronomico:225 euro per abitante. Più pesante, Lazio a parte, di ogni altra regione.
Il vicerè Michele Iorio non si è scomposto....Governatore, leader del Popolo delle libertà, commissario alla sanità, commissario al terremoto, commissario all’alluvione: un patriarca”.
Con il terremoto di Campobasso, la maggior parte dei finanziamenti è finito nella zona di Isernia, il bacino elettorale di Iorio nemmeno sfiorato dal sisma. Un esempio di lucido investimento di ricostruzione? 200mila euro per il Museo del Profumo a Sant’Elena Sannita.
Con il decreto 314 del 2007, Iorio, commissario per il terremoto e l’alluvione (uno dei suoi tanti incarichi), ha destinato 40mila euro quale contributo per la esecuzione di n. 3 serate regionali del concorso Miss Italia.
La parentopoli di Michele Iorio? Ce la raccontano sempre Rizzo e Stella: “Il fratello Nicola Iorio, primario, ha visto il suo reparto ricevere un contributo di un milione di euro a dispetto del buco regionale salito in otto anni a 600 milioni. La sorella Rosa Iorio direttrice del distretto sanitario. Il figlio Luca Iorio medito ospedaliero. L’altro figlio Raffaele Iorio, direttore medico di un centro privato convenzionato con la Regione del papà. Il cognato Sergio Tartaglione, marito di Rosa Iorio, primario di psichiatria e presidente dell’ordine dei medici isernini”.
Aspettiamo con ansia il prossimo editoriale televisivo – TG1 sei pronto? – che – raccontando il “contagio” europeo e la supposta crisi dell’euro (mai uno che dica che l’euro è nato a 1,17 contro dollaro e ora ci vogliono molti più dollari, 1,33 per avere un euro) - accusa la “perfida speculazione internazionale”, il complotto “giudo-plutaico-massonico”, che osa vendere i nostri titoli di Stato e quindi contribuisce all’allargamento dello spread Btp-Bund. Ma non lo vedete che lo spread si allarga perchè in Italia siamo pieni di Michele Iorio? Perchè buttiamo via il denaro dei contribuenti in modo scandaloso e siamo amministrati da viceré senza un minimo di competenza. E poi la colpa è degli speculatori. Ma va là!
Sentiamo cosa dice il nostro miglior riferimento, Carlo Azeglio Ciampi (intervista a Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2010): “Il paese viene giudicato nel suo insieme. I mercati hanno bisogno di messaggi chiari e semplici. La fiducia è la conseguenza di scelte coerenti con gli impegni assunti. Certo vi è il rischio che venga meno la fiducia dei mercati. Ricordo Gerrit Zalm, il ministro delle finanze olandese: fu il più duro di tutti, tra il 1997 e il 1998, nel pretendere che l'Italia assumesse impegni precisi nel risanamento dei conti pubblici. Poi, quando questo impegno venne assunto, divenne uno dei nostri più accesi sostenitori. Ero a una riunione dell'Ecofin a Bruxelles. Un ministro espresse dubbi sull'Italia, e fu proprio Zalm a tacitarlo con queste parole: Carlo ha preso questo impegno e per me è sufficiente”.
Torniamo all’esame:
“Domanda valida per il 30 e lode:
GUADAGNA DI PIU’ IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA BARACK OBAMA O IL PRESIDENTE DEL MOLISE, MICHELE IORIO?
a) Ovviamente guadagna di più Obama, Iorio non so chi sia
b) Dipende dal cambio del dollaro; se il dollaro raggiungesse la parità con l’euro, come auspicano Giavazzi e Caballero, Obama guadagnerebbe di più
c) Non ho parole, ma guadagna di più Iorio “
Naturalmente la risposta al quesito d’esame è la c) “Non ho parole, ma guadagna di più Iorio” (più di Obama, avete capito bene).
Voi direte: ma cosa c'entra Iorio con il corso di finanza internazionale? Conta tantissimo invece, perchè se lo spread BTP-Bund si allarga non è certo colpa degli speculatori cattivi. La colpa è nostra che ci teniamo stretta gente come Michele Iorio.
Figuratevi il mio compiacimento quando sabato scorso 4 dicembre, il Corriere della Sera con due delle sue firme più prestigiose – Stella e Rizzo – ha dedicato due pagine intere alle gesta di Iorio: “Viceré Michele e la Regione “pigliatutto” http://archiviostorico.corriere.it/2010/dicembre/04/Vicere_Michele_Regione_pigliatutto__co_9_101204079.shtml.
Michele Iorio |
Michele Iorio è saldamente alla guida del Molise da tempo immemorabile. Prima assessore provinciale di Isernia, poi sindaco della città, poi assessore regionale di centrosinistra, poi candidato (trombato) dell’Ulivo appoggiato da Rifondazione comunista, poi governatore berlusconiano.
