Finita la scuola - quali sono le altre categorie a parte gli insegnanti con 3 mesi di vacanza? - , montano le polemiche sui compiti. In nome del diritto al gioco molte famiglie esigono l'assenza di compiti per le vacanze. E molti professori sono d'accordo con questa visione perdente per gli allievi.
Su
Repubblica, qualche tempo fa a tutta pagina si titolava "
Alleanza tra prof e famiglie nel nome del diritto al gioco". L'attacco racconta la volontà di una madre di non acquistare i libri per le vacanze. Il social su Facebook "Basta compiti" ha raggiungo i 4.500 iscritti. Su change.org c'è una petizione che conta 4.300 firme. Alcuni scrivono che i compiti constringono i genitori a sostituire i docenti. Ma dai! So benissimo per esperienza che ci sono genitori che si sostituiscono ai figli, che si mettono al loro fianco mentre fanno i compiti. Sbagliatissimo. Il bambino deve imparare l'autonomia e i compiti deve farli da solo. Se sbagli si corregge in classe.
Questi genitori non sanno quanti danni fanno ai propri figli.
Anni fa mi sono imbattuto in un libro formidabile,
Fuoriclasse (Mondadori, 2009) di
Malcolm Gladwell, giornalista divulgativo, ma sarebbe meglio definirlo scienziato pop. In questo volume il lettore veniva portato a conoscenza di un esperimento compiuto negli Stati Uniti. In una scuola, con gli stessi professori, a parità di altre condizioni, ad alcune classi vengono assegnati i compiti per le vacanze, ad altre no. Dopo ogni anno gli alunni delle classi senza compiti rientrano a scuola meno preparati di chi li ha fatti.
Dopo 5 anni la differenza cognitiva e di preparazione non deriva dagli insegnanti, dai metodi didattici, ma, guarda caso, dall'avere o meno fatto i compiti.
Misurando i punteggi della capacità di lettura DOPO le vacanze estive, si nota come i bambini più ricchi tornano in settembre con un'abilità di lettura molto più forte, mentre i bambini di famiglie povere subiscono un calo. Così mentre i bambini poveri surclassano i ricchi nell'apprendimento durante l'anno scolastico, d'estate si fanno superare di parecchie lunghezze.
Se ne deduce che nel campo della lettura, i bambini poveri NON imparano nulla quando le scuole sono chiuse.
Gladwell conclude con amarezza: "Di fatto,
tutti i vantaggi che gli alunni facoltosi hanno dei confronti degli indigenti derivano dalle differenze di apprendimento dei privilegiati nell'ambito extrascolastico. Ma è evidente. I bambini ricchi in vacanza vengono accompagnati nei musei, iscritti a corsi e campi estivi dove seguono le lezioni. Vengono stimolati in ogni modo. I bambini poveri stanno attaccati davanti alla TV (o al tablet).
I compiti mantengono in esercizio la mente, aiutano a consolidare i concetti. La mente è un muscolo, se non si esercita, in modo inerziale assopisce.
Ha ragione
Pier Luigi Ipata, professore di biologia molecolare all'Università di Pisa che scrive a
Repubblica sostenendo che la via di mezzo è quella corretta: "Vi sono adolescenti, più numerosi di quanto di creda che anche se non hanno compiti per le vacanze rubano non più di una o due ore ai giorni delle vacanze per mantenere il cervello in esercizio, imparando una lingua o risolvendo quesiti di matematica.
John Dewey diceva che "l'educazione non serve solo a prepararsi alla vita, ma è la vita stessa". Questi giovani lo sanno, lo intuiscono. Non confondiamo loro le idee, convincendoli che fare i compiti durante le vacanze è addirittura dannoso e procura sofferenze. Vi sono invece giovani per i quali la scuola può diventare fonte di preoccupazioni. Per questi le vacanze sono un toccasana". Ma questi ultimi, aggiungo io, sono un'estrema minoranza.
Spesso sono tentato di pensare che il problema della scuola italiana siano i genitori.