Il 20,4% dei molisani lavora nella pubblica amministrazione. Stella e Rizzo: “I soli uffici della Regione pagano un migliaio di dipendenti: con la stessa proporzione, per capirci, la Regione Lombardia dovrebbe avere oltre 30 mila dipendenti ancziché quattromila. Con tutti quei dipendenti pubblici, dovrebbe essere un modello di efficienza. Non è così. Prendiamo la spazzatura: la regione è in coda alla classifica della raccolta differenziata con il 4,8%:meno ancora della Sicilia (6,1%), della Calabria (9,1%) e addirittura della Campania (13,5%)....E la sanità? Il deficit 2009 è astronomico:225 euro per abitante. Più pesante, Lazio a parte, di ogni altra regione.
Il vicerè Michele Iorio non si è scomposto....Governatore, leader del Popolo delle libertà, commissario alla sanità, commissario al terremoto, commissario all’alluvione: un patriarca”.
Con il terremoto di Campobasso, la maggior parte dei finanziamenti è finito nella zona di Isernia, il bacino elettorale di Iorio nemmeno sfiorato dal sisma. Un esempio di lucido investimento di ricostruzione? 200mila euro per il Museo del Profumo a Sant’Elena Sannita.
Con il decreto 314 del 2007, Iorio, commissario per il terremoto e l’alluvione (uno dei suoi tanti incarichi), ha destinato 40mila euro quale contributo per la esecuzione di n. 3 serate regionali del concorso Miss Italia.
La parentopoli di Michele Iorio? Ce la raccontano sempre Rizzo e Stella: “Il fratello Nicola Iorio, primario, ha visto il suo reparto ricevere un contributo di un milione di euro a dispetto del buco regionale salito in otto anni a 600 milioni. La sorella Rosa Iorio direttrice del distretto sanitario. Il figlio Luca Iorio medito ospedaliero. L’altro figlio Raffaele Iorio, direttore medico di un centro privato convenzionato con la Regione del papà. Il cognato Sergio Tartaglione, marito di Rosa Iorio, primario di psichiatria e presidente dell’ordine dei medici isernini”.
Aspettiamo con ansia il prossimo editoriale televisivo – TG1 sei pronto? – che – raccontando il “contagio” europeo e la supposta crisi dell’euro (mai uno che dica che l’euro è nato a 1,17 contro dollaro e ora ci vogliono molti più dollari, 1,33 per avere un euro) - accusa la “perfida speculazione internazionale”, il complotto “giudo-plutaico-massonico”, che osa vendere i nostri titoli di Stato e quindi contribuisce all’allargamento dello spread Btp-Bund. Ma non lo vedete che lo spread si allarga perchè in Italia siamo pieni di Michele Iorio? Perchè buttiamo via il denaro dei contribuenti in modo scandaloso e siamo amministrati da viceré senza un minimo di competenza. E poi la colpa è degli speculatori. Ma va là!
Sentiamo cosa dice il nostro miglior riferimento, Carlo Azeglio Ciampi (intervista a Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2010): “Il paese viene giudicato nel suo insieme. I mercati hanno bisogno di messaggi chiari e semplici. La fiducia è la conseguenza di scelte coerenti con gli impegni assunti. Certo vi è il rischio che venga meno la fiducia dei mercati. Ricordo Gerrit Zalm, il ministro delle finanze olandese: fu il più duro di tutti, tra il 1997 e il 1998, nel pretendere che l'Italia assumesse impegni precisi nel risanamento dei conti pubblici. Poi, quando questo impegno venne assunto, divenne uno dei nostri più accesi sostenitori. Ero a una riunione dell'Ecofin a Bruxelles. Un ministro espresse dubbi sull'Italia, e fu proprio Zalm a tacitarlo con queste parole: Carlo ha preso questo impegno e per me è sufficiente”.
Torniamo all’esame:
“Domanda valida per il 30 e lode:
GUADAGNA DI PIU’ IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA BARACK OBAMA O IL PRESIDENTE DEL MOLISE, MICHELE IORIO?
a) Ovviamente guadagna di più Obama, Iorio non so chi sia
b) Dipende dal cambio del dollaro; se il dollaro raggiungesse la parità con l’euro, come auspicano Giavazzi e Caballero, Obama guadagnerebbe di più
c) Non ho parole, ma guadagna di più Iorio “
Naturalmente la risposta al quesito d’esame è la c) “Non ho parole, ma guadagna di più Iorio” (più di Obama, avete capito bene).
giovedì 9 dicembre 2010
Buon compleanno Carlo Azeglio!
Oggi uno dei più grandi italiani viventi, Carlo Azeglio Ciampi – Governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro, Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, nato a Livorno il 9 dicembre 1920 - compie 90 anni. Gli facciamo gli auguri, ricordando alcune sue riflessioni e punti di vista, ritratti da “Da Livorno al Quirinale” (Il Mulino, 2010).
“Non c’è dubbio che la vita scorre e ti offre tante occasioni. L’importante è riuscire a coglierle nel modo giusto e al momento giusto. Non mi sono mai lamentato di quello che mi ha offerto la vita. Posso dire che per inclinazione naturale mi sono sempre sentito pronto a cogliere l’occasione che in un certo momento si offriva”.
“Sono convinto che nella vita si debba sempre cercare di utilizzare al meglio il tempo...fai le cose che ritieni di dover fare; dovendole fare, cerchi di farle rapidamente...io ho preso da mia madre: “Non rinviare a domani quello che potresti fare oggi, il tempo è breve”.
“Io parto da questa idea: non prendere impegni che sono al di là delle tue forze. Ma se li devi prendere, bando ad ogni incertezza o timidezza, rimboccati le maniche e mettiti a lavorare"."La mia filosofia è questa. Quando si profilano impegni difficili, importanti, se puoi farlo, evitali; ma se non puoi evitarli, affrontali con pienezza di energie, con freddezza, con libertà di mente, con onestà di propositi”.
“Molte volte mi chiedo se ci sia oggi una generazione di trentenni che abbia la forza di “ricostruire”, la volontà e l’impegno necessari, come li avemmo noi, provati dalla guerra, anzi con la guerra ancora alle porte di casa. Mi dico anche che se questa generazione non c’è, la colpa è nostra, è dei padri; vuol dire che non siamo capaci di passare la mano al futuro. E’ un pensiero che quasi mi ossessiona; ma non perdo la fiducia”.
“Servire la Banca d’Italia vuol dire servire, imparare a servire una grande istituzione. Quindi l’istituzione viene prima della persona. Secondo, ti insegna ad avere valori precisi, ti insegna a non accettare compromessi, ti insegna a tenere fermo il punto di fronte a chiunque prema. Ti insegna a non dipendere da nessuno, da nessun potere politico esterno”
“Studiare come un forsennato vuol dire scavare problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni. In questo mi aiutò molto la mia familiarità con il metodo della filologia classica...Bisogna rendersi conto delle origini delle cose, approfondire, scavare, per capire il testo base”
“Nella vita si studia sempre fino all’ultimo giorno. In forme diverse. La curiosità, il desiderio di capitre, di darsi una spiegazione delle cose, non cessano mai. Il mondo non lo si conosce mai abbastanza. A parte le conoscenze tecniche, è la vita stessa, nei suoi valori, nelle sue manifestazioni, nelle nostre reazioni a esse, che si presenta come un apprendistato continuo. Anche a novant’anni compiuti”
“Nella discussione si affinano le idee, si migliora il contenuto della soluzione che uno può avere in mente già in partenza, ma poi si deve chiudere. La discussione non è mai fine a se stessa e non è mai senza fine, deve finire, ci sono tempi da rispettare. Questo è, per me, il famoso problema del rapporto fra conoscenza e atto volitivo. Ci vuole il massimo della conoscenza. Ma poi c’è l’esigenza di smettere, di mettere la parola fine a un processo conoscitivo, altrimenti senza fine, e di chiudere con la decisione, con la scelta”.
“La fiducia e la speranza mi vengono dai giovani, che pure vivono un presente difficile e nutrono d’incertezza il loro futuro...Frequenti sono le occasioni che ho di incontrare ragazzi, studenti, giovanii impegnati nello studio e nel lavoro...mi conforta osservarne la forza,la determinazione a non lasciarsi andare; il loro saper guardare avanti. Con molta lucidità non coltivano illusioni, ma non cadono nel disincanto o peggio nel cinismo. Affrontano la realtà per quello che è e si adoperano a cambiarla. Questo è per me il punto: il ricambio generazionale. Quando questi giovani chiederanno con vigore, perentoriamente, ai loro padri: “E ora, fatevi da parte”. E’ ciò che fece la mia generazione all’indomani della guerra. Tra mille difficoltà, senza molte certezze circa il nostro futuro, salvo una: “Ora tocca a noi”. Ce la facemmo. Ce la faranno”.
Domenica scorsa sul Sole 24 Ore Ciampi ha invitato i lettori a riprendere in mano Leopardi. Lo riporto integralmente: “Sia di auspicio la convinzione del Passeggere leopardiano, “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. E il futuro è speranza”.
Auguri Carlo Azeglio!
P.S.: Per chi non l’avesse ancora fatto, invito caldamente alla lettura del post “Il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi”. E’ lì, il 24 novembre 1996 che “Ciampi gave the performance of his life”.
“Non c’è dubbio che la vita scorre e ti offre tante occasioni. L’importante è riuscire a coglierle nel modo giusto e al momento giusto. Non mi sono mai lamentato di quello che mi ha offerto la vita. Posso dire che per inclinazione naturale mi sono sempre sentito pronto a cogliere l’occasione che in un certo momento si offriva”.
“Sono convinto che nella vita si debba sempre cercare di utilizzare al meglio il tempo...fai le cose che ritieni di dover fare; dovendole fare, cerchi di farle rapidamente...io ho preso da mia madre: “Non rinviare a domani quello che potresti fare oggi, il tempo è breve”.
“Io parto da questa idea: non prendere impegni che sono al di là delle tue forze. Ma se li devi prendere, bando ad ogni incertezza o timidezza, rimboccati le maniche e mettiti a lavorare"."La mia filosofia è questa. Quando si profilano impegni difficili, importanti, se puoi farlo, evitali; ma se non puoi evitarli, affrontali con pienezza di energie, con freddezza, con libertà di mente, con onestà di propositi”.
“Molte volte mi chiedo se ci sia oggi una generazione di trentenni che abbia la forza di “ricostruire”, la volontà e l’impegno necessari, come li avemmo noi, provati dalla guerra, anzi con la guerra ancora alle porte di casa. Mi dico anche che se questa generazione non c’è, la colpa è nostra, è dei padri; vuol dire che non siamo capaci di passare la mano al futuro. E’ un pensiero che quasi mi ossessiona; ma non perdo la fiducia”.
“Servire la Banca d’Italia vuol dire servire, imparare a servire una grande istituzione. Quindi l’istituzione viene prima della persona. Secondo, ti insegna ad avere valori precisi, ti insegna a non accettare compromessi, ti insegna a tenere fermo il punto di fronte a chiunque prema. Ti insegna a non dipendere da nessuno, da nessun potere politico esterno”
“Studiare come un forsennato vuol dire scavare problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni. In questo mi aiutò molto la mia familiarità con il metodo della filologia classica...Bisogna rendersi conto delle origini delle cose, approfondire, scavare, per capire il testo base”
“Nella vita si studia sempre fino all’ultimo giorno. In forme diverse. La curiosità, il desiderio di capitre, di darsi una spiegazione delle cose, non cessano mai. Il mondo non lo si conosce mai abbastanza. A parte le conoscenze tecniche, è la vita stessa, nei suoi valori, nelle sue manifestazioni, nelle nostre reazioni a esse, che si presenta come un apprendistato continuo. Anche a novant’anni compiuti”
“Nella discussione si affinano le idee, si migliora il contenuto della soluzione che uno può avere in mente già in partenza, ma poi si deve chiudere. La discussione non è mai fine a se stessa e non è mai senza fine, deve finire, ci sono tempi da rispettare. Questo è, per me, il famoso problema del rapporto fra conoscenza e atto volitivo. Ci vuole il massimo della conoscenza. Ma poi c’è l’esigenza di smettere, di mettere la parola fine a un processo conoscitivo, altrimenti senza fine, e di chiudere con la decisione, con la scelta”.
“La fiducia e la speranza mi vengono dai giovani, che pure vivono un presente difficile e nutrono d’incertezza il loro futuro...Frequenti sono le occasioni che ho di incontrare ragazzi, studenti, giovanii impegnati nello studio e nel lavoro...mi conforta osservarne la forza,la determinazione a non lasciarsi andare; il loro saper guardare avanti. Con molta lucidità non coltivano illusioni, ma non cadono nel disincanto o peggio nel cinismo. Affrontano la realtà per quello che è e si adoperano a cambiarla. Questo è per me il punto: il ricambio generazionale. Quando questi giovani chiederanno con vigore, perentoriamente, ai loro padri: “E ora, fatevi da parte”. E’ ciò che fece la mia generazione all’indomani della guerra. Tra mille difficoltà, senza molte certezze circa il nostro futuro, salvo una: “Ora tocca a noi”. Ce la facemmo. Ce la faranno”.
Domenica scorsa sul Sole 24 Ore Ciampi ha invitato i lettori a riprendere in mano Leopardi. Lo riporto integralmente: “Sia di auspicio la convinzione del Passeggere leopardiano, “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. E il futuro è speranza”.
Auguri Carlo Azeglio!
P.S.: Per chi non l’avesse ancora fatto, invito caldamente alla lettura del post “Il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi”. E’ lì, il 24 novembre 1996 che “Ciampi gave the performance of his life”.
Iscriviti a:
Post (Atom